di CHIARA TOMIAZZO – Prima di parlare della visione del cane è giusto fare una veloce panoramica delle principali strutture che vanno a costituire l’occhio.
Partendo dall’esterno verso l’interno abbiamo:
Cornea: devia la luce facendola convergere sulla retina;
Pupilla: controlla variando il suo diametro la quantità di luce che entra nell’occhio;
Cristallino: devia la luce facendola convergere sulla retina, grazie alla sua elasticità consente di mettere a fuoco gli oggetti posti più vicino;
Corpo Vitreo: sostanza trasparente che viene attraversata dalla luce diretta alla retina;
Retina: trasforma gli impulsi luminosi in impulsi elettrici;
Ganglio e Nervo Ottico: trasmette gli impulsi elettrici dalla retina alla corteccia cerebrale.
L’evoluzione ha plasmato i sensi di ogni specie in modo che gli animali potessero sopravvivere col minore dispendio di energie possibile.
Gli umani, derivando dai primati, avevano bisogno di una buona vista tridimensionale, di un occhio che potesse vedere i colori, con una buona definizione per i dettagli e una buona percezione della profondità.
I cani invece derivano da predatori che cacciavano animali che scappavano velocemente; avevano bisogno di vedere la preda da una certa distanza, ma non così elevata come gli antenati dell’uomo (le prede hanno bisogno di una visuale più allargata di quella dei predatori,
per vederli prima di essere visti).
Inoltre i loro antenati erano animali crepuscolari e quindi avevano bisogno di una vista ottimale in presenza di poca luce, più che in pieno giorno.
Il tipo di occhio necessario per una buona visione crepuscolare deve essere sensibile a basse intensità di luce e non ha reali necessità di distinguere bene i colori.
Per capire al meglio la visione del cane possiamo paragonare il suo occhio ad una macchina fotografica.
Sia l’occhio che la macchina fotografica richiedono un foro per permettere il passaggio della luce (nell’occhio è la pupilla, nelle macchine fotografiche l’obiettivo), una lente per filtrare e mettere a fuoco la luce e un certo tipo di superficie sensitiva per la registrazione dell’immagine (la retina nell’occhio e la pellicola nella macchina fotografica).
Sia l’occhio che la macchina fotografica necessitano di aggiustamenti a seconda delle condizioni luminosi ed entrambi fanno continui compromessi per raggiungere la massima capacità di assorbire bassi livelli di luce e di vedere piccoli dettagli.
Nella costruzione dell’occhio canino la scelta sembra essere ricaduta nel sacrificare una certa definizione dei dettagli a favore di un miglior funzionamento in presenza di poca luce.
A tal proposito la pupilla di un cane è decisamente più grande di quella dell’uomo.
Questo porta ad una maggior entrata di luce ma allo stesso tempo ad un accorciamento della distanza massima a cui gli oggetti vengono messi a fuoco.
Per ritornare all’esempio del fotografo, se questo vuole mettere a fuoco anche lo sfondo dietro al suo soggetto lui dovrà utilizzare la più piccola apertura possibile.
Le pupille del cane, come quelle umane, possono allargarsi o restringersi: ma non possono variare così tanto da raggiungere la stessa profondità di campo dell’uomo.
La luce che passa attraverso la pupilla e poi attraverso il cristallino va a formare un’immagine sulla retina.
Qui la maggior parte della luce viene catturata e “registrata” da particolari cellule chiamate fotorecettori.
Come negli umani, anche nei canidi ci sono due tipi di fotorecettori: i bastoncelli e i coni.
I bastoncelli sono specializzati per lavorare in condizioni povere di luce: non è sorprendente quindi scoprire che i cani hanno una più alta percentuali di bastoncelli rispetto l’uomo.
Ma i nostri amici hanno anche un altro sistema che invece non ha riscontri nell’uomo per ottimizzare la visione crepuscolare: si tratta del tapetum lucidum.
Tutti noi abbiamo visto almeno una volta gli occhi nei nostri cani (o dei gatti), quando di notte vengono colpiti dalla luce dei fari dell’auto o di una torcia: diventano gialli o verdi e sembrano riflettere la luce stessa.
