lunedì 18 Marzo 2024

Perché non si dica che amo solo i cani

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Valeria Rossi
Valeria Rossi
Savonese, annata ‘53, cinofila da sempre e innamorata di tutta la natura, ha allevato per 25 anni (prima pastori tedeschi e poi siberian husky, con l'affisso "di Ferranietta") e addestrato cani, soprattutto da utilità e difesa. Si è occupata a lungo di cani con problemi comportamentali (in particolare aggressività). E' autrice di più di cento libri cinofili, ha curato la serie televisiva "I fedeli amici dell'uomo" ed è stata conduttrice del programma TV "Ti presento il cane", che ha preso il nome proprio da quella che era la sua rivista cartacea e che oggi è diventata una rivista online. Per diversi anni non ha più lavorato con i cani, mettendo a disposizione la propria esperienza solo attraverso questo sito e, occasionalmente, nel corso di stage e seminari. Ha tenuto diverse docenze in corsi ENCI ed ha collaborato alla stesura del corso per educatori cinofili del Centro Europeo di Formazione (riconosciuto ENCI-FCI), era inoltre professionista certificato FCC. A settembre 2013, non resistendo al "richiamo della foresta" (e soprattutto avendo trovato un campo in cui si lavorava in perfetta armonia con i suoi principi e metodi) era tornata ad occuparsi di addestramento presso il gruppo cinofilo Debù (www.gruppodebu.it) di Carignano (TO). Ci ha lasciato prematuramente nel maggio del 2016, ma i suoi scritti continuano a essere un punto di riferimento per molti neofiti e appassionati di cinofilia.

di VALERIA ROSSI – E’ uscito il secondo libro di Lisabetta Mugnai: ve la ricordate? L’autrice di “Nata sotto una buona Stella“, una storia vera che ha commosso tanti di noi.
Lisabetta (sempre senza “E”: il suo nome è un tributo a una novella del Boccaccio) mi ha mandato questa sua seconda opera, che ho ricevuto con sorpresa (non ne sapevo nulla) e con piacere (ormai lo so che scrive bene). E infatti che ho immediatamente perso.
Tutta la busta, mi sono persa. L’avevo giusto aperta da un lato per sbirciarci dentro, avevo visto che era un libro, avevo pensato “uhhhh, bello, devo leggerlo subito”, avevo richiuso la busta.
Fin lì mi era tutto chiaro, ricordavo ogni passo: dopodichè, il vuoto. Totale.
E lo so che son vecchia, e lo so che sono rincoglionita (anche se non lo sapessi ci penserebbe il figlio a ricordarmelo: e mo’ si è aggiunta pure la quasinuora, che non me lo dice in modo diretto – e pesantemente cafone – come il figlio, ma quando a farmelo intuire tra le righe non è seconda a nessuno): ma porca miseria, un black out così non mi era (quasi) mai capitato: e di sicuro non con qualcosa a cui tenevo.
Ho buttato all’aria tutta la casa. Ho cercato il libro sotto il letto, in bagno, sotto il Tatami di Samba. Sono arrivata a guardare nel frigo e in lavatrice, perché l’unica cosa che proprio non riuscivo a farmi tornare in mente era il “dove”. Dove l’avevo aperta, ‘sta busta? E soprattutto, dove l’avevo posata, dopo averci sbirciato dentro?
Ci sono diventata matta, giuro.
Ho perfino pensato di aver buttato via tutto il libro credendo di buttare solo la busta, ipotesi terrificante perché quella che faceva ‘ste cose (e non una volta, ma millemila volte) era mia madre, che nei momenti in cui era più normale era fuori come un balcone.
Alla fine, rassegnata, ho cominciato a pensare a quali bieche scuse accampare con Lisabetta… scuse che però non sapevo come accampare e soprattutto a quale titolo, visto che lei non mi chiedeva nulla.
Manco un cenno, un messaggino su FB, una riga per dire “Ti è arrivato il libro che ti ho spedito?”.
Se l’avesse scritta, ‘sta riga, avrei potuto rispondere “noooo!!! Quale libroooo?!?”, cadendo prima dalle nuvole e poi lanciando anatemi contro le Poste Italiane (che comunque son sempre anatemi ben spesi, anche se stavolta sarebbero stati ingiusti).
Invece, niente. Lei non parlava e io mica potevo chiederle “Non è che per caso mi hai spedito un libro? Perché non mi è arrivato”.
Insomma, bieche scuse d’accordo, ma non così bieche da farmi sgamare in tre secondi netti.
Non so quanto sia passato: forse un mese, forse anche di più.
Poi un pomeriggio, al campo, mi serve un riportello che solitamente tengo in uno zainetto sul sedile posteriore della macchina. Solo che nello zainetto non c’è.
Sicura che sia scivolato fuori, comincio a spostare la marea di roba che tengo ammucchiata su quel sedile: maglie, k-way, cose da cani, cose da tennis, cose da matti… e il riportello non salta fuori, ma mi ritrovo in mano una busta.
Era passato così tanto tempo che non ho neppure urlato “eureka!”, perché lì per lì non mi sono assolutamente ricordata cosa ci fosse dentro. Poi l’ho aperta, ho visto il libro e ho tirato un “Ecco dove cazzo eriiiiiiiiiiiiii!!!” che deve averlo sentito anche Lisabetta da Firenze.
Avevo sventrato casa per cercarlo, e invece lui non era mai sceso dalla macchina. Ma sono proprio rincoglionita, eh.

