mercoledì 6 Novembre 2024

Cani dei coniugi separati: la legge non li capisce

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Valeria Rossi
Valeria Rossi
Savonese, annata ‘53, cinofila da sempre e innamorata di tutta la natura, ha allevato per 25 anni (prima pastori tedeschi e poi siberian husky, con l'affisso "di Ferranietta") e addestrato cani, soprattutto da utilità e difesa. Si è occupata a lungo di cani con problemi comportamentali (in particolare aggressività). E' autrice di più di cento libri cinofili, ha curato la serie televisiva "I fedeli amici dell'uomo" ed è stata conduttrice del programma TV "Ti presento il cane", che ha preso il nome proprio da quella che era la sua rivista cartacea e che oggi è diventata una rivista online. Per diversi anni non ha più lavorato con i cani, mettendo a disposizione la propria esperienza solo attraverso questo sito e, occasionalmente, nel corso di stage e seminari. Ha tenuto diverse docenze in corsi ENCI ed ha collaborato alla stesura del corso per educatori cinofili del Centro Europeo di Formazione (riconosciuto ENCI-FCI), era inoltre professionista certificato FCC. A settembre 2013, non resistendo al "richiamo della foresta" (e soprattutto avendo trovato un campo in cui si lavorava in perfetta armonia con i suoi principi e metodi) era tornata ad occuparsi di addestramento presso il gruppo cinofilo Debù (www.gruppodebu.it) di Carignano (TO). Ci ha lasciato prematuramente nel maggio del 2016, ma i suoi scritti continuano a essere un punto di riferimento per molti neofiti e appassionati di cinofilia.

E’ di qualche giorno fa la  notizia di due coniugi separati che discutono sull’affido del cane.
Non è la prima volta e non sarà l’ultima:  lui  fa valere il suo diritto di “padrone” (sono l’intestatario del microchip, quindi il cane è mio!), lei  fa valere le ragioni del cuore (mi sono sempre occupata io del cane, vuole più bene a me!).
I media  l’hanno passata come notizia comica o quasi: ma che si trovi un lato umoristico nella sofferenza di un essere senziente e capace di provare emozioni come amore, paura, solitudine, senso di abbandono è l’ ennesima dimostrazione del fatto che in Italia la cultura cinofila sia a livelli terzomondistici.
Non c’è proprio niente da ridere: è come se si trovasse comico un litigio per l’affidamento dei figli. E infatti  la legge italiana, che forse pensava di mostrare così un atteggiamento rispettoso,  si comporta esattamente come per i figli: il cane va in affido come se fosse un bambino, può stare alternativamente con i due proprietari e il coniuge non affidatario deve avvisare l’affidatario quando va a prendere il cane per i suoi quindici giorni, o per i suoi sei mesi.
Peccato che un cane NON sia un bambino; se è giusto il concetto di rispettarne la sensibilità come se fosse quella di un piccolo umano, non è altrettanto giusto che vengano equiparate due menti diverse, con esigenze  e desideri diversi.
Un bambino ha l’esigenza (e solitamente anche il desiderio) di vedere entrambi i genitori, di rapportarsi con loro, di parlare con loro: ma il cane no. Il cane è un animale sociale che ha bisogno di punti di riferimento: un ambiente stabile, una figura-guida umana, abitudini regolari e immutabili. Il cane è un abitudinario a cui servono, innanzitutto, certezze.
Se un bambino è in grado di capire che ogni tanto cambia casa, ambiente e famiglia per andare a trovare il genitore che non sta più con lui, per il cane lo spostamento è, ogni volta, uno choc: il cane non è in grado di capire il motivo del cambiamento, non sa che rivedrà la persona con cui viveva fino al giorno prima e ogni volta, più che “accolto” da uno dei due coniugi, si sente abbandonato dall’altro.
Quella che per un bambino che ama entrambi i genitori può essere un’occasione allegra (“vado a trovare papà!”), per il cane è un  trauma (“il mio umano/la mia umana mi manda via!”) che può essere piccolo o grande a seconda delle abitudini che aveva in precedenza: se per lui era normale passare un po’ di tempo con ognuno dei coniugi, è probabile che si adatti più facilmente a saltare da una casa all’altra, ma se passava tutto il suo tempo con uno solo dei due e considerava l’altro come un membro “di passaggio” nel suo branco (come spesso avviene quando uno dei due lavora fuori casa e passa col cane solo poche ore al giorno), allora andare da lui/lei non sarà una festa ma un motivo di grave preoccupazione (“dov’è finita la mia figura-guida? Questo/a qui lo/a conosco, mi è simpatico, ma io ho bisogno di lui/lei! Dov’è andato/a? Mi ha lasciato per sempre?”).
I cani dei separati, purtroppo, finiscono per  stressarsi molto più dei figli umani: semplicemente perché questi ultimi capiscono quello che succede (anche se non ne sono mai felici) e i cani no.
Concludendo: per quanto la legge si sia sforzata di essere “umana” nel suo atteggiamento verso i cani dei separati, in realtà è stata  solo –  perdonate il bisticcio – “umana verso gli umani”: perché i diritti del cane non sono stati presi in alcuna considerazione.
Passare da una mano all’altra, da una casa all’altra, magari addirittura da una città all’altra, per lui è traumatico: rassegnamoci all’idea e non illudiamoci che possa “fargli piacere” vedere entrambi i padroni. Proprio come al bambino, a lui faceva piacere che la famiglia stesse unita: ma una volta che si divide, la pratica dell’affido congiunto è – dal punto di vista della psicologia canina – una tortura inutile.
I coniugi separati dovrebbero pensarci prima di rivolgersi al tribunale, cercando tra loro, con onestà intellettuale e morale,  la soluzione migliore per l’amico a quattro zampe che avrà sicuramente “una” figura più importante per lui (e lo si può capire chiaramente dai suoi atteggiamenti… ma se proprio non ci si arriva, allora si può fare la classica scenetta da film con i proprietari che  liberano il cane in un prato e poi vanno in direzioni opposte, senza chiamarlo: lui ne seguirà uno solo, e quella sarà la sua scelta).
Il coniuge che non è stato “scelto” , a differenza di quanto accade con i bambini, potrà prendersi un altro cane e impostare un nuovo rapporto davvero esclusivo con lui: è normale che soffra per non poter più vedere il suo amico a quattro zampe…ma si presume che questo, dopotutto, NON sia il dolore maggiore, in una separazione. Spesso le discussioni che riguardano i cani sono più che altro ripicche e tentativi di ferire il coniuge, più che reali manifestazioni di attaccamento all’animale:  non è giusto che questo accada sulla pelle di qualcuno che sicuramente non ha alcuna colpa e che non dovrebbe soffrire per gli errori altrui.
I cani non sono bambini, che si possono tenere “un po’ per uno”, ma neppure televisori che “appartengono” a chi li ha pagati o a chi si è intestato il pedigree: i cani sono esseri senzienti e sensibili e vanno rispettati per quello che SONO, non per quello che “noi”  vorremmo che fossero (e che questo significhi “un bambino” o “un’arma contro il coniuge”, poco importa: un cane non è nessuna di queste cose).
Se amate davvero il vostro cane, in caso di separazione, fate in modo che continui a vivere con la figura più importante per lui: va benissimo che “veda” anche l’altro, ma sarà lui  (o lei) a doverlo andare a trovare a casa sua, dove sarà accolto da feste interminabili e da esplosioni di gioia. Certo, gli/le toccherà anche vedere l’ex marito o moglie: ma per amore (verso il proprio cane) si sopporta questo ed altro…e se non siamo in grando di sopportarlo, significa che il cane non lo amavamo poi tanto; quindi è giusto che stia dove sta.

