venerdì 29 Marzo 2024

Sei piccole pesti (piccoli rott…e piccoli allevatori crescono)

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Fabiana Buoncuore
Fabiana Buoncuore
Fabiana Buoncuore è la sciurallevatrice per eccellenza. Nasce a Carmagnola da suo padre e sua madre (ma più da sua madre) il 17/09/1987, da allora il 17 settembre è anche noto come "San Morbidino". Appassionata di tutte le razze canine e indicativamente di tutti gli animali esistenti sul pianeta, ha una particolare predilezione per il rottweiler, che ha le sue stesse esigenze primarie: mangiare, dormire, muovere poco le chiappe. Collabora ormai da alcuni anni con "Ti presento il cane" con le sue storie di vita vissuta tra allevamento e morbidinosità.

di FABIANA BUONCUORE –  Tutto è cominciato al terzo calore di Rebecca, la mia Rottweiler. Era il grande momento, sarebbe diventata mamma! L’età era quella giusta, aveva due anni.
Mi misi in comunicazione con un allevatore che sembrava possedere lo stallone ideale e perfetto per lei, dall’altra parte dell’Italia: pedigree fantastico, risultati in expo superlativi, ottime cucciolate. Ero lì lì per concludere, quando ho conosciuto un altro maschietto, a trenta km da casa mia, decisamente meno appariscente. Non era mai stato in expo, non aveva brevetti. Aveva solo i controlli sanitari ufficiali. Non lo considerai nemmeno per l’accoppiamento, finché non guardai il suo pedigree. Caspita. Discendeva dai cani che hanno fatto la storia della razza!
Lo guardai bene. Non era appariscente, è vero… ma non aveva difetti. Neanche uno.
Ottima struttura, bel pigmento, testa meravigliosa. Cominciai a sbirciare le sue cucciolate precedenti: che figli spettacolari! Alla fine, gira e rigira, scelsi lui, perché, essendo alla mia prima cucciolata, avrei potuto calcolare meglio i giorni dell’ovulazione e andare da lui con Rebecca più di una volta, essendo più vicino. Mi dissi: “Provare non costa nulla, lo metterò alla prova. Alla peggio, dovrò svendere i cuccioli perché non vengono belli”.
E cominciò la trafila. Le perdite si fecero via via meno colorate, e feci il primo striscio vaginale: non era pronta. Il giorno dopo, il secondo; poi il terzo, ed il quarto: sembrava cominciare ad essere pronta. Di corsa dallo stallone.
Rebecca si divincola, ringhia, non morde soltanto perché le metto le mani sul muso e non vuole rischiare di prendere me, ma alla fine riusciamo a coprirla (mentre dentro di me penso “mai più, povera bambina mia”).
Il giorno dopo, altro striscio: ah, no, si erano sbagliati: non è ancora il momento, mancano due giorni. Mi si contorcono le budella al pensiero di aver fatto stuprare la mia piccola per niente, ma stringo i denti.
Il giorno dopo, ennesimo striscio. Vai, mi dicono, è la volta buona: fai una monta domani e una fra tre giorni. Vado, lei sempre indisposta, la costringiamo di nuovo, e poi ancora due giorni dopo. Penso a cosa la costringo a subire per me, e decido: faccio una cucciolata, solo una e basta, poi lei la metto a riposo, la sterilizzo e ricomincio da capo con un’altra fattrice.
E’ chiaro che non è una cagna da far accoppiare.
Trenta giorni dopo ho già i nastrini colorati, i biberon, il latte in polvere, gli strofinacci, ho costruito con le mie mani una cassa da parto.
Ma la veterinaria continua a fissare lo schermo dell’ecografia per interi, lunghissimi minuti, finchè conclude: “Io non vedo niente. Mi dispiace.”
Segue una lunga passeggiata nel bosco, due ore nel silenzio all’ombra degli alberi, solo io e Rebecca. Lei ogni tanto mi appoggia la testa contro la gamba, come per scusarsi, ed io ogni volta la abbraccio e mi scuso a mia volta per averla costretta a un accoppiamento che non voleva fare. Non era il momento.

