mercoledì 27 Marzo 2024

Dominanza & gerarchie: un approccio pratico

Dello stesso autore...

Davide Cardia
Davide Cardia
Nato a Moncalieri(TO) il 23/10/69, ha frequentato il liceo classico e poi filosofia a Torino. Una decina di anni fa ha cominciato a seguire Moguez per imparare il mondioring. Ha passato alcuni anni a cercare di recuperare cani problematici (morsicatori soprattutto) presso il canile di Piossasco (TO), che ancora aiuta in caso di necessità. Fa parte del direttivo della Onlus Canisciolti (www.icanisciolti.com) che segue i cani del canile di Avola. E' addestratore ENCI e Tecnico preparatore per il C4Z (cittadino a 4 zampe). Nel 2011, con due colleghi, ha aperto il Gruppo Cinofilo Debù (www.gruppodebu.it) dove si occupa di educazione, addestramento, sport . Ha partecipato ad alcune puntate della trasmissione radiofonica Uno all’Una su Prima Radio e alla trasmissione televisiva Aria Pulita di Telecity7Gold.

di DAVIDE CARDIA – Ho deciso di scrivere questo articolo con la speranza di eliminare alcuni equivoci relativi ai concetti di dominanza, gerarchia, leadership e tutti quei termini che creano il panico tra gli educatori cinofili, in quanto vengono associati immediatamente a qualcosa di cruento e costrittivo, che inibisce il sano sviluppo della mente e del corpo del nostro amico (lo chiamo “amico”… ma vi posso assicurare che la maggior parte degli umani che ci portano i cani al centro hanno un sentimento di ambivalenza odio-amore verso il loro cane).
Ma andiamo con ordine.

La struttura gerarchica, la leadership ecc. implicano qualcosa di cruento e/o costrittivo?
Agli occhi di molti, che immaginano una vita naturale armonica in cui tutti si vogliono bene e ognuno capisce cosa sia giusto fare, basta parlare di gerarchia per immaginare subito il cucciolo brutalizzato dall’umano belzebù.
Questo modo di vedere la cosa credo sia mutuato dall’esperienza umana piuttosto che dall’osservazione  scientifica.
All’interno del branco, infatti, la violenza è data da gesti e da suoni che, per necessità naturale, di violento non hanno niente se non la “promessa”.
Purtroppo questo modo molto umano di interpretare la cosa ha portato a credere che bastasse fare la voce grossa o dare un bel calcio nel sedere al cane per fargli capire chi comanda (per tacere poi dell’alpha roll e della sua inutilità).

Da questa posizione temo si sia passati però all’eccesso opposto: negazione assoluta della gerarchia in quanto foriera di maltrattamenti e costrizioni.
Rispetto alla prima posizione si sono fatti parecchi passi avanti: ora, ad esempio, sappiamo che non è il “capo” a rovesciare sulla pancia il “sottoposto”, ma è il “sottoposto” stesso che, riconoscendo il “capo”, gli manda segnali di sottomissione.
Non solo. La maggior parte dei segnali all’interno del gruppo hanno lo scopo di comunicare in modo chiaro e inequivocabile quali siano le regole e che queste devono essere rispettate.
Si tratta di posture e suoni che, in quanto tali, hanno lo scopo di scongiurare lotte foriere di instabilità e vulnerabilità (nel senso che rimanere feriti indebolisce il gruppo).

Ma allora, vivendo con un cane, come faccio a riprodurre uno scenario di questo tipo?
Non si può. O almeno, non è possibile riprodurlo fedelmente.
Non siamo in grado di ringhiare in maniera convincente (almeno non tutti), di muovere coda e orecchie in un certo modo e così via. Possiamo però inscenare una serie di comportamenti che il cane inequivocabilmente percepirà come comportamenti da “capo”.
E quali sarebbero questi comportamenti?
Chi possiede le risorse, comanda. Anche solo momentaneamente, ma comanda.
Quindi, in maniera assolutamente non cruenta, faccio vedere all’umano di turno quali siano le regole della casa perché il suo cane lo riconosca come punto di riferimento.
I comportamenti che consiglio (niente di originale – già tutto detto e scritto) devono diventare degli atteggiamenti continui, gesti ordinari e quotidiani.