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  • Valeria Rossi

    Savonese, annata ‘53, cinofila da sempre e innamorata di tutta la natura, ha allevato per 25 anni (prima pastori tedeschi e poi siberian husky, con l'affisso "di Ferranietta") e addestrato cani, soprattutto da utilità e difesa. Si è occupata a lungo di cani con problemi comportamentali (in particolare aggressività). E' autrice di più di cento libri cinofili, ha curato la serie televisiva "I fedeli amici dell'uomo" ed è stata conduttrice del programma TV "Ti presento il cane", che ha preso il nome proprio da quella che era la sua rivista cartacea e che oggi è diventata una rivista online. Per diversi anni non ha più lavorato con i cani, mettendo a disposizione la propria esperienza solo attraverso questo sito e, occasionalmente, nel corso di stage e seminari. Ha tenuto diverse docenze in corsi ENCI ed ha collaborato alla stesura del corso per educatori cinofili del Centro Europeo di Formazione (riconosciuto ENCI-FCI), era inoltre professionista certificato FCC. A settembre 2013, non resistendo al "richiamo della foresta" (e soprattutto avendo trovato un campo in cui si lavorava in perfetta armonia con i suoi principi e metodi) era tornata ad occuparsi di addestramento presso il gruppo cinofilo Debù (www.gruppodebu.it) di Carignano (TO). Ci ha lasciato prematuramente nel maggio del 2016, ma i suoi scritti continuano a essere un punto di riferimento per molti neofiti e appassionati di cinofilia.

