giovedì 28 Marzo 2024

“Un cane vale più di un uomo?”, domande intelligenti e servizi utili

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Davide Beltrame
Davide Beltramehttps://www.tipresentoilcane.com
Figlio di Valeria Rossi dalla nascita, creatura mitologica a metà tra uomo e cane, con tratti bestiali dello yeti. Solitamente preferisce esprimersi a rutti, ma ogni tanto scrive su "Ti presento il cane" (di cui è il webmaster, quando e se ne ha voglia). La sua razza preferita è lo staffordshire bull terrier, perché è un cane babbeo che pensa solo a mangiare e a dormire. Esattamente come lui.

di DAVIDE BELTRAME – Ci hanno segnalato da più parti il servizio uscito lo scorso giovedì su “7”, inserto del Corriere della Sera, intitolato appunto “Un cane vale più di un uomo?”.
E’ disponibile anche la versione online del pezzo, cambiano solo le immagini a corredo (la versione cartacea ad sempio è stata corredata con foto di alcuni animali diventati famosi sul web, tra cui tra tutti la celeberrima Grumpy Cat), quindi potete farvi un’idea dei contenuti senza dover andare a ricercare l’inserto…personalmente premetto dopo aver criticato Repubblica venerdì, oggi me la prendo col Corriere: non potete dire che sia di parte!

Parto da un presupposto: alla luce dei contenuti del pezzo, il titolo è totalmente fuorviante. Bastano le prime righe per capire che lo “spunto” del pezzo sono le persone che antromorfizzano, quando non addirittura bambinizzano, il cane.

Milano, via del Gesù. È appena spiovuto. Una damona bionda sgrida il suo alano: «Serghei! Chi ti credi di essere? Via quei piedi dalle pozzanghere! Sitz! Sitz!». Supermercato a Lambrate. Una donna nella mia corsia è china su una carrozzina, a cui parla in bambinese: «Lo prendiamo il succhino cì? Cì cì cì, lo prendiamo, quello alla melina che ci piace tantino, cì cì cì». Penso: povero bambino. La sorpasso, e nella carrozzina ci sono tre pincher. Mirko, 38 anni, due anelli di brillanti al dito, fa leccare il suo yogurt a Giulietta, yorkshire. Mi scappa una smorfia: «Non sarà antigienico? I cagnolini, dopotutto, si leccano il sedere a vicenda appena possono». Mirko, ammiccante: «Perché, noi umani no?».

Peraltro, dei tre ipotetici episodi, solo quello dei poveri pincher costretti a non usare le zampe mi sembra degno di nota: alzi la mano chi non ha mai fatto leccare il fondo del barattolo dello yogurt al cane (immagino che il povero teorico Mirko, a cui viene fatta anche fare la figura del mezzo maiale, non facesse leccare l’inizio del barattolo…) o chi non ha mai usato un lessico personalizzato con il proprio cane, come la “damona bionda”.

Questi supposti soggetti sono lo spunto per introdurre il discorso del business legato agli “accessori per animali”, che parte già con un dato fallato: secondo l’articolo infatti cani e gatti sono “60 milioni, proprio come noi”. In realtà il rapporto a cui fa riferimento il pezzo parla di 60 milioni di animali domestici in totale, ma in quel conteggio erano inclusi tutti gli animali domestici. Il totale di cani e gatti è invece di 14 milioni, di cui i cani rappresentano il 48%.
Sempre grossi numeri, ma una diffusione decisamente minore di quanto faccia intendere l’articolo.
Si passa poi ai numeri:

Giochini, guinzagli, cucce, vestitini: spendiamo in questi gadget 67,7 milioni di euro l’anno. Profumi (39 euro quello di Prince and Princess, aroma cassis, cocco e menta); smalti ad asciugatura rapida (da 9 euro); cibi sempre più gourmet. I più cult oggi sono quelli della tedesca Terra Canis, che offre ad esempio terrine di “selvaggina con zucca, amaranto e mirtilli” a circa 5 euro l’una, promettendo che siano “commestibili anche per l’uomo”.

