lunedì 17 Marzo 2025

Deontologia, corporativismo e omertà

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Valeria Rossi
Valeria Rossi
Savonese, annata ‘53, cinofila da sempre e innamorata di tutta la natura, ha allevato per 25 anni (prima pastori tedeschi e poi siberian husky, con l'affisso "di Ferranietta") e addestrato cani, soprattutto da utilità e difesa. Si è occupata a lungo di cani con problemi comportamentali (in particolare aggressività). E' autrice di più di cento libri cinofili, ha curato la serie televisiva "I fedeli amici dell'uomo" ed è stata conduttrice del programma TV "Ti presento il cane", che ha preso il nome proprio da quella che era la sua rivista cartacea e che oggi è diventata una rivista online. Per diversi anni non ha più lavorato con i cani, mettendo a disposizione la propria esperienza solo attraverso questo sito e, occasionalmente, nel corso di stage e seminari. Ha tenuto diverse docenze in corsi ENCI ed ha collaborato alla stesura del corso per educatori cinofili del Centro Europeo di Formazione (riconosciuto ENCI-FCI), era inoltre professionista certificato FCC. A settembre 2013, non resistendo al "richiamo della foresta" (e soprattutto avendo trovato un campo in cui si lavorava in perfetta armonia con i suoi principi e metodi) era tornata ad occuparsi di addestramento presso il gruppo cinofilo Debù (www.gruppodebu.it) di Carignano (TO). Ci ha lasciato prematuramente nel maggio del 2016, ma i suoi scritti continuano a essere un punto di riferimento per molti neofiti e appassionati di cinofilia.

di VALERIA ROSSI – Nei giorni scorsi, come i lettori più attenti avranno sicuramente notato, siamo tornati ad affrontare lo spinoso problema degli  psicofarmaci, ormai divenuti “di moda” e non sempre somministrati – almeno a mio avviso, e non solo mio – per effettiva necessità.
Il tentativo (l’ennesimo) di cercare un confronto costruttivo pur partendo da una critica (per il semplice motivo che  non è possibile risolvere un problema se prima non lo si porta alla luce) ha scatenato il consueto putiferio di lese maestà, minacce di azioni legali, insomma il solito bailamme che salta fuori ogniqualvolta qualcuno si permette di insinuare che educatori, addestratori o veterinari possano anche sbagliare.
Ovviamente posso sbagliare anch’io: nessuno al mondo ha la verità in tasca.
Se però vedo uno, due, dieci, cento cani a cui sono stati prescritti psicofarmaci, i cui problemi vengono poi risolti semplicemente affidando lo stesso animale a qualcuno che riesce a comunicare con lui su basi etologiche e non farmacologiche…be’, se permettete il dubbio mi viene. E quando mi viene un dubbio, visto che il mio lavoro è quello di scrivere, io ne scrivo.
Ne scrivo per aprire un dibattito che spererei sempre costruttivo, ma anche perché mi sembra corretto che il pubblico SAPPIA che sta succedendo qualcosa di anomalo, che secondo me può danneggiare cani e proprietari (questi ultimi soprattutto dal punto di vista economico).  Ne scrivo perché questi argomenti sono di interesse generale, e quindi trovo logico che abbiano il loro spazio su una rivista di cultura cinofila generale.

