di CATERINA FUCARINO – Faceva freddo e c’era un cane.
Non bello, non alto, ma neanche male.
Mi avvicinai e mi annusò. Prese confidenza. lo lo guardavo, ma non mi persuadevo. Avrei voluto che mi raccontasse qualcosa, che si confidasse, che gli piacessi davvero. Facemmo un po’ di strada insieme, eravamo al limitare dei boschi e s’intravedevano le luci del Natale imminente in paese. Passeggiavo, pensavo, cominciò a passeggiare con me. Poi andai via, a comprare qualche regalo. Il cane restò. L’indomani stessa storia. Non faccio mai questo tipo di compere se non vado prima un po’ a passeggiare, prima mi rilasso e poi mi fiondo nel caos.
Al terzo giorno il cane mi seguì, discreto e vicino. Lo lasciai fare, più che altro non sapevo che fare. Quando entravo nei negozi mi aspettava fuori. Arrivato a casa si fermò sulla soglia del portone. lo proseguii. L’indomani mattina non c’era. Doveva essere tornato nei pressi dei boschi. Nel pomeriggio mi seguì di nuovo e si fermò di nuovo prima che salissi a casa. E così per un po’ di giorni appresso. Un giorno comprai un libro sui cani, e un collare e un guinzaglio. Tanto per. Non si sa mai, mi dicevo.
Feci bene.
La gente in paese era abbastanza tranquilla alla vista del cane, non grande, non irrequieto, insomma affidabile, ma un agente della polizia municipale mi fece storie e misi collare e guinzaglio, e il cane se lo fece mettere. Mi dissi allora che dovevo verificare se fosse di qualcuno, lo feci, ma no, non era di nessuno. Potevo adottarlo.
Quell’anno c’era la neve, bella, bianca e soffice. E lo chiamai Neve. Ci stava anche un bel bagno prima di entrare a casa e una visita dal veterinario. Neve si fece condurre a fare sia l’uno che l’altra, non un fiato. Quel cane mi straniva. Ma dov’era stato finora? Scoprii che aveva all’incirca due anni e che era in buona salute. Ma Neve non volle salire subito a casa. Non lo forzai. Chissà, pensavo. Chissà che storia ha alle spalle. Intanto leggevo, mi documentavo. Così arrivò il Natale. E Neve mi stupì. Mi seguì a casa di mia sorella, piena di gente, mamma, papà, fratelli e sorelle, qualche zio e cugino. E lui inossidabile e silenzioso, si accucciò e ci guardò.
Tutti a chiedermi di lui, e lui lì, a sorbire tutto il trambusto. Pensai che venisse da una famiglia numerosa e rumorosa come la mia. Mangiammo e bevemmo e ci scambiammo i regali. Una classica vigilia di Natale in famiglia insomma. Tornai a casa a piedi, come era mio solito. Era tardi, quasi l’alba, ci eravamo dilungati più del previsto. Neve mi seguiva, come sempre. Arrivai fino al limitare dei boschi e Neve guardò per un bel pezzo da quella parte. Tornando, Neve mi stupì di nuovo. Mi seguì a casa. Chiusi la porta di casa e ci guardammo, eravamo soli in casa per la prima volta. Ma Neve non ebbe molte esitazioni, ispezionò un po’ la casa e si scelse un posto dove accucciarsi. Tutto bene, mi dissi. Cercavo di capire perché avesse scelto quel momento per seguirmi a casa, ma caddi esausto sul divano, dovevo dormire.
Mi svegliai a mezzogiorno, infreddolito e ancora stonato. Neve non era al suo posto e non lo vedevo. Mi diressi in cucina, avevo bisogno di un bel caffè forte. Era lì, davanti alla portafinestra, che guardava lontano, verso i boschi. Si girò subito al mio ingresso e ci guardammo. Quegli occhi nocciola erano una meraviglia di espressione, intensi e vocativi. I miei al confronto dovevano sembrare due palle vuote e ammaccate. E per la prima volta gli parlai: “Ehi, siamo solo noi due, io e te”. Mi si avvicinò, mi annusò a lungo, ero ancora vestito dalla sera precedente, dovevo avere addosso un odore rivoltante, si sedette di fronte a me e mi mise una zampa sulla coscia, poi disse “Bau”.
Solo bau, ma fu per sempre.
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