venerdì 29 Marzo 2024

Genetica: l’outcross

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Dopo l’inbreeding e il line-breeding affrontati in altri articoli, spendiamo ora due parole sul cosiddetto “outcross”, ovvero l’accoppiamento tra cani che, seppur della stessa razza, non presentano antenati comuni nell’albero genealogico.
Ovviamente si parla delle ultime tre/quattro generazioni. Come ho già fatto notare, infatti, quasi tutte le razze “moderne” discendono da pochissimi esemplari accoppiati da principio in stretta consanguineità, quindi il fatto di appartenere a una stessa razza implica giocoforza la discendenza da antenati comuni.  Ma se questi risalgono a diverse generazioni addietro, il materiale genetico andrà via via differenziandosi sempre più.
Ad ogni generazione, infatti, ogni nuovo cromosoma potrà essere costituito da un miscuglio di geni dei capostipiti disposti in modo sempre diverso. Non vi è solo il rimescolamento dei geni, ma ogni gene può ritrovarsi vicino ad altri geni che nella disposizione iniziale si trovavano distanti. Possiamo dire che ad ogni generazione il patrimonio genetico, in un certo senso, si rinnova.

I vantaggi di un accoppiamento tra individui non più imparentati vanno ricercati soprattutto nel maggior vigore fisico. Diversi studi compiuti nelle più famose università americane hanno dimostrato che i figli di genitori non consanguinei sono mediamente più longevi, più fertili e meno soggetti a patologie degenerative.
La comparsa di malattie genetiche vere e proprie non ha invece molto a che vedere con la consanguineità. Ciò che conta è principalmente il genotipo dei riproduttori.
Se ci si accorge che i propri cani sono portatori di una determinata malattia, l’unico modo per uscirne è cercare dei partner che non siano portatori della malattia stessa e selezionare via via i soggetti esenti (sia fenotipicamente che genotipicamente). Questo indipendentemente da tutti i gradi di parentela.
E’ vero però che sono frequenti i casi in cui dopo un piano di allevamento caratterizzato da eccessiva consanguineità, molti allevatori si ritrovano ad avere la totalità dei riproduttori con determinati problemi genetici.
In questo caso, l’outcross è d’obbligo. Ma non basta un semplice outcross per risolvere definitivamente tutti i problemi. Bisogna innanzitutto andare a cercare soggetti del tutto esenti dalla patologia che si vuole combattere. E poi iniziare un minuzioso piano di selezione.

L’utilizzo dell’outcross non può quindi prescindere da una valutazione morfologica e dal tentativo di identificare il genotipo dei riproduttori. La parentela non è il solo aspetto da considerare, ma se si vogliono ottenere buoni risultati è indispensabile accoppiare soggetti compatibili tra loro che si migliorino a vicenda.

