mercoledì 17 Aprile 2024

Sapere, saper perchè, saper fare e saper spiegare

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Carlo Fagioli
Carlo Fagioli
Figurante ufficiale ENCI dal 1982, figurante ufficiale SAS, BCI, RCI, SIC e SACC, è stato figurante al Campionato Mondiale 1991 di lavoro Rottweiler, all' ATIBOX 1998, al Trofeo delle Nazioni 1999 Rottweiler, a 4 Campionati Italiani di Bellezza e 4 Campionati Rottweiler di lavoro e a numerosi ZTP, a prove e selezioni del Boxer Club, a 5 Campionati Italiani di lavoro Boxer a Campionati Italiani di Bellezza e di lavoro SAS e a numerosissime prove e selezioni SAS, a qualificazioni per i campionati del mondo WUSV e FCI. Relatore a diversi stages ufficiali per figuranti della SAS , del BCI, del RCI e del Boxer Club Francese, Coach di team in Italia e in Francia, relatore a numerosi stages di metodologie e tecniche di addestramento, formatore di numerosi professionisti dell’addestramento e di numerosi figuranti anche di livello internazionale. E' allevatore di pastori tedeschi e boxer con l'affisso "del Pasquino". Il suoi cani hanno raggiunto risultati prestigiosissimi: ricordiamo fra tutti il boxer Buc del Pasquino, che è stato vice-Campione del Mondo in IPO 3 all’ATIBOX di lavoro.

di CARLO FAGIOLI – Spesso mi è capitato di assistere a questo tipo di conversazione: una persona, parlando con un’altra dice : “Io alleno il mio cane con quel tale perchè ho visto che fa bene questa o quella cosa” e l’altro risponde: “Ehi, ma quello non ha mai condotto un cane ad alto livello, non ha mai avuto risultati! Cosa ci vai a fare?”
Un altro tipo di discorso è: “Ho sentito quel tale che commentava il lavoro di quel cane dicendo delle cose molto interessanti”.
E l’altro, ancora una volta, gli risponde : “Ma come vuoi che possa giudicare il lavoro di un cane, se non ne ha mai condotto uno ad alto livello? Come puoi pensare che ne capisca qualcosa?”.
Ebbene, la mia opinione su questo genere di affermazioni è semplice e lapidaria al tempo stesso : “Non hanno alcun valore!”.
Perchè? Vediamo nello specifico.
In molti sport un buon allenatore non sempre è stato un grande atleta, un gran campione di quella disciplina che poi insegnerà e allenerà. Uno degli esempi più lampanti è Arrigo Sacchi che, come tutti sanno, è stato un mediocre calciatore nelle serie minori, ma come allenatore ha vinto tutto quello che si poteva con il Milan ed è anche stato vice campione del mondo con la Nazionale italiana di calcio, perdendo in finale col Brasile soltanto ai rigori.
Cerchiamo allora di capire come mai un buon coach può anche non esser stato un atleta di alto livello, e come invece un grande campione può a sua volta non diventare un buon allenatore.
Cominciamo dal primo caso.
Una persona può ritrovarsi a non essere un grande competitore perchè non ne ha le doti fisiche, perchè ha dei limiti nella realizzazione concreta dei gesti tecnici, semplicemente perchè fisicamente “non ce la fa” o perchè psicologicamente non riesce a far fronte allo stress a certi livelli. Quindi magari riesce bene nelle piccole gare, ma non appena la tensione aumenta e diventa forte, come nei grandi concorsi, non riesce più a concretizzare quello che sa fare molto bene in situazioni di stress limitato.
Invece, e questo è un punto fondamentale, un buon allenatore deve avere delle cognizioni, deve aver frequentato la sua disciplina ad alto livello per poterne conoscere a fondo tutti gli aspetti, sia fisici che psicologici; in questo modo potrà avere la competenza necessaria per poter gestire bene coloro che si affidano a lui, per prepararli e condurli in modo graduale fino ai grandi concorsi.
Occupiamoci ora del secondo caso, quello di un gran concorrente che ha ottenuto eccellenti risultati ad alto livello, e che quindi ha saputo gestirsi sia tecnicamente che fisicamente e psicologicamente, ma che può benissimo non saper gestire altre persone, perchè ha dei limiti nel far realizzare ad altri ciò che lui sa fare così bene: insomma, non è capace di trasferir loro tutto quel bagaglio di competenze che lo ha condotto ai suoi risultati. Il problema è che non sa adattare tutto ciò che sa ad altre strutture fisiche e psichiche e quindi, in ultima analisi, ad altre esigenze.

