venerdì 29 Marzo 2024

Cucciolo o adulto?

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La maggior parte delle persone che si mostra intenzionata all’acquisto di un cane richiede il cucciolo.
Un cane di pochi mesi, per molti, è rassicurante: è dipendente, segue naturalmente l’uomo, si abitua al contesto familiare in cui deve vivere, non ha comportamenti radicati che possono risultare sgraditi e si affeziona al nuovo padrone in modo spontaneo e naturale.
D’altronde sono stati scritti innumerevoli libri e articoli che consigliano come accogliere un cucciolo, come abituarlo alla casa, come insegnargli la pulizia e l’educazione; in pratica, si dà per scontato che il cane arrivi nella nuova famiglia a pochi mesi. E in effetti questa è la norma, quando si acquista un cane ben allevato di cui si conosce la provenienza, seguito da un allevatore competente che si è premurato di socializzarlo e di provvedere alle cure necessarie.
Ma quando un cane proviene da un rifugio per cani abbandonati, le cose sono un po’ diverse. Nelle prossime righe, cercheremo di ripercorrere le fasi di crescita del cane, cercando di capire in quali occasioni questi matura il suo attaccamento all’uomo. Solo così potremo renderci conto dell’importanza dell’età di adozione e capire che cosa comporta adottare un cucciolo o un adulto nelle diverse situazioni.

