giovedì 28 Marzo 2024

Un setter inglese nel teatro dell’assurdo (a cavallo tra letteratura – britannica, of course – e pazzesca realtà)

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Quando il critico Martin Esslin, nel 1962, coniò il termine “teatro dell’assurdo” probabilmente non pensò a me. Be’,  fu un errore! La definizione si riferiva ai lavori teatrali messi in circolazione tra gli anni ’40 e ’60 ad opera di Beckett, Pinter, Stoppard, Ionesco e altri.
Gli spettacoli di questi autori aspiravano a riprodurre sul palcoscenico le “assurdità” dell’esistenza umana (tema caro anche agli esistenzialisti), ricreando dialoghi ma soprattutto “situazioni”, intrisi, appunto, di assurdo.
Dialoghi nonsense, atmosfere oniriche, situazioni irreali, trame che non portavano da nessuna parte, da intendersi come “specchi” della quotidianità umana… già, oserei dire, soprattutto della mia quotidianità umana!

L’inizio mi vede, al risveglio, intenta a organizzare una gita in zona B per il mio setter, Socks.
Scelgo di fare una cinquantina di chilometri per poter sguinzagliare la “creatura” in un eden cinofilo, venatorio e paesaggistico e soprattutto legale!
Legale, sì, perché l’argomento è complesso e lontano dagli scopi dell’articolo…ma il cane libero in aperta campagna, specie se fa di tutto per dare nell’occhio, come il mio, è punibile con un bel multone.

Così, noi, ligi alle leggi, optiamo per una scampagnata in zona B, area speciale in cui è consentito l’addestramento (o il “pascolo”) dei cani da ferma a caccia chiusa.
Arriviamo in tarda mattinata, accolti da un sole mite ma non invadente e da un paesaggio da fiaba: l’erba è verdissima e piacevolmente punteggiata di margherite, denti di leone e altri fiori viola scuro.
Ai fili d’erba si alternano i medicai, le piante sono in fiore e sulla sinistra pascolano placidi alcuni asinelli; poco più in là, alcune bovine piemontesi.
Socks galoppa allegramente, ci incamminiamo lungo un sentiero per entrare nel bosco come attirati dall’acqua.

Lo scenario cambia drasticamente ma non smette di essere da fiaba: violette, piante e soprattutto ruscelli, cascate e cascatelle.
Fu così che, per distrazione dell’uno e dell’altra, l’infame setter prese il volo uscendo dal bosco in direzione opposta alla mia.
Socks non di rado scompare alla vista (è un setter!); ma un conto è sparire per ricomparire, un altro sparire e basta!
Esco dal bosco e guardo verso est, ci sono cani che abbaiano, forse è andato di là: lo chiamo, fischio, ma nulla, nessuna traccia dell’infame.
Torno alla macchina sperando di ritrovarlo lì, ma il fuoristrada sta riposando in assoluta solitudine. Aspetto un po’, poi torno sui miei passi, chiamandolo costantemente. Rifaccio la stessa strada, arrivando a ipotizzare che sia rimasto incastrato tra qualche ramo o in qualche punto del ruscello…ma nulla. Tutto è sempre fiabesco, ma senza setter.

Rientro di nuovo all’auto e sento strombazzare verso il cimitero; che sia salito in alto? Andiamo a vedere! Mi incammino, non senza aver avvertito un agricoltore di passaggio che cercavo un setter.
Nessun cane intorno al cimitero, nessun cane intorno ai box dei “parenti” Bomber e Sibilla. Nessun cane, nessun setter vagante, nessuno ha visto niente.
Entro nel ristorante locale in cerca di aiuto e conforto; Vinicio mi riaccompagna all’auto, faccio un altro giro nel bosco, lui guarda verso l’altro bosco, sotto la chiesa, nulla.
Sono passate quasi due ore, la ricerca riprende…e per lasciare al cane un punto di riferimento, metto il kennel al posto dell’auto: così, se rientra, trova almeno qualcosa di famigliare.
Detto fatto, gabbietta aperta sotto le fronde di un albero secolare con tanto di tappetino rosa all’interno.
Il programma di ricerca comprende svariate mete e giri con frequenti rientri alla gabbia. Torno ai box di Bomber e Sibilla, scendo alla diga, risalgo verso Pometo, vado all’agriturismo del Boscasso.
Nulla.
Torno al ristorante e mi faccio spiegare come raggiungere il punto in cui sentivo abbaiavare i cani. Compreso il percorso, faccio prima tappa alla gabbia: è sempre vuota. Scendo verso un altro agriturismo, le persone sono gentili e cinofile, ma non hanno visto nulla.