Fin qui abbiamo fatto un discorso generico, ma andiamo a vedere in dettaglio per ciò che ci riguarda, ovvero l’addestramento canino, quali sono le differenze, tenendo conto dei quattro enunciati posti come titolo di questo articolo: sapere, saper perchè, saper fare e saper spiegare.

Sapere: vuol dire conoscere. Bisogna conoscere le tecniche e ciò di cui si parla. Certamente bisogna essere bene in fase con le situazioni di gara, o almeno esserlo stati in passato, aver quindi già vissuto sia come concorrente, sia come accompagnatore, o almeno come spettatore non superficiale, dei grandi avvenimenti internazionali, per poterne cogliere profondamente tutti gli aspetti specifici.
In questo consiste il sapere. Evidentemente, poichè si dovrà trasmettere ad altri questo sapere, bisognerà anche conoscere un po’ di pedagogia e di psicologia, per saper ad esempio adattare certe cose che si sono viste fare da altri concorrenti, alle persone specifiche a cui si sta insegnando.

Ma per trasmettere ad altri ciò che si conosce bisogna fare un passo più in là, e cioè: sapere perchè.
Io posso aver osservato una certa tecnica che funziona, ma per l’addestramento devo capire e sapere perchè funziona così bene, e quindi perchè funziona nella testa del cane e come funziona.
Ecco cosa vuol dire “sapere perchè”. Conoscendo il perchè, potrò farlo capire a quelli che devo allenare, e facendoglielo capire, ciò che insegno darà dei risultati:  facendo così insegnerò il modo di pensare del cane e darò quindi loro degli elementi molto importanti per il  lavoro quotidiano con il proprio cane, in modo che possano così verificare da soli le risposte. Questo farà evolvere il loro rapporto con il cane. Inoltre questo permetterà loro di anticipare, a partire da quelle che io definisco “tendenze all’errore”, cioè all’apparire di quei piccoli segni premonitori di attitudini sbagliate, per impedire che divengano dei veri e propri errori.
Il sapere perchè certe tecniche funzionano mi consentirà di avere degli elementi per insegnare meglio, e darà ai miei allievi degli strumenti per capire meglio, nella quotidianità, come rapportarsi con il loro cane, riuscendo a interpretare subito i piccoli dettagli che non vanno bene, che, non facendovi attenzioni, possono diventare col tempo delle attitudini gravemente sbagliate che si farebbe molta fatica a levare.

Ed eccoci al terzo punto: saper fare.
Come ho detto all’inizio di questo articolo, anche se si sa e si sa perchè, saper fare è proprio un’altra storia.
Posso benissimo aver capito tutto, sapere il perchè, ma per limiti fisici, o anche psichici di gestione del mio stress, con il nervosismo che mi impedisce di tenere il buon ritmo di gara, posso essere incapace di tradurre concretamente in realtà quello che so. Quindi in questo caso non sono capace di fare quello che so.
Evidentemente sarebbe meglio poter mostrare alle persone quello che si sta spiegando, ma oggi ci sono dei mezzi audiovisivi che permettono questo anche in caso di handicap dell’allenatore.
Permettetemi di aprire una parentesi per dirvi che bisogna avere delle conoscenze molto estese nel sapere e nel saper perchè, e quindi poter disporre di un’enorme quantità di tecniche, che sono dei molteplici modi differenti di realizzare gli esercizi, per aver sempre la scelta della tecnica migliore da utilizzare in allenamento con quella specifica coppia conduttore-cane, quella persona e quel cane, di quella razza e di quel tipo. Delle tecniche quindi che comportano differenti caratteristiche fisiche e psichiche.
Per poter ottenere questo è indispensabile avere una conoscenza veramente estesa, per poter trovare la tecnica adatta a quella persona ed a quel cane, a quella coppia.
Questo comporta una forte capacità di sintesi, perchè bisogna andare a cercare negli angoli della propria memoria tutto ciò che si conosce riassumendolo e spesso facendo delle estrapolazioni e dei collages di differenti tecniche, qualche volta inventando nuove cose per arrivare a dar forma ad una tecnica mai vista, ma che abbiamo preparato per rispondere alle esigenze della coppia specifica che stiamo allenando.