lisa_epimeleticaBon: il giorno dopo partivo per uno dei miei seminar-viaggi, e il libro è ovviamente venuto con me.
Solo a quel punto ho letto davvero il titolo, che ho trovato molto lisabettico… e il sottotitolo, che invece mi ha fatto un po’ sobbalzare.
“Io e l’epimeletica”?!?
Oddio, non ditemi che pure la Lisa si mette a scrivere in cinoegizio…
Invece no.  Proprio no.
La Lisa scrive nel suo inimitabile stile “con l’accento toscano” (se la leggerete capirete al volo cosa intendo dire) e col consueto piglio da “oh, ti racconto questa”, che non ti sembra di star leggendo un libro ma di fare due chiacchere con un’amica. Fantastico.
Come il titolo già lascia intuire, si parla di gatti. E inaspettatamente si parla anche di umani.
Ma poi, gira che ti rigira, i cani tornano sempre. Ci sono sempre.
C’è sempre Stella, che viene citata quasi in sordina, come se non si volesse far pesare che c’è (io me la vedo, Lisabetta, che dice “Oh, c’ho già scritto un libro, su Stella, mica potevo tirarla di nuovo in ballo ogni due righe”: ma in realtà Stella c’è in ogni riga, anche quando non viene neppure nominata).
Del primo libro di Lisa avevo scritto che era “empatizzante”, perché ti faceva provare le stesse cose che provava lei: e il termine era già brutto come la notte, quindi vorrei evitare di peggiorare ulteriormente le cose dicendo che questo è “epimeleticizzante”.
Però l’effetto è sempre quello: perché questa è un’autrice che ti contagia, c’è poco da fare. E stavolta lo fa facendoti venir voglia di prenderti cura di “tutte le 2 e 4 zampe che le hanno preso il cuore e gliel’hanno restituito più ricco“, come recita la sua dedica.
Verso la fine ti fa venir voglia di coccolare un po’ anche l’autrice: non vi dico come né perché, visto che non intendo spoilerare. Però mi è successo, e succederà anche a voi, lo so.
Purtroppo vi succederà presto, perché ‘sto libro ha un dannatissimo difetto: è corto, ma proprio corto.
L’ho finito prima del viaggio verso Lecce, che pure era un viaggio aereo e durava appena un’ora e mezza. E nel caso non si fosse ancora capito che mi è piaciuto, vi dirò che avevo un secondo libro con me (pure questo sui cani, ve ne parlerò nei prossimi giorni), ma non l’ho aperto perché prima ho ricominciato daccapo quello di Lisabetta.
Bon, non mi pare di dover aggiungere altro.
Se volete scoprire anche voi l’importanza dell’epimeletica, e soprattutto se volete sapere quanta ne ha addosso ‘sta donna, il libro lo trovate qui.

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2 Commenti

  1. quanto ho presente queste ricerche disperate di un oggetto che c’è, ma non si sa dov’è finito…Non ho letto il precedente libro di Lisabetta, Questo argomento però m’attizza, e soprattutto mi ispirano queste sue parole: “Quindi, voliamo basso… non siamo poi così buoni, o almeno non solo, me compresa”. Molto concrete ed oneste, condivido. Leggerò, grazie per la segnalazione

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