di VITTORIA PEYRANI – Non tutti i cani adottati da rifugi e canili risultano essere problematici, anzi a volte risultano soggetti con grandi capacità di adattamento e quindi facilmente inseribili in contesti domestici. Di contro, cuccioli acquistati ma separati precocemente dalla madre, oppure appartenenti a cucciolate numerose a cui la cagna non riesce a dispensare la giusta dose di attenzioni, possono manifestare comportamenti simili a quelli che ho descritto nelle puntate precedenti.
La gravità del disturbo è collegata innanzi tutto al tempo che i cuccioli hanno trascorso con la madre: a partire dalle tre settimane di vita, quando i sensi della vista e dell’udito iniziano ad attivarsi e la coordinazione motoria inizia a permettere attività esplorative e ludiche, ogni giorno costituisce un’importantissima palestra di vita.
Un cucciolo che abbia potuto beneficiare – anche solo per un paio di settimane – di una corretta socializzazione primaria possiederà dei rudimenti di apprendimento sociale, seppure ancora insufficienti; viceversa un cucciolo orfano, o abbandonato a pochi giorni dalla nascita, non avrà avuto alcuna possibilità di imparare a controllarsi ed a comunicare e recepire le intenzioni proprie ed altrui.
Questi cuccioli non nascono con un deficit genetico, ma vengono privati della necessaria esperienza che concorre alla socializzazione primaria. Alla base di questo disturbo c’è dunque un mancato apprendimento.
Per questo, è mia convinzione che questi soggetti si possano recuperare, almeno in parte, qualora vengano sottoposti ad un programma di apprendimento entro i tempi previsti dall’età critica della socializzazione, senza bisogno di supporti farmacologici.
La fortuna di Abigail e dei suoi fratellini si basava su due fattori essenziali: essere cresciuti in una casa che aveva fornito loro stimoli ed esperienze di diverso tipo ed aver potuto sviluppare un attaccamento affettivo con la persona che li aveva accuditi.
Lo sviluppo psico-emotivo del cane non può prescindere infatti da un ambiente ricco di stimoli, tale da nutrire la sua curiosità e la conoscenza di tutti quegli elementi (visivi, olfattivi, sonori) che fanno parte del vivere quotidiano e da un legame di attaccamento che è la base da cui il cucciolo deve necessariamente partire per poter esplorare il mondo.
Abigail fu la prima della cucciolata ad essere adottata e a doversi inserire in un ambiente totalmente nuovo, malgrado fosse ancora priva delle capacità per farlo.
La tempestività dell’intervento è in questi casi il fattore cruciale.
Malgrado lo sviluppo cognitivo del cucciolo non sia completo fino ai cinque mesi di età, esistono nella mente del cane dei “periodi critici” entro i quali l’apprendimento risulta ottimale, come ad esempio il “periodo critico” della socializzazione che va dalla terza alla dodicesima settimana di vita, o il periodo dell’impronta della paura, dalle otto alle dieci settimane.
Così iniziò la mia corsa contro il tempo e mi trasformai in mamma cagna, ventiquattro ore su ventiquattro.
I primi giorni mi preoccupai di divenire per Abigail una figura di attaccamento forte e credibile. Questo significava non solo provvedere alle sue necessità, ma offrirle rassicurazione e pormi come guida nelle sue attività, con interventi proattivi (del tipo: “vado io per prima a conoscere questo nuovo elemento e mi frappongo, se necessario, fra te ed una situazione minacciosa”),sempre senza limitare la sua voglia di conoscere il mondo.
In questa prima fase la piccola mangiava dalle mie mani, dormiva accanto a me e godeva della mia presenza costante.
Ben presto divenne necessario iniziare a lavorare sul controllo degli impulsi e sull’inibizione del morso tramite dei semplici esercizi che riguardavano il pasto ed il gioco.
Ogni volta che la piccola si avvicinava a me ero pronta a offrile un giocattolo, per cominciare a farle capire che l’interazione tra me e lei riguardava questo tramite, e non le mie mani o i miei vestiti.
Abigail usava la bocca (e i denti!) per ottenere attenzione, per giocare, per manifestare il suo affetto, senza riuscire a diversificare le sue azioni.
Il “NO”, per quanto perentorio, non aveva alcun significato per lei, per cui lo schema era : distrazione da ciò che stai facendo – vieni – gioco- brava.
Qualora il gioco fosse lasciato subito in disparte per accanirsi su altro (compresa la mia persona), la allontanavo senza parlare e la privavo della mia attenzione/presenza qualche minuto.