Trovo un po’ “giocare sporco” questa parte, perchè mettere insieme guinzagli e cucce (che rientrano nelle esigenze di praticamente qualsiasi proprietario) con giochini (e qui dipende da quali, perchè la varietà è molto alta) e soprattutto vestitini (che sono invece uno dei punti che l’articolo vuole criticare) non è proprio correttissimo. Comunque, fin qui si tratta solo di freddi numeri e tutto sommato si può anche concordare con il disappunto nel constatare l’esistenza di profumi e smalti per cani, ma da qui in poi le cose degenerano.

Si parla di alcuni animali famosi sui social, si riportano alcune dichiarazioni di un proprietario di un negozio che barda i suoi 7 cani, viene descritto un pasto dove commensali sono 10 coppie con relativi cani, con menu ad essi dedicato.
Ora, niente di male a descrivere l’esistenza di queste cose, anzi è sicuramente indicativo della situazione che si trovano a vivere alcuni animali, di come vengano spesso sfoggiati come status symbol e di come la cultura cinofila nel nostro Paese arranchi. Tuttavia, descrivere questo come se fosse la normalità, è nuovamente giocare sporco. Perchè questi eccessi sono – fortunatamente – una minoranza, il “Bau bau lunch” era palesemente un evento occasionale organizzato, come riportato nel pezzo, da una “PR di vip televisivi”.

In tutto ciò, direte voi, dove sta il punto del titolo? Ci stiamo arrivando. E’ comunque ormai ben chiaro che non si parla di un valore dal punto di vista affettivo, ma si affronta la faccenda dal punto di vista prettamente economico. E infatti, eccoci alla fatidica domanda:

A questo punto non è necessario essere Papa Francesco – un anno fa aveva tuonato contro «i cristiani che amano più i cani degli umani» – per iniziare a convertire le leccornie delle nostre bestiole in pasti caldi per senzatetto o aiuti ai rifugiati. Davvero è giusto viziare tanto gli animali di casa, mentre fuori la povertà fa vittime?

Ed eccolo li, l’immancabile “cane vs uomo”, variazione del “cane vs figlio” (che viene comunque parzialmente toccato nell’articolo), l’immancabile domanda imbecille di cui non si riesce mai a fare a meno. A tale domanda risponde, nell’articolo, un professore di Filosofia Morale.

«La domanda ci sta, ma riflette un’impostazione etica che ha grandi limiti», spiega Simone Pollo, professore di Filosofia Morale alla Sapienza e autore di Umani e animali: questioni di etica (Carocci, 2016). «Presuppone cioè che le relazioni che abbiamo coi nostri cani e gatti siano di serie b rispetto a quelle umane. Ma è un errore: sono specie che si sono evolute insieme a noi, di cui noi, come specie e anche come individui, non possiamo fare a meno».

Ebbene, vorrei dare una risposta anche io, dal basso della mia ignoranza.
E ribadire che la domanda è imbecille, perchè parte dal presupposto sbagliato.
Al netto che, come sa chiunque ci segue da qualche tempo, riteniamo la bambinizzazione del cane un vero e proprio maltrattamento, è folle fare una domanda del genere basandosi, prima di tutto, su un campione comunque “ridotto” di proprietari. E’ vero, purtroppo c’è chi pensa che il proprio cane sia una sorta di Barbie da addobbare diversamente a seconda della giornata, ma fortunatamente non sono certamente la maggioranza passeggiando normalmente in città, a meno di non essere la giornalista che ha curato il pezzo, è più probabile trovare cani portati normalmente al guinzaglio che non cani in passeggino a cui qualcuno chiede “prendiamo il succhino, cì?”, ma è anche vero che comunque si parla del proprio cane.
Abbiamo affrontato il tema, dal punto di vista dell’affetto, in un articolo di un paio di anni fa, ma ribadiamo brevemente il concetto: è chiaro ed è umano che si dia più valore a un essere vivente che si ha vicino, piuttosto che – ad esempio – rispetto a uno sconosciuto.
Ma del resto succede ogni giorno anche su temi riguardanto solo gli umani, pensiamo solo a come reagiamo diversamente quando succedono catastrofi “vicine a noi”: ne siamo solitamente molto più partecipi rispetto a ciò che succede in parti lontane del mondo, anche per come vengono riportate dai media.
Per quanto trovi folle anche io che ci sia chi ha duecento vestitini per i propri cani, lo stesso appunto si potrebbe fare allora su mille cose: perchè comprare la Ferrari, se potresti andare in giro anche con una macchina molto più modesta e con i soldi che risparmi fare qualcosa per la collettività? Però in quei casi l’obiezione è sempre “uno coi propri soldi fa quello che vuole”.
Invece, chissà perchè, se spendi per la macchina “figa”, sei un grande, mentre se spendi per comprare giocattoli al tuo cane sei un pirla.

