sabato 16 Marzo 2024

A cosa servono i test genetici? La risposta di un allevatore

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DNAdi MARIACHIARA COSCIA – Di recente uno stimato allevatore (di razza diversa dalla mia)  è stato preso di mira su FB per aver messo in riproduzione un carrier, cioè un portatore sano, pur avendo informato a dovere e per iscritto i futuri proprietari dei cuccioli. Al di là della vicenda in sé la virulenza degli attacchi telematici nei confronti di questo allevatore mi ha fatto capire quanta confusione ci sia riguardo ai test genetici e all’uso che noi allevatori possiamo farne. E ho immediatamente avvertito
l’urgenza di spiegare il mio personale punto di vista… il punto di vista di un allevatore con cui certo molti non concorderanno, ma che io mi sento di difendere strenuamente.
La mia idea di fondo è che i test offrano risultati indicativi, che possono fornire utili informazioni a un piano d’allevamento solo e quando vengono considerati come indizi, non come sentenze atte a utilizzare o meno un riproduttore.
Cerco di spiegare questa posizione per punti, in modo analitico, con il mio linguaggio semplice da allevatore (non certo da genetista), nella convinzione che aprire un tavolo di discussione su questi temi sarebbe utile a tutti i cinofili.

1. i test genetici, come qualsiasi altra pratica d’allevamento, possono essere compromessi da tristi vicende di inciucio cinofilo; voglio dire che se un cagnaro d’élite vuol far figurare un certo cane esente da patologie potrà sempre trovare il veterinario compiacente che certifica che il test è stato eseguito mentre il prelievo viene effettuato su un altro cane già testato (sono noti casi di scambio di lastre per la displasia… figuriamoci se non può succedere la stessa cosa con un test di questo tipo, per il quale a volte è sufficiente un po’ di saliva). Da qui l’amarezza di vedere messi alla gogna allevatori che invece i test li fanno sul serio. E anche l’allarme nel vedere tanti appassionati che affrontano costi altissimi (in termini di soldi e chilometri) per la monta del super mega cane magari di due anni appena compiuti (leggi: senza figli adulti che si possano valutare per salute e tipicità, senza uno storico personale attendibile perché quasi tutte le malattie ereditarie si manifestano dopo i due anni, ma con i suoi bravi test di razza).

2. nei cani si possono manifestare circa quattrocento malattie genetiche, a cui si sommano quelle che non vengono considerate tali in quanto, pur rilevando una predisposizione familiare, non c’è ad oggi la certezza che si trasmettano a livello genetico (per fare un esempio abbastanza comune, lo cherry eye rientra in questo tipo di patologia). È vero che non tutte queste malattie sono state attestate in tutte le razze, ma è anche vero che di fronte a numeri con due zeri l’incidenza del numero di test disponibile per ogni razza è davvero molto bassa. Questo significa che considerare un cane ‘geneticamente perfetto’ perché è risultato negativo ai test è quanto meno fuorviante.

3. a corollario del punto precedente va sottolineato che i test NON offrono una mappa completa del DNA. Sono solo fotografie di una piccolissima parte del patrimonio genetico del soggetto in un dato momento. È come se cercassimo di valutare un intero romanzo di cinquecento pagine in una lingua straniera per avere tradotto un paio di righe qua e là.

4. il DNA non è immutabile nel corso della vita; per esempio se ci fosse una expo cinofila importante nei pressi di Chernobyl è probabile che poi avremmo picchi di malformazioni e un’alta incidenza di malattie ereditarie nella discendenza dei cani iscritti, e questo per più generazioni… perché l’energia nucleare è tra i pochi fattori ambientali che sono stati riconosciuti come sicuri agenti modificatori del DNA. Purtroppo però questo ambito di studio è ancora molto approssimativo: sappiamo che l’ambiente può in diversi modi cambiare il DNA ma non sappiamo esattamente attraverso quali sostanze, in quale lasso di tempo o con quali conseguenze abbiano luogo queste modifiche. Si è capito solo che alcuni soggetti per motivi sconosciuti reagiscono in un dato modo a certi stimoli che risultano innocui per altri. Ne consegue che idealmente un cane risultato esente da una malattia ereditaria potrebbe risultare portatore o svilupparla dopo un soggiorno a Chernobyl… o in altro luogo non altrettanto emblematico ma a lui particolarmente sfavorevole per motivi che non siamo in grado di capire. Naturalmente è un esempio anche il riferimento a luoghi specifici: particolari sostanze presenti in un alimento, in un vaccino, in un prodotto di grooming etc potrebbero cambiare il DNA.