Ed eccoci infine all’ultimo punto: saper spiegare.
Per poter spiegare ci vuole, beninteso, una predisposizione innata alla pedagogia. Bisogna avere le capacità e la volontà di insegnare agli altri.
Per i professionisti non basta avere lo stimolo del guadagno: ci vuole una vera passione per l’insegnamento, perchè esistono situazioni in cui si arriva ad un vero e sproprio scoraggiamento, quando non si riesce a creare una sintonia con quelli che si sta allenando.
E in questi casi bisogna andare al fondo delle proprie competenze e delle proprie capacità per poter infine entrare nel “mondo” della coppia che si sta allenando. Si tratta quindi di un lavoro da psicologo e da pedagogo che implica scomporre tutto quello che bisogna insegnare per farlo a poco a poco digerire dalla coppia in questione.

Evidentemente si può imparare tutto ciò, se si ha la predisposizione a farlo, si può migliorare con l’esperienza, con l’acquisizione di nuove tecniche, di nuovi metodi d’insegnamento e di comunicazione. Al giorno d’oggi questo è pane quotidiano in tutti i settori della vita sociale.
Chiaramente l’optimum sarebbe di ritrovare in una sola persona, l’allenatore, tutti i quattro elementi, sarebbe veramente il livello top, ma sappiamo bene che è molto difficile.
Spero comunque, con questa analisi molto stringata, di essere riuscito a mettervi la pulce all’orecchio, riguardo a tutti gli stupidi clichés che si sentono fin troppo spesso a bordo ring o attorno ai campi di lavoro canino, e di aver potuto spegare tutta la difficoltà e la complessità del lavoro del coach, con i suoi molteplici aspetti e con le molteplici caratteristiche che devono trovarsi riunite nella stessa persona perchè sia un buon coach.
In presenza di una richiesta di sempre maggiore aumento delle qualità e delle performances in tutte le discipline sportive, un giorno bisognerà arrivare ad avere un’equipe di specialisti, ciascuno nella propria specialità, che lavorino di concerto.

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4 Commenti

  1. il punto 5 sta nel sapere perchè, è lì la conoscenza del cane, altrimenti non si capisce perchè una cosa funziona e un’altra no.

  2. Risposta di una “Sciuramaria EVOLUTA” e come tale vuole essere solo un’opinione personale.
    Sapere (1), saper perché (2), saper fare (3) e saper spiegare (4), manca il 5!!
    In una mano ci sono cinque dita e se una di esse non funziona, anche le altre perdono parte della loro efficacia.
    Tutto vero, ma se ci si dimentica che si stà lavorando, oltre che con le persone (psicologia umana), anche con i cani e, se non si conosce etologia e psicologia canina (5), ben diversa dall’umana, la mano funzionerà solo parzialmente.
    Puoi essere il miglior istruttore e/o competitore seguendo i primi quattro punti, ma, secondo me, rimani un mediocre se perdi di vista il (5).

  3. sono d’accordo in parte. il paragone con sport come il calcio secondo me non regge perchè è vero si che grandi allenatori non sono stati grandi giocatori, ma l’allenatore di una squadra di calcio, basket, pallavolo in genere si occupa di schemi, tattiche, panchina.. difficilmente insegna come calciare, palleggiare.. Inoltre negli sport umani spesso si lavora su preparazione atletica e doti naturali.. un gran giocatore ha percentuali piu alte di doti naturali rispetto a quella di un gran cane sportivo, che si ovviamente utilizza e sfutta le doti naturali ma sul quale si può costruire molto di piu, secondo me. Sono invece d’accordo sul contrario, non tutti i campioni possono essere direttamente grandi allenatori, ma è chiaro che, come hai sottolineato anche tu, aver fatto competizioni ad alto livello permette una visione piu ampia e piu completa per preparare e allenare..

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