ACCOPPIAMENTO PER COMPENSAZIONE E ACCOPPIAMENTO PER ANALOGIA

I criteri di scelta più utilizzati sono sostanzialmente due (opposti).
L’accoppiamento per compensazione mira soprattutto a correggere difetti attraverso la ricerca di partners che neutralizzino a vicenda le proprie lacune: laddove uno si dimostra carente, l’altro dovrà essere di particolare pregio. Per esempio una femmina con orecchi un po’ troppo lunghi per lo standard della propria razza dovrà essere accoppiata con un maschio con orecchi della *lunghezza ideale*. Se questo maschio avesse, per esempio, un mantello con poco sottopelo, sarebbe fondamentale che la femmina avesse un mantello particolarmente ricco (se richiesto dallo standard ovviamente).
L’importante è che ognuno dei due riproduttori sia “pressoché perfetto” laddove l’altro fosse leggermente difettoso o migliorabile.
Un errore tipico dei neofiti è quello di accoppiare difetti opposti. Per esempio, alcuni credono di agire bene accoppiando una femmina troppo alta ai limiti dello standard con un maschio troppo piccolo. Oppure un cane con assi cranio facciali leggermente divergenti anziché paralleli, con un partner dagli assi convergenti. In questo modo si sommano difetti a difetti.
Se in alcuni casi (specialmente quando si accoppiano linee di sangue lontane con un alto grado di omogeneità) si può avere la “fortuna del principiante” e avere il risultato sperato in prima generazione, nelle generazioni successive i difetti si ripresenteranno sicuramente e in più si avrà una forte disomogeneità.
Nella stessa cucciolata potranno apparire cani troppo grandi o troppo piccoli o con teste di varie proporzioni comunque sbagliate. E i pochi soggetti corretti potranno essere portatori dell’uno o dell’altro difetto… o di entrambi. Difetti molto difficili da correggere perché difficili da classificare.
In genetica la somma di due difetti opposti non dà necessariamente un pregio.
Nella peggiore delle ipotesi, nel caso i soggetti difettosi provengano da antenati con caratteri non ben fissati, la forte disomogeneità potrà presentarsi già in prima generazione. Anziché una totalità di cuccioli di giusta taglia o con teste ben disegnate, potremmo ritrovarci con alcuni cuccioli che superano i genitori nelle rispettive devianze dallo standard.
L’accoppiamento per compensazione non deve perciò mai essere del tipo “troppo lungo x  troppo corto”, “troppo chiaro x troppo scuro”, “ipertipico x ipotipico”, ma piuttosto “leggermente difettoso x ideale”, o ancor meglio “normale x particolarmente ricercato”.
La compensazione può riguardare anche il consolidamento dei pregi…. non si deve necessariamente lavorare solo per correggere i difetti.

L’altro criterio di accoppiamento (opposto a quello appena descritto) è l’accoppiamento per analogia. In questo caso,  per contrastare la tendenza all’eterogeneità derivante dall’unione di diverse linee di sangue, si cercano partners che seppur non imparentati si somiglino il più possibile. Gli stessi pregi e le stesse (lievi) imperfezioni.
E’ un criterio particolarmente indicato per i cani di gran pregio che possono avere in ogni caso tratti migliorabili, ma che nel complesso sono esenti da difetti che possono degenerare. Da accoppiamenti di questo tipo possiamo aspettarci cucciolate molto omogenee con soggetti simili ai genitori. Alcuni saranno nel complesso leggermente migliori e altri leggermente peggiori. La selezione procederà così a piccoli passi. Ma l’importante è il miglioramento costante.

Ovviamente questi criteri che riguardano esclusivamente la morfologia sono applicabili anche nel caso di accoppiamento in in-breeding o in line-breeding.
Ma mentre in questi casi un minimo di fissazione dei caratteri è più probabilmente assicurata anche dall’uguaglianza genetica dei riproduttori, in caso di outcross la valutazione morfologica diviene fondamentale se non vogliamo che le diversità presenti nel patrimonio genetico vadano alla deriva e si ricompongono a caso.
Un’altra considerazione riguarda il fatto che l’accoppiamento in line-breeding e ancor di più in in-breeding non lascia molto spazio a ulteriori valutazioni che vadano oltre il grado di parentela. I parenti fino al terzo-quarto grado non sono mai tantissimi. Se si sceglie l’antenato di particolare pregio da “richiamare” o la linea  (paterna o materna) su cui si vuole impostare la consanguineità, non resta generalmente molto spazio per fare vaste scelte.
In molti casi le opzioni si riducono a due o tre cugini. Se invece si decide di lavorare in outcross, specialmente nelle razze molto rappresentate, la scelta può essere fatta tra decine e decine di individui non imparentati. E’ ovvio che sia molto più spazio per ricercare le caratteristiche fisiche e caratteriali che più interessano.
Nelle razze meno numerose invece la scelta del line-breeding rispetto all’out cross è più spesso una scelta obbligata. I soggetti di qualità fanno spesso capo a un solo allevatore o a pochi allevatori con riproduttori tutti imparentati tra loro.
Quando il pool genetico è così ristretto è logico che il criterio di scelta del partner in base pedigree finisca col prevalere su quello basato sulla sola morfologia.