Risalgo verso la casa dei cani abbaianti: forse, spiega la signora, un setter è stato lì in mattinata, ma non è certa che fosse un setter.
Rientro verso Pometo, nessuna novità, ormai sono in preda allo sconforto.
Costeggio la diga verso Zavattarello, un pullman strombazza perché vado troppo piano e intralcio il traffico. Penso che potrebbe essere affogato nella diga.
Mi calmo, no, sarebbe assurdo!
Però potrebbe essere stato investito, magari è stato aggredito da qualche grosso cane libero, da un gruppo di cinghiali o, più probabilmente, rapito da qualcuno.
Il cane è in ottimo stato, pulito e spazzolato, indossa due collari e ha un tatuaggio…ma non si sa mai! Potrebbero non bastare. L’ultima medaglietta d’identificazione l’ha masticata come un chewing gum…del resto è un setter, che volete pretendere!
Sono le quattro passate quando torno alla gabbia, inesorabilmente vuota.
Mi illudo di sentire i classici rumori da setter sulla macchina, ma anche l’auto è inesorabilmente vuota.
Siamo al terzo caffè della giornata e, giusto per “stare calma”, sosto brevemente al bar per un gelato al caffè. Avverto tutto e tutti che l’avrei cercato fino a sera.
Torno alla gabbia, di nuovo nulla. Mi avvio verso il distributore di benzina per rifocillare l’auto e spiego la faccenda al benzinaio.
Scendo alla diga e sosto al bar omonimo, con annesso tiro al piattello; poi costeggio il lago fino a Caminata, il paese successivo, già in provincia di Piacenza.
Avverto tutti i bar e tutti i locali pubblici del paese, fermo la gente per strada: tutti raccolgono la segnalazione, ma nessuno ha buone notizie da darmi.

Esortata, mi spingo fino a Nibbiano, per avvertire i carabinieri locali e sporgere denuncia. Già, ma i carabinieri non esistono, a Nibbiano: così, visto che “tanto sono sulla strada” mi si consiglia di andare ancora più in là, a Pianello Val Tidone. A Pianello i carabinieri ci sono… in teoria, ma non in pratica, visto che la stazione è deserta.
Mi incammino di nuovo verso la gabbia mentre il traffico si fa più fitto, così come le telefonate che si susseguono per accertarsi della sorte del cane.
Mentre salgo e scendo dai colli il morale è decisamente basso: vedo qualche nuvola in cielo e mi preoccupa l’idea che il cane, se è ancora vivo, probabilmente dovrà passare la notte sotto l’acqua.
Sulla strada del ritorno ripasso a Pometo e sosto nell’unico bar locale che scopro, sul momento, essere anche una pasticceria.
In effetti… il cane è stato lì! E’ il primo avvistamento sicuro.
Hai capito, il setter-astro? Va in pasticceria, l’infame!
Poi pare si sia spostato dalla pasticceria alla carrozzeria limitrofa dove, mi dicono, ha “giocato” con gli operai.
Io sono disperata e questo se la spassa!  Un classico dell’assurdo.
Supplico il carrozziere di trattenere il cane nel caso si ripresentasse e di chiamarmi a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ai suoi commenti rispondo che è “bello” solo perché lo tengo bene, ma che come cane da caccia (e non solo!) è un infame; insomma faccio una bella campagna denigratoria affinché a nessuno, nel circondario, venga la tentazione di tenerselo.
L’uomo mi rassicura che mi avvertirà, nel caso, e mi accomiato un po’ più serena nel sapere che il cane era stato visto poche ore prima in perfetta salute.
Sono in auto, diretta verso Pareto, quando squilla il cellulare, questa volta con una buona notizia: mi avvertono che il cane è stato avvistato rinchiuso nella sua gabbia.
VOLO!
Il tempo di fare i pochi chilometri che ci separano e dall’alto vedo un pelouchone bianco arancio che dorme, rilassatissimo, nella sua “tana”.