Passano sei mesi, ma il calore non ricompare, tarda di altri 50 giorni. Comincia di nuovo, ma questa volta è diverso.
Noto subito che è diverso: lei è pronta, stavolta. Facciamo sei strisci vaginali e tre esami del progesterone per individuare i giorni giusti: la porto dal fidanzato, e succede tutto in un attimo.
Si annusano, si guardano, le loro orecchie si spostano avanti e indietro; si rincorrono un momento, poi lei si ferma.
Gli offre il posteriore gentilmente, ruota la coda di lato, e lui altrettanto gentilmente le afferra i fianchi con le zampe e comincia. Rimangono legati, con le code intrecciate tra loro, e mentre attendono, si girano uno verso l’altra e si leccano i musi a vicenda affettuosamente.
Trenta giorni dopo, la veterinaria è di nuovo lì a fissare lo schermo.
Dopo una pausa, mi sorride: “Complimenti, sono otto. Forse nove.”
Abbraccio Rebecca, lei mi guarda come per dire “io veramente lo sapevo già… ma non ti ho detto nulla per non rovinarti la sorpresa.”
Venti giorni dopo ordino la cassa da parto professionale, con la lampada riscaldante: dovrebbe arrivare al 55° giorno di gravidanza, in tempo per il parto, così non devo usare quella in legno fatta da me quando non avevo sufficienti finanze.

Al 53° giorno di gravidanza sono in fermento, la data è vicina. Ho intenzione di prendermi due settimane non retribuite dall’ufficio, per occuparmi del parto e dei piccoli aiutando Rebecca.
Quella sera Rebecca respira in modo affannoso, sembra agitata. Io guardo e riguardo lei, e poi il calendario. “No”, mi dico, “è presto. Forse comincia solo a sentire l’affaticamento della gravidanza.” Le misuro la temperatura rettale, per sicurezza: è perfettamente nella norma.
Il giorno dopo, ovvero il 54° di gravidanza, nella pausa pranzo, anziché tornare a casa dall’ufficio come ogni giorno, decido di andare a girare un po’ in un negozio di articoli sportivi che fa orario continuato.
Sono troppo tesa e Rebecca ha bisogno di stare serena, allora decido di distrarmi cercando un paio di scarpe nuove. Non trovo quello che cerco, ed è ora di rientrare in ufficio. Alle 18, quando esco di nuovo, inizia la catastrofe.
Mentre guido verso casa, ricevo una telefonata di mia madre.
“Fabiana, corri a casa! Rebecca ha partorito!”
“Cosa?! Ma è troppo presto!”
“Corri, quattro sono morti, e quattro stanno morendo!”
“CHE COSA?! Ma che succede??”
“Non lo so, non lo so! Qui è un disastro! Papà sta cercando di rianimarli! Corri!”
E chiude la telefonata.
Mentre il mio tachimetro passa dai 70 ai 120 km/h, chiamo la veterinaria.
Non può venire, proprio oggi è sola in ambulatorio e ha delle emergenze. Mio padre è solo un medico, ma sarà sempre meglio di un avvocato a rianimare i piccoli. Arrivo a casa in tempo record, mi catapulto fuori dall’auto e corro come una pazza fino al garage, dove avevamo preparato un box costruito da noi.
La rete del box è dilaniata, Rebecca è uscita, nel panico, e ansima istericamente; il truciolato è sparso ovunque, mischiato a sangue e liquidi amniotici. I cuccioli, sparpagliati sul pavimento. Quattro non si muovono più, gli altri sono stati massaggiati e riscaldati dai miei genitori, che nel frattempo hanno attaccato una stufetta elettrica, vicino alla quale stanno sistemando una cassetta per la frutta imbottita con un asciugamano. Sistemati i cuccioli al caldo, provo a guardare gli altri…ma è chiaramente troppo tardi.