La fase della socializzazione

Come molti già sapranno, i cuccioli nascono sordi e ciechi.
Anche l’olfatto è poco sviluppato. Sono sensibili solo al calore, verso il quale sono attratti, non essendo capaci nemmeno di riscaldarsi autonomamente.
La socializzazione ha inizio allorquando il cucciolo comincia a sviluppare i sensi principali. Prima dei quindici giorni, si aprono gli occhi e poco dopo l’udito inizia a funzionare.
Verso i venti giorni, i cuccioli iniziano a spostarsi orientati da vista, udito e olfatto e iniziano a “decidere della loro vita”, che ora non è più regolata da semplici coordinazioni ereditarie.
E’ la fase dell’imprinting, nella quale hanno inizio i cosiddetti “comportamenti complessi” diversificati in base alle esperienze vissute. Il cucciolo si muove, esplora ogni cosa ed è attento a tutto ciò che succede intorno.
Ogni esperienza positiva o negativa si imprime in modo indelebile nella memoria del cane e lo condizionerà per tutta la vita.
E’ intuitivo pensare a quanto sia importante il contatto umano in questo periodo.
E’ la chiave della domesticità.
I cani dovrebbero, per quanto possibile, essere toccati da più persone, maschi e femmine di diverse età, per evitare di imprimere solo la figura dell’allevatore.
Se imprinting e socializzazione del cucciolo coinvolgono anche i bambini, non si avranno mai episodi di aggressività predatoria o da paura.
Dovrebbero vivere in un ambiente stimolante, incontrare altri animali, sentire odori diversi, imparare da subito che la vicinanza dell’uomo è normale e piacevole.
I cuccioli cresciuti in isolamento o con pochi contatti rimangono timorosi dell’uomo per tutta la vita. E sono irrecuperabili.
Con molta pazienza si può ottenere che si avvicinino all’uomo per prendere cibo. Ma niente di più. Non potremo mai essere considerati come parte integrante del branco.
A differenza di quanto avviene nelle specie a sviluppo rapido, i cui piccoli sono già in grado appena nati di camminare e nutrirsi autonomamente, che identificano la prima cosa che vedono come appartenente alla propria specie (chi non ricorda l’oca Martina di Lorenz?), l’imprinting nel cane non è un fenomeno istantaneo, ma i cuccioli rimangono aperti all’influenza esterna per circa 9 settimane (dalla terza alla dodicesima).
Nel branco naturale, in questo periodo, i lupacchiotti escono dalla tana e incontrano un padre sempre molto felice di accoglierli.
Purtroppo nel cane domestico il padre è spesso assente.
E questo, in parte, contribuisce a far sì che molti cani abbiano problemi a recepire o mettere in atto i segnali di sottomissione, che vengono appresi proprio in questo periodo, con conseguenti problemi a rapportarsi con i conspecifici.
Mediamente il cane domestico è infatti abbastanza litigioso, pur appartenendo a una specie destinata a vivere in branco.
Gran parte del linguaggio, comunque, è appresa, sempre in questo periodo, grazie ai giochi con i fratelli.
Gli inseguimenti e le lotte su cui si basano i giochi dei cuccioli sono alla base dello sviluppo dei modelli comportamentali dell’adulto.
Al momento del pasto, specialmente se viene fornito cibo solido che si può portare lontano dalla ciotola, i cuccioli litigano animatamente cercando di accaparrarsi i pezzi più grossi.
I più sottomessi sono i primi a rinunciare, accontentandosi dei pezzi meno ambiti.
La gerarchia alimentare è appresa in questo momento: i cuccioli imparano che non è una cosa saggia avvicinarsi a un proprio simile mentre sta mangiando qualcosa che gli appartiene.
Per questo non bisognerebbe separare i cuccioli al momento del pasto e sarebbe bene lasciare anche la madre, che a quell’età impartisce severe lezioni di educazione ai figli irriguardosi che attentano al cibo a lei destinato.
Se il cibo è sufficiente per tutti, i pasti saranno un’ottima occasione per definire le gerarchie e si eviterà di sviluppare l’invidia per il cibo altrui, giacché i cuccioli si renderanno presto conto che la presenza di altri cani non comporta il rischio di rimanere a bocca asciutta.
I giochi in questo periodo riprendono i moduli della lotta e della caccia.
I cuccioli si scambiano frequentemente i ruoli, imparando a mettere in pratica schemi offensivi e difensivi e a misurare le proprie forze.
Se un cucciolo morde provocando dolore, il fratello reagisce bruscamente, segnalando che è stato superato il limite; anche il nuovo padrone dovrebbe rifarsi a questa scuola per far capire al nuovo arrivato fino a che punto è possibile mordere per gioco.
In situazione di stress o di pericolo i cuccioli si rifugiano nella cuccia e si accalcano l’uno sull’altro. In questo modo si sentono sicuri.
E’ ben difficile che un cucciolo possa acquisire una paura indelebile in questa fase, mentre sarebbe quasi sicuro il contrario se lo stesso stimolo si presentasse al cucciolo rimasto solo, o nella casa del nuovo padrone che ancora non conosce.
Molti cuccioli maturano paure di cui non si libereranno più, proprio per negligenze umane in questo periodo così delicato.
Viaggi in auto rinchiusi nel bagagliaio senza il conforto di una carezza umana, veterinari che li spaventano alla prima visita, bambini che giocano in modo maldestro, temporali affrontati dormendo soli in giardino.
Per questo molti allevatori preferiscono affidare il cucciolo a tre mesi, benché a volte la madre si dimostri disinteressata o infastidita ben prima e benché sia possibile un distacco già a 50 giorni.
Ma a quest’età ogni possibile spavento, ogni situazione negativa rimane impressa nella mente del cucciolo compromettendone uno sviluppo equilibrato.
Si può ben intuire quanto sia rischioso affrontare in questo periodo uno stravolgimento totale della propria vita: ambienti nuovi in cui non ci si orienta, volti nuovi, odori diversi.
Ovviamente c’è anche il rovescio della medaglia: la nuova casa generalmente è anche molto più stimolante per l’intelligenza del cucciolo rispetto all’allevamento, specie se questo consiste in un recinto.
In pratica, fatta salva la necessità di trascorrere almeno 50 giorni con la madre e con i fratellini, sia per motivi di alimentazione che, soprattutto, per poter sviluppare un linguaggio canino corretto, il tempo rimanente fino al raggiungimento dei tre mesi è meglio sia trascorso presso la persona che meglio segue il cucciolo.
Se il nuovo proprietario è competente e attento alle esigenze del cane, lo potrà seguire molto meglio rispetto a un allevatore, specialmente se questi si occupa contemporaneamente di più cucciolate.
Viceversa se il nuovo proprietario non ha molto tempo da dedicare al cucciolo o se non è molto esperto o se l’allevatore è un vero appassionato che si dedica anima e corpo alla cucciolata crescendola in casa, il cane cresce più equilibrato rimanendo a lungo con la madre e/o i fratelli.