Alt!
Fermate i violini, fermate l’happy ending e i titoli di coda…perché l’assurdo più assurdo deve ancora arrivare.
Raggiungo gabbia e cane, scendo dall’auto, apro la gabbia e mi preparo a vivere una scena da telenovela brasiliana…quando i cattivi, o meglio “la” cattiva, irrompono sulla scena.
Una sconosciuta si avvicina minacciosa, anzi ringhiante.
E questa chi è? Che vuole? Chi l’ha mai vista?
Blatera qualcosa di incomprensibile che presto si traduce in una serie di accuse: “Lei maltratta i cani!!! Non si può lasciare un cane in gabbia tutto questo tempo, il cane è chiuso qui da mezzogiorno! Sotto il sole! In gabbia! Senz’acqua!”
Premesso che la gabbia era all’ombra, che ci saranno stati sì e no 15°C e che l’acqua mancava solo per via di certi cani vaganti di proprietà della sopraccitata befana…cerco di spiegare alla “signora”, con le buone, che in verità il cane è in gabbia sì e no da un quarto d’ora e che ho passato sette ore e mezza (e circa 200 km) a cercarlo perché, anziché essere in gabbia, aveva preso il volo e vagava per i colli.
Nulla da fare,  la “signora”  si ostina a dire che mi sto inventando tutto, che in mattinata ero stata avvistata col cane, che è impossibile che sia “scappato” e che mi denuncerà per la mia mania di tenere i cani in scatola.
Esortata a chiedere a chiunque (tutti sapevano del cane smarrito) cosa fosse veramente accaduto, la tizia rimane della sua opinione introducendo la variante: se non hai chiuso in gabbia il cane tu, allora il cane non è tuo.
Sillogismo altamente illogico ma, del resto, ci muoviamo sul palcoscenico del teatro dell’assurdo.