Ripeto, questo nonostante addobbare il cane ogni giorno come una bambolina e quant’altro siano atteggiamenti che anche io trovo sbagliatissimi.
Ma se si fosse voluto affrontare il discorso “Un cane vale più di un uomo” in modo minimamente sensato, secondo me si sarebbero dovute analizzare situazioni almeno simili, ad esempio quanti fondi vengano destinati ai canili o alle associazioni animaliste e quanti ad associazioni umanitarie, oppure quante persone lasciano eredità a canili e gattili e quante invece ad enti di carità, giusto per dire le prime cose che mi vengono in mente. Perchè “accusare” chi spende per il proprio cane, è scorretto e fuorviante. Pur prendendo come base un’abitudine effettivamente purtroppo molto diffusa ed etologicamente sbagliatissima.

E solo a questo punto c’è praticamente l’unica parte dell’articolo che trovo condivisibile, perchè anche l’autrice del pezzo si pone la domanda su quasi siano le conseguenze di questi comportamenti per i cani.

Ma facciamo il loro bene? «È questa», continua Pollo, la vera domanda etica che sollevano le nostre follie di padroni. «Il profumo per cani, ad esempio: altera il loro olfatto, in base al quale si riconoscono; è per loro fastidioso; serve a noi per mitigarne l’odore naturale, ma non è giusto». I vestitini? «Dipende: molte razze patiscono il freddo». Stesso discorso per scarpine (sì, scarpine: d’estate l’asfalto è rovente e d’inverno c’è il sale antineve, e i polpastrelli dei più piccoli si irritano), frequenza della toelettatura, accessori vari. «La cosa migliore è chiedere a un veterinario come regolarsi sul singolo animale», senza rigidità. «Ma il nostro errore più frequente e dannoso è quello di pensare ai nostri animali come a begli oggetti. Nelle razze “di moda’’, ad esempio, vanno molto caratteristiche fisiche che noi riconosciamo come buffe o carine, e che sono invece per loro disfunzionali». Esempi: il “sedere basso” che oggi va molto fra i pastori tedeschi, «ma che riflette una displasia dell’anca. Le dermatiti di sharpei e bulldog che scegliamo per le pieghe tanto carine della loro pelle. I nasi schiacciati, le ossature tozze di molte razze che hanno poi problemi di parto e vite brevissime». E così via.

Anche qui, qualche appunto da fare a mio avviso ci sarebbe, ad esempio oltre che chiedere al veterinario per regolarsi sul singolo animale sarebbe magari anche un attimo bene informarsi prima di prendere il cane, ad esempio sulle caratteristiche e sulle origini della razza (così magari eviteremmo di vedere Husky in giro col cappottino appena si scende a -2), però questa parte è tutto sommato condivisibile. Peccato che venga relegata quasi in fondo all’articolo, come se fosse un problema marginale, quando invece è il problema primario, perchè i cani sono quelli che subiscono questo maltrattamento, queste follie e questi eccessi. E con eccessi intendo ovviamente chi passa le giornate a smaltare il cane, vestirlo “per la serata” e simili, non certo chi saltuarialmente cazzeggia con il proprio cane, anche Bisturi ogni tanto ha subito qualche angheria da parte di Fabiana, come potete vedere in foto.