L’abbandono dei cuccioli

La situazione peggiore che si può incontrare è quella in cui il cane proprio in questo periodo venga portato al canile, magari passando attraverso un abbandono.
Benché i cani si riproducano tutto l’anno, il boom delle nascite si ha generalmente in primavera.
Ogni primavera, puntualmente da quando faccio volontariato in canile, ritroviamo i soliti scatoloni con cuccioli di poco più di un mese abbandonati davanti al cancello del canile.
Ma c’è anche chi, ben presto (dopo una settimana di pipì in casa) si accorge di aver fatto una scelta sbagliata e non esita a consegnare il proprio cucciolo al canile adducendo le motivazioni più fantasiose.
I cuccioli sono facili da piazzare, per la convinzione radicata nelle persone che essi “imparino tutto” e per il loro aspetto sempre accattivante, anche quando si preannuncia una morfologia abbastanza bruttina.
Allo stesso tempo, sono una delle categorie più soggette agli abbandoni. Perché una femmina di taglia media può benissimo sfornarne sette od otto. Spesso, i padroni non hanno il cuore di abbatterli, ma ben presto si accorgono che nessuno li vuole e vanno comprensibilmente in panico.
Quante persone hanno la possibilità aumentare la propria famiglia di otto cani che ben presto raggiungeranno i 15-20 kg?
E allora li lasciano al canile.
Quando va bene.
I più incoscienti, invece, li lasciano per strada, magari davanti a una scuola, pensando che i cuccioli facciano presa sui bambini e che qualcuno se ne occuperà.
Invece succede che i cuccioli arrivano ugualmente in canile, un po’ più affamati, con qualche malanno rimediato passando da situazioni precarie, notti all’addiaccio, persone che li nutrono ma non li vogliono in casa, tentativi di adozione falliti (il bambino che si porta a casa un cucciolo e i genitori che lo costringono a riportarlo dove è stato trovato). Insomma, un bagaglio di esperienze negative da far spavento.
Anche il canile non è comunque un posto adatto a un cucciolo.
Il personale stipendiato dei canili municipali non è pagato per socializzare i cuccioli, ma solamente provvedere all’alimentazione e alla pulizia dei recinti. Queste operazioni non impegnano tutto il giorno e i cuccioli finiscono per ricevere meno cure di quelle dovute.
Anche nei rifugi sostenuti dal volontariato i volontari si alternano in turni, ma è già dura riuscire a coprire tutti i giorni della settimana. Nessuno passa la notte con i cani, che spesso devono rimanere da soli anche per qualche ora durante il giorno.
I cuccioli invece hanno bisogno di tempo e di attenzioni.
Devono mangiare spesso, devono poter essere rassicurati se piangono di notte, non devono essere spaventati da altri cani e dovrebbero vivere solo esperienze positive.
Per quanto possibile, si cerca sempre di non farli restare in canile.
A volte si trova qualche volontario che si rende disponibile a tenerli a casa propria in attesa di sistemazione. Ma le case dei volontari sono spesso ai limiti della capienza in fatto di animali.
E se i cuccioli abbandonati sono tanti, la situazione è critica.
I cuccioli che si trovano nei canili sono sicuramente la categoria più a rischio di presentare problemi e manifestare comportamenti indesiderati.
Se in canile notiamo cani fobici, che temono l’uomo o che hanno dei comportamenti poco equilibrati, si tratta, al 90% di cani abbandonati da cuccioli.