Quali sono le risorse?
Le solite; quasi tutti ne parlano: cibo, affetto, gioco, spazi, stare insieme e separarsi.
Rispetto a questo, rimando a scritti ben più approfonditi e autorevoli del mio.
Solo un piccolo riepilogo: quando parlo di leadership indico qualcosa di cruento e costrittivo?
Cruento, assolutamente NO. Costrittivo sì, almeno in parte: nel senso che non tutto è concesso e che l’autoeducazione in natura non funziona (né per bambini né per i cani).

Devo essere duro per farmi rispettare dal mio cane?
Assolutamente NO: devo essere coerente, paziente e fargli capire che non tutto è come vuole lui, come non tutto nella vita è come voglio io… ma siccome a fare la spesa, a prelevare con il bancomat o a guidare l’automobile sono io, sarò io a decidere certe cose.

Il “comando” porta onori ed oneri e la maggior parte dei cani gli oneri non li vuole.
L’armonia che si vede nei film o si legge nei racconti si ottiene con anni di lavoro ed è frutto di costanza e pazienza.
Nel frattempo ci sono i guai.

Quanto detto dovrebbe essere supportato da basi scientifiche. Peccato però che, sebbene molti studiosi diano per assodato e certo quanto detto sopra, ce ne siano altri, altrettanto bravi, che parlano di struttura familiare molto più armonica e amichevole, per cui tutta la questione della gerarchia va a farsi benedire.
Chi ha ragione? Non lo so, ma credo di aver trovato il metodo per risolvere l’aporia rifacendomi a Kuhn e al suo libro “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”.
Secondo Kuhn, una teoria viene ritenuta valida, indipendentemente dalla sua verità, fino a quando risolve tutte o la maggior parte o almeno le più importanti questioni che riguardano la materia di cui tratta.
Solo quando questo paradigma non risponde più a queste questioni in maniera esauriente, un nuovo paradigma ne prende il posto.
Un esempio: il sistema tolemaico sarebbe stato ancora valido se avesse risolto tutte o la maggior parte o almeno le più importanti questioni di sua competenza, indipendentemente dalla sua verità.
Il paradigma è cambiato con il sopravvento di quello copernicano non perché quello copernicano fosse più vero, ma perché risolveva i problemi che l’altro non riusciva ad affrontare.
E nel mondo dei cani?  Fino a quando riuscirò a affrontare e risolvere problematiche comportamentali adottando tecniche che pensano al branco misto come a una struttura gerarchica, per me il paradigma sarà valido indipendentemente dalla sua verità.

Basta la questione gerarchica a risolvere tutti i problemi?
NO, ma è un buon inizio.
Inscenare gesti e comportamenti che il cane capisce al volo è una buona base per cominciare, risolve in maniera indiretta alcune problematiche ed è un buon “mezzo” per raggiungere l’armonia nel gruppo.

Nella stessa categoria...

10 Commenti

  1. come non dare ragione a Claudio Mangini quando scrive che il mercato si può anche creare!? Migliaia di persone si sono messe in fila per accaparrarsi i primi IPad quando ancora non si sapeva a che diamine potessero servire! ora invece in tanti dicono di aver capito a cosa serva! 😉 (si scherza! è uno strumento che può ANCHE essere utile). Ma cosa spinge alcune persone a pagare dei bei soldini per farsi propinare pseudo-teorie e “neologismi”? sono davvero tutti incapaci? o, forse, sono anche alla ricerca di un imprimatur da sfruttare, una sorta di investimento per avere la possibilità di qualificarsi come discepolo del tal dei tali? (domande retoriche? 🙂 )
    Come direbbe Maurizio Crozza, la risposta queste e altre domande nella prossima puntata di Kazzenger!

    • Scusa Gianni… io di cani non so quasi nulla, ma di marketing (e anche di iPad) qualcosa lo so.
      Il bisogno, la domanda, non la si può creare, vi assicuro: quello che si può fare è intercettare una domanda e dare una risposta, che può essere buona o meno buona. Lasciando stare l’iPad, che ci porta OT (la gente che faceva la fila comunque lo sapeva bene a cosa poteva servire) e tornando ai cani, la domanda che esiste è quella di educare il cane senza fargli violenza (che di questi tempi fa orrore ed è un bene) ma anche senza sbattersi tanto (che invece non è un bene).
      Perché la disciplina di cui il cane ha bisogno comporta anche per noi una grande disciplina e un grande autocontrollo. Un cane che non tira al guinzaglio, che ubbidisce senza esitazioni al richiamo, che si siede e si accuccia tranquillo quando abbiamo qualcosa da fare, che non attacca briga con gli altri cani, che si comporta bene in treno (etc etc) è un cane che possiamo portare sempre con noi, che farà una vita più felice perché starà sempre dove gli piace stare (vicino a noi). Però non è “gratis” un cane così. Anche razze molto dolci e docili come i retriever richiedono un certo impegno e qualche mezz’ora al giorno di esercizi che per noi possono essere noiosi. Qualsiasi cane non educato, per quanto sia di buona indole, diventa un solenne rompiscatole.