Solo un personaggio di Beckett (perfettamente in linea con la “signora”) poteva riferirsi a un cane sereno, lucido e superspazzolato, con gabbia e automobile accessoriate a suo uso e consumo come ad un cane “maltrattato”!
Mentre aspetto un ipotetico Godot che mi salvi e che, ovviamente, non arriva, ribadisco che il cane è mio, anche se non l’ho chiuso io in gabbia.
“Allora – incalza la tizia – chi l’ha chiuso?”
L’abitudine a farsi i fattacci propri si è tristemente estinta, ammetto di non sapere chi l’ha chiuso in gabbia e questo rivitalizza la crociata della mia incivile interlocutrice.
Mi costringe a fare un giro di telefonate, che non portano a nulla, per indagare sullo sconosciuto incarceratore di cani.
Intanto, dal fondo della strada, arriva il consorte – nonché consimile – dell’emergumena, che inizia a blaterare con la stessa aggressività e prepotenza.
Socks e la sua gabbia nel frattempo erano stati caricati in auto…ma non ci sarebbero rimasti a lungo: prontamente, con fare da cavernicolo, l’uomo butta fuori dall’automezzo il cane e il suo alloggio.
La tesi del momento è che se non ho chiuso io il cane, allora non sono io il padrone del cane…quindi non posso portarlo via!
Faccio appello a tutte le mie conoscenze di linguistica e glottologia, non trovando nulla che possa avvalorare la costruzione logica di questo ragionamento.
Cerco di rispiegare tutto per filo e per segno, ottenendo in cambio gli stessi urlacci, le stesse frasi, le stesse teorie: mi sento in un labirinto senza uscita.
Una panda verde scende lungo lo stradello; non è Godot, è solo Luigi che accosta, abbassa i finestrini e resta allibito, incapace di inserirsi nella discussione.
La presenza di uno spettatore rinvigorisce le due belve: “Non se ne può più!”, “Non mi interessa se è zona B”, “Non voglio cani e gente intorno in primavera!”, “Adesso mi sente il gestore della riserva”  (premesso che le zone B e le riserve hanno regolamenti e affitti dalla loro, la presenza di cani in addestramento in quel di Pareto in primavera si limita, nei periodi di “picco” a 3-4 soggetti a…settimana!)
Nessuno risponde a questa ennesima provocazione. Non trovando terreno fertile, l’aggressore (ben supportato dalla consorte) tira fuori l’asso nella manica: gli si calpesta l’erba con le macchine e, nello specifico, sarei entrata con “una parte di automobile” nel suo “prato”!
Contemporaneamente, dal campo soprastante, arriva, attirato dalla confusione, un contadino: ha abbandonato il trattore e cerca di spiegare, pacatamente e pertanto in netto contrasto con l’andazzo generale, che sapendo che avevo perso il cane…era stato lui a metterlo in gabbia!
Il tutto era avvenuto poco meno di una mezz’ora prima.
Socks era arrivato al gran galoppo avvicinandosi a lui e al trattore in cerca di una figura umana. Consapevole delle mie ricerche, vedendo la naturale “tana” del cane poco più in là, aveva pensato che fosse cosa logica rinchiuderlo lì in attesa del mio ritorno, che sospettava prossimo.
In effetti quella era l’unica cosa giusta e soprattutto logica da fare: ma il contadino, contagiato dall’atmosfera, comincia a scusarsi per aver chiuso il cane in gabbia.
“Mi scusi, sa, forse non dovevo… E’ per caso arrabbiata?”.
Arrabbiata? Non doveva?!?
Se non fosse stato per lui quell’impiastro di cane con cui ho deciso di dividere la casa (e la vita) adesso starebbe in Paraguay…altro che cosa sbagliata! Altro che scuse!
Ma incredibilmente ci vogliono parecchie rassicurazioni per convincere (solo in parte, temo) questa persona della bontà del suo operato.
Io sono ormai in pieno attacco isterico: Socks, rilassatissimo osservatore del diverbio, ci scruta beato, allontanandosi così dallo stereotipo del cane pestifero e fuggiasco. Tranquillissimo e pallidino, non è che un setter tutto alette e aureola…
Il disgraziato ha ben nascosto cornini e coda da diavoletto, rendendo estremamente credibile la versione del cagnolino maltrattato da una nostrana Crudelia Demon: di certo io, nel tempo libero, inscatolo setter per conto del tonno Rio Mare!
Nel frattempo…il paese è piccolo e isolato ma la gente mormora e, soprattutto, arriva: ecco una nuova panda (ma hanno tutti una panda qui?), questa volta grigio metallizzata, affacciarsi sulla scena.
Emilio e la figlia Martina sono il contenuto dell’abitacolo; scendono e cercano di far ragionare i malpensanti.
Si sentirebbe proprio il bisogno di un po’ di razionalità! Niente da fare, sembra che il “prato” abbia subito un danno irreparabile.
Spiego ai miei inquisitori che non è stato fatto alcun danno al campo ma che, per concludere in bellezza la giornata…possedendo ben due assicurazioni sul cane, avrei fatto in modo di risarcire il “supposto” danno.
Assurdamente (o forse no: c’era da aspettarselo) il vocabolo “assicurazione” si rivela un rinforzo positivo: il cavernicolo mi attacca con ancora più veemenza!
Il baratro in cui sono cascata sembra non avere fine. Guardando in alto, su un ramo dell’albero secolare, scorgo ben delineato il sorriso beffardo del gatto di Cheshire. Poco dopo compare il gatto tutto intero con le sue strisce rosa e lilla: sono finita nel paese di Alice, e questo spiega tutto.
Come avevo fatto a non capirlo prima? Il paesaggio è identico e, qualche ora prima, avevo persino incontrato il Bianconiglio…
Ci manca solo l’assalto delle carte da gioco e poi sarò stata fritta e bruciacchiata.
Ma non eravamo rimasti al “teatro dell’assurdo”?  Come si spiega questo balzo nella letteratura fantastica vittoriana?
Ah, già lo scordavo, siamo fuori da ogni schema logico!
Io volevo solo levarmi tutto e tutti di torno e ritornare nel mondo normale, quello governato dalle leggi della fisica e della logica…e mai come in quel momento ho desiderato di avere accanto un quadrupede dal morso facile o, per lo meno, dall’aria o dalla fama minacciosa.
Invece Socks continuava ad osservarci con quell’aria flemmatica e distaccata che i setter inglesi sanno assumere quando proprio non sarebbe il caso. I setter non sono mai stati cani da difesa e lui non aveva la benché minima intenzione di diventare il capostipite di una nuova tendenza.
I primitivi, nel frattempo, non mollano la presa: continua a risuonare il ritornello cane maltrattato-cane non tuo-prato danneggiato-soldi-non frega nulla se c’è una zona B.
Bastaaa!!!!
Alla fine non comprendo chi e come riesce a spegnere gli ardori: e dietro sicure minacce di persecuzioni che avrebbero colpito anche gli altri “utenti” della zona B nonché il gestore della stessa, mi è consentito di abbandonare il palcoscenico.
I violini dell’happy ending accennano solo un flebile saluto, cala il sipario su un’incredibile vicenda che ha tutte le caratteristiche per rientrare nel repertorio del teatro dell’assurdo.
Rientro a casa sconvolta e lo resterò per alcuni giorni, così come buona parte della popolazione locale.

