mercoledì 4 Dicembre 2024

Volpe

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TESTO E ILLUSTRAZIONI DI LAURA BUCCINO – Volpe nacque nel 1992, quando ‘A Sciara aveva 3 anni.
Vide la luce alla Masseria Reginella, in una tana sotto un Olivo Cipresso, uno qualunque di quelli che costituivano il filare di divisione tra due prati. Per Volpe e le sue due sorelle quello non era un albero qualunque, naturalmente, ma Casa.
Quando la incontrai, stavo beandomi della giornata di sole insieme alla cavalla. Le quattro volpi procedevano senza timore sul viale di terra battuta, in fila indiana.
Mentre le sue sorelle e la madre erano del colore della gramigna quando le sue spighe sono mature, Volpe era rosso, dello stesso rosso della cavalla. Ci sarebbe stato da discettare sul colore dei due animali, che un signore spiritoso avrebbe definito entrambi “bai”.
Un cavallo baio è di colore rossiccio con estremità, coda e criniera nere. Ora, Volpe non aveva criniera, ma le sue zampe, dal ginocchio al piede erano nere, come l’attaccatura della coda, che poi sfumava nel rosso scuro, fino alla punta bianca.
Mi soffermai oziosamente su questo particolare, mentre la cavalla e Volpe si incontravano al centro del viale. ‘A Sciara non ama i cani e li prende a scarpate, ma quella volta scattò una comunione tra i due che, ebbi a scoprire in  futuro, sarebbe durata una vita.
Si guardarono un attimo, poi Volpe seguì la madre nel frutteto.
Non rividi Volpe per anni.
Abitavo altrove, allora e facevo la strada da casa al maneggio almeno due volte la settimana, ma capitava che mancassi per mesi, durante i quali ‘A Sciara andava da box a paddock e viceversa, senza uscire a scorrazzare da sola.
Nel 2003 mi trovai nella necessità di cambiare casa; presi in affitto una casetta con giardino che insisteva sullo stesso terreno delle scuderie e la cavalla venne ad abitare accanto a me.
Non sapevo che i cavalli (o perlomeno quel cavallo), usassero fare come gli umani, nella scelta degli amici e cioè “tanti conoscenti, ma amici che bastano le dita di una mano per contarli. E qualche dito avanza”.
Gli amici di una vita, quelli che non vedi per anni, ma ci sono sempre e tu ci sei sempre per loro.
Quando il maneggio si svuotò di cavalli e persone, rimanemmo sole: io,  ‘A Sciara e, scoprii poi, Volpe.
Non so se andarono via tutti a causa di quei fenomeni che a volte capitano, per cui interi paesi si spopolano, ma successe.
Forse fu a causa dei fantasmi che rendevano nervosi cavalli e cavalieri.
In questa solitudine beata, la cavalla passava molte ore nei prati attorno casa, circa 20mila metri di terreno incolto.
La vedevo galoppare, sgroppare ed impennarsi apparentemente senza ragione, tanto per fare.