La fase dell’ordinamento gerarchico

Proseguiamo ora il nostro viaggio nelle fasi che determinano lo sviluppo della personalità canina.
Con il passare delle settimane, gradualmente i cuccioli perdono la loro condizione di intoccabilità, e non possono più permettersi di disturbare gli adulti impunemente.
Nel branco naturale il ruolo del padre diviene ora più importante di quello della madre.
Il padre rappresenta il capo assoluto ed è grazie ai suoi insegnamenti che i cuccioli apprendono il rispetto per i superiori, che sta alla base dell’unità del branco.
Un padre equilibrato è un esempio di determinazione e coerenza.
Generalmente esercita la sua supremazia stabilendo dei divieti, imponendo la propria precedenza sul cibo, decidendo quando iniziare o terminare qualsiasi attività.
Ogni comportamento ribelle viene dissuaso con gesti ritualizzati, ma sempre, puntualmente e insistentemente, non permettendo mai di trasgredire.
Può essere necessario insistere per più volte, ma i cuccioli, alla fine, finiscono sempre per sottomettersi e riconoscere l’autorità paterna.
Sottomissione non significa paura.
Significa soprattutto ammirazione e ne sono la prova gli atteggiamenti di gioia con cui il padre è accolto quando rientra dopo brevi assenze e l’affetto che i cuccioli gli dimostrano.
Molti padroni dovrebbero prendere esempio dal comportamento di papà cane, perché è così che ci si deve comportare se si vuole instaurare un giusto rapporto di fiducia e se si vuole essere obbediti senza dover minacciare né corrompere il cane, ma facendo leva sull’intesa e sull’affetto reciproco.
A differenza di molti padroni, il padre canino è paziente, ma sempre molto coerente.
Se decide che un cucciolo non deve fare qualcosa tiene fede al suo divieto, sempre e comunque. Non gliela fa passare liscia.
Quante volte invece i padroni prima portano il cucciolo in casa e poi pretendono che stia fuori, prima elargiscono bocconcini e poi pretendono che non elemosini a tavola. A volte lo fanno salire sul divano e altre non glielo permettono.
In questo modo possiamo creare una notevole confusione nel cucciolo che sfocia nella disobbedienza totale e nella sfiducia nel padrone come capobranco quando il cane diviene adulto.
Il capobranco è la guida da seguire, l’esempio da imitare.
Molti padroni sono dei semplici “proprietari”, in quanto non hanno saputo dare i segnali giusti per essere riconosciuti come capobranco dal proprio cane.
A partire dalla tredicesima settimana fino al superamento del quinto mese d’età, infatti, il cucciolo codifica la propria posizione all’interno del branco.
Gli etologi definiscono questo stadio come “fase dell’ordinamento gerarchico”. E’ una fase importante perché la gerarchia sta alla base della stabilità del branco. E stabilità significa sopravvivenza.
Un lupo senza branco è un lupo morto e per questo tutti i moduli comportamentali della specie hanno come fine ultimo l’equilibrio dei ruoli.
In questa fase il cucciolo si inserisce in famiglia nella sua posizione fissa e impara a rispettare il proprio rango nella gerarchia.
E’ a quest’ètà che il cane “sceglie” il padrone-capo al quale rimarrà fedele per tutta la vita.
Se però nel nucleo familiare non c’è nessuno che abbia i requisiti di coerenza e di forza di carattere per poter svolgere questo ruolo, il cane può anche rimanere senza padrone (dal suo punto di vista) e autoeleggersi capobranco.
Queste situazioni sono piuttosto infrequenti.
Il cane si rende conto della nostra maggior intelligenza e della nostra superiorità.
Quante cose “magiche” sappiamo fare! Li trasportiamo a distanze incredibili in poco tempo, sappiamo raggiungere a zone che per lui sono inaccessibili, senza fatica ci procuriamo tutto il cibo che vogliamo.
Ai suoi occhi dobbiamo apparire come esseri soprannaturali.
Il ruolo di capobranco comporta inoltre una certa responsabilità ed essere dominante sugli uomini crea una tensione che molti cani non riescono a reggere. Eppure alcuni non possono fare altrimenti.
Perché l’uomo, malgrado la sua intelligenza, a volte se anche essere molto limitato. Non sa riconoscere gli odori e i pericoli, è incoerente, non rispetta le cerimonie del saluto, non riconosce i segnali di sottomissione.
E’ davvero impensabile per certi cani riconoscere il ruolo di guida a una persona così sprovveduta. Per questo alcuni soggetti piuttosto dominanti non obbediscono a nessuno dei familiari e arrivano persino a ribellarsi a eventuali costrizioni.
Nella maggior parte dei casi però la selezione per la domesticità è così forte che il cane si adegua e riconosce almeno un “capo-branco” umano, magari quello più coerente, e, al limite, si comporta da superiore nei confronti di tutti gli altri membri.
I bambini solitamente sono considerati come cuccioli e per questo godono di una certa immunità, malgrado il cane non li riconosca come superiori.