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4 Commenti

  1. Trovo aberrante il siparietto del cane che lasciato libero segue una persona e a quella si affida. A parer mio la persona guida non si vede in questo modo, e lo trovo del tutto superficiale se è davvero un modo usato nei tribunali!. I miei cani seguirebbero il mio ex compagno se ci trovassimo fuori casa perché lui, ad esempio, è sempre stato quello che li portava fuori più spesso (causa orari di lavoro), li lasciava più liberi a scapito anche della sicurezza, li ammazzava di snack perché era più semplice che preparare un pasto sano ma di sicuro meno apprezzato, non li costringeva a “subire” piccole “torture” quotidiane/settimanali tipo spazzolata o pulizia orecchie (dolorosa ma necessaria) bidet etc…avrebbero scelto lui di sicuro, per correre poi da me in caso di bisogno, di stress, di ansia, di paura o rifugiarsi tra le mie braccia se stavano male… Io son sempre stata la mamma rompiballe e noiosa che ci dice No e ci lava il pisellino e ci fa mangiare pollo bollito ma che si accorge immediatamente di un nostro disagio o di un malessere o di un dolore etc…lui il papà delle passeggiate sì, ma anche del fegato ingrossato a causa delle schifezze date da mangiare e che non si accorge mai se stiamo male o siamo a disagio. Avrebbero seguito lui in un Prato, quindi secondo ciò che ho letto in questo articolo io avrei dovuto farmi da parte perché la loro guida non sarei stata io. Non sono esperta cinofila ma mi trova del tutto in disaccordo e, davvero, se i metodi dei tribunali son questi, c’è di che aver paura. Se si arriva davanti a un giudice significa che una o entrambe le parti non vogliono saperne di un accordo e credo che la decisione del giudice possa anche essere drammatica per una delle parti. Amare il proprio cane significa anche non essere disposti a rinunciare a lui…farò spalancare la bocca a molti che ancora parlano di loro dicendo è poi “solo” un cane o sorridono davanti a notizie o cause giudiziarie per l’affido del proprio amico…ma per chi arriva alla causa e se lo vede togliere magari per superficialità delle leggi, be’ che ci piaccia o no, può essere devastante. Perché c’è chi ama i cani come ama i propri figli, amici, nipoti…essì, malgrado i bambini dell’Africa…scusate il sarcasmo ma non ne posso più di luoghi comuni e assurdi…tipo quello di veder spesso paragonati i bisogni dei cani con i poveri bimbi africani…Io non so se sono la loro guida, so che me ne prendo cura al meglio delle possibilità e sicuramente in modo meno “popolare” (per i cani) di quanto abbia mai fatto il mio Ex compagno. Quindi chi è in realtà la loro guida? A chi affiderebbe i cani un giudice?

    • Bravissimaaaa. Ho 4 cani e la penso come te. Sono separata e quando abbiamo provato a fare come si diceva e cioè ad uscire con la piccola, liberarla e prendere due posizioni opposte la poverina non ha mosso un passo e quando ci siamo allontanati un po’ ha cominciato ad uggiolare da far pena. Stessa sorte gli altri 3. Questo va clamorosamente a smentire la logica dell’articolo e mi porta a pensare che come in qualunque separazione dove ci siano figli: umani o pelosi si debba seguire la logica anche dell’affido congiunto. Non bisogna essere esperti cinofili per appurare la sofferenza di questi poveri pelosi. È vero che non bisogna umanizzarli ma è altrettanto vero che ormai vivendo con noi umani si sono auto umanizzati e di questo bisogna prendere atto.

  2. La nostra borderina è stata portata in canile a seguito della separazione dei padroni, tra l’altro con sua sorella.. (che mi viene da chiedere: ma un cane a testa no?) Bel modo di risolvere la questione.. Per fortuna l’abbiamo portata a casa noi, ma abbiamo dovuto combattere per anni per risolvere le sue “crisi d’abbandono”..

  3. Articolo che offre uno spunto di riflessione molto interessante, ma che non può fare a meno di suggerire molte domande. Purtroppo sono sempre più convinta che ai piani alti dove si creano le leggi ci possano essere si persone che amano i cani, ma questo non basta, e di persone che li CONOSCONO ce ne siano molte meno.
    Una separazione porta con sé una valanga di preoccupazioni e pensieri, soprattutto se di mezzo ci sono dei bambini. Una coppia intelligente non dovrebbe avere problema per la gestione del cane, ma c’è un’altra cosa secondo me alla quale si dovrebbe pensare. Quando una persona si separa, inizia spesso per lui un nuovo stile di vita, un nuovo lavoro, nuovi obiettivi… tutta una gamma di situazioni che non esistevano quando si è formata la coppia e si è preso il cane! Ora, se la persona “guida” del cane, si trova all’improvviso tante ore fuori casa, oppure ad avere problemi economici, non sarebbe meglio trovare un’altra soluzione per l’animale? DDD: La vedo dura, ripeto, perché già è difficilissimo gestire in tranquillità il problema bambino, e la legge spesso e volentieri in questo caso è totalmente a favore della donna, che un uomo se si separa se non ha una casa e un po’ di soldi da parte è rovinato, che temo che saranno ancora lontani i tempi in cui il cane verrà visto come un essere pensante (e che quindi ama e soffre) e non solo un oggetto che spetta a questo o a quell’altra.

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