‘A Sciara dava fastidio a Volpe durante la caccia…

Mi accorsi invece che a volte andava ad infastidire il suo amico durante le battute di caccia al topo campagnolo. Volpe le saltava davanti per mandarla via, o per giocare, non so.
Così, tra una pulizia ed un bucato, un’annaffiata al giardino e la cena che cuoceva sempre a fuoco lentissimo, passavo ore sul terrazzo, con lo sguardo perso nel prato dove quei due anziani si comportavano come giovani dementi.
Ad agosto contavo i Gheppi, una coppia nidificava nella casa colonica alle mie spalle.
Ogni anno erano 5 nuovi nati che si incrociavano in spirali altissime nel cielo, fino a diventare invisibili. Una volta cresciuti se ne andavano a colonizzare nuovi territori.
A settembre raccoglievo le enormi noci selvatiche che l’albero che riparava ‘A Sciara dal sole cocente faceva cadere copiose anche sul mio terrazzo, macchiandone il pavimento per mesi.
Ad  ottobre mettevo da parte qualche oliva, nel tentativo di fare una coltura bonsai.
E una volta vidi i fantasmi.
Erano i cavalli morti al maneggio, che galoppavando la notte, attraversavano il mio giardino, il recinto della cavalla e scomparivano al galoppo nel terrapieno su cui c’era la Statale. Tornavano a casa dopo una sgambata serale.
In quel terrapieno erano sepolti i loro corpi.
Li vedevo, erano come fatti di nebbia, o acqua. Riconobbi Admiral lady e Lindemberg.
Lady aveva sofferto molto a causa della podoflemmatite. Io la conobbi giovane in un maneggio a Napoli, una cavalla affamata, maltrattata e riempita di antibiotici, povera vittima di una pazza con la mania di fare il veterinario a terra e la grande amazzone quando si trovava in sella, espulsa da ogni maneggio a causa dei maltrattamenti che infliggeva alla povera bestia.
La ritrovai alla Reginella, ormai ridotta ad un’ombra a cui ogni passo costava una sofferenza che solo la sua proprietaria non voleva vedere: la trascinava dal box al prato mentre noi per esorcizzare l’orrore scherzavamo sugli avvoltoi che le giravano sopra, ma nessuno rideva.
Durante una delle mie assenze, Lady fu pietosamente aiutata a morire.
Lindemberg morì vecchissimo, a causa di una frattura al femore provocata da un calcio di Tequila, regalata alla proprietaria di Lady da un’amica che non poteva più tenerla.
La seconda vittima di una persona tristissima, seminatrice di malasorte che danneggiava chiunque la avvicinasse.
Lei sembrava immune, o solo portatrice sana.
Quando  se ne andò con Tequila , mi dispiacque per la cavalla, ma sospirai di sollievo e non fui la sola.
Guardando i fantasmi di tutti quei cavalli pensai che la Morte è davvero una livella. Erano tutti belli e sani, Lady non si trascinava e Lindemberg non aveva la groppa insellata ed era un bellissimo e fiero stallone.
‘A Sciara li guardò passare: continuò a guardare il terrapieno nel quale erano spariti per un lungo tempo e nitrì come a salutarli.
Lei li aveva conosciuti tutti e non ne aveva paura.
Li sentii spesso, ma di notte, mentre ero a letto.
Solo la Cavalla ebbe ancora occasione di salutarli. Quella volta per me fu solo un caso.
A novembre pioveva e a dicembre, gennaio e febbraio faceva tanto freddo, in quella casa esposta a nord, che uscire era una sofferenza.
‘A Sciara diventava un orso rossiccio, mettendo su una pelliccia invidiabile. Io disegnavo, dipingevo e cercavo di rimanere al caldo.
Volpe spariva, presa da altre incombenze, quali mangiarsi tutte le anatre del padrone del terreno.
Non desiderò mai le mie galline, cui toccò in sorte di morire di vecchiaia.
A volte capitavano delle giornate calde, tanto che la sera si poteva stare all’aperto, mentre il pianeta rilasciava il calore accumulato durante il giorno. A volte l’umidità si condensava in lunghi tentacoli sul prato, si poteva vedere la nebbia che avanzava velocemente ed allora sembrava di essere immersi nell’atmosfera brumosa di certe narrazioni gotiche.
Una mattina, dopo aver assistito al fenomeno la sera precedente, mi alzai all’alba, svegliata dal silenzio innaturale che avvolgeva il posto.
I cani tacevano, mi salutarono appena, così mi affacciai sul terrazzo per osservare….il nulla.
I paletti della recinzione erano a malapena visibili, pur trovandosi a soli sei metri di distanza.
Il prato era sparito, così come la statale e le case oltre essa.
C’era, al posto di ciò che conoscevo, un velo luccicante di nebbia. “Ecco –  dissi alla cavalla, o al nulla, non ricordo – Qualcuno ha portato via tutto il Mondo, o ha portato noi via dal Mondo”.
Feci uscire i cani, i quali esitarono a scendere la pedana che portava al giardino, quasi come se il fenomeno li spaventasse.
Durò poco. L’anemico sole che si alzò fece diradare il velo di nebbia e tutto tornò come al solito.
Le auto passando producevano il solito rumore, i Jack Russell del mio triennale allevamento si misero a far baldoria, la cavalla chiese la sua razione di fieno per colazione.
Volpe si faceva sentire da fine febbraio a metà marzo, abbaiando per attirare la sua compagna, o qualsiasi altra volpe femmina volesse accompagnarsi a lui per il periodo degli amori. Poi scompariva di nuovo.
Il Gheppio cacciava a terra, posato su una montagnola di terreno gelato posta sopra una tana di Topi campagnoli.
Non digiunava mai.
Non appena uno della famiglia sotterranea metteva fuori il capino, guardava in alto e tirava un sospiro non vedendo il predatore volteggiare, Gheppio allungava una zampa e lo ghermiva.

Discutendo di filosofia naturale…

Gli anni passavano così, tra un bucato ed una chiacchierata con cavalla e Volpe che vedevo da lontano, a volte insieme ad una femmina e dei cuccioli, prima che l’erba crescesse tanto da nasconderli alla vista.
A volte un piccolo era del rosso scuro del padre, ma quasi sempre il biondo chiaro prevaleva.
Arruvò il 2008, in agosto qualcuno dalla statale appiccò il fuoco all’erba del prato, che bruciò tutto e rividi Volpe dopo una lunga assenza.
Il tempo si era accanito su di lui.
Vecchio, spelacchiato e male in arnese, decisi di prendermene cura e lo nutrii col mangime dei cani, visto che il fuoco aveva ucciso tutte le piccole creature con  cui si era sostenuto  per una vita.
L’acqua non mancava, riempivo costantemente le vasche della cavalla e Volpe non mi temeva, anzi, si prendeva qualche piccola libertà, come scegliere per giaciglio un tappeto di rampicanti appena fuori dal paddock, perfettamente in vista.
Arrivava di pomeriggio, beveva, non mangiava mai davanti a me le crocchette ed i bastoncini di pesce che gli calavo in un pentolino con una funicella. Si accoccolava sul cuscino verde e chiacchierava amabilmente con la sua vecchia amica, del tempo o di filosofia naturale, non so. Non sono mai stata invitata a partecipare.
A sera si girava e rigirava, com’è costume dei Canidi di tutto il mondo per mettersi in modo che il vento le portasse direttamente al naso gli odori e si addormentava. Il mattino dopo il pentolino era vuoto e Volpe non c’era.
Un pomeriggio di inizio settembre Volpe arrivò un po’ prima, come al solito non degnò il pentolino di un’occhiata e si accomodò sul suo trono di rampicanti, mentre ‘A Sciara prendeva posto a lato del suo box, col petto appoggiato allo steccato ed il testone un po’ abbassato, proteso verso il suo amico.
Passarono così tutto il pomeriggio e quando la sera allungò le sue ombre sul terreno, Volpe posò il capo sul suo giaciglio e si addormentò.
Il suo spirito si sollevò, guardò l’immoto guscio rognoso che era diventato e sorrise dalle sue ritrovatte fattezze giovanili.
Si stiracchiò, salutò la Cavalla e si allontanò trotterellando con l’ultimo sole che faceva luccicare il suo pelo  Rosso Tiziano.

Volpe, 1992-2008

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