domenica 17 Marzo 2024

Escape ed Avoidance

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Davide Cardia
Davide Cardia
Nato a Moncalieri(TO) il 23/10/69, ha frequentato il liceo classico e poi filosofia a Torino. Una decina di anni fa ha cominciato a seguire Moguez per imparare il mondioring. Ha passato alcuni anni a cercare di recuperare cani problematici (morsicatori soprattutto) presso il canile di Piossasco (TO), che ancora aiuta in caso di necessità. Fa parte del direttivo della Onlus Canisciolti (www.icanisciolti.com) che segue i cani del canile di Avola. E' addestratore ENCI e Tecnico preparatore per il C4Z (cittadino a 4 zampe). Nel 2011, con due colleghi, ha aperto il Gruppo Cinofilo Debù (www.gruppodebu.it) dove si occupa di educazione, addestramento, sport . Ha partecipato ad alcune puntate della trasmissione radiofonica Uno all’Una su Prima Radio e alla trasmissione televisiva Aria Pulita di Telecity7Gold.

Il Gruppo Cinofilo Debù, a settembre 2016, in memoria di Valeria Rossi e nel tentativo di realizzare un suo sogno, ha cominciato una serie di corsi riservati agli addestratori del centro e strutturati sul modello universitario: l’università Debù appunto, costruendo – seppure in embrione  – una scuola che l’intero gruppo, Davide e Fabiana (figlio e quasinuora) inclusi, ha deciso di dedicare a lei.
Abbiamo fatto partire i primi quattro corsi (Recupero Comportamentale, Nosework , Fondamenti di addestramento e Condotta formale) che si concluderanno all’inizio dell’estate.
L’obiettivo è quello aprire la scuola anche a studenti esterni. L’articolo che segue, frutto di questo sforzo, è un estratto di una lezione del corso sul recupero Comportamentale ed è anche il primo di una serie che questo sito gentilmente ospiterà.

di DAVIDE CARDIA – Immaginate un topolino in un box con una barriera di pochi centimetri che divide il pavimento elettrificato da quello non elettrificato.
Ogni volta che si presenta uno certo stimolo, ad esempio una lampadina che si accende, il pavimento sotto le zampe del topo diventa elettrico. Questi può sfuggire dal dolore scavalcando la barriera e andando dall’altra parte del box. Ripetendo più volte la sequenza, l’animale impara velocemente cosa deve fare quando sente lo shock. Infatti, nelle prime fasi di questo processo conoscitivo, la presenza dello shock fa si che l’animale metta in atto un comportamento di fuga superando la barriera. Vi ricordate però che la scarica elettrica era preceduta da una luce che si accendeva? Questa diventa un segnale di attenzione/pericolo che avverte il topo che presto arriverà la scarica elettrica. Dopo poche esperienze il topo imparerà che per evitare la scossa gli basterà saltare la barriera e mettersi in salvo non appena vedrà la luce accesa. Questo esempio chiarisce molto bene cosa si intenda per Escape ed Avoidance:

  • Escape: fuggire da qualcosa di spiacevole
  • Avoidance: evitare qualcosa di spiacevole

Escape ed Avoidance fanno parte del processo conoscitivo di ogni essere vivente. La natura stessa ha fatto in modo che la conoscenza del dolore e quindi il suo evitamento o la fuga da esso fosse una parte necessaria dell’apprendimento al fine di preservare il singolo e la specie. Il lavoro educativo e addestrativo con il cane, se fatto sul “dovere” e non sul “premio”, si basa proprio sui concetti di Escape ed Avoidance.
Ma, prima di procedere nella trattazione di questi aspetti, vediamo molto brevemente qual è la differenza tra lavoro basato sul dovere e lavoro basato sul premio.

La differenza è piuttosto semplice: quando il cane collabora al fine di ottenere qualcosa che desidera, senza che questo qualcosa sia visibile (altrimenti parliamo di ricatto) ma sperando con il suo comportamento di ottenerlo, parliamo di lavoro basato sul premio.
Viceversa, quando il cane esprime un comportamento per far cessare qualcosa di spiacevole o per evitarlo, si parla di lavoro sul dovere (per intenderci: “impiccare” un cane per metterlo seduto e quindi dargli una pallina per farlo giocare non è da considerarsi come lavoro basato sul premio). Dal punto di vista tecnico Escape ed Avoidance sono in relazione rispettivamente con Rinforzo Negativo e Punizione Positiva propri del condizionamento operante: con il Rinforzo Negativo voglio che il cane faccia qualcosa e gli procuro dolore fino a quando non ottengo il risultato, mentre con la Punizione Positiva NON voglio che il cane faccia qualcosa e gli procuro dolore ogni volta che prova a farla.