Le reazioni, come dicevo, sono sempre assai sopra le righe.
Chi si incavola a morte, chi va dall’avvocato, chi lancia anatemi…e nessuno, mai, che si ponga il problema: “Ma questa dice cavolate, oppure un fondo di verità potrebbe esserci?”
Niente. Nessun dubbio, neppure di fronte all’evidenza di testimonianze, foto, video.
Chi ha il diploma X o la laurea Y in tasca diventa automaticamente detentore della Scienza Esatta: il che, quando si parla di cani e soprattutto di psicologia canina (un campo in cui siamo ben lontani dall'”esattezza” anche in umana…), è quantomeno presuntuoso.
Eppure ci sono, ahimé, categorie professionali abituate da sempre a ritenersi  infallibili ed intoccabili.
Categorie per le quali non esiste proprio il concetto di “fallacità insita nell’essere umano”, quando la fallacità, purtroppo, è il cardine della nostra esistenza.
Ma non è neppure solo questo il punto (per quanto di tratti di un punto a mio parere gravissimo, perché dal semplice rispetto per la professionalità si è passati al timore reverenziale, che del rispetto è una deriva pericolosissima): si va anche oltre, perché non basta la reazione da “lesa maestà” del singolo che magari hai osato nominare e a cui hai osato (oh, tu, essere immondo!) chiedere ragione di una sua scelta rivelatasi non esattamente vincente.
No, non basta! C’è anche l’ampliamento della Somma Offesa all’intera categoria… e neppure soltanto a coloro che compiono le stesse scelte (anche se sono sempre i primi a saltar su come tanti Jack-in-the-box), ma anche a quelli che magari non si sognerebbero mai di dare uno psicofarmaco a un cane, ma che si sentono toccati nel vivo perché hai “offeso i veterinari”, o “gli educatori” nella loro totalità, sostenendo (WOW!) che forse, a volte, possono pure sbagliare.

Dopo l’uscita di un articolo in cui nominavo una veterinaria, chiedendole ragione di una somministrazione a mio avviso inutile (e in cui semplicemente “chiedevo” spiegazioni: non è che le dessi della cretina o dell’incompetente), mi è arrivata in email la comunicazione “vi informo di aver dato mandato al mio legale per le azioni che riterremo più opportune”. Dopodiché un amico veterinario, con cui stavo parlando di questa storia, mi ha detto:  “Sono completamente d’accordo con la tua posizione, però credo che avresti dovuto parlare con la dottoressa in privato”.
Domanda: ma PERCHE’?!?
L’uso degli psicofarmaci nel cane non è forse un argomento di interesse pubblico?
Non ci sono centinaia, forse migliaia di persone che se li sentono proporre e che a mio avviso hanno il sacrosanto diritto di sapere che esistono delle alternative?
Nel mio articolo io non ho “diffamato” la dottoressa: mi sono limitata a raccontare una storia che la vedeva protagonista e a chiederle, appunto, spiegazioni di una scelta che non condividevo, visto che i fatti stanno dimostrando che i farmaci in quel caso erano superflui.
Perché una tale richiesta non dovrebbe essere pubblica?
A me pare che innanzitutto dia modo di chiarire i motivi di questa scelta, smentendo eventualmente le mie convinzioni; ma anche nell’eventualità che avessi ragione io e che quella prescrizione si potesse considerare un errore, questo taccerebbe forse la veterinaria di imbecillità o incompetenza?
Ma signori miei, se così fosse nessun medico dovrebbe più esercitare (né nessun altro professionista, temo)! Perché di errori ne facciamo TUTTI.  Se non ne facessimo, non saremmo umani.
I  medici (umani e veterinari) devono forse essere considerati una categoria di super-eroi al di sopra della normale umanità?
Benissimo. Ma se così fosse, allora qualcuno dovrebbe spiegarmi perché il dottor Colangeli, nella sua risposta ad un mio precedente articolo sugli psicofarmaci, scriveva queste testuali parole: “Mi dissero, il primo giorno di lezione sulla medicina comportamentale “tutto ciò che vi diremo…è falso”.

Personalmente, di fronte ad una premessa come quella citata, credo che mi sarei alzata e me ne sarei andata!
Perché, certo, era solo una provocazione ironica… ma basata su una verità ineluttabile, che lo stesso Colangeli spiega subito dopo:  “questa frase mi scioccò, ma risponde esattamente a ciò che sta avvenendo. La scienza della mente e del comportamento non è statica, è in continuo miglioramento grazie alle scoperte in neuroscienze, all’esperienza clinica accumulata, ecc. e dobbiamo essere molto umili nelle nostre affermazioni in quanto ciò che diremo oggi non sarà la verità del domani”.
Oh! Parole sante.
Progrediamo per prove ed errori, questo è il dato di fatto.
E allora, tanto varrebbe avere, appunto, l’umiltà di ammetterlo… mentre a me non pare affatto umile l’atteggiamento di chi, di fronte alla domanda “sei sicuro che la tua prescrizione fosse la migliore combinazione di scienza (inesatta per definizione degli stessi scienziati) e coscienza (quella che dovrebbe farti preoccupare del bene del cane, prima che del tuo interesse personale)?”, si fionda dall’avvocato!
Mi sembra invece arrogante e presuntuoso, degno del miglior delirio di onnipotenza che poi, guarda caso, viene clamorosamente smentito dagli stessi accademici, ben consci di stare in equilibrio su un filo fragilissimo.
Ma un po’ di coerenza, secondo voi, fa proprio male alla salute?