Uno è addirittura stato calpestato da Rebecca, ha un buco in testa fatto da un suo unghione. Sono tutti minuscoli, e non ancora completamente sviluppati: hanno il naso rosa, le orecchie pelate e le unghie bianchissime. Prematuri, ovviamente.
Raccolgo i quattro corpicini senza vita, mentre il mio stomaco si appallottola all’idea che quegli esserini hanno affrontato tutta la gravidanza per poi morire appena dopo la nascita, perché io ho voluto cercarmi delle scarpe da ginnastica. Me ne sono rimasti solo quattro.
Ma non c’è tempo nemmeno per le lacrime, perché gli altri, tre maschi e una femmina, sono in serio pericolo: hanno passato diverse ore sul pavimento gelido. Li asciughiamo e riscaldiamo, e tentiamo di attaccarli subito alla mamma, ma il latte non arriva. Cominciamo a preparare il latte artificiale, ma Rebecca si corica e inizia a spingere di nuovo. Giusto, la veterinaria ha detto “otto, forse nove”.
Accogliamo il cucciolo, una femminuccia, con tutta la professionalità che abbiamo acquisito dopo vent’anni di nidiate di gattini: aiutiamo Rebecca a recidere il cordone ombelicale, dato che è in difficoltà. La invitiamo a mangiare gli invogli fetali, puliamo la bocca del piccolo e lo massaggiamo finché non sentiamo il primo mugolio.
Bene, adesso è finita. Iniziamo a far bere piano piano i piccoli sopravvissuti, e proprio quando la situazione inizia a stabilizzarsi, arriva un’altra femminuccia.
Avete presente il film di animazione Disney “La carica dei 101”? Bene. Siamo arrivati a dodici, inclusi i quattro sfortunati. Otto cuccioli vivi, quattro maschi e quattro femmine. Rebecca aveva trovato il modo di soddisfare comunque le mie aspettative. Ne volevo otto, e me ne ha dati otto. Nel frattempo, si sono fatte le undici di sera.
Non riesco a mangiare più di mezzo piattino di pasta, mi viene da vomitare per la tensione. Non avendo ancora latte, Rebecca non può nutrire i suoi piccoli, e rischia anche continuamente di schiacciarli, dato che la cassa non è ancora arrivata. Allora decidiamo di non lasciarli in sala parto.
Mi trasferisco in tavernetta, con una poltrona-letto, e sistemo un tappeto e una coperta per terra, su cui faccio accomodare Rebecca.
I cuccioli rimangono nella cassetta imbottita di fianco alla stufa, dove lei può vederli e non rischia di schiacciarli. Quella notte la passo in bianco, al buio eccetto la fioca luce della stufetta, allattando ogni due ore i piccoli e controllando di tanto in tanto se arriva il colostro.
A un certo punto, probabilmente accade la cosa di cui mi pento di più. Sento Rebecca agitarsi nell’ombra, ma non me ne curo, perché sto allattando i piccoli. Solo quando hanno bevuto tutti, un’ora dopo, accendo la luce. E trovo la tredicesima cucciola, morta. Morta perché non ho voluto controllare un momento, dedicarle due minuti per aiutarla a respirare.
Ero lì, a un metro da lei, è arrivata, ma con la bocca piena di liquido amniotico non è riuscita a farsi sentire. E per colpa del mio errore, è una cucciola che non vedrà mai la sua mamma, non giocherà coi fratellini e non scoprirà il mondo. Ancora oggi mi brucia la gola al solo pensiero, ma è per questo che cadiamo. Per imparare a rialzarci.

Il giorno dopo non tocco cibo, e continuo ad allattare i cuccioli ogni due ore. Arrivano verso sera le prime gocce di colostro, ed attacco immediatamente i piccoli, integrando ancora coi biberon, perché non sono sufficienti. Rebecca rifiuta di mangiare qualsiasi cosa.
La notte successiva tengo ancora i cuccioli nella cesta per evitare lo schiacciamento, mettendo la sveglia ogni due ore per attaccarli alla mamma e poi al biberon, operazione che richiede ogni volta un’ora e mezza circa, dato che Rebecca li aiuta pochissimo ad evacuare e devo fare anche quello, per tutti e otto.
Sarà lo stress, la stanchezza, la debolezza, ma in quei giorni comincio a prendermela con Rebecca. “E’ una pessima fattrice. Non deve più riprodursi, mai più. Non è adatta ad essere madre.” E lei continua a rifiutare il cibo, quasi per farmi dispetto, e perde peso, e continua ad avere poche gocce di latte. Non pone la minima attenzione a non calpestare i cuccioli, confermando le mie idee.
Due giorni dopo, si spengono tra le mie mani un maschietto ed una femminuccia.
Polmonite ab ingestis, dovuta all’allattamento artificiale. Rebecca mi guarda con aria interrogativa mentre accompagno i due piccoli nei loro ultimi respiri, e mentre penso “è colpa tua. Se ti decidessi a mangiare, avresti il latte, e non dovrei metterli in pericolo con il biberon.”
Papà seppellisce i due fratellini in giardino, ed io, col cuore in frantumi, devo rimanere coi sei piccoli senza lasciarli un secondo. Rebecca mi guarda fisso, come avesse sentito i miei pensieri colmi di cattiveria.
Il mattino dopo, cambia tutto. Rebecca si fionda sulla carne tritata e ne mangia un chilo. Devo fermarla io, per paura della torsione di stomaco. Entro sera, le sue mammelle si gonfiano e il latte sgorga copiosamente.
I cuccioli poppano vigorosamente, massaggiandola con le zampine. L’istinto è incredibile. Questi cuccioli non sono in grado di camminare, vedere, sentire, ma muovono le zampe anteriori come degli esperti massaggiatori, con una precisione di movimento che mi lascia sbalordita. Ma questa non è l’unica cosa che mi stupisce.
Rebecca inizia a pulirli, curarli ed evitarli con le zampe quando si accuccia vicino a loro. Se qualche estraneo si avvicina, mostra 42 denti affilatissimi (non l’aveva MAI fatto prima, a nessuno). Rimane ore immobile con i piccoli, e riesco persino ad iniziare il programma “senso puppy”, perché i piccoli si rinforzano sempre di più.