Vediamo nel dettaglio quello che succede. Ho deciso di insegnare al cane a mettersi seduto. Per farlo gli applico il guinzaglio e facendo pressione sul collo gli creo disagio con una trazione continua verso l’alto fino a quando l’animale per liberarsi dal fastidio si siede. A questo punto cessa il dolore (parte negativa del rinforzo) e ottengo appunto la posizione Seduto: voglio che il cane si segga e non appena questi lo fa, cessa la pressione (Escape). Immaginate ora un altro scenario:  siete stufi che il vostro cane vi salti addosso ogni volta che tornate a casa. Per far cessare quel comportamento (Punizione) diamo (Positiva) una ginocchiata sullo sterno dell’animale. Il cane impara a non saltare addosso evitando così la punizione che ne seguirebbe (Avoidance).

In queste righe ho cercato di descrivere nel modo più asettico possibile cosa sia il lavoro sul dovere ovvero una commistione tra escape ed avoidance. Molte persone pensano, o sono portate maliziosamente a pensare, che in addestramento vengano utilizzate esclusivamente queste tecniche, ma così non è.
O meglio, molti professionisti non lavorano più in questo modo e nei campi di addestramento “evoluti” si lavora nel rispetto del cane e nella consapevolezza che metodi alternativi al processo di doma danno risultati migliori. Gli addestratori infatti sono piuttosto preoccupati quando devono punire un cane proprio perché dalla punizione possono derivare conseguenze dannose per il prosieguo del lavoro e per la costruzione di una corretta collaborazione.

Infatti:

  1. Punire un comportamento inappropriato non sempre ha come risultato che il comportamento appropriato sia compreso: potrebbe avere come conseguenza l’eliminazione generale del comportamento. Ad esempio se gioco con il mio cane al tira e molla e questi ha atteggiamenti troppo aggressivi, sgridarlo, tout court, potrebbe portarlo a smettere di giocare con me invece di fargli capire che si può fare un gioco più collaborativo.
  2. La persona che punisce potrebbe essere visto come inibitore del comportamento. Quindi quel comportamento continuerebbe ad esserci, semplicemente non manifestandosi in presenza dell’inibitore.
  3. La punizione potrebbe semplicemente insegnare al cane ad aver paura del punitore, diventando così difficile per quest’ultimo creare quella collaborazione necessaria per una buona partnership.
  4. Spesso la punizione ha come effetto quello di stimolare l’eccitazione del soggetto punito, non mettendolo in condizione mentale ed emozionale di apprendere cose nuove
  5. La punizione può avere conseguenze di aumento di aggressività nel soggetto punito, aggressività che può essere diretta su chi sta punendo o, se inibita, rediretta verso un target sostitutivo.

Ma la verità è che la punizione fa parte della vita e un lavoro esclusivamente basato sul premio non funziona. Il nostro allievo quindi deve sapere che le sue azioni hanno delle conseguenze. Vediamo, di seguito, in che modo è sensato utilizzare la punizione

  1. La punizione deve essere immediata perché sia compresa. Punire il cane un paio d’ore dopo che ha fatto i suoi bisogni sul tappeto di casa è inutile e dannoso per la relazione.
    Inutile perché il cane non comprende il motivo della punizione, dannoso per la relazione in quanto l’allievo arriverebbe a temere gli scatti d’ira irrazionali del suo umano
  2. La punizione deve essere certa e coerente; deve cioè essere somministrata ogni volta che si presenta il comportamento indesiderato
  3. La punizione deve essere significativa, senza cadere nell’abuso. L’intensità varia da soggetto a soggetto, ma punizioni troppo blande per inibire il comportamento indesiderato risultano inefficaci. Inoltre il cane arriva a temprarsi rendendo la punizione successiva necessariamente più intensa
  4. La punizione deve essere compresa e l’allievo deve avere a disposizione un comportamento alternativo che funga da via di fuga metaforica. In assenza del comportamento alternativo il pericolo della learned helplessness è dietro l’angolo.

    Ma cos’è questa Learned Helplessness? Seligman e Mayer a fine anni 60 cominciarono degli esperimenti per riprodurre e quindi curare lo stato depressivo nei pazienti umani. Non potendo utilizzare cavie della nostra specie ricorsero ai cani. Nella fase iniziale dell’esperimento alcuni cani erano legati con una pettorina ed esposti ad una scarica di corrente elettrica senza avere via di fuga. Un altro gruppo di cani subiva lo stesso trattamento ma poteva sottrarsi allo shock schiacciando un pannello con il muso. Un terzo gruppo di cani, sempre con la pettorina indossata, non subiva nessuno shock e, senza che succedesse nulla, aspettava la fine della sessione di lavoro. Nella seconda fase dell’esperimento, tutti i cani venivano sottoposti alla scarica ma con la possibilità per tutti di avere una via di fuga superando semplicemente una piccola barriera. Ogni scarica era preceduta da un periodo di 10 secondi di buio assoluto. Il gruppo di cani che nella prima fase dell’esperimento aveva avuto la possibilità di sottrarsi allo shock, imparò velocemente a fare la stessa cosa anche questa volta. Così il gruppo di cani mai esposti alla corrente. Il gruppo di quelli che invece avevano subito le scariche elettriche senza poterle evitare, si comportarono in modo differente. Quando subivano la scossa, molti di loro guaivano e cominciavano a girare in circolo per poi accucciarsi gemendo. Non facevano nessun tentativo di sottrarsi allo shock e decidevano di non decidere. Cosa ancora più strana: nel caso in cui uno di loro riuscisse a saltare l’ostacolo liberandosi dal dolore, non riusciva ad associare quell’azione alla cessazione della punizione; non vi era nessuna forma di apprendimento e se sottoposti nuovamente alla corrente, pur avendo superato l’ostacolo precedentemente, non ripetevano l’azione.
    Questo fenomeno si chiama Learned Helplessness e consiste in una diminuzione della capacità di apprendimento dovuta all’esposizione ripetuta di una serie di eventi dolorosi non prevedibili, comprensibili, evitabili.