E fin qui abbiamo parlato di veterinari: ma non sono mica i soli ad avere reazioni fuori misura.
Un educatore cinofilo – che con una veterinaria comportamentalista collabora strettamente – è stato chiamato in causa da una lettrice che gli diceva di avere attualmente per le mani un cane a cui era stato proposto un trattamento farmacologico, rifiutato dalla proprietaria: ora il cane sta migliorando e molti dei suoi problemi si stanno risolvendo pur non essendo lei un’addestratrice, ma una semplice dog sitter e titolare di pensione.
Questa signora faceva quindi notare all’educatore che forse (forse!) quegli psicofarmaci erano stati prescritti senza che ce ne fosse una reale necessità.
L’educatore ha risposto – piccatissimo – che la ragazza a suo avviso era “una cialtrona”, perché non si era firmata con nome e cognome ma con uno pseudonimo.
Lei, allora, ha fornito prontamente le sue generalità… con le quali l’educatore ha visto bene di andare a fare indagini per scoprire se fosse legata a qualche associazione: e una volta assodato che era effettivamente tesserata con una di queste, ha telefonato ai responsabili minacciando una denuncia perché una loro associata aveva violato il codice deontologico.
Al di là del comportamento palesemente infido (non trovo altre termini)  di questa persona, che ha chiesto di conoscere le generalità della sua interlocutrice non come manifestazione di rispetto nei suoi confronti (che sarebbe stata assolutamente lecita), ma con la palese intenzione di pugnalarla alle spalle, il codice deontologico dell’associazione me lo sono letto tutto, dalla prima all’ultima virgola. E non posso proprio dire di aver trovato nulla di cui il comportamento di questa ragazza potesse rappresentare una violazione.
Proprio impegnandosi e mettendoci tutta la cattiva volontà possibile, ci sono due punti che potrebbero essere presi in esame.
Il primo dice che l’associato deve comportarsi “in modo tale da non sminuire la fiducia che la gente ha nei confronti della categoria professionale”.
Il secondo sostiene che gli associati “non devono imporre impropriamente il loro punto di vista, o disprezzare pubblicamente l’operato, la condotta o le opinioni altrui“.

Allora, vediamo un attimo: è indubbio che criticare – anche se in modo civile e formalmente corretto – l’operato di un collega potrebbe “sminuire la fiducia che la gente ha nei confronti della categoria professionale”.
Ok, ma l’alternativa qual è? L’ omertà?
Non solo evitare le critiche civili, ma anche – e soprattutto – coprire qualsiasi misfatto?
Perché quella di cui stiamo parlando può essere considerata una discussione accademica, basata sull’eventualità o meno di mettere in pratica terapie che comunque sono accettate (e addirittura consigliate) dalla comunità scientifica:  ma poniamo il caso in cui un educatore venisse beccato da un collega a massacrare un cane di botte.
Che deve fare? Stare zitto, perché se parla “la fiducia della gente diminuisce”?
Perché è indubbio che diminuisce, eh! Non ci piove proprio.
Quando “Striscia la notizia” ha  mandato in onda il video di un macellaio che torturava letteralmente i cani con il collare elettrico, la gente non si è tenuta alla larga solo da quel signore lì, ma è diventata estremamente diffidente nei confronti di TUTTI gli operatori cinofili.
E allora? Per evitarlo si doveva forse tacere, affossare, insabbiare?
Credo proprio di no, e spero vivamente che il codice deontologico non intenda questo!
Quindi direi, a questo punto, che al codice forse manca una frasetta aggiuntiva, che mi permetto di suggerire: “non si deve sminuire la fiducia della gente, a meno che le circostanze non impongano che un particolare episodio o la condotta di una particolare persona vengano pubblicamente denunciati, per salvaguardare il benessere dei cani”.
Così, a mio avviso, si può parlare di “deontologia”. Altrimenti diventa omertà fatta e finita.