PRO E CONTRO DELL’OUTCROSS

Il maggior vigore fisico dei cuccioli provenienti da accoppiamenti in outcross si riferisce alla media generale. Quindi la speranza di ottenere cani più forti e più longevi è motivata solo se si paragonano riproduttori di ugual livello.
E’ ovvio che non è ipotizzabile che un cane cardiopatico o epilettico importato da un canificio possa rivelarsi un riproduttore migliore di un soggetto selezionato nei migliori allevamenti, nemmeno se si va a ricercare l’accoppiamento con una linea di sangue giapponese o australiana che escluda ogni possibilità di parentela. Ma a parità di condizioni generali e di pregi morfologici, l’accoppiamento in outcross può esternare pregi già evidenti alla prima generazione.
I difetti (sia di costituzione che di tipo) sono frequentemente recessivi. Se così non fosse basterebbe non impiegare i soggetti difettosi per debellarli. Ne consegue che accoppiando soggetti non imparentati che abbiano un “impronta d’allevamento” diversa, i soggetti ottenuti in prima generazione uniscano alla già citata prestanza fisica anche un aspetto particolarmente attraente.
Chi accoppia cani di ottima qualità provenienti da linee di sangue lontane molto spesso ottiene ottimi cani, a volte migliori dei genitori. Questo però solo in prima generazione. I privati che spesso incappano in questo tipo di accoppiamento hanno la classica fortuna del principiante, sfruttando il lavoro di decine e decine di anni di selezione fatta da altri.
In seconda generazione però i caratteri si disgiungono. Ricompaiono le imperfezioni eventualmente presenti in ciascuna linea di sangue e le nuove combinazioni di geni creano per prima cosa una graduale diminuzione dell’omogeneità. Sostanzialmente, capita spesso che dopo parecchi anni di selezione in line breeding si formino a capo di diversi allevatori linee di sangue che costituiscono di fatto quasi una “varietà” della razza, con tratti comuni, riconoscibili dagli estimatori che pur all’interno di uno stesso standard permettono di identificare un certo gruppo di cani come appartenenti a una stessa filosofia di allevamento. Come tanti marchi di fabbrica.
I cani dell’allevamento X saranno riconoscibili per la statura un po’ più bassa, la forma leggermente più allungata e la forte muscolatura. Quelli dell’allevatore Y si distingueranno per un certo tipo di pelo, per l’eleganza, per il portamento. E ciò che spesso fa la differenza vera e propria è l’espressione, che è data dalla somma piccoli particolari difficilmente individuabili singolarmente.
Mescolando le linee di sangue tutto questo viene a meno.
Nelle nuove generazioni si potranno trovare anche nella stessa cucciolata soggetti diversi tra loro con caratteristiche intermedie di ogni livello. Il diverso abbinamento dei tratti morfologici può a volte portare a un peggioramento complessivo della funzionalità. Per esempio può succedere che i cani di una certa linea di sangue compensino una costruzione non proprio ideale a livello di ossatura e di angoli con una muscolatura eccezionale che permette una spinta molto vigorosa. Un’altra linea di sangue può invece essere ugualmente funzionale grazie alla perfetta angolazione che garantisce un efficientissimo funzionamento delle leve. Il rimescolamento dei geni potrà anche generare cani la cui costruzione troppo angolata non è supportata dalla giusta muscolatura e che per questo si muovono in modo poco efficiente.
Nei casi più fortunati però, dal rimescolamento dei geni possono uscire nuove combinazioni che si rivelano più funzionali, più gradevoli e più interessanti. Che però devono poi essere selezionate e fissate. L’out-cross non è solo un’ultima spiaggia per salvarsi da difetti generalizzati e per risanare linee di sangue totalmente compromesse. A volte è utilizzato anche dagli allevatori che ritengono di aver ottenuto ottimi risultati con cani di altissimo livello, quando si accorgono che non c’è più niente di migliorabile.
Un esempio che si può citare è la selezione della razza pit bull da parte della famiglia Colby che ha visto un accoppiamento in outcross dopo decine e decine di generazioni di consanguineità (anche piuttosto stretta).
Questo accoppiamento non fu scelto per ovviare a problemi né tantomeno per scongiurare catastrofi, ma semplicemente per…. trovare qualcosa di nuovo.