L’abbandono del cane adulto

Dopo tutto questo discorso, è facile capire quanto sia importante il comportamento del proprietario nel periodo tra il quinto e il sesto mese d’età al fine dell’attaccamento del cane al nucleo famigliare.
Abbiamo detto nei paragrafi precedenti che, mancando il contatto umano durante la fase della socializzazione il cane non vedrà l’uomo come appartenente alla propria specie, né tanto meno come una specie con la quale sia possibile relazionarsi e con cui si possa vivere bene.
Mancando un giusto approccio nella fase dell’ordinamento gerarchico, invece, il cane non avrà paura dell’uomo, ma potrà considerare il proprio padrone come un “quasi conspecifico” qualsiasi, cioè alla stessa stregua di un cane estraneo con cui non abbia nessun legame affettivo o di dipendenza.
Un imprinting insufficiente, come abbiamo visto, compromette irrimediabilmente lo sviluppo di un carattere equilibrato.
A eventuali mancanze nella fase dell’ordinamento gerarchico, invece, si può sempre ovviare.
Nel periodo della socializzazione si fissa infatti il riconoscimento delle specie con le quali è possibile vivere e comunicare.
In quello dell’ordinamento gerarchico si fissa il riconoscimento di alcuni individui come facenti parte del proprio branco in una determinata posizione, che tendenzialmente rimarrà stabile.
Di fatto, però, anche in Natura, la stabilità non è sempre assicurata, se non altro per fattori anagrafici.
Mentre il capo umano, a causa della maggior longevità, rimane tale per tutta la vita del cane, il capo canino invecchia e muore. Alcuni membri del branco possono soccombere a seguito di incidenti di caccia. Il branco può smembrarsi perché divenuto troppo numeroso o perché la casualità fa venir meno l’equilibrio tra i sessi.
In sostanza, il cane rimane fedele alla gerarchia fissata al quinto mese di vita finché può.
Se, per qualsiasi motivo, la composizione del branco cambia, malgrado le sofferenze implicite, ci si deve adattare. E’ possibile persino il passaggio da un branco a un altro. La vita in branco rimane però un’attrattiva irrinunciabile.
Il lupo che per qualsiasi ragione si ritrovi solo, dopo un iniziale periodo di dolore e abbattimento, si mette inevitabilmente alla ricerca di un nuovo branco e cerca di fare il possibile per farsi accettare, sia pure come ultimo della scala gerarchica.
Si avvicina con cautela, rimane ai margini del territorio, subisce attacchi e viene cacciato più volte, ma non desiste. Esibendo comportamenti sottomessi e rispettando la supremazia degli altri, finisce per farsi accettare.
I cani abbandonati si comportano nello stesso modo. Il padrone conosciuto nell’età preadolescenziale rimarrà sempre il loro riferimento ideale.
E riprenderebbe sicuramente il suo posto, anche rifacendosi vivo dopo dieci anni. Se però questa figura sparisce, il cane non può vivere a lungo senza una guida. Il cane non può vivere senza un branco

Dopo l’immancabile periodo di abbattimento e sofferenza, alla stessa stregua dei lupi, anche il cane rimasto “orfano” inizia una ricerca disperata di inserimento in un nuovo branco umano.
I cani abbandonati, dopo qualche settimana di vagabondaggio, si portano nei pressi di qualche insediamento urbano e iniziano qualche approccio con i residenti, mostrando evidenti segni di sottomissione che vengono interpretati dall’uomo come paura.
Il cane che ci corre incontro, che si lascia accarezzare, che fa le feste al primo approccio è solitamente un cane vagante che ha un padrone e che si sente sicuro perché conosce il territorio.
I cani abbandonati sono apparentemente timorosi, spesso non si lasciano avvicinare, ma seguono a distanza. Sembrano impauriti e traumatizzati. In realtà, invece si comportano solo seguendo uno schema naturale, esibendo i moduli comportamentali di estrema sottomissione che nella società canina massimizzano la probabilità di essere accettati in un branco di conspecifici.
I cani adottati provenienti dall’abbandono sviluppano un attaccamento quasi morboso, nei confronti del nuovo proprietario e una devozione senza pari.

Possono apprendere esercizi e discipline alla stessa stregua dei cani cresciuti dallo stesso padrone da cuccioli; anzi, molto spesso sono meno egoisti e molto riconoscenti.
Possono divenire campioni di obbedienza e dimostrare molte capacità intellettive, grazie anche a un maturato senso pratico sviluppato nel periodo in cui hanno dovuto imparare a cavarsela da soli.
Le pene che devono provare per arrivare a questa condizione sono però una sofferenza indicibile.
La possibilità di adattarsi a una nuova famiglia anche in età adulta è un consiglio “a senso unico”.
Il mio invito è infatti quello di non farsi nessuno scrupolo ad adottare un cane adulto proveniente dall’abbandono, in quanto i traumi subiti in età postadolescenziale si superano tranquillamente.
Se il cane è stato a suo tempo normalmente socializzato, avrà le capacità di adattarsi a nuove situazioni. Un animale di questo tipo può aver sofferto parecchio, ma questa sofferenza non lascia un segno indelebile nel suo carattere.
E’ sicuramente un’opera buona mettere fina alla sua sofferenza regalandogli una nuova famiglia.
Sconsiglio però in ogni caso di cedere un cane già adulto che ha vissuto con noi per i primi sei mesi di vita.
E’ vero che potrà adattarsi a un’altra famiglia, ma il distacco comporterà sicuramente una grande sofferenza che è meglio evitare, soprattutto se la fase dell’ordinamento gerarchico si è svolta in modo corretto.
Se il cane non ha stretto un legame sufficientemente forte col primo padrone, la sofferenza per il distacco sarà minore. Però questi cani non sono comunque i più facili da reinserire in ambiente famigliare.

Le categorie più problematiche

Oltre ai casi di imprinting insufficiente, di cui abbiamo già parlato, nell’ambito dei cani adulti, i casi di adattamento più difficile sono rappresentati da due tipologie.
La prima è costituita da quei cani ben socializzati e ben inseriti in un contesto familiare che non subiscono un abbandono vero e proprio, ma vengono ceduti direttamente alla nuova famiglia o portati in un rifugio ben organizzato che si occupa di loro non facendo mancare niente.
Il rischio, in questi casi è di avere dei cani a pensione.
Cioè cani che accettano il cibo e le cure del nuovo proprietario, ma non ne riconoscono l’autorità, perché, non avendo la nostra cognizione del tempo, continuano ad aspettare il primo padrone che non torna più.
Per poter avere qualche successo è necessario che si rendano conto della loro situazione di abbandono, anche se questo comporta una certa sofferenza. Almeno però non soffriranno la fame e non rischieranno la propria salute, né la propria vita, a differenza dei cani abbandonati in strada.
Per instaurare il giusto rapporto, dobbiamo solamente non imporre la nostra presenza e far sì che sia il cane a sentire la nostra mancanza e a cercare la nostra vicinanza.

Il secondo caso difficile riguarda quei cani che non hanno mai incontrato una figura umana capace di impersonare il ruolo di capobranco.
Come già spiegato, questi cani possono sentirsi costretti ad assumersi la responsabilità di ricoprire questo ruolo. Se incappiamo in un soggetto che abbia maturato un carattere indipendente e sia fortemente dominante, sarà sicuramente duro fargli accettare l’autorità di un nuovo padrone.
Si sentirà sfidato e farà qualsiasi cosa per non farsi scavalcare, difendendo con i denti la sua posizione di supremazia. Bisogna essere forti, determinati, ma allo stesso tempo non invasivi e si deve cercare di evitare ogni situazione di conflitto con il cane.
La maggior parte dei cani però, a causa della selezione operata dall’uomo per millenni, non ha un carattere sufficientemente forte per poter impersonare il ruolo di capobranco senza stress.
Quasi tutti sono ben contenti di lasciare questo compito a una persona di cui si fidano e che dia loro sicurezza e protezione.
I cani con problemi caratteriali irrecuperabili sono in realtà molto rari.
Se ci rivolgiamo a un rifugio, i volontari sapranno sicuramente riconoscere questi casi difficili e indirizzare ogni persona verso le tipologie di cane compatibili con le proprie esigenze e competenze.

Considerazioni finali

Arrivando alle conclusioni di questo lungo discorso, possiamo dire che a differenza di quanto avviene con i cani più fortunati che rimangono con il proprio padrone per tutta la vita, con cui raggiungono un affiatamento maggiore se presi da cuccioli, nel caso di cani abbandonati si hanno meno problemi se l’adozione avviene in età adulta.
I cuccioli sono troppo sensibili per poter affrontare un abbandono senza traumi. Dovrebbero, per quanto possibile, essere affidati a persone esperte, che hanno già avuto diversi cani.
E infatti, fortunatamente, una delle poche situazioni in cui è veramente più indicato il cucciolo è quella in cui il nuovo padrone possieda già altri cani sia maschi che femmine.
In questo caso un adulto sarebbe accettato con difficoltà dal branco canino preesistente. Un cucciolo invece, di norma, è accettato senza problemi, a volte addirittura con gioia.
E il beneficio è reciproco: i cani più anziani potranno inoltre migliorarne le capacità comunicative, sopperendo all’importantissima figura del padre, se questa è mancata, e ovviando a eventuali carenze derivate da un distacco dalla madre in età troppo precoce.

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