Prima di affrontare il secondo punto, quello che parla di “non disprezzare pubblicamente l’operato altrui”, gradirei fare un piccolo excursus tra i codici deontologici di diverse associazioni di categoria: perché è interessante notare come questo punto ritorni praticamente ogni volta. Ecco alcuni esempi:

GIUDICI ENCI
(L’esperto giudice) deve sempre svolgere la sua opera rispettando le regole deontologiche più ortodosse nei riguardi dei colleghi. L’esperto giudice non deve criticare in pubblico l’operato dei suoi colleghi.
(NOTA: il codice etico degli “allevatori” ENCI invece non accenna neppure ai rapporti tra colleghi, forse perché sarebbe oggetto di infinite risatacce in faccia, essendo lo sputtanamento reciproco lo sport più diffuso tra la categoria).

CSEN:
Gli Operatori, Educatori, Istruttori e Tecnici non devono imporre impropriamente il loro punto di vista, o disprezzare pubblicamente l’operato, la condotta o le opinioni altrui, bensì dovranno esporre il proprio pensiero cercando di aiutare, per quanto possibile, il binomio cane-uomo.

APNEC:
RAPPORTI CON I COLLEGHI – Il comportamento dell’Educatore Cinofilo s’ispira al principio della solidarietà categoriale, in vista dell’obiettivo di migliorare, mediante un’attiva interazione tra gli esercenti, il livello della professione e l’utilità sociale delle attività specifiche di questa. L’Educatore Cinofilo intrattiene con i colleghi rapporti professionali diretti o indiretti di parità, dignità, lealtà, collaborazione, ed evita di arrecare danno al singolo collega e discredito alla categoria. Deve inoltre favorire lo scambio di esperienze e notizie svolte ad un qualificato approfondimento delle problematiche professionali, e contribuire, attraverso un rapporto attivo con i colleghi, all’elevazione dell’immagine sociale della professione. Gli Educatori Cinofili devono evitare comportamenti che possano sfociare in controversie con colleghi. Nell’eventualità dell’insorgenza di queste, ne cercheranno la possibile composizione amichevole all’interno dei propri organismi istituzionali.

FNOVI:
Rapporto fra Colleghi – I Medici Veterinari iscritti all’Ordine devono svolgere le attività di consulenza, di consulto, di prosecuzione delle cure, di vigilanza e di controllo mantenendo sempre nei confronti dei colleghi un comportamento ispirato a correttezza, lealtà e rispetto, evitando ogni abuso di posizione. Il contrasto di opinione non deve violare i principi di un collegiale dibattito e di un civile comportamento; ove non sia possibile risolvere direttamente tale contrasto, occorre creare le condizioni affinché il Consiglio dell’Ordine promuova iniziative di conciliazione.

SIUA: Il REFEREE si impegna a non gettare discredito nei confronti di altri REFEREE della SIUA ma, qualora ravvisasse in altri REFEREE della SIUA comportamenti non consoni ai dettami deontologici qui esposti, è sua facoltà – ed è consigliabile, anche se non prescritto – avvisare il COMITATO SCIENTIFICO che provvederà a verificare l’eventuale sussistenza delle irregolarità e a prendere le decisioni del caso.