Lentamente, dopo interminabili giornate trascorse con Abigail in questo modo, qualcosa cominciò a cambiare: il gioco aveva assunto una valenza importante ed era lei stessa a cercarlo come tramite con me, migliorando anche la sua capacità attentiva.
Diminuivano così anche gli attacchi alle mie mani ed al resto del corpo, sebbene continuasse a massacrare tutte le persone estranee che le capitasse di incontrare, perché la capacità di generalizzare a situazioni diverse ancora non era stata raggiunta.
Sfruttando le sue naturali predisposizioni, il passo successivo fu quello di insegnarle a giocare a palla, premiandola ogni volta che inseguiva la palla lanciata, poi ogni volta che la prendeva in bocca, ogni volta che la riportava verso di me, ed infine quando cominciò a lasciarla. Avevamo trovato un fantastico gioco, nel quale per altro era molto brava, che le consentiva uno sfogo fisico, sfruttava il suo istinto predatorio e, tramite delle regole, la faceva interagire con me in un rapporto di reciprocità.
Contemporaneamente avevo cominciato ad impostare qualcosa di simile ad una gerarchia alimentare centrata su ogni pasto.
Invece che lanciarsi sulla ciotola, come istintivamente Abigail era solita fare, iniziai a pretendere che si mettesse seduta per ottenere il cibo, e che progressivamente rispettasse tempi di attesa sempre più lunghi prima di ottenere il permesso di mangiare. Cercavo di consumare i miei pasti prima di lei e (faticosamente) di insegnarle a non avvicinarsi alla tavola, aspettando il suo turno.
Resistere all’impulso di saltare addosso, di strappare oggetti dalle mani o di avventarsi sul cibo era molto più difficile per Abigail rispetto ad altri cuccioli ed il lavoro su di lei è stato continuo e costante per mesi.
Dovevo lavorare sulla sua capacità di controllarsi anche per favorire l’incontro con i suoi simili.
Se avessi potuto normalmente inserire la cucciola nel branco degli altri miei cani, i progressi sarebbero stati più rapidi, ma nei primi due mesi questo non è stato possibile per motivi legati alla sua sicurezza e per non pregiudicare i rapporti futuri.
La creazione di un legame affettivo con un altro cane e l’integrazione in un gruppo le avrebbe dato la possibilità si imparare a comunicare in modo efficace e ad apprendere per imitazione un gran numero di regole.
Dal suo recintino dentro casa, Abigail osservava costantemente gli altri rispondere ad un gran numero di comandi ed adeguarsi alle abitudini del nostro branco. Uscivamo tutti insieme in macchina, ognuno nel suo kennel, in modo da favorire un processo di abituazione alla convivenza.
In effetti, dopo un paio di settimane, gli altri cani si erano rassegnati alla presenza costante di quel cucciolo irruento e non le ringhiavano più, a patto che restasse ferma e non invadesse il loro spazio personale.
Le prime volte che avevo fatto incontrare Abigail e Mafalda, la mia pechinese cieca, le cose erano andate male: la cucciola pinzava continuamente l’altra e aveva preso l’abitudine di trascinarla, prendendola per la coda, per tutto il giardino.
A distanza di un mese e mezzo, Abigail smetteva di afferrarla con i denti e cercava invece di indurla a giocare, portandole una palla o imitandola nei movimenti ( nella foto a destra, Mafalda e Abigail si rotolano insieme nel prato).
All’età di tre mesi la mia piccola aveva ormai imparato tante cose: semplici comandi come “Seduta” e “Resta”, a riportare e lasciare gli oggetti, una sufficiente inibizione del morso (almeno sulle mani della sottoscritta) e anche un abbozzo di “Ferma” che usavo soprattutto per scoraggiarla dal saltare addosso. Non eravamo che all’inizio, ma i risultati, seppure lenti, erano evidenti.
Come una specie di Mowgli al contrario, Abigail aveva imparato da un essere umano le prime regole di vita: era adesso tempo che si inserisse nel mondo dei cani ed iniziasse a costruirsi un ruolo ed un’identità.
sono bellissimi questi articoli ! chissà se la ns redazione ce li raccoglie in un cofanetto, così nn dovremmo andarli a cercare di volta in volta? 🙂
Mi piace molto il lavoro di educazione del cucciolo,con Abigail ha fatto miracoli sconosciuti, visto che spesso i cani adottati tornano nei canili.:-(
Vorrei sapere come si comporterebbe con cuccioli ottimamente socializzati, ma indisciplinati a causa dei cattivi esempi…