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3 Commenti

  1. Mah.. sì, articolo interessante ma nulla che non potrei leggere su un qualsiasi libro/dispensa scritto anche in maniera decisamente più chiara e con termini in italiano (come se scriverli in inglese creasse un ché di più chic e professionale), comunque apprezzabile.
    Più che altro mi sembra che l’autore con questo articolo stia facendo macabra pubblicità ad un centro di addestramento, non so quanto a Valeria potrebbe far piacere sapere che una persona che l’ha usata da viva la sta usando anche da morta.. trovo che sia veramente molto di cattivo gusto, opinione personale eh..
    Leggo poi: “Gli addestratori infatti sono piuttosto preoccupati quando devono punire un cane” di questo non so quanto ne farei un vanto, un addestratore che teme di punire un cane sicuramente non riuscirà a farlo bene, non arriverà a far sì che la punizione sia significativa per timore di far danno; ma se non riesce un addestratore chi ci deve riuscire??
    Sul fatto di essere elementi inibitori è inutile girarci attorno, lo siamo per status e non potrebbe essere diversamente: all’Interno della casa così come in città e nell’intera vita del cane ci sono per forza di cose delle regole e già solo per questo siamo degli elementi inibenti, chi non è elemento inibitore ha cani che non riesce a gestire perché fanno tutto ciò che desiderano, quindi il problema non sta nell’esserlo ma nel contrario (detto ciò certo che bisogna fare attenzione a non incrinare il rapporto, qui cadiamo nel quasi ovvio almeno per tutti gli amanti “cinofili” per definizione, ma se il mio cane vive con me e io sono fattore inibitore e riesco a gestirlo in totale serenità per entrambe non vedo dove sia il problema).
    Su ciò che hanno dimostrato Skinner, Seligman, Mayer e chi per loro non si discute, questo è chiaro, quindi assolutamente apprezzabile (anche se bisogna tenere conto che si tratta di esperimenti fatti in laboratorio, ciò che conta realmente poi è il comportamento che il cane presenta al di fuori del laboratorio)….

  2. Mah.. sì, articolo interessante ma nulla che non potrei leggere su un qualsiasi libro/dispensa scritto anche in maniera decisamente più chiara e con termini in italiano (come se scriverli in inglese creasse un ché di più chic e professionale), comunque apprezzabile.
    Più che altro mi sembra che l’autore con questo articolo stia facendo macabra pubblicità ad un centro di addestramento, non so quanto a Valeria potrebbe far piacere sapere che una persona che l’ha usata da viva la sta usando anche da morta.. trovo che sia veramente molto di cattivo gusto, opinione personale eh..
    Leggo poi: “Gli addestratori infatti sono piuttosto preoccupati quando devono punire un cane” di questo non so quanto ne farei un vanto, un addestratore che teme di punire un cane sicuramente non riuscirà a farlo bene, non arriverà a far sì che la punizione sia significativa per timore di far danno; ma se non riesce un addestratore chi ci deve riuscire??
    Sul fatto di essere elementi inibitori è inutile girarci attorno, lo siamo per status e non potrebbe essere diversamente: all’Interno della casa così come in città e nell’intera vita del cane ci sono per forza di cose delle regole e già solo per questo siamo degli elementi inibenti, chi non è elemento inibitore ha cani che non riesce a gestire perché fanno tutto ciò che desiderano, quindi il problema non sta nell’esserlo ma nel contrario (detto ciò certo che bisogna fare attenzione a non incrinare il rapporto, qui cadiamo nel quasi ovvio almeno per tutti gli amanti “cinofili” per definizione, ma se il mio cane vive con me e io sono fattore inibitore e riesco a gestirlo in totale serenità per entrambe non vedo dove sia il problema).
    Su ciò che hanno dimostrato Skinner, Seligman, Mayer e chi per loro non si discute, questo è chiaro, quindi assolutamente apprezzabile (anche se bisogna tenere conto che si tratta di esperimenti fatti in laboratorio, ciò che conta realmente poi è il comportamento che il cane presenta al di fuori del laboratorio)….

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