Che giorno è? Il giorno in cui avrebbe effettivamente dovuto partorire. Una settimana dopo la nascita.
E’ come se fosse scattato un meccanismo, come se ora tutti gli ingranaggi fossero al proprio posto. L’adrenalina che ho accumulato comincia a calare leggermente ed io inizio a notare anche le cose belle, dopo tante sofferenze.
Questi esserini piccoli, caldi e morbidi sono meravigliosi. Le testoline hanno già uno stop ben marcato. Quando li avvicino al viso, sento il “fu fu fu” del loro nasino che mi annusa con insistenza.
Passo ore a guardarli tutti acciambellati insieme, scaldati dal ventre caldo di mamma Rebecca. Sono perfetti. Sono in miniatura, ma possiedono già tutto. Le zampine, con le dita piccole piccole e le minuscole unghiette, sono la copia perfetta di quelle della mamma, grandi quanto un cucciolo intero. Il loro musino già si increspa in diverse espressioni, ed anche i vocalizzi iniziano a differenziarsi.
Le giornate trascorrono, lentamente, ed i cuccioli crescono.

Piccolo Principe e Medusa

C’è un piccoletto che rimane indietro; è grande la metà degli altri, beve poco. Io, però, gli giuro che non lo lascio andare. Non anche lui. E con tanta pazienza lo aiuto, lo faccio sempre poppare indisturbato, lo tengo al caldo, gli faccio le iniezioni che mi ha consigliato il veterinario per rinvigorirlo. Lui piagnucola un po’ perché bruciano, ed io lo massaggio rapidamente per far disperdere in fretta la sostanza iniettata sotto la cute. E’ sempre un passo dietro agli altri, ma ce la fa. Resiste, va avanti nonostante il divario con i fratelli.
Lo tratto come un principe, gli do mille attenzioni, e date le dimensioni ridotte gli trovo un nome: Piccolo Principe.
Pochi giorni dopo, proprio quando tutto sembra filare finalmente liscio, un altro maschietto viene schiacciato dalla mamma. Respira, ma non si muove più. Il veterinario sospetta la paralisi. Ma io mi rifiuto di veder morire altri piccoli. Giuro anche a lui che non lo abbandonerò mai.
Lo massaggio, lo massaggio e lo massaggio ancora; gli inietto il cortisone, lo aiuto a bere il latte della mamma. Lo tengo in un lettino riscaldato, a parte, per non farlo schiacciare ulteriormente, dato che non può muoversi.