Il setter-astro è con me, sono felice di averlo accanto e consapevole di volergli bene per quello che è: una catastrofe ambulante.
Io tesissima, lui sereno: mangia famelico, abbaia ai fagiolini lessati incustoditi sul tavolo, poi si addormenta serrando gli occhi che diventano fessure, dandogli un’aria molto “orientale”.
Lo guardo invidiandolo per la sua incoscienza, la sua spensieratezza, la sua nonchalance.
Tiro i tendoni di velluto di un sipario che non si sarebbe dovuto aprire.
Ora è serrato ma… fino a quando?
Il teatro dell’assurdo sembra apprezzarmi come personaggio e, chissà, se i cattivi tornassero alla riscossa…

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11 Commenti

  1. A me verrebbe una crisi di nervi se mi succedesse una cosa simile, ma x fortuna avendo scelto un pitbull è molto difficile che quando libera si allontani oltre la portata del fischietto ad ultrasuoni e se chiamata torna come un fulmine (forse se stesse inseguendo un capriolo potrebbe non sentire il richiamo, ma appena il capriolo l’avesse seminata comincerebbe subito a cercarmi spasmodicamente..e comunque cerco di liberarla in zone in cui non ci sia un alto rischio che parta dietro un selvatico).

    per casi come questi trovo indispensabile che il cane quando è fuori o può avventurarsi fuori (cane in giardino o con accesso al giardino o cane come nel mio caso che abita in una casa a livello strada) abbia SEMPRE una medaglietta con il numero di telefono (e se tende a perderle esistono collari di metallo con medaglietta incorporata): se il cane viene ritrovato da qualcuno il fatto che abbia un numero di telefono sul colare fa capire che non è un animale abbandonato (una signora vicino a casa mia ha perso il suo cane tatuato e con chip perchè qualche anima buona lo ha considerato abbandonato e se lo è tenuto al posto che portarlo al canile o a leggere un chip dal veterinario: in città o il cane te lo rubano o se lo tengono ma se scappa e finisce in canile o sotto un auto e ha chip e tatuaggio si viene contattati salvo strane circostanze) e all’umano di turno viene spontaneo chiamare il cellulare e avvertire su dove si trova il cane (questo avrebbe fatto finire la storia raccontata molte ore prima con molti meno rivolgimenti tragicomici e spavento dalla proprietaria).

