sabato 15 Marzo 2025

Osservazione del branco – Parte II: Il branco si ricostituisce

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di VITTORIA PEYRANI – Tra i motivi che mi avevano spinto ad adottare Abigail c’era anche quello di dare a Leonore una compagna di giochi: la mia rottweiler, ancora giovane e con una vitalità notevole, aveva sofferto moltissimo per la perdita prima di Aaron, che pazientemente l’aveva cresciuta, e poi di Aysha per la quale aveva nutrito una vera e propria venerazione e con la quale era divenuta inseparabile.
Invece la bracchetta non era mai stata considerata una compagna di giochi interessante.
Il gruppo non poteva essere considerato un vero e proprio branco.
Malgrado tutti i miei sforzi, Abigail era isolata rispetto alla coppia di rott e non poteva godere di significative interazioni con Mafalda, che oltre ad essere ormai anziana, era cieca.
Spawn e Leonore si erano molto uniti e notavo che sempre più spesso Lio si comportava verso il maschio come in precedenza aveva fatto con Aaron, cercando il contatto per dormire, ad esempio, o leccandolo spesso sul muso.
Mi rendevo conto che per la mia rottweiler la perdita di Aysha non aveva significato solo perdere una compagna di giochi, ma soprattutto trovarsi senza una guida autorevole.
Avevo sperato che introdurre un soggetto molto giovane e naturalmente sottomesso, avrebbe aiutato Lio ad assumere un ruolo diverso da quello di subalterna di Aysha, cosa che l’aveva fatta restare ad uno stadio di comportamento un po’ infantile.
Mentre apparentemente Spawn, che aveva convissuto per un periodo piuttosto breve sia con Aaron che con Aysha – e che aveva un’indole molto diversa, più accomodante e nello stesso tempo più solitaria – non sembrava aver risentito in modo particolare della destabilizzazione del branco, il disagio di Leonore trovò espressioni eclatanti anche a livello fisico, con repentini dimagrimenti e con l’inizio di crisi epilettiche.
Tutti gli accertamenti fatti non rilevarono problemi di natura organica: l’epilessia di Leonore fu etichettata come idiopatica (ovvero di causa sconosciuta), con probabile base genetica, come sembrano confermare recenti studi, condotti sui border collies, che sembra abbiano individuato il cromosoma portatore del gene dell’epilessia.
Da quel momento la mia ossessione fu cercare di capire cosa scatenasse gli attacchi.
Avevo notato, ad esempio, che questi si verificavano in concomitanza ai cambiamenti climatici, cioè al passaggio dalla stagione fredda a quella calda e viceversa, e che quindi la variazione di temperatura comportava uno stress per l’organismo tale da facilitare l’insorgenza della crisi.
Un altro elemento interessante era costituito dal fatto che Leonore aveva sempre avuto gli attacchi verso l’alba, nel momento in cui il sonno era nella fase leggera, dopo il rilassamento dovuto alla fase di sonno più profondo, e quando l’organismo si preparava al risveglio. Questo, da profana, mi suggeriva in qualche modo che l’eccitazione nervosa aveva un ruolo importante.

Negli ultimi tempi della nostra vita in città, altre abitudini erano cambiate, determinando un peggioramento della qualità di vita dei miei cani: la crescente urbanizzazione della zona aveva via via fatto sparire molti spazi verdi di cui eravamo soliti usufruire e l’aumento della popolazione del quartiere, in termini di persone, traffico ed altri cani, limitava sempre più la possibilità di scioglierli per permettere una sana corsa, giocare a palla o metterli a contatto solo con cani compatibili.
Sebbene io abbia sempre dedicato svariate ore al giorno ai miei cani e malgrado avessimo un giardino, il momento in cui li portavo fuori era l’evento più importante della giornata, ma troppo spesso l’agognata uscita si riduceva ad una passeggiata al guinzaglio, zigzagando tra macchine, bambini, gente intollerante e cani lasciati liberi dai loro proprietari di infastidire chiunque passasse.
Il primo effetto del trasferimento in campagna fu indubbiamente la possibilità di scaricarsi fisicamente in modo adeguato, non solo perché liberi dal guinzaglio, ma anche, soprattutto, perché ciascuno dei miei cani conquistò la libertà di poter dosare, a seconda delle sue esigenze, la quantità di moto fisico.
Pur avendo libero accesso alla casa, questa veniva ora vissuta proprio come una tana, un posto dove dormire, mangiare e radunarsi, mentre buona parte della giornata veniva dedicata al pattugliamento dei confini, alla caccia e al gioco nello spazio esterno.
Calcolai che soprattutto Leonore ed Abigail, facevano circa dieci volte l’attività fisica che facevano in città, tanto che dovetti modificare la loro dieta in relazione al rinnovato fabbisogno energetico.