Questo effetto è dato proprio dal tapetum, che agendo come uno specchio riflette la luce che non ha colpito immediatamente i bastoncelli (perché i fasci luminosi non erano entrati nella giusta direzione) e la riflette nuovamente in modo da dare ai fotorecettori una seconda possibilità di entrare in contatto con la luce stessa.
Questa maggiore luminosità ha però un costo.
I fasci luminosi riflessi vengono da tutte le direzioni e arrivano ai bastoncelli in varie angolazioni.
Di conseguenza le linee che si vengono a formare sulla retina non sono più precise e si viene ad avere una riduzione della capacità di visione dei dettagli.
I cani Husky e in particolare quelli con gli occhi blu possono non avere il tapetum lucidum.
Questo è un “incidente” dovuto alla selezione.
Le regioni nordiche in cui queste razze sono state selezionate per lavorare sono ricoperte dalla neve per la maggior parte dell’anno e quindi c’è un fortissimo riflesso dei raggi luminosi sia di giorno che di notte.
Questo probabilmente ha portato il tapetum lucido a non essere più un vantaggio selettivo o addirittura, secondo certi studiosi, ad essere uno svantaggio perché la sua mancanza permetterebbe di vedere più facilmente i piccoli dettagli.
E’ stato stimato che il cane abbia bisogno di meno di un quarto della luce necessaria all’uomo per vedere le cose di notte.
Gli occhi del gatto, che è un animale assolutamente notturno, abbisognano di solo un settimo di questa luce!
Nelle macchine fotografiche l’immagine viene messa a fuoco spostando avanti e indietro la lente così che la distanza tra la lente e la pellicola venga modificata.
Nell’uomo questo avviene per opera di muscoli che cambiano la forma del vetrino.
Nel cane questo avviene in misura molto più moderata, ma ci sono alcune evidenze che suggeriscono che il cane, come il gatto, possa attraverso altre strutture muscolari cambiare direttamente la lunghezza del bulbo oculare rendendolo più o meno allungato e aiutando la messa a fuoco.
Se l’occhio riesce a mettere l’immagine a fuoco perfettamente a livello della retina avremo una visione ottimale, se il fuoco si fermerà prima della retina avremo la miopia (non si mettono a fuoco gli oggetti distanti), se si formerà dopo avremo la presbiopia (non si mettono a fuoco gli oggetti vicini).
E’ possibile stimare la capacità dell’occhio di mettere a fuoco attraverso uno strumento chiamato “retinoscopio”, il quale misura la posizione del fuoco facendo passare un fascio luminoso attraverso la cornea e il cristallino.
Christopher Murphy e un team di ricercatori dall’Università di Medicina Veterinaria del Wisconsin riportano uno studio in cui attraverso un retinoscopio furono testati 240 cani.
Furono studiate molteplici razze tra cui Cocker, Springer Spaniel, Golden Retriever, Labrador, Chesapeake Bay Retrievers, Pastori tedeschi, Carlini, Rottweilers, miniature Schnauzer, Shar Peis, vari terrier e meticci.
Si scoprì che la maggior parte degli cani avevano una messa a fuoco ottimale ma che alcune razze facevano eccezione.
Più della metà dei Rottweiler, dei miniature schnauzer e dei pastori tedeschi erano miopi!
Il fatto che questo avvenisse solo in determinate razze suggerì che il problema fosse di natura genetica e dovuto ad una involontaria selezione.
A conferma di questa teoria si studiarono dei pastori tedeschi provenienti da una linea di sangue selezionata per il lavoro con non vedenti, solo un cane su sette presentò miopia.
Questo portò a pensare che la selezione per determinati tipi di lavoro possa portare a specifiche variazioni della capacità visive dei cani.
Un altro studio fatto sui Greyhounds, che sono stati selezionati per la caccia a vista, trovò che molti di questi cani erano presbiti.
Questo disturbo della vista porta ad una mancata messa a fuoco degli oggetti vicini ma permette a questi cani di svolgere al meglio la loro caccia e di vedere le prede in distanza.
Oltre alla capacità di messa a fuoco un altro fattore condiziona la percezione visiva del cane: il tipo e la disposizione dei fotorecettori.