      Alcuni “educatori” troppo gentili forse non se ne rendono conto, perché hanno una vita organizzata in funzione del cane e non gli serve a nulla che i cani “sappiano stare in società”. Altri se ne rendono conto benissimo ma preferiscono intercettare la domanda “poco sbattimento” per pagare le bollette, l’affitto, mandare a scuola i figli, etc. (non credo che siano molti quelli che si arricchiscono con questo lavoro).

      Quindi leggi, in rete, parole di disprezzo per il cane “soldatino” e umani molto felici che il loro cane sia praticamente ingestibile (in centro città, con altri cani, in questa o in quella situazione) perché così “è più naturale”, corroborate da questa o quella teoria che tuttavia – ne sono certa- non ha creato questa “domanda” ma l’ha solo intercettata, dando risposte “facili” ma che non fanno né il bene del cane né quello del suo umano.

      Perché educare il cane, per la sciuramaria, è sostanzialmente una rottura, anche se sono convinta che sia un fattore di crescita anche per noi.

    • ciao Valeria, sono l’autore dell’articolo.:-) Con alcuni colleghi abbiamo un centro di educazione/addestramento alle porte di Torino, il gruppo Cinofilo Debù (www.gruppodebu.it). Per anni ho seguito – e quando posso lo faccio ancora – Philippe Moguez, decoy di mondioring. Da un paio di anni sono educatore cinofilo APNEC.

      • Davide, se mi mandi cinque-sei di biografia la inserisco nello spazio apposito. Così i lettori trovano qualche info sull’autore in calce all’articolo.
        Valeria (nel senso di Valeria Rossi, non dell’omonima lettrice) 🙂

  2. Nel mio mondo cinofilo la dominanza come capacita’ di gestire (forza,astuzia, motivazione) meglio di altri una o piu’ particolari risorse e’ universlamente riconosciuta … e’ la dominanza come “status” che viene rigettata: personalmente non conosco nessuno che rifiuti in toto questa visione.

  3. Oltre vent’anni fa ho conosciuto un signore (abbastanza psicopatico) che amava talmente i suoi cani da volerli redimere dal loro peccato di essere carnivori e pertanto li nutriva con una dieta (di sua invenzione) a base di vegetali. Questi poveri cani si ammalavano e morivano tutti i tenera età, poco dopo essere diventati adulti. Lui spiegava queste morti con l’avvelenamento da parte di persone cattive e invidiose (nonché mangiatrici di carne). Aveva una sua teoria, per cui i cani vegetariani erano “naturalmente buoni” perché è mangiar carne che rende “cattivi” (umani e cani). Probabilmente erano troppo deboli per qualsiasi comportamento un minimo attivo.. Era un pazzo, innocuo per gli altri umani (anche se non per i suoi poveri cani) e come tale veniva considerato… leggere che ora questa follia si è diffusa persino ai rapaci mi riempie di sconcerto..

    Tornando all’articolo, il rifiuto della gerarchia ha già comunque fatto molti danni in diversi tipi di organizzazione umana, dove i capi che preferiscono farsi amare invece che farsi rispettare, non ottengono né l’uno né l’altro obiettivo e vengono al massimo compatiti, mentre non riescono ad assumersi le responsabilità che competerebbero loro…
    Che questo perverso modello si sia allargato anche ai cani è molto triste.
    … il mercato si stabilisce dove c’è una domanda, non è in grado di crearla…
    La “colpa” non è di chi ci guadagna sopra: è tutta una mentalità che l’ha reso possibile. Una mentalità che disconosce il valore della disciplina, dell’autocontrollo, del rispetto di regole e leggi o anche, semplicemente, del bel garbo e della buona creanza.