Ma questo succede tra le mura domestiche, succede una volta ogni morte o dimissione di Papa, non è l’abitudine e Biba fa la sua normalissima vita da cane. Da questo punto di vista, trovo sbagliato anche come il pezzo metta in evidenza che molte delle “star di instagram” sono in realtà animali resi particolari per qualche patologia; è vero, ma non si tratta di qualcosa di cercato, e se la sfortuna dell’animale è stata trasformata in qualcosa di positivo da parte dei loro proprietari e l’animale grazie anche a questo fa una vita più agiata, che male c’è? Ammesso ovviamente che la “vita agiata” continui a garantire il rispetto delle sue caratteristiche di cane o gatto.
Grumpy Cat avrebbe avuto il suo “broncio” anche se non fosse diventata una star di Internet, e lo stesso vale per gli altri animali che il servizio cartaceo elenca con la didascalia “Freak Show”.

In alcuni casi, le malformazioni in questione sono dovute a incroci e accoppiamenti fatti a caso, da parte di quelle persone che pensano che “basti l’ammmore”, e che in molti casi effettivamente sono anche quelle persone che straviziano i loro animali e che potrebbero essere tra i protagonisti del servizio di questo inserto.
Non solo questo argomento è stato toccato solo “di striscio”, ma l’articolo si conclude con una serie di perle.

Gli stessi cani “toy” delle star – anche nostrane: i cagnolini di Paola Barale, i pincherini di Elisabetta Canalis, il bulldog di Chiara Ferragni – sono capolavori di marketing. Non solo hanno lineamenti tenerissimi, ma si possono infilare in borsa, hanno un pelo corto che sta pulito, ci si può sbizzarrire a vestirli. Costano, in genere, dai 2 mila euro in su in un buon allevamento. Una cifra che spendono molti italiani, racconta il veterinario Pasqualino Santori, presidente del Comitato di Bioetica Veterinaria. «Nel mio studio ne passano sempre di più, sembrano vivere l’acquisto del cane “bello’’ come una sorta di emancipazione da famiglie magari umili. Io, se dovessi pagare per un cane, ne preferirei uno non di razza – ha notato che non esiste una parola per dirlo? – che però è figlio di cani felici, educati bene, senza problemi di ansia o aggressività».

Dando anche per passabile il fatto che “toy” fosse inteso proprio come strumento e non come taglia del cane, se no dovremmo rifare un discorso fatto mille volte, dando per assunto che il “dai 2 mila euro in su in un buon allevamento” è il solito luogo comune (e sorvoliamo su quello del “cane bello come emancipazione da famiglie umili, per cui veramente non ho parole), ma veramente un veterinario avrebbe detto che “non esiste una parola per definire un cane non di razza” ?
Incrocio, meticcio, bastardino, cane fantasia, sono giusto le prime che mi vengono in mente e che penso chiunque abbia sentito in vita sua!
Sarebbe poi stato un attimino carino sottolineare che avere figli di cani “felici, educati bene, senza problemi di ansia o aggressività” sia proprio uno dei compiti dell’allevatore serio, ma evidentemente è pretendere troppo.

E’ decisamente un peccato che tutte queste pagine dell’inserto siano state sprecate per ingigantire una situazione in realtà fortunatamente ancora marginale, far sembrare che si comporti così la maggioranza dei proprietari di cani, e buttar li un titolo fuorviante come se automaticamente meno denaro speso per i cani potrebbe porre fine alla fame nel mondo.
Chissà, magari le stesse pagine avrebbero potuto essere dedicate a spiegare perchè tali atteggiamenti verso i propri cani siano errati, come mai comportars così con loro sia un maltrattamento, come i cani non siano “figli pelosi” ma vadano rispettati nella loro natura.
Magari qualcuno avrebbe capito l’errore che sta facendo e si sarebbe informato. Così, invece, il rischio è che ci sia chi incuriosito dall’argomento andrà a spulciarsi su Instagram i profili delle varie “social star”, e per essere più “alla moda” si adatti a questa tendenza.

Insomma, per l’ennesima volta, un’occasione sprecata per fare un’informazione cinofila decente, e non usando invece i cani come semplice “pretesto” per accapparrarsi lettori alimentando la cinofobia.

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1 commento

  1. Deliziosa l’ affermazione della veterinaria “se dovessi pagare per un cane preferirei farlo per uno non di razza”. Chi la sveglia e le spiega che vendere meticci è reato e che i peggiori sfruttatori di cani sono proprio i distributori di meticci?

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