Nella pellicola delle macchine fotografiche abbiamo un emulsione contenente dei sali d’argento fotosensibili che reagiscono chimicamente quando colpiti da una luce.
Le pellicole più adatte alle luci crepuscolari hanno grani più grandi in modo da poter captare più luce per far avvenire la reazione. Sfortunatamente queste pellicole danno delle immagini con un effetto sgranato (simile all’effetto delle macchine digitali con pochi pixels) il che significa che i piccoli dettagli non possono essere chiari.
Se c’è molta luce, un fotografo può utilizzare una pellicola meno sensibile in cui i grani sono più piccoli e vicini in modo che anche i piccoli dettagli possano venire registrati.
I grani delle pellicole possono venire paragonati ai fotorecettori nella retina.
I bastoncelli aumentano la loro sensibilità attaccandosi a gruppi a un unica cellula gangliare (la struttura ricevente), in modo da raggruppare i loro segnali prima di trasferirli al cervello.
Agiscono quindi come i grani più grossolani delle pellicole.
In contrasto solo uno o due coni sono connessi con ogni cellula gangliare. Quindi i coni operano come i grani più fini, in condizioni di alta luminosità e riportando anche i dettagli più piccoli.
Siccome gli animali non possono variare i loro fotorecettori come invece può fare un fotografo variando la sua pellicola, la natura ha dovuto sviluppare i loro occhi in modo che fossero ottimizzati per le condizioni in cui vivevano.
Negli animali, come il cane, che contengono sia i coni che i bastoncelli questi sono distribuiti in modo diverso all’interno dell’occhio.
Negli umani i coni sono ammassati in un’area centrale chiamata fovea che corrisponde al centro della nostra area visiva.
In corrispondenza di quel punto noi abbiamo la massima capacità di messa a fuoco e di distinzione dei piccoli particolari.
Infatti la nostra visione periferica non è così nitida come quella frontale.
Anche il cane ha delle aree strutturate in modo diverso, ma non come l’uomo.
La fovea del cane è più larga e ha la forma di un ovale steso lungo il suo asse maggiore.
Come nell’uomo quest’area è più ricca di coni ma sono presenti anche i bastoncelli, che però a differenza di quelli presenti in altre aree dell’occhio sono più sottili e divisi in gruppi più piccoli.
Alle estremità di questo ovale si continua una linea orizzontale di cellule sottili unite tra loro che attraversa tutto l’occhio.
Queste cellule permettono al cane di avere una maggior capacità visiva in quella regione che ai loro antenati serviva per vedere le prede lungo l’orizzonte.
Questa distribuzione viene trovata anche in altri animali abituati a muoversi velocemente e che vivono in luoghi ampi e piani, come i cavalli o le antilopi, ed è considerato un adattamento necessario per il controllo dei predatori.
I greyhound, che cacciano a vista, hanno quest’asse orizzontale più sviluppato di tutti gli altri cani.
Razze canine che invece cacciano utilizzando soprattutto il naso, come per esempio il beagle, hanno una percezione visiva orizzontale molto meno sviluppata.
Di conseguenza la selezione delle razze per specifici usi ha portato ad inaspettati cambiamenti fisiologici, neurologici e anatomici in ogni razza.
Non solo i cani vedono in modo diverso dall’uomo, ma i greyhound vedono in modo diverso dai beagle!
Ma quanto vedono i cani?
Prima di tutto parliamo di come si misuri la vista comunemente nell’uomo.
In genere viene richiesto di guardare un tabellone con delle lettere riportate sopra da una distanza di circa sei metri.
Se riusciamo a vedere le lettere più piccole avremo una capacità visiva che misurata secondo il metodo Snellen sarà di 6/6 (o 20/20 se misurata in piedi).
Se la visione non sarà buona e si dovrà passare alle lettere più grandi, ossia a quelle lettere che una persona normale vedrebbe a 12 metri, avremo una capacità visiva di 6/12.
Siccome però non possiamo indurre un cane a leggere per noi si è utilizzato un altro metodo per determinare la capacità visiva dei canidi.