    • Concordo su tutto quello che hai scritto con un paio di eccezioni.
      La prima riguarda il “mercato”, ed ogni persona che mastica un minimo di marketing sa bene che il mercato si può creare anche laddove non ce n’è alcun APPARENTE bisogno.
      Il bisogno lo si crea, ed in questo caso si è creato attraverso un meccanismo molto semplice: prendendo in prestito dal mondo animalista di bassa lega (essendo fondatore di un movimento animalista conosco bene il settore) alcuni spunti idealisti per fare uno shadding dell’intero settore.
      In questo modo si è fatta una distinzione tra i “buoni” dai “cattivi” edulcorando il tutto con una terminologia tecnica che ne sancisse una certa scientificità.
      Tanti anni fa – come oggi del resto – il mondo dell’addestramento cinofilo era pieno zeppo di maltrattatori, ma anche di personaggi nutriti da un profondo rispetto per gli animali e dalle indiscusse capacità.
      Si è fatto leva sulle ignominie dei primi per scavarsi il mercato, guardandosi bene di “oscurare” i secondi.
      Giochino facile facile di cui oggi i neofiti pagano il prezzo.
      La seconda cosa infatti su cui non sono d’accordo è proprio l’attribuzione delle responsabilità.
      Quelli che Valeria chiama “gentilisti” – ed io chiamo “cinofilosofi” – hanno perpetrato e pianificato in modo strategico l’ideale di “mercato”, non gli addestratori o gli educatori.
      Se oggi quindi si vogliono sterminare intere razze e privilegiare i labrador da salotto o da pet terapy la colpa non è certo di chi ha le scarpe sporche di fango, ma di chi veste abiti talari odoranti di scrivania.
      La “mentalità che disconosce la disciplina” è di loro unica competenza, perpetrata per anni con attacchi mirati e di dubbio gusto, non nostra (intendo quella degli addestratori).
      Loro l’hanno creata e sta – grazie al Cielo – implodendo rendendosi ridicola ogni giorno di più.
      Ecco: questa è forse l’unico lato positivo che trovo in questa squallida “new age apostolica”

      • Contraddicoti, messere: io non chiamo gentilisti i cinofilosofi!
        Io chiamo gentilisti coloro che hanno preso (in prestito dagli inglesi) un metodo, il gentle training, e dopo essersene – in alcuni casi, non in tutti – attribuiti la paternità (come al solito) l’hanno trasformato in uno strumento di marketing esattamente con il meccanismo da te descritto, criminalizzando tutti coloro che usavano metodi diversi.
        Comunque, i gentilisti sono (in modo più o meno talebano: e quando sono talebani a mio avviso sono imbecilli – o troppo furbi – mentre quando tengono la mente aperta, sanno essere gentili anche con gli umani e sono interessati al benessere del cane più che al business, non mi danno alcun fastidio) persone che seguono un METODO.

        I cinofilosofi sono quelli che pensano che l’unica cosa che importi al mondo sia il modo “concettuale” di approcciare il cane.
        Quindi per loro conta appunto l’approccio, e non il metodo.
        Dopodiché i cinofilosofi si dividono in due categorie: quelli che fanno il loro onesto lavoro (di educatori, addestratori, istruttori e così via) PARTENDO dal punto di vista zooantropologico-cognitivo o come cazzarola vogliamo chiamarlo, insomma dal concetto che il cane non è uno schiavo ma un partner, che mi sta benissimo, e quelli che partono e ARRIVANO lì, senza andare da nessun’altra parte.

        Il che mi potrebbe stare altrettanto bene (perché il concetto è assolutamente condivisibile) se:
        a) il concetto “cane-non-schiavo-ma-partner” non cercassero di spiegartelo in centoduemila lezioni al prezzo di millemila euro, giustificando tempi e costi a forza di supercazzole che non si sono neppure sforzati di creare personalmente, ma che hanno preso di peso dalla psicologia umana e mutuato su quella canina (dove, tra l’altro, spesso appaiono pure forzate);
        b) non sputassero veleno, fango & merda su chiunque non parta dal loro stesso approccio… o magari sì, ma con un “bollino blu” diverso dal loro;
        c) non volessero far credere alla gente che il cinofilosofo è ANCHE educatore, addestratore, istruttore e magari idraulico, medico e avvocato.

        Il cinofilosofo è un teorico, PUNTO. Esattamente come il filosofo umano.
        Poi le sue teorie possono fungere da BASE alle discipline pratiche, ma non sostituirle.
        Quando si cerca invece di far credere questo si FANNO DANNI ai cani, che sono compiutamente felici e gratificati solo quando si sentono inseriti in una società (branco o non branco che vogliamo chiamarla) in cui hanno un RUOLO preciso.
        Altrimenti saranno sempre dei frustrati.
        Se il cinofilosofo non sa/non capisce/fa finta di non capire questa semplicissima e lapalissiana verità e continua a mangiar soldi alla gente per raccontare teorie, ma senza offrire strumenti-metodi-apertura mentale per ottenere un risultato pratico, è un ladro di polli.
        Se il cinofilosofo prova a fare cose pratiche che NON sa fare, è un ladro di polli pericoloso.
        Se il cinofilosofo parte dall’approccio filosofico ma POI si smazza sui campi, sbatte il muso in diversi cani e in diversi problemi, impara a risolvere quei problemi (con metodi adatti/adattabili – al singolo soggetto, e non col “manuale del perfetto educatore” in mano, da cui non può sgarrare perché altrimenti il guru lo cazzia), magari impara anche come ci si applica ad uno sport o a un lavoro che hanno a che fare con i cani… allora è una persona che fa il suo onesto lavoro, partendo, SI, da un concetto filosofico, ma non fermandosi a quello. E non rubando soldi alla gente.

  4. Ciao Davide,
    felice di leggerti qui 🙂
    Sono in larga parte d’accordo su quanto scrivi, ma credo che per inquadrare il problema si debba fare un piccolo passo indietro, chiedendosi il perché ci sia – oggi – bisogno di “puntualizzare l’ovvio” (cosa che, fino a pochi anni fa, era semplicemente ridicolo).
    Credo che la maggior parte delle energie cinofile siano investite male, perché sono rivolte più alla difesa dei vari metodi che non alla proposizione di nuove tecniche o moduli avanzati di cui possa beneficiare l’intero comparto.
    Lo vedo dalle tante mail che mi arrivano in cui mi vengono chiesti pareri relativi a scritti che sono di una banalità imbarazzante, intrisi più di spunti cinofilosofici che non di sostanza o di nuova linfa.
    Ormai vivi nel mondo dei “buoni” e dei “cattivi” – non in un ambiente che si distingue per la sua multiformità, e questo produce un continuo bisogno – da una parte – di chiarezza, la quale si manifesta – ahimè – esclusivamente attraverso l’inutile scontro tra le varie metodologie di lavoro.
    Viviamo in un periodo storico in cui l’ideologia animalista – quella più becera e di bassa lega – viene usata per portare avanti “gentilismi estremi” che appartengono alla morale umana, non all’etologia animale, ma che riempiono le tasche di professionisti altamente impreparati ad affrontare problematiche cinofile di un certo livello.
    Sotto questa spinta, poco tempo fa, un signore ha fatto morire 20 rapaci in pochi giorni perché voleva convertirli alla dieta VEGAN, mentre un altro ha liberato duemila fagiani da un allevamento venatorio dimenticandosi di togliergli il cappuccio che gli chiudeva il becco, facendoli morire di stenti o sui parabrezza delle auto in corsa.
    Lo stesso sta succedendo nei cani; un mercato che fa gola a tanti – dai politici alle case farmaceutiche – e che manca di personalità, di buon senso e di rispetto verso chi ci lavora da anni.
    I vari moduli formativi moderni assomigliano per certi versi alla nuova visione della figura del “produttore cinematografico”, il quale è ormai diventato un semplice “amministratore delegato” svincolato dal fattore artistico e umano che lo contraddistingueva in passato.
    Lo stesso è successo in cinofilia, e questo è un fatto sotto gli occhi di tutti.
    Fino a che i neofiti crederanno al fatto che l’approccio zooantropologico sia una cosa recente – un nuovo modello – la cinofilia italiana resterà avvitata su se stessa senza cogliere alcun traguardo o nuova frontiera, favorendo al massimo la “visione societaria” del settore, la quale si traduce in una mera “guerra commerciale” tra le varie aziende.
    Il mondo del cane è quindi diventato un prodotto, anche se spacciato come essere vivente e senziente; da qui la continua necessità di puntualizzare l’ovvio da parte di chi ha le scarpe continuamente sporche di fango e lavora con soggetti un po’ diversi dal “Lessie da salotto” (tanto per citare una cosa che ho letto alcuni giorni fa).
    Chi non ci sta e non aderisce a questa forma di pensiero “new age” viene alienato.
    Resta il fatto che più leggo e mi guardo intorno, maggiore è la consapevolezza che l’allevamento di capre sia stata la mia scelta di vita migliore.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Ultimi articoli

Scarica la nostra app!

E' gratuita e potrai rimanere facilmente aggiornato su tutti i nostri contenuti!

Scarica l'app per sistemi Android
Scarica l'app per sistemi Apple

Ti presento il cane
Condividi con un amico