Ad una prima lettura sembra tutto assolutamente corretto, logico ed impeccabile.
Ma se andiamo un po’ a leggere tra le righe, appare evidente la volontà di lavare sempre e solo i panni sporchi in famiglia, tenendo il grande pubblico all’oscuro delle magagne e magari, in alcuni casi, di quelli che potrebbero essere veri e propri reati (come nel solito esempio del maltrattamento).
Sulla carta, questo potrebbe anche starmi bene: ci arrangiamo tra noi, cerchiamo di metter pezze, cacciamo fuori i personaggi che si sono resi colpevoli di scorrettezze e non sputtaniamo la categoria
Però, adesso, proviamo a vedere la cosa sul piano pratico.
Cosa succederebbe, nel caso del personaggio beccato a maltrattare i cani?
Può succedere che il colpevole si becchi un bel rimbrotto e che la cosa finisca lì.
Oppure può succedere che venga cacciato dall’associazione, con tanto di verbalino che verrà magari pubblicato sul sito dell’associazione stessa… possibilmente con le sole iniziali, per tutelare la privacy del delinquente, come si fa normalmente in questo Paese.
Perché in Italia, si sa,  Striscia o le Iene possono sputtanare impunemente chi vogliono, dal maltrattatore al poveraccio “preso di mezzo” dai concorrenti sleali: allo strapotere televisivo tutto è permesso. Ma se un privato cittadino, o una privata associazione non miliardaria,  si azzarda a dire pubblicamente: “il signor X ha preso un cane a calci nei denti”, in galera rischia di finirci lui, per diffamazione.
Viviamo in un Paese – non finirò mai di ripeterlo – in cui le colpe non sono mai del delinquente, ma di chi lo denuncia!
Sta di fatto che, anche se sul sito apparissero per intero nomi e cognomi, li leggerebbero solo coloro che hanno interesse ad andarsi a spulciare i verbali delle riunioni dei consigli disciplinari, o dei comitati scientifici,  delle varie associazioni. Ma quanti volete che siano?
“Quattro gatti” è probabilmente un’approssimazione per eccesso!
E a fronte dei quattro gatti informati (che però non possono parlarne con nessun altro, altrimenti violano il codice dentologico!), il resto del mondo continuerebbe a ignorare che il signor X lavora i cani a calci nei denti: e il signor X, che ben si guarderebbe dal chiudere il proprio campo (anche perché nessuna associazione ha il potere di imporglielo), prenderebbe magari una bella tesserina da un’altra parte (o nessuna tesserina: tanto alla gente non frega un tubo di attestati, diplomini e tessere… a loro basta che gli risolvi il problema del loro cane!) e continuerebbe imperterrito a fare il suo lavoro, maltrattando altri animali.
Questo vi sembra giusto? Etico? “Deontologico”? Ma fatemi il piacere!
Se io fossi socia di una qualsiasi associazione, di fronte al comportamento illecito di un collega, chiamerei prima i carabinieri e poi tutti i giornali raggiungibili!
Perché il signor X, prima di essere un “collega meritevole di rispetto e correttezza”, è un maltrattatore, ovvero un delinquente. E dove sta scritto che si debbano rispettare i delinquenti?
Ma dove sta scritto, anche, che si debbano rispettare gli incompetenti che causano danni ai cani non per crudeltà, magari, ma per pura e semplice ignoranza?
Il pubblico DEVE SAPERE, altro che restare all’oscuro per proteggere gli interessi di categoria!
Siamo associazioni cinofile o mafie?
No, perché  insabbiare, nascondere, ravanare in segreto è proprio ciò che fanno le mafie… e  neanche solo loro, purtroppo.
Per esempio, tutto il mondo è inorridito scoprendo che i preti pedofili, per ordine del Vaticano, non potevano essere denunciati alla giustizia ordinaria, ma venivano giudicati proprio “lavando i panni sporchi in famiglia” e, come unico risultato, spostati da una parrocchia all’altra.
Questa era l’interpretazione vaticana del proprio “codice deontologico”.
Davvero vogliamo fare la stessa cosa in cinofilia?