Si è condizionato li cane a scegliere un cartoncino con delle linee grigie verticali premiandolo ogni volta che lo toccava a discapito di un altro cartoncino completamente colorato di grigio. A questo punto si è iniziato a rendere le strisce sempre più sottili e vicine tra di loro fino a quando il cane non fu più in grado di distinguerle le une dalle altre e per lui i due cartoncini risultarono uguali.
Abbiamo raggiunto quindi il livello di capacità discriminativi dei dettagli del nostro cane.
La misura delle linee che il cane può vedere può essere convertita nel metodo Snellen utilizzato per l’uomo.
La miglior performance data in questo test fu opera di un carlino, testato ad Amburgo in Germania.
La capacità visiva di questo cane fu sei volte inferiore a quella minima dell’uomo e in particolare fu di 20/75.
Il che significa che un oggetto che il cane poteva vedere a 20 piedi (sei metri) era di una grandezza tale che un uomo normale poteva vederla ad una distanza di 75 piedi (23 metri)!
Questi parametri non ci devono però far cadere in errore.
Anche se il cane non vede perfettamente a fuoco a grandi distanze, il suo cervello riceve in ogni caso moltissime informazioni dall’ambiente circostante.
La visione del cane potrebbe essere paragonata ad un guardare il mondo esterno attraverso una sottile garza o un pezzo di cellophane che è stato cosparso da un sottile strato di olio.
I margini esterni degli oggetti sono visibili, ma non i dettagli più piccoli che vengono a fondersi tra loro.
I bastoncelli, oltre che della capacità di vedere in presenza di poca luce, sono responsabili anche della capacità di percepire oggetti in movimento.
Sia gli animali che le persone sono più sensibili verso le cose che si muovono rispetto a quelle stazionarie.
In uno studio del 1936 fatto su 14 cani poliziotto il cane più sensibile potè riconoscere un oggetto in movimento da una distanza di 810m ad una di 900m, ma lo stesso cane non potè riconoscere lo stesso oggetto, quando stazionario, ad una distanza di meno di 585m. Anche se l’uomo ha una capacità visiva di 10-12m migliore rispetto a quella del gatto in condizioni di piena luce, gli animali domestici hanno una capacità visiva di gran lunga maggiore per gli oggetti in movimento nella luce crepuscolare o posti in una posizione periferica.
Un’altra particolarità dei fotorecettori presenti nell’occhio è che sono anche i responsabili della visione dei colori.
Questo capacità è dovuta in particolare ai coni.
Nell’uomo si pensa ci siano tre tipi diversi di coni sensibili a diverse onde luminose e in particolare a quelle di 445nm, 535nm e 570nm.
Nel cane sembra ci siano solo due tipi di coni sensibili rispettivamente a onde di 429nm e 555nm.
Il fatto che i cani possiedano questi coni però non garantisce che siano automaticamente in grado di vedere i rispettivi colori.
Per determinare quale sia la capacità visiva è quindi necessario ricorrere nuovamente a dei test comportamentali.
In uno di questi studi condotti da Neitz, Geist e Jacobs si utilizzarono tre cartoncini quadrati di colori diversi piazzati di fronte al cane.
Addestrando il cane a scegliere il cartoncino del colore diverso tra i tre si può scoprire che genere di colori il cane vede.
La domanda che però restava era però se il cane sceglieva il quadrato per il suo colore o per la sua luminosità?
Si scoprì utilizzando differenti luminosità per i riquadri che il cane sceglieva in base al colore e non base ad essa.
Attraverso questi studi si suggerì che probabilmente il cane vedeva come un daltonico, ossia ad una persona a cui manca la percezione della differenza tra il verde e il rosso.
Di conseguenza il mondo dei cani consiste dei colori giallo, blu e grigio. Quando un umano vede un oggetto rosso al cane appare come giallo, mentre un oggetto verde appare bianco o a sfumature di grigio.
La figura in basso mostra uno spettro elettromagnetico (from Dr. Plonsky, 1998). Sopra abbiamo i colori che percepisce il cane e sotto quelli che percepisce l’umano.
Tapetum, non Tappetum.
bello, grazie 🙂