Sharon arrivò in un momento in cui gli altri miei cani erano indubbiamente più sereni rispetto al momento in cui avevo adottato Abigail neanche un anno prima.
Dando un giudizio a posteriori, penso che tra le cause dell’ostilità di Leonore nei confronti di Abigail anche la frustrazione di bisogni primari quali libertà e attività fisica contribuisse notevolmente a inasprire l’intolleranza, frutto cioè di una situazione di disagio ed ansia crescente.
I miei due rottweiler mostrarono subito di apprezzare il comportamento rispettoso della nuova arrivata, che dimostrava di saper riconoscere perfettamente il rango dei cani adulti e di tutti i segnali che le venivano inviati.
Abigail, dal canto suo, felice di avere un altro cane con cui giocare, propose un ruolo alla pari e tra le due cucciole fu subito grande amicizia.
Sharon sapeva adeguare il proprio comportamento in relazione al cane che aveva davanti e di modificare le sequenze a seconda delle situazioni: quando il gioco tra lei ed Abigail diveniva particolarmente concitato, ad esempio, Leonore interveniva con lo scopo di fermarle e Sharon prontamente si arrestava e si metteva seduta, mentre la bracchetta generalmente continuava a saltare ed abbaiare finchè non si prendeva una sonora sgridata.
Ma proprio questa attività di mediatrice da parte di Sharon operò il grande cambiamento e procurò il famoso “effetto dell’anello mancante”.
Il mio gruppo di cani non poteva essere definito “un branco”, poiché mancava la coesione e non vi erano attività di collaborazione: da una parte i due rottweiler adulti, dall’altra la bracchetta incompresa ed ai margini di tutto questo Mafalda, costretta ad una condizione di scarsa interazione.
Avevo lavorato per migliorare la situazione pensando sempre che mancasse qualcosa. In realtà quello che mancava per equilibrare tale condizione era qualcuno che riempisse un vuoto, un posto vacante.

Sharon riuscì a farsi adottare dai due cani adulti, ottenendo per esempio la “licenza” per una vicinanza spaziale e un contatto fisico (al punto di dormire tranquillamente appallottolata accanto a loro), ed in questo si portò dietro Abigail con la quale era molto legata.
Accettando volentieri il ruolo di ultima arrivata, Sharon consentì uno scatto di posizione nell’ambito della gerarchia ad Abigail, che era pur sempre maggiore per età, avvicinandola di più a Leonore e Spawn.
Ben presto cominciarono a delinearsi i ruoli, ed ognuno dei miei cani cominciò ad avere una funzione in base alle caratteristiche individuali, riconosciuta dagli altri.
La maremmana era la sentinella e dava l’allarme abbaiando se qualcuno era in arrivo: a quel punto intervenivano i due rott in prima linea nella difesa della proprietà e le due cucciole li seguivano a distanza.

Quello della caccia era invece il momento di gloria di Abigail, il cui fiuto per qualunque preda, da un fagiano ad una lucertola, era impareggiabile e che ora, nel mezzo della natura, poteva dare la sua massima espressione. Ben presto Leonore riconobbe la sua capacità e le conferì la guida delle battute di caccia: così le due cominciarono a stare sempre più spesso insieme, collaborando e comunicando per accerchiare una lucertola o scovare qualche pennuto nel bosco, e addirittura chiamandosi a vicenda per cominciare.
Diversi etologi e studiosi del comportamento sociale dei cani sono concordi nell’affermare che un branco equilibrato è formato da un numero compreso tra cinque e sette componenti: tale numero consente al gruppo di potersi organizzare proficuamente per la caccia e di essere sufficientemente forte per difendere il proprio territorio. Un numero più elevato di componenti, paradossalmente, rischia di destabilizzare il gruppo anziché rafforzarlo, perché aumentano le conflittualità e le difficoltà di comunicazione al suo interno.
Personalmente ho notato che quando i cani vivono in un gruppo di almeno cinque componenti, il loro interesse a familiarizzare con i loro simili estranei al branco è minore, come se il bisogno di socializzazione fosse appagato all’interno della realtà in cui vivono.
Fatto sta che Sharon, quinto elemento del gruppo, operò il cambiamento ed i miei cani cominciarono a vivere e rapportarsi come un branco, in cui ogni individualità trovò il suo posto ed il suo motivo di essere.

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8 Commenti

  1. Che meraviglia questi articoli, ho letto con interesse tempo fa la parte del cucciolo indisciplinato! aspetto con ansia il terzo atto!!!

  2. Non c’è che dire, un articolo meraviglioso e che con la semplice descrizione dei fatti dice molto più di certi testi pieni di teorie e tesi! Però…per la prossima puntata non si potrebbe fare una breve presentazione iniziale dei cani coinvolti? Fatico con i nomi 😛

  3. Davvero interessante. E che posto magnifico! Non è che per caso, magari, tante volte, hai visto mai, è prevista una terza puntata?

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