Concludo ribadendo che la somministrazione di psicofarmaci non necessari, a mio avviso, NON è poi così lontana dal concetto di “maltrattamento”. Il fatto che la scienza ufficiale ne sdogani l’uso non significa molto: d’altro canto ha sdoganato, per moltissimi anni, anche quello dell’elettrochoc .. e negli ultimi tempi c’è chi vorrebbe riportarlo in auge anche in Italia, mentre in altri Paesi è ancora pratica usatissima (rammentiamo che in passato è stato usato anche per “guarire” gli omosessuali e gli alcolisti, oltre che  per “curare” i bambini enuretici… il tutto col benestare della scienza ufficiale!).
Curiosamente, proprio l’educatore di cui parlavo sopra ha pubblicato ieri una nota in cui si diceva (correttamente, a mio avviso) che il dolore fisico e il dolore psichico sono assimilabili.
Copincollo dalla sua nota: “dal punto di vista fisiologico il dolore origina dall’eccessiva stimolazione dei diversi recettori situati sia sulla superficie esterna sia a livello dei tessuti interni dell’organismo e da qui trasmessa per via nervosa ai centri superiori della corteccia cerebrale. Analogamente al dolore fisico, il dolore psichico provoca un restringimento del campo di coscienza su temi penosi e depressivi. Per Freud il dolore psichico, in termini di vissuto soggettivo, è del tutto paragonabile al dolore corporeo“.
Ovviamente l’assunto, per lui, presumo che fosse: “Dobbiamo usare qualsiasi mezzo, psicofarmaci compresi, per contrastare il dolore psichico”.
Ma può anche essere visto l’altro lato della medaglia, ovvero: “Gli psicofarmaci INDUCONO un dolore psichico?”
La risposta, in realtà, è ancora difficile da trovare: perché, checché ne possano pensare coloro che tengono seminari in cui promettono (e forse si illudono) di “spiegare cosa succede nella mente del cane sotto psicofarmaci”, la verità è che di quello che succede non abbiamo la minima idea.
Certo, possiamo misurare i livelli di questa o quella sostanza, di questo o quell’ormone: questo lo sappiamo fare.
Però sappiamo anche che il comportamento NON è soltanto il risultato di una o più formule chimiche.
L’ormai celeberrima fluoxetina è un inibitore della decaptazione di serotonina, ovvero impedisce che se ne abbassi il livello: ed è stato scientificamente dimostrato (almeno nei ratti…) che un basso livello di serotonina è normalmente abbinato ad un aumento dell’aggressività.
Però i cani sotto fluoxetina, spesso e volentieri, mordono quanto e più di prima.
Perché? Non lo sappiamo!
Forse perché la mente del cane non funziona come quella umana; forse perché la molecola non agisce su di loro come sull’uomo (come dicevo sopra, la sperimentazione è stata fatta prevalentemente sui ratti, che hanno parecchio in comune con l’uomo, ma molto meno col cane); forse perché, semplicemente, si sentono “strani”, insicuri e confusi (insomma, provano dolore psichico)… e non potendo utilizzare il ragionamento come mediatore reagiscono in modo puramente istintivo: non mi sento a mio agio, sto male, quindi divento aggressivo.

E qui ripeto per l’ennesima volta: io NON credo che nessun veterinario comportamentalista prescriva farmaci  “ad capocchiam” per il solo gusto di farlo: se qualcuno ha avuto questa impressione, ribadisco  che è assolutamente SBAGLIATA e lontanissima dal mio pensiero.
Quello che io sostengo è che la psicologia veterinaria (come quella umana, peraltro):
a) sia ancora in alto mare e proceda per prove ed errori;
b) tenda alla “soluzione comoda e facile” (anche quando non dà alcuna garanzia di riuscita)  perché questo è ciò che vuole il mercato (anche in umana: il che è sicuramente più grave, specie quando si tratta di bambini che non possono esprimere un parere in proposito). Mettersi in gioco, ammettere di aver commesso errori, accettare di dover ricominciare tutto daccapo è frustrante e doloroso per l’umano medio: molto meglio pensare che sia il cane ad essere “malato, poverino” e quindi curabile con la pilloletta.
Per questo motivo anche l’insegnamento universitario va moltissimo in direzione della farmacologia e pochissimo in quella del recupero comportamentale “vero”, che non si può limitare alle classiche  “regolette buone per ogni stagione”.
c) sostengo anche che non sia  possibile valutare correttamente un cane in mezz’ora, né in un’ora e mezza, né in tre ore, anche perché questa “valutazione”, nove volte su dieci (e lo so perché l’ho potuto osservare personalmente più volte), consta soprattutto – se non esclusivamente – in un colloquio con il proprietario. Il quale, quasi sempre inconsciamente, tende a travisare la realtà facendo i salti mortali (spesso mentendo anche a se stesso) per apparire il più incolpevole possibile.
E’ una normale forma di autodifesa che scatta in chiunque debba raccontare una verità scomoda, e c’è poco da fare.
Per il resto, quale valutazione si può fare del carattere di un cane all’interno di un ambulatorio?
L’animale è stressato già in partