martedì 16 Aprile 2024

In principio fu il setter…

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Non so come sia stato per voi:  ma per me, in una famiglia di non cinofili, quando cominciai ad interessarmi ai cani mi interessai al “cane” e non alla “razza”.
Volevo un cane, questo era tutto: mi bastava avesse quattro zampe, una coda e appartenesse al genere Canis Familiaris.
Nell’attesa di un quattro zampe tutto mio osservavo i cani degli altri e li studiavo sulla Grande Enciclopedia del Cane De Agostini.
Avevo circa otto anni e mio padre aveva deciso, per sfinimento, di foraggiarmi nell’acquisto dell’opera a fascicoli.
Terminologia e concetti non erano semplici, né di comprensione immediata per una bambina di quella età: ma facevo del mio meglio districandomi tra displasie, standards, andature di lavoro.
L’opera cresceva lentamente, di settimana in settimana, lasciandomi il tempo di interiorizzare con calma le singole razze.
Una volta completa e rilegata non ne abbandonai certo la consultazione e, ad oggi, devo ammettere che alcuni volumi sono stati aperti più spesso degli altri e che certe pagine sono più sgualcite.
L’intensità delle consultazioni dipendeva dalle mode del momento (molto sgualcita la parte sui nordici!), dai cani dei vicini, da quelli incontrati per strada e da certe razze che, per un qualche recondito motivo, mi attiravano come calamite.
Il volume che probabilmente riporta più ditate è il settimo: “cani da ferma”, in cui i segnetti raggiungono l’apice nella sezione dei cani da ferma inglesi (setter e pointer).
Mi piacevano visivamente i setter, ma non so bene il perché.
Ne conoscevo alcuni dal vivo: Rosso, l’irlandese dello zio tradizionalmente kurzhaarista (l’aveva seguito in campagna e se l’era portato a casa), e Andy, l’inglesino matto come un cavallo che abitava in una casa poco più in là e che di tanto in tanto portavo a spasso.
Avevo quasi convinto i miei ad adottare una setterina presente al canile municipale: poi non se ne fece nulla ma portai a casa un meticcio trovato che, guarda caso, era un mezzo setter!
Ma torniamo a pagine e fotografie: ricordo quasi tutti i nomi dei setter presenti sul libro e le loro caratteristiche somatiche.
Ammetto di essermi concentrata, ai tempi, maggiormente su inglese e irlandese, semi-ignorando il Gordon e reputando l’irlandese rosso e bianco un setter un po’ spelacchiato (scherzi del destino, oggi questa razza mi piace tantissimo).
Ed ecco le osservazioni fatte da una bambinetta delle elementari a metà degli anni ’80.
La prima cosa che balzava ai miei occhi erano le differenze tra le varie teste e orecchie: mi chiedevo perché i cani stranieri, come Pappageno’s All The Year Round (a sin.), erano così diversi, per esempio, dai cani del Dianella (a dx. Rusty del Dianella).




Lo stesso accadeva anche con gli irlandesi: Oberon del Pobietto (foto a sin) aveva una testa che a me sembrava (colpa della foto?) diversa da quella di altri cani fotografati nello stesso fascicolo.

E poi perché Uno della Bassana aveva tutto quel pelo e Liz del Dianella ne aveva la metà?

A sin: Uno della Bassana foto Copyright ( Igdas/SC. Pozzoni) Ch It 1988 Ch. R 1993 int 1989
A dx: Liz del Dianella (foto Copyright Igdas/ S Vannini)


Tra tutti i cani fotografati mi piaceva tantissimo Lindo della Bassana: non chiedetemi perché.
Avevo tra gli otto e i dieci anni, ma a me quel cane piaceva e piace tuttora.

Lindo della Bassana (foto Copyright Igdas/C. Pozzoni) Ch. It 1989, assoluto 1990, Ch It lavoro 1988

Le osservazioni e i commenti sono quelli di una bambina che si stava avvicinando da autodidatta alla cinofilia e che faceva commenti grossolani ignorando il concetto di linea di sangue, divisioni tra lavoro ed expo e amenità contingenti: tuttavia, nella mia ignoranza, avevo notato differenze tra setter nostrani e esteri e tra i setters di un allevamento e quelli di un altro.
Non sapevo ancora che ogni allevatore “dipinge” il suo cane muovendosi tra le regole proposte dagli standard ma, lasciatemelo dire, per un neo-cinofilo notare quelle piccole differenze non era da poco!
Notavo poi che che il commento allo standard di Cajelli era su certi punti (per es. la  taglia) in disaccordo con lo standard FCI e che era un’infinità di volte più dettagliato di quest’ultimo.
Credo, negli anni, di aver acquisito degli elementi in più su cui articolare le mie affermazioni sui cani in generale e sul setter in particolare dal momento che, un po’ per caso, sono riuscita finalmente ad avere un setter tutto mio che, pur non facendo praticamente nulla (ama prendersi lunghe pause-dormita) mi sta insegnando per osmosi tantissimo sulla razza a cui appartiene.
Tramite Socks (Sly di Riccagioia) ho capito tante cose in più: ho capito che esiste per esempio un modello di setter europeo con consistenti varianti regionali e che, ancora, i setter americani sono diversi dai nostri!

Sly di Riccagioia (Socks)

Chi mi conosce sa che, come tanti altri laureati in lingue e letterature straniere, tendo all’esterofilia “spinta”: ma per una volta tanto dò via libera al campanilismo nell’affermare che per me il più bel setter è il nostro setter, quello da sempre selezionato in Italia.
Fermi con i pomodori, lo so che state per dire “tu non sei un allevatore, cosa vuoi saperne…”.
E’ vero, non allevo ma mi piace questa razza, mi diletto ad osservarla e capirla e quelle che seguono non sono altro che opinioni personali: non dispenso verità o perle di saggezza, dico semplicemente la mia.
Perché il “nostro” setter?
Semplice: perché il setter inglese è una razza da lavoro, la sua attività specifica è la caccia e questo non va mai dimenticato.

Gran parte della selezione del setter inglese in Italia è stata incentrata sul suo ruolo di cacciatore.
E’ stato il contesto socio-antropologico a favorire questo tipo di selezione: il setter inglese è, per iscrizioni al libro genealogico, secondo solo al pastore tedesco e la maggior parte dei circa 20.000 cuccioli registrati annualmente è in mano a cacciatori.
In nessun altro paese il setter ha ottenuto un così grande consenso da parte dell’utenza venatoria.
Come amano ripetere gli anatomisti “forma è funzione”: detto in soldoni, un cane per “funzionare” deve avere la forma adatta.
Un setter in particolare deve avere una struttura fisica che gli consenta di cacciare per ore, in spazi ampi; di galoppare con scioltezza e senza fatica; di fermare, attenendosi, in tutti questi punti, allo standard di lavoro che descrive lo stile di razza.

Multi Ch. Arno 2 di Val d’Idice, ch it lavoro (1969), vincitore coppa europa . all Grandi. Pr. Malagola

Sì, perché ogni razza deve lavorare con modalità peculiari che non sono altro che lo specchio della morfologia e delle origini.
Estremizzando il concetto: un setter mal costruito, che non galoppa come dovrebbe, o un altro che ferma come uno spaventapasseri e che non sa cacciare…magari sono bellissimi, ma io li reputo setters a metà.
Lo stesso dicasi per un setter capace di correre quanto Schumacher e fermare quindici starne in cinque minuti, ma che somiglia ad un incrocio tra un breton e uno springer da “lavoro”.
Insomma, come al solito in “medio stat virtus”: questi estremi sono invece i risultati a cui si arriva tramite una selezione che vede da una parte i cani da bellezza e dall’altra quelli da lavoro.
In Italia, per fortuna, non si arriva al dualismo esasperato che si vede all’estero.
Anche in Inghilterra esistono setters “separati”, ma preferisco parlare della situazione americana perché ho vissuto in quel paese e ho frequenti contatti con setteristi americani.
Ho già parlato dei “due” setters presenti negli Stati Uniti in un articolo apparso sullo Speciale Setter (Edizioni Olimpia) pubblicato un annetto fa.
In America, di fatto, esiste un setter da expo e un setter da lavoro (field trials).

Tekoa Mountain Outrage – cane da lavoro americano in ferma con la coda “a ore dodici”

I setter “da expo” sono registrati all’AKC, quelli da lavoro all’FDSB (Field Dog Stud Book) e alcune volte anche all’AKC.
I setters da show sono chiamati Laverack setters e questa cosa, detto tra noi, non l’ho mai capita.
Secondo gli americani Laverack ha selezionato un setter simile a loro setter da expo e Llewellin ha lavorato in vista dei field trials e della caccia.
A me la cosa risulta diversa: entrambi erano cacciatori e volevano cani utili sul terreno, lo stesso Laverack nel suo libro “Il Setter”, pur frequentando le mostre canine, non lesina opinioni negative sulle esposizioni.
I suoi setters poi, i così detti 100% Laverack, non assomigliano per nulla ai setter che scendono sui ring statunitensi nel 2003.
Ma non divaghiamo troppo e iniziamo a descrivere il setter da lavoro: ha una stazza inferiore a quella dei cugini da show; ha poco pelo; ferma con la coda dritta in piedi, la twelve o’ clock tail (coda a ore dodici) che pare un cipresso; è velocissimo e si allontana parecchio dal cacciatore che spesso li segue a cavallo.
Tra le linee di sangue più famose citiamo i Tekoa Mountains, i Tomoka e gli Havelock, ma ce ne sono molti altri.
Belli?
Uhm, bisogna farci l’occhio. Alcuni hanno aspetto gradevole e fattezze non dissimili dai setter nostrani; altri, in rapporto ai nostri setter, li vedo “bruttini”.
Utili?
In Italia certo non lo sarebbero molto, data la crescente carenza di grandi spazi e l’obbligo di acquistare e mantenere un cavallo per seguirli (magari attrezzare una vespa o un motorino)?
E il setter da expo?
Canadian Ch. Bannerruns Black Tie N Tails, setter americano da show

Alto, massiccio, “afganeggiante” in fatto di pelo, testa grossa e massiccia descritta come “brick on brick” (mattone su mattone), labbra pronunciate. Rari i tricolore, praticamente assenti i bianco fegato e i bianco limone, quasi tutti moschettati: sul ring non amano le grosse macchie.
La costruzione fisica è quella del trottatore, particolarmente ricercata perché consente un trotto d’effetto nei ring: di sicuro un movimento simile è affascinante da vedersi in expo…ma quanto è utile?
Un trotto così enfatizzato ricorda, a grandi linee, il movimento di alcuni cavalli andalusi impegnati in particolari esercizi; è d’effetto ma poco pratico e richiede un notevole dispendio di energia.
E poi… il setter è nato per galoppare, perché “costruirlo” cercando un trotto d’effetto?
A fronte di numerosissimi campioni di bellezza, i setter campioni assoluti statunitensi sono solo 12: hanno acquisito il titolo vincendo il campionato di bellezza AKC e alcune prove di lavoro organizzate dallo stesso club. Attenzione però: lo stile di ferma di questi cani differisce da quello a cui siamo abituati.
Brutti? No, sono d’effetto ma stanno al setter italico quanto un cocker americano sta a un cocker inglese e un grande cane giapponese ad un akita. Per fare un paragone più terra terra: stanno a una macchina dal design europeo come certe macchinone americane che nessuno qui acquisterebbe perché non appartengono al nostro “gusto” (oltre ad essere impossibili da parcheggiare).

Moorsedge Javelin. All. Wood, pr. Cleug – Irlandese da show

Cani diversi, insomma, belli sul ring ma poco venatori…e questo per me li trasforma in setter parziali.
Poche righe fa ho spiegato come le doti venatorie del setter, in Italia, siano state tutelate dai numerosi cacciatori che li hanno scelti come compagni di avventura: molti allevatori di setter sono prima di tutto cacciatori e numerose sono le cucciolate prodotte da privati e cacciatori.
Al contrario, se curiosiamo nel mondo del setter americano da show, notiamo che gli allevatori di setter sono molto spesso cinofili (ma non cacciatori) e donne.
L’ aspetto positivo della cosa risiede, genericamente parlando, in una maggior attenzione e cura verso i bisogni dei singoli soggetti: i cani, solitamente allevati in piccoli numeri, vivono all’interno della casa, a tu per tu con il padrone (cosa molto gradita ai setter inglesi).
Gli aspetti negativi sono invece l’interesse verso un tipo morfologico poco “venatorio” e lo scarso impiego sul terreno.
Non fraintendetemi: c’è chi, resosi poi conto di avere per le mani cani da cacci, inizia ad addestrarli per partecipare a prove di lavoro o semplicemente per divertirsi insieme nei boschi.
Vi sono allevatori statunitensi che hanno capito il problema e stanno cercando di dar vita a un setter più completo…ma non è facile: la fusione del bello e bravo richiede tempo, pazienza e la forza di remare contro corrente. C’è che comincia ad interrogarsi se siano quelle le forme e proporzioni corrette; se sia stata fatta una cosa giusta a privilegiare i mantelli moschettati quando, come ben sappiamo, anche le grandi macchie possono dare combinazioni di colori affascinanti; se sia possibile recuperare il bianco fegato.
Il pelo è un discorso a parte, ha una consistenza diversa da quella a cui siamo abituati : ho acquistato un calendario di setter e ho individuato, senza leggere i nomi, qualche fossero italiani, basandomi solo sull’osservazione del pelo.

W Humprey a caccia con Bravo (87% sangue Laverack) – 1936

Il pelo dei setters americani da show è molto lungo e folto e viene solitamente strippato e abbondantemente toelettato: ricordiamo invece che il nostro standard non ammette toelettature.
Con un pelo simile questi cani rimarrebbero incastrati nel primo cespuglio, quindi se vanno a caccia o fanno prove si rende necessaria la tosatura (tosare un cane da caccia per consentirgli di essere attivo a caccia…). Un’allevatrice canadese, che ora alleva un’altra razza, mi ha raccontato di aver abbandonato l’allevamento dei setter inglesi non condividendo il trend: a suo parere l’eccessiva attenzione riservata alla morfologia da show ha portato non solo a trascurare l’attitudine venatoria, ma anche le caratteristiche caratteriali, dando origine a soggetti caratterialmente molto dissimili dai precedenti.
In base alle sue descrizioni il mio setter inglese si comporta come… un setter statunitense sì, ma irlandese!
Raymond Coppinger nel suo ultimo e discusso libro “Dogs” tuona contro tutti coloro che selezionano cani in base a criteri meramente estetici/espositivi, specie quando questo avviene in razze “da lavoro”, e porta oltre alle modificazioni morfologiche anche a cambiamenti caratteriali: i tratti tipici dell’attitudine al lavoro sono spesso “esasperati” e risultano sgraditi a chi vuole solo in cane da compagnia.
La selezione, per creare il cane da compagnia, smorza questi tratti cancellando contemporaneamente gli istinti che hanno reso una razza tale. Così, in pratica, ne cambia il carattere.

Ticinensis Cruyft Ch internazionale lavoro 1978 All. Ridella. Pr. Ticozzi

Attenzione, anche l’esasperazione in senso lavorativo può renderli non solo “sgraditi” come pets ma anche ingestibili dal cacciatore medio: d’accordo che il setter è un cane selezionato per la caccia in ampi spazi (purtroppo sempre più rari!) ma non è neppure bello sganciare il guinzaglio e vedere il nostro cane trasformarsi in un puntino bianco che colora ad intermittenza l’orizzonte, sordo ad ogni richiamo.
D’accordo la velocità e lo spirito di iniziativa, ma bisognerebbe ricordare che la gestibilità del cane libero da parte dell’utente medio (che non è necessariamente un mago del dressaggio) è un aspetto altrettanto importante.
L’affermazione di Coppinger è generica, non rivolta agli allevatori di questo o quel paese o di una determinata razza.
Alcuni anni or sono Coppinger uscì in libreria con un libretto imbevuto di acuta satira:”Fishing Dogs”.
Non sto a descrivervi dettagliatamente i contenuti del testo, esula dagli scopi odierni, ma voglio qui ricordare che Coppinger scrive alcuni paragrafetti intitolati “The … Way of Breeding Dogs” dove al posto dei puntini troviamo gli aggettivi British, French, German, Italian and American. Le affermazioni fatte dall’autore in questi paragrafi sono volutamente forti, iper-generalizzate ed esasperate: ma credo, con rammarico, che abbiano un fondo di verità.

Ch. Dira della bassana – ch it 1975

Tornando al setter, americano e non, è significativo confrontare i cani attuali con i capostipiti della razza per vedere come e quanto siano cambiati.
E’ indubbio che le razze si evolvano e si modifichino ma evoluzione non è (e non deve essere) sinonimo di trasformazione: deve, nel caso delle razze canine, essere positiva e non cadere mai nel tranello della scissione tra forma e funzione.
In questo tranello, come spiegato, sono caduti gli allevatori statunitensi…ma noi come siamo messi?
In apertura dell’articolo ho difeso ha spada tratta il nostro setter, asserendo che è quello morfologicamente più “funzionale”: ora scendiamo nei dettagli e raccogliamo l’invito del confronto storico. Utile in questo senso è il libro “Il setter inglese moderno” di Giancarlo Mancini, Edizioni Olimpia, che non è solo una miniera di informazioni ma anche una vera e propria galleria fotografica.
A dispetto del bianco e nero, tolta qualche eccezione, tutti i setter raffigurati (siano essi trialers, cacciatori o campioni di bellezza) hanno l’omogeneità come denominatore comune: non ci viene certo da pensare che Arno di Val d’Idige sia un breton o Dira della Bassana un setterone da divano!Anche una rapida scorsa all’Almanacco del Setter Inglese di Carlo Gabrielli ci regala le stesse impressioni.
Bilancio positivo dunque?
In parte: anche in Italia non si è mai sopita la tentazione di selezionare il setter nell’uno o nell’altro senso, per la caccia o per le expo.
I cani vincitori di prove di lavoro di rado sono gli stessi che calcano le moquettes dei ring, certo esiste qualche eccezione che conferma la regola ma queste eccezioni dovrebbero essere la regola!
Sul numero di Cani uscito pochi giorni fa (gennaio 2003) c’è un bell’articolo di Stefano Vitale Brovarone sul buon livello del setter inglese italiano: lo scritto mi trova concorde ma, nella mia tendenza al perfezionismo e alla pignoleria, vorrei si andasse un po’oltre.
Martin Luther King iniziò il suo più famoso discorso con la frase “I have a dream” (ho un sogno) e forse anche la mia aspirazione a setter sempre più “dual” è un sogno.

Ch. Volo del Brembo – all Bramani, Pr. Savina Oltolina – Ch. It Bellezza 1956

Forse il mio sguardo è eccessivamente pessimistico, ma nessuno può nascondere il fatto che è più facile selezionare solo per la bellezza o solo per le attitudini e che, al pari, sia molto meno complesso ottenere il titolo di campione nell’uno o nell’altro campo che non in entrambi.
E’ evidente che i titoli sono una grande gratificazione e, volendo dirla tutta, possono essere commercialmente “utili”: a quale cliente non fa piacere acquistare il figlio di cani titolati?
Quindi la tentazione è forte.
Con questo non voglio assolutamente dire che selezionare solo per “forme” o attitudini sia semplice, tutt’altro: se alla base della selezione cerchiamo sempre (per lo meno così dovrebbe essere) il cane sano, caratterialmente equilibrato e, perché no, gradevole compagno di vita e a queste caratteristiche uniamo l’obiettivo di ottenere un bel cane da expo’ o un buon cane da lavoro, non è certo facile creare il cane che incarni queste caratteristiche. Figuriamoci se gli chiediamo di essere “bello” (di una bellezza funzionale) e anche bravo!
Nonostante tutto credo che valga la pena di insistere su questa strada, e credo che andrebbe fatta una buona campagna in questo senso per preservare tutte le qualità morfo-venatorie del nostro bel setter affinché non si perda in una divisione alla ricerca di traguardi più raggiungibili ma pur sempre parziali.
Il premio è fugace, la sensazionalità effimera: ma la razza resta ed è quella che dobbiamo amare, comprendere e tutelare, cioè preservare nelle qualità che l’hanno resa tale.
E questo vale per il setter così come per ogni altra razza.

Le foto sono tratte da:
“Il setter inglese moderno” di G. Mancini-edizioni Olimpia
Grande Enciclopedia del Cane De Agostini, 1988
“Il Setter” di M. De Cillis- Ed. Mursia

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3 Commenti

  1. Ciao cari amici dog friendly,
    Io e il mio ragazzo vogliamo prendere un setter bianco e rosso quest’estate; cerco un libro per imparare un po’ sull’educazione di questa razza. Cosa mi consigliate?

  2. riuscire ad avere un setter standar di razza e sempre piu difficile in in

    talia pultroppo le gare di cinofilia anno altre necessita di lavoro e sempre di piu si perde il seme dei grandi setter con la c maiuscola

  3. Quando io dico: bisogna dividere le razze e dare al italiano il suo setter italiano…nessuno mi sente!Ma la soluzione è tutta quiCocker inglese-coccker americano…setter americano-setter italiano…Non si finirà mai di litigare su quest’ argomento…non c’ è una via di mezzo…tutti vogliono aver ragione!

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