5. i test consigliati per ogni razza sono quelli che riguardano patologie che si considerano particolarmente presenti in quella razza determinata; ma queste patologie, proprio per il fatto di essere state individuate, spesso prima di essere oggetto di test sono state anche prese in esame dagli allevatori di qualità che hanno fatto del loro meglio per ridurne l’incidenza; ne consegue che quando una malattia arriva ad essere considerata ‘tipica’ della razza il più delle volte è già sotto controllo, almeno nelle linee selezionate. Per esempio nel cocker americano, la mia razza, i test per le cardiopatie (che non sono genetici, ma sono pur sempre test sulla salute che riguardano patologie trasmissibili) non vengono consigliati. Eppure io ho avuto il caso di una femmina fondatrice affetta, e facendo qualche ricerca ho scoperto che nelle ultime generazioni sembra che l’incidenza di questo tipo di problema sia aumentata parecchio. Io da circa tre anni sottopongo i miei riproduttori a test ecocardiografici, e certo si muovono in questo senso anche altri allevatori di qualità. Ma occorrerà ancora molto tempo prima che organismi ufficiali prendano atto di questo cambiamento e inseriscano i test di questo tipo per i cocker americani.

6. risvolto della medaglia del punto precedente: prima che una patologia sia classificata come presente in modo significativo nella razza… ha tutto il tempo di svilupparsi, soprattutto nelle linee meno selezionate, quelle commerciali, che per necessità purtroppo tendono anche ad essere le più prolifiche.

7. questo punto è meno analitico degli altri, ma forse per me è il più importante: facciamo finta che lo studio della genetica si sia sviluppato fino a poterci offrire la mappatura completa del DNA di ciascuno dei nostri riproduttori, ripetibile mettiamo una volta l’anno o prima di ogni accoppiamento per escludere la comparsa di qualche problema fino a quel momento nascosto nella deriva genetica. In questo caso potremmo con sicurezza scartare tutti quei soggetti che presentino anomalie. Ma quanti soggetti ci resterebbero? Il loro numero sarebbe sufficiente a garantire la sopravvivenza di tutte le razze che conosciamo?

dna2Sono interrogativi aperti, la mia risposta personale è che l’errore sia insito nel concetto stesso di vita, che non possa esserci selezione se non si accetta anche un margine di rischio.
La vera sfida per me non è escludere il rischio ma conoscerlo il più possibile per cercare di bilanciarlo. Ed è a QUESTO che dovrebbero servire i test genetici.
Un risvolto particolarmente triste è che a pochissimi viene in mente di basare un allevamento di qualità su un numero ristretto di cucciolate.
Se ho un cane bello e testato lo uso da subito il più possibile, cerco di coprire con le monte almeno le spese che sostengo per le sue campagne espositive. Se il soggetto è davvero bello posso anche riuscirci, ma a un prezzo molto alto per la razza, perché è dimostrato che quei cani ‘prezzemolini’, che sono presenti in un numero esorbitante di pedigree, alla fine danno come risultato una discendenza affetta da patologie anche gravi, emerse dalla deriva genetica di quello stesso soggetto proprio per il fatto di essere stato abusato più che usato.
Invece provare un riproduttore a due anni e poi monitorare da vicino come si sviluppano i figli (magari anche i nipoti) sarebbe una mossa certamente fuori mercato, ma che permetterebbe di avere basi solide su cui costruire un piano d’allevamento… sempre che questi figli e nipoti vengano presi come indizi, insieme ai test, per costruire una mappa reale delle possibilità di quel soggetto.
In conclusione, da allevatore sono veramente spaventata dall’uso che si sta facendo dei test.
Come frequentatrice e moderatrice di gruppi cinofili on line mi rendo contro che il più delle volte se ne ha una visione distorta e pericolosa, che va per la maggiore l’equazione “cane testato=cane sano”, a prescindere da tutte le altre considerazioni.
E questo a me non sembra un aiuto all’allevamento di qualità.
Mi sembra un grande, grandissimo rischio.

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17 Commenti

  1. Pur concordando che il risultato di un test genetico non debba essere eccessivamente enfatizzato e la scelta dei riproduttori non debba avere come criterio l’esenzione da un allele potenzialmente dannoso, è imperativo far notare che mutazioni spontanee sono scientificamente attestate come eventi rarissimi, quindi partire dal presupposto che il DNA di un soggetto possa abbastanza facilmente mutare una volta ereditato è una informazione molto fuorviante, e priva di fondamenti scientifici.

    • Penso che i test per l’atrofia progressiva della retina siano “indizi” molto importanti, soprattutto perché riguardano una patologia che di solito si manifesta dopo che il cane viene messo in riproduzione. Ma come per tutti i test vanno tenuti presenti molti fattori. Per esempio per quello che riguarda la mia razza, il cocker spaniel americano, leggo su forum e emailing list dedicate l’entusiasmo di molti allevatori statunitensi quando annunciano l’esito favorevole del PRA per uno dei loro cani, e questo è giustissimo, per carità… ma è anche vero che dopo tanti anni di lotte per limitare l’incidenza di questa malattia i cocker provenienti da linee selezionate affetti da atrofia progressiva della retina sono pochini; mi chiedo perché invece tutto taccia sul fronte di altri controlli che forse in questo momento potrebbero evitarci molti problemi futuri. Per esempio c’è la questione dei geni Merle: di per sé sono quelli responsabili dell’omonimo pattern di colori (esempi tipici sono i pastori australiani, per intenderci) ma nel cocker l’accoppiamento di due Merle produce cuccioli con malformazioni gravissime; a seguito di un autorevole studio dell’ASC (American Spaniel Club) sappiamo che esistono cocker Merle che non presentano il pattern caratteristico, tuttavia sono portatori. Un laboratorio canadese aveva messo sul mercato un test per individuare questi soggetti ma purtroppo nell’arco di pochi mesi è stato chiuso… per quanto abbia cercato altri laboratori per testare i miei cani pare che nessuno al momento lo stia offrendo. È molto triste che nessun allevatore si adoperi per cambiare le cose, soprattutto negli States dove i cocker Merle hanno un fiorente mercato parallelo (alcuni di questi soggetti hanno gli occhi azzurri e questo li rende appetibili per il mercato, sig).

  2. Adriana purtroppo il problema con i vari tipi di displasie è proprio che non esistono al momento test genetici: i risultati degli esami si riferiscono al singolo soggetto; le lastre dimostrano che il cane ha o non ha la displasia, sempre se si seguono i protocolli corretti, e ti ricordo che, nonostante esistano metodi di diagnosi precoce, per il riconoscimento ufficiale Enci il cane deve avere un’età minima compresa tra i dodici e i diciotto mesi secondo la razza cui appartiene; nessuno però può stabilire se il cane testato è un “portatore sano”, cioè se potrà trasmettere problemi di displasia alla discendenza. Qui in Sud America per esempio c’è un cane molto premiato e famoso a livello internazionale, sanissimo, che secondo voci di corridoio produrrebbe un numero sconfortante di figli displasici 🙁 forse è solo una maldicenza, ma se fosse vero credo che rientrerebbe nei casi in cui più che il test servirebbe il buon senso…

    • ops… correggo errore: per la displasia del gomito l’età minima richiesta dall’Enci è di dodici mesi per tutte le razze, la differenziazione d’età riguarda solo la displasia dell’anca, chiedo scusa 😛

  3. Secondo me, la cosa che più pregiudica le razze in Italia è il fatto che allevare sia considerato un lavoro e non una passione.
    In Germania non ho mai visto nessuno che “viva di cani”. Non dico che non ci siano persone che lo fanno, ma io non ne ho mai viste. Poi non dico che lì non ci sono gli imbrogli, eh, ma sono meno (molto meno) “fregatura” che in Italia.
    In Italia invece, quando una mia conoscente mi ha chiesto un parere su un cucciolo preso in un allevamento presumibilmente rispettoso e amante della razza e io le ho suggerito di fare i controlli radiografici che hanno dato esito positivo per displasia del gomito e lei ancora mi ha chiesto se doveva farlo sapere all’allevamento io ho detto che se fossi io l’allevatore che stava puntando tanto su quello specifico stallone (leggi “usandolo su tutte le femmine”), vorrei sapere quanto prima che esisteva la possibilità che quel cane stesse dando problemi seri. Risultato: il finimondo! Con tanto di telefonata dall’allevatrice alla sottoscritta con tanto di “che ne sai tu? E non si controlla un cane di 4 mesi! Tutti i cuccioli camminano strano. Ecc. ecc. ecc.”. Non ho cercato di scoprire come stanno gli altri cuccioli. Però so che ha già ripetuto lo stesso accoppiamento! Predicava tanto bene…

  4. Articolo molto interessante, complimenti. Questo è un argomento a mio parere davvero fondamentale, che dovrebbe essere trattato e discusso decisamente più spesso nel mondo cinofilo dal momento che si occupa di…VITA in senso stretto! Se queste problematiche venissero diffuse adeguatamente (e altrettanto adeguatamente si controllassero coloro che si definiscono allevatori) dagli organi che si occupano nel nostro paese di cinofilia, dai club di razza ecc, forse ci sarebbe maggior consapevolezza, e far nascere degli esseri viventi (e anche acquistarli!) diventerebbe una responsabilità, non un affare. Non possiamo essere o diventare tutti esperti di genetica, questo è chiaro, ma quando si parla di esseri viventi e riproduzione l’informazione non è mai ‘abbastanza’.

    • “questo punto è meno analitico degli altri, ma forse per me è il più importante: facciamo finta che lo studio della genetica si sia sviluppato fino a poterci offrire la mappatura completa del DNA di ciascuno dei nostri riproduttori, ripetibile mettiamo una volta l’anno o prima di ogni accoppiamento per escludere la comparsa di qualche problema fino a quel momento nascosto nella deriva genetica. In questo caso potremmo con sicurezza scartare tutti quei soggetti che presentino anomalie. Ma quanti soggetti ci resterebbero? Il loro numero sarebbe sufficiente a garantire la sopravvivenza di tutte le razze che conosciamo?” cit
      Mi viene da chiedermi non è forse meglio non avere più una determinata razza piuttosto che mettere al mondo cani malati? O ancora non è meglio incrociare una razza particolarmente malata con una di patrimonio genetico e caratteristiche simili per poter “ripulire” il DNA? Sarà mai possibile avere degli allevatori che pensano al bene dei cani che allevano (bene inteso come bene della razza su vasta scala ed a lungo termine) piuttosto che al profitto? (senza polemiche il profitto è OVVIO che ci debba essere altrimenti un allevatore finisce in miseria ma un giusto compromesso sarebbe interessante).

      • Lara, non era quello il senso… è che TUTTI i cani, in quanto esseri viventi, hanno qualche magagna nel DNA. Come gli umani, peraltro. Il senso è che potessimo individuare tutte le potenziali malattie genetiche nel corredo di ogni cane del mondo resteremmo forse con una decina di soggetti (in tutto, non per razza!) così come, se lo facessimo con gli umani, probabilmente ci ritroveremmo con un Adamo e un’Eva (forse).

        • Ovviamente intendevo le tare genetiche che portano a malattie invalidanti dolorose e anche mortali. Non a TUTTE 😀 E’ nell’interesse di tutti avere cani sani .. magari meno belli e tipici ma sani.

      • Lara concordo con Valeria per il numero di cani che ci resterebbe… e anche considerando di escludere solo la possibilità di tare gravi temo che non sarebbe possibile, perché i giochi genetici sono tanti e tali che finiremmo per ridurre troppo il numero dei riproduttori (è sempre e solo la mia idea… che si baa su una condizione ipotetica, molto lontana da quella che viviamo oggi). In compenso la tua frase “senza polemiche il profitto è OVVIO che ci debba essere altrimenti un allevatore finisce in miseria ma un giusto compromesso sarebbe interessante” a me fa pensare. Perché non mi sembra mica tanto ovvio che l’allevamento debba comportare un profitto… prima di tutto credo che le razze siano un patrimonio dell’umanità, e non capisco perché a Venezia danno le sovvenzioni e gli allevatori devono cavarsela per conto proprio… poi perché io ho cominciato a frequentare allevatori attorno ai sette anni e non ne ho mai conosciuto uno serio che guadagnasse con i cani (proprio all’apice del successo si rientra delle spese ma è già quasi impossibile). E infine anche perché credo che un allevatore possa cercare di mettere a frutto le sue capacità senza lucrare direttamente sulla vendita di cuccioli: con tutti gli analfabeti cinofili che ci sono in giro, con i problemi enormi legati all’abbandono di animali etc, mi sembra che socialmente gli allevatori potrebbero rivendicare ruoli importanti e cercare di ottenere un ‘utile’ da attività connesse all’allevamento senza per questo sfornare cuccioli da vendere solo per guadagnare qualcosa. Almeno così pare a me 😉

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