PICCOLE SOPRESE !

Un altro rischio dell’accoppiamento in outcross di cui vale la pena parlare è il problema degli effetti simili provocati da geni diversi. L’incontro di questi geni può provocare in un primo momento la comparsa di caratteristiche indesiderate.
Porto come esempio la recente evoluzione di una simpatica razza italiana.
Il bolognese è stato ricostruito in tempi piuttosto recenti e ancora oggi è caratterizzato da una disomogeneità superiore alla media delle altre razze, seppure sia in fase di rapido e progressivo miglioramento.
Una delle caratteristiche che ha richiesto un notevole impegno selettivo da parte degli allevatori è la costruzione nel quadrato richiesta dallo standard. Negli anni ’90  in piena fase di ricostruzione i soggetti iscritti nel quadrato (spesso fuori taglia perché troppo alti) si contavano sulla punta delle dita. La costruzione nel rettangolo, ereditata dal bichon, era di gran lunga la più diffusa.
La ricerca della costruzione ideale è proseguita seguendo due strade diverse. Da un lato, tra i soggetti costruiti nel rettangolo e comunque presentati nelle expo e usati come riproduttori, venivano giustamente privilegiati quelli più corti e compatti. In poco tempo, grazie a una selezione dei modificatori, alcuni allevatori crearono ceppi di cani costruiti in un rettangolo molto corto. Grazie a un’incollatura che favoriva il portamento alto della testa e alla groppa orizzontale con coda strettamente arrotolata dorso, questi cani molto compatti, sembravano più corti di quanto non fossero. Quasi quadrati.
Parallelamente altri allevatori continuarono a lavorare sui LIR provenienti da incroci con altre razze (prevalentemente il barbone) alla ricerca della costruzione genetica quadrata.
All’alba del nuovo millennio i cani *veramente* costruiti nel quadrato presenti sui ring divennero sempre più numerosi, anche se spesso, a causa dei recenti incroci, rispetto agli pseudo-quadrati risultavano meno tipici in fatto di mantello e di espressione.
Chi tentò l’outcross incrociando le due tipologie si ritrovò di fronte a sorprese inaspettate. I cani iscritti nel quadrato evidentemente non erano in possesso dei geni modificatori per l’accorciamento, ma il tipo “rettangolo” risultava prevalere sul tipo quadrato. I cuccioli di prima generazione, risultarono quasi sempre più lunghi di entrambi i genitori. In seconda generazione la cose migliorarono e si poté proseguire con un nuovo piano di selezione.
Aumentò anche il divario di taglia grazie alle diverse combinazioni di geni responsabili della costruzione e della lunghezza degli arti. Ma questa ondata di disomogeneità permise anche di ridurre notevolmente la taglia.
Un problema analogo, sempre riferito alla stessa razza, fu dato dal colore bianco che può essere ottenuto con due tipi di selezione diversa. Il bianco ereditato dal bichon frisé è stato ottenuto attraverso la selezione di cani pezzati (solitamente bianco arancio) con macchie via via più limitate, fino alla totale scomparsa. Il bianco tipico del barbone è invece un fulvo-crema selezionato sempre più chiaro fino alla totale scomparsa della melanina. La presenza di geni di diverse razze nella ricostruzione del bolognese ha fatto si che si creassero linee di sangue caratterizzate da tipi di bianco differenti a seconda della prevalenza di sangue di questo o di quel “cugino”.
Ancora una volta l’outcross tra le diverse linee ha in qualche caso evidenziato la comparsa di mantelli pezzati o interamente beige dovuti all’annullamento reciproco (in prima generazione) dei geni responsabili dei diversi tipi di bianco.
Fortunatamente nella razza è piuttosto diffuso anche il gene dello schiarimento per il grigio. Su base fulvo-crema questo gene fa si che le macchie, evidenti nei cuccioli arrivino comunque (quasi) a sparire nei soggetti adulti.

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