    Poi x i cani soliti a allontanarsi tipo quel setter esistono pure dei collari con GPS (comuni in USA fra i cani da caccia, qui in italia non so ma si comprano su internet anche se i costi credo siano alti) che permettono di sapere dove si trova il cane quando non è in vista e sapere se sta camminando e in che direzione (quindi si sa se sta bene perchè si muove o se sta fermo o se si muove veloce perchè è stato caricato su un auto x essere portato al canile..se te lo rubano invece gli levano il collare o forse no se non capiscono cosa sia o se lo scambiano x un collare elettrico, però anche in caso di furto si troverebbe l”ultima posizione del cane e l’ora probabile del rapimento quindi sarebbe + facile fare indagini..).

    Purtroppo se un cane ha chip o tatuaggio può essere scambiato x un cane abbandonato e comunque bisogna portarlo al canile o da un vet x risalire al proprietario…

    Nel caso della diatriba surreale sulla custodia un collare con numero di telefono avrebbe zittito quei 2 pazzi in un minuto e comunque il cane era tatuato quindi anche se in modo + complesso dimostrarne il possesso era semplice avendo nel portafogli il documento del cane con il numero di tatuaggio (io ho sempre il documento con il numero di chip del cane) anche se il tatuaggio può sbiadire e spesso è coperto di pelo.

    racconto ben scritto in stile tragicomico..ma a me ha fatto venire i brividi: troverei tremendamente stressante avere un cane che va fuori vista quando lasciato libero non tornando immediatamente a comando…

  2. Premettendo che di setter ne so nulla e che per una scena del genere probabilmente mi avreste letto in cronaca nera
    PROPRIETARIO DI LABRADOR IMPAZZITO RINCHIUDE ANZIANA IN UN TRASPORTINO PER CANI 🙂
    Ma dato che da quel che scrive, da come scrive e da dove scrive mi pare che non si tratti di inesperti ( cane e conduttrice) ma insomma è normale che un cane si allontani tanto e girovaghi tranquillo per i fattacci suoi prima di curarsi di aver un padrone che lo cerca ?
    Parlo senza malizia eh, non ho modo di conoscere approfonditamente altri cani che i miei e di cinofilia ne so meno di mezza …

  3. ahhaah !!!! poveraaaaa !! io avrei sfanculizzato i 2 dementi, caricato cane in auto e sgommando sul loro prato avrei tirato fuori il dito medio ! ‘prendimi la targa e denunciami’ …….. che neeervii !!!!!

  4. In quei momenti (e con grande stupore di tutti) dovrebbe davvero arrivare Godot a tutta randa sventolando minaccioso un crick in mano. Mi fanno montare il nervoso questi “individui” falsamente buonisti ed ipocriti.
    A parte tutto, meno male che si è concluso tutto alla meglio e sinceramente avrei voluto vedere l’espressione sorniona di “SuperSetterSocks” 😀

  5. Che ansissima! Bellissimo racconto…e comunque non sapevo davvero tu fossi una “inscatolatrice di setter”!!! Complimenti a te e ai tuoi nervi!

    • Donatella, se dici a me…non sono io l’inscatolatrice. L’articolo è di Rossella Di Palma. Ma forse conosci Rossella e ho capito male io 🙂

  6. Bel racconto,
    ho un setter (gordon) al quale appartengono molte delle caratteristiche di Socks.
    Non faccio fatica – per esperienza diretta – ad immaginare lo smarrimento e l’angoscia vissute durante la latitanza del cane (pardon, setter) però la mia reazione con la coppia di minus habens sarebbe stata molto meno civile…

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