Mister Muscolo

Due giorni dopo, mentre insieme guardiamo il dvd di Spiderman, il miracolo: muove le zampine anteriori! Lo riempio di baci e complimenti, ed entro la fine del dvd muove tutte e quattro le zampine. Da quel momento, il suo nome è Spiderman.
E da quel momento, tutto comincia a cambiare. I piccoli iniziano a muovere i primi barcollanti passi, si rinforzano ogni giorno di più ed io subisco il più importante cambiamento da due settimane: smetto di essere in tensione.
Non è facile descrivere i mal di pancia continui, i digiuni, le notti in bianco a massaggiare pancini con le coliche, gli incubi sulla perdita dei piccoli: per questo ho volutamente omesso parte della mia situazione emotiva.
Smettere di preoccuparsi, però, è come posare a terra un masso che ci si porta dietro da troppo tempo, che ci ha lasciato i segni sulle spalle, ma che una volta posato ci permette di nuovo di alzare la testa e guardare avanti.
Comincio a lasciare da parte le preoccupazioni ed i sensi di colpa per le perdite, ed ecco cosa si presenta davanti ai miei occhi: sei piccoli cani che stanno trovando il coraggio e la forza di affrontare di petto questo mondo, si stanno erigendo, dapprima barcollando e cadendo quasi subito, poi tremando, ed infine eccoli: sulle quattro zampe, fieri e forti, dimentichi dei momenti in cui hanno rischiato di non arrivarci, a questo giorno.
Non passano molti giorni che tra le loro palpebre iniziano a brillare delle pietre preziose luccicanti, e man mano quei piccoli diamanti si mostrano di più, e col passare del tempo iniziano a funzionare.
I cuccioli vedono, sentono e camminano, e… sono fantastici! Iniziano ad assaggiare le prime pappine (sbrodolando sempre, comunque e dovunque), a scodinzolare, ad abbaiare, ringhiare e mordicchiare (con le gengive). Da questo momento, tutto è meraviglioso.
Non fraintendetemi: il lavoro è pesante. Molto pesante.

E’ un continuo raccogliere, asciugare, pulire, lavare, disinfettare, e poi di nuovo da capo. Attenzioni ininterrotte a cosa fanno, dove vanno ad incastrarsi, perché piangono, come sporcano. Questo, però, non ci si accorge nemmeno di farlo.
Si nota solo quanto sono belli, dolci e… morbidi. E’ proprio in questo periodo, fra le due e le tre settimane, che li battezzo “morbidini”. Sono i morbidini. E si chiamano: Piccolo Principe, Spiderman, Medusa (un nome per una cucciola decisamente aggressiva e dominante, che ha iniziato a mordere e ringhiare a 7 giorni di vita! Immagino cosa significherà guardarla negli occhi una volta adulta, e da qui il nome della creatura mitologica che pietrificava con lo sguardo.), Cicciona (una piccoletta che mangia così tanto da avere sempre il pancione pieno e ballonzolante), Mr. Muscolo (il più grosso e “torello” dei sei), e Culturista (la femmina più grossa, ma senza un filo di ciccia, semplicemente massiccia di struttura).
Vederli crescere di giorno in giorno, imparare a mettere un passo avanti all’altro, iniziare i primi giochi di caccia e lotta è un’esperienza unica. Vederli muovere le codine in modo sempre meno casuale, imparare a rapportarsi con gli altri cani, anche adulti, ed apprendere quelle posture che utilizzeranno in età adulta nella comunicazione intraspecifica rappresenta per me un grande momento di crescita personale, perché scopro il cane fino in fondo, ed imparo tutto ciò che finora ho potuto solo leggere sui libri, ciò che mi mancava avendo avuto sempre solo cani dopo i sessanta giorni.
Le personalità iniziano a definirsi, Piccolo Principe è un cucciolo tranquillo e molto dolce, ma che si fa rispettare se qualcuno attacca briga; Spiderman è vivace e giocherellone ma anche coccolone; Medusa… beh, è sempre uguale fin da quand’era neonata.
Culturista è decisamente affettuosa e molto attenta, pronta ad obbedire. Cicciona è l’esploratrice, la più intraprendente, quella che si allontana di più dalla mamma e che si butta per prima sulle novità senza timori. Mr. Muscolo è il più pacioccone e pigro (ma è fisiologico, massiccio com’è) e molto spesso ha l’abitudine di mangiare da coricato, svaccato su un fianco con la testa lasciata a peso morto a ciondolare dentro la ciotola, e quello che gli capita a tiro di lingua viene ingurgitato avidamente.

Regina

Proprio grazie a queste differenze, a quaranta giorni elimino i collarini colorati: ormai li distinguo tutti alla perfezione.
Non posso elencare tutti i danni che sono riusciti a combinare questi sei piccoli delinquenti, ma posso per lo meno darne un’idea: vasi e sottovasi con relative piante distrutti, stracci, mollette da bucato e bucato ridotti a brandelli, sacchi di crocchette squarciati, rovesciati e mezzi mangiati (con conseguenti pancioni pieni che mi hanno fatto temere seri problemi di digestione), cortile leopardato (sì, le cacche le pulisco, ma la macchia resta)… e via dicendo.
Diventano sempre più belli, struttura ed ossatura spettacolari, teste magnifiche, un’omogeneità sorprendente. Passo le giornate a riparare danni e a godermi questi meravigliosi morbidini, finchè, ahimè, il sessantesimo giorno arriva. Ed i piccoli cominciano ad andare via, uno dopo l’altro.
I soprannomi hanno lasciato il posto a dei nomi veri.
Mr. Muscolo si chiamerà Nepal, Cicciona è diventata Bruma, Culturista avrà un nome nobile: Regina. Spiderman rimane uguale, ma il padrone lo chiamerà, per abbreviare, “Spider”. Li vedo andare via in braccio ai nuovi padroni, eccitatissimi.
Loro però non sono felici, guardano indietro e mi fissano con quegli occhioni tondi, come per dire: “e tu non vieni?”
E’ straziante.
E’ quasi come se mi portassero via dei figli, sento ogni volta la gola stringersi fino a bruciare, lo stomaco si torce.
Loro, tutti loro, seppure non siano mai saliti su un’automobile e non conoscano la sua struttura, la prima cosa che fanno è guardare me, proprio me, dal finestrino, e continuare a chiedersi perché non li seguo. Mi guardano fino all’ultimo.
E cosa faccio io, il giorno dopo? Chiamo i padroni per chiedere come stanno i piccoli. Ognuno mi dice la stessa cosa: il cucciolo ha vomitato, non mangia, piange. Mi sento male da morire.

Naturalmente, molto presto mi richiamano per rassicurarmi, dirmi che la situazione si è stabilizzata, il cucciolo si è ambientato e ora è felice, ma sapere che i miei tesori passano per quel momento di sofferenza non è facile.
In ogni caso, nonostante tutto, non ce la faccio a dar via Piccolo Principe e Medusa, e così ho la magra consolazione di tenere con me non uno, ma ben due cuccioli.
Sono meravigliosi. Ogni giorno mi danno tantissime soddisfazioni, imparano i comandi di base, sanno andare a passeggio col guinzaglio.
A tre mesi li porto in una piccola expo locale in cui permettono l’iscrizione di cuccioli così piccoli, ed entrambi conquistano il primo posto, miglior baby femmina e miglior baby maschio.
Oggi questi due monelli sono la mia gioia ed il mio orgoglio, il frutto di tanti sacrifici.
Mi hanno permesso di crescere, mi hanno insegnato tantissime cose (quanti di noi scoprono in un rametto spezzato o un pezzo di corda la fonte di un divertimento che dura per ore?), e stanno crescendo belli e sani. Ringrazio Rebecca ogni giorno per avermi donato queste meraviglie e ringrazio tutte le mamme cagne che ogni giorno mettono al mondo queste creature meravigliose, che da millenni stanno al nostro fianco, in silenzio, dimenando la coda.

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22 Commenti

  1. Io sono uno dei fortunati proprietari di quei fagottini (BRUMA o CICCIONA). Il racconto di Fabiana mi è sembrato la giusta conclusione per come io e la mia famiglia l’abbiamo conosciuta. Sincera e concreta.
    Se alcune affermazioni del racconto possono aver dato fastidio alla sensibilità dei “puri”, sono pur sempre e solo delle emozioni/sensazioni di una persona che ha voluto condividerle e riportarle su carta.
    Io ho sempre diffidato degli pseudo animalisti/integralisti che signori miei gli animali sono meglio degli uomini, con questa linea quale deriva si potrebbe prendere?!
    Gli allevatori, allevano e fanno riprodurre i loro animali con le tecniche e i modi a oggi consentiti, e mai nessuno si è scandalizzato degli “stupri di massa”, (mi scuso per l’odiosa terminologia)di bovini, ovini e qualunque altro animale a qui l’uomo è venuto a contatto.
    Congratulazioni ancora e alla prossima cucciolata.

  2. Fatto questo per oltre trentanni con i rottweiler e continuo a farlo con una razza diversa… Allevare è esattamente questo: grandi emozioni e grandissime rotture di scatole e sacrifici… Ci vuole competenza ma soprattutto tantissima passione!!!!

    • Ma allora tu sei Daniela Maffei dell’allevamento del Marchesato! 🙂 Quale onore! Siamo “vicine di casa” allora, dato che io sono a 40 km a sud di Torino!

      • mi hai beccata, confesso 🙂
        se ti farà piacere vienimi pure a trovare 🙂
        ps: sull’onore aspetta a conoscermi di persona, magari non sarà + tanto così ahahahah !

        • Volentieri, grazie dell’invito! Cercherò la tua mail sul tuo sito così evitiamo di chiacchierare sul blog occupando spazio 😛

  3. grazie per questa testimonianza.. anche se sono + di 20 anni che allevo, ogni volta è esattamente quello che scrivi.. gioie e lacrime, risate e guai..
    grazie

  4. Non l’ho nemmeno finito, alla descrizione di quello che tu chiami “stupro” mi è venuta la nausea, per cosa, perché? Per i soldi?

    • Tosca non si può paragonare quello che avverte una cagna a quello che sentiremmo noi…
      Fabiana l’ha chiamato così, ma per la cagna è in pratica solamente un fastidio, non dissimile da quando facciamo loro il bagno o gli puliamo le orecchie.
      La tua insinuazione è abbastanza offensiva, comunque.

      • scusa eh, ma “mai più povera bambina mia” e “averla fatta stuprare per niente” “la costringiamo di nuovo, e poi ancora due giorni dopo” “Penso a cosa la costringo a subire per me” , non l’ho mica scitto io.
        E se permetti ognuno ha la propria sensibilità e se permetti posso esprimere un pensiero.
        Ho avuto per 13 anni un cane e non mi sarebbe venuto in mente di fargli subire qualcosa mentre si divincola, tenendogli le mani sul muso perché così non morde, ma sarò strana io.

        Il fatto del guadagno l’ho detto in maniera provocatoria perché leggendo quanto sopra mi è dispiaciuto per la cagnolona, e sinceramente viste le premesse, non vedevo altro motivo, ma sono qui pronta e disponibilissima a conoscerlo.

        Ho letto la risposta dell’allevatrice, che scrive “È facendo errori che si impara” dimostrando intelligenza e cuore.

        • Tosca, gli “errori” però a volte vengono intesi come tali solo perché c’è proprio troppa sensibilità da parte di chi vive queste esperienze per la prima volta: e credo sia stato il caso di Fabiana.
          Purtroppo gli accoppiamenti programmati a suon di strisci non sempre coincidono con quello che vorrebbe fare la cagna: e non è che vada sempre come nella storia di Fabiana (ovvero, che la cagna resti vuota). Spesso l’accoppiamento “forzato” va a buon fine, ma non risulta poi tanto più “forzato” di un accoppiamento naturale, nel quale la cagna – specie se è vergine – spesso urla, strepita, si dispera…senza che l’uomo le abbia fatto “subire” alcunchè. E non sono solo le verginelle a comportarsi così: io ho avuto un’huskyna che ad OGNI accoppiamento – completamente libera e non tenuta da nessuno – dopo essersi messa del tutto spontaneamente “a disposizione” del maschio, urlava a tal punto da far arrivare i miei vicini di casa (che stavano a mezzo chilometro di distanza) preoccupatissimi, perché credevano che qualche mio cane si fosse ferito gravemente, magari in nostra assenza.
          Ovviamente, la prima volta che ti succede, pensi “oddio, povera bambina!”: la seconda volta pensi “Vabbe’, però se sapevi che era una cosa così drammatica bastava evitare di spostare la coda”…e dalla terza in poi pensi “okay, questa cagna è una piaga”. E visto che nessuno la obbliga…si arrangi un po’!
          Una cosa bisogna dare per scontata: NESSUNA cagna si diverte ad accoppiarsi. Quando va bene la cosa è fastidiosa, quando va meno bene è dolorosa.
          Ma è la natura ad aver voluto così, e non è certo colpa degli allevatori!

          • Grazie Valeria. Nel mio racconto io ho effettivamente trascritto cosa ho pensato IN QUEL MOMENTO, proprio come successivamente ho trascritto tutti i cattivi pensieri avuti nel periodo difficile. Non significa che io la pensi ancora così, nel frattempo ho imparato e compreso molte cose.

          • ovviamente non è colpa degli allevatori se la natura ha previsto che sia tutt’altro che un piacere tanto che la cagna si divincola e urla, ma la natura non costringe nessuno, l’allevatore invece sì.
            Stabilito che non è per denaro, è comunque per un piacere esclusvamente suo.

          • Tosca, la natura costringe eccome! Le cagne in calore vanno in cerca del maschio pur trovando ben poco piacevole l’esperienza, perché l’istinto alla riproduzione è un istinto che non possono combattere. Peraltro, anche le mantidi religiose maschi si accoppiano con grande entusiasmo… pur rimettendoci direttamente la pelle. Alla natura non frega un accidenti di niente del benessere del singolo, le interessa solo la continuazione della specie: quindi è lei che mette alcuni animali in condizioni decisamente disagiate, ma comunque li “costringe” ad accoppiarsi.
            Sì, certo, noi umani potremmo evitare questi disagi alle nostre cagne: ma questo significherebbe far estinguere i cani, e non mi pare una scelta molto gentile nei loro confronti!

          • la natura le costringe sì… altrimenti non lo farebbero…
            D’altra parte anche lavare il cane è per un piacere esclusivamente nostro… nessun cane si ammala solo perché è sporco.

          • Tosca, la natura mi sembra che costringa, eccome: in questo caso non è l’uomo, ma il cane stesso a tenere ferma la cagna (ho letto anche che a volte si fa aiutare da altri membri del branco che la tengano ferma, ma non so se è vero); altrimenti ovviamente non avremmo più cani, perchè non credo che una cagna si sottoponga per sua scelta al fastidio dell’accoppiamento, se può scegliere

    • Sinceramente non volevo nemmeno rispondere, ma alcune insinuazioni non vanno nemmeno lasciate correre. Ciò che ho fatto, viene fatto regolarmente anche nei migliori allevamenti, e non mi dilungo sul perchè, dato che non è questa la sede, ma su alcune razze “spinte” geneticamente è praticamente la norma. Nel rottweiler succede molto spesso. Io ho provato perchè così mi han detto di fare per far accoppiare la mia cagna, proprio gli allevatori più esperti. Non mi è piaciuto e non lo ripeterò nel caso la mia dovesse rifiutarsi di nuovo, perchè ho imparato che quando è il momento buono lei si lascia coprire, ma ai tempi (un anno fa) ero all’inizio e ho seguito le istruzioni di chi ci era già passato. E’ facendo errori che si impara. La mia cagna comunque non ha sofferto, semplicemente mostrava aggressività verso il maschio, ma una volta iniziato è stata accondiscendente.
      Riguardo allo scopo della monta, i soldi?? Posso documentare col mio estratto conto che non solo la vendita dei cuccioli non mi ha fruttato nulla, ma che sono in netta perdita. Quello che ho fatto l’ho fatto per passione di questa razza. E se nessuno lo facesse, molte razze, come l’amatissimo bulldog inglese, sarebbero estinte da un pezzo, avendo perso gran parte dell’istinto riproduttivo.

  5. mammamia… che stress. Mai e mai, nemmeno nelle prossime vite farò accoppiare le mie eventuali cagne.
    Fabiana, però, non sentirti in colpa… senza di te nessuno sarebbe vissuto.
    Quando nascono prematuri le mamme animali li rifiutano.
    E’ successo anche a un pony di contadini che conosco, recentemente.

  6. Nella foto con Piccolo Principe e Medusa “muso a muso” potete notare la differenza di dimensioni nello sviluppo della testa… Piccolo era decisamente indietro…

  7. Oddio…. certo che tu un po’ di tempo per metabolizzare le varie fasi con relative, intensissime emozioni l’hai avuto… ma a leggere… oddio, è un susseguirsi di nanosecondi a volte diversissimi tra loro che alla fine ti lasciano in subbuglio. Mi sento strapiena di emozioni, lacrime e sorrisi che lottano tra loro e non si capisce quale verrà fuori per primo. Continuano a tentare di uscire tutti insieme… lasciandomi un po’ stordita.
    Allora Medusa, quella di Dogwar è la tua!!! L’ho sempre fatta vincere perché è meravigliosa in quella sua espressione “cazzuta”… ahahahahah
    Complimenti a te, tantissimi per il coraggio, la sincerità, la forza, la determinazione e per come scrivi. Complimenti a Rebecca e un bacio per essere una mamma così…
    Ai cuccioli partiti verso nuovi percorsi tanti auguri per la loro vita.
    A Medusa e Piccolo Principe non faccio auguri, non ne hanno bisogno, sono in ottime mani. A loro un piccolo bacio.

    • Grazie di cuore. Mi inchino a tutti questi complimenti.
      Sì, Medusa è proprio la mia piccolina, e grazie di farla vincere sempre!
      E’ stata dura, molto dura, ma è stata anche l’esperienza più bella della mia vita, e la ripeterò ancora, so che soffrirò ancora ma saranno i bei momenti come quelli che ho passato e sto passando a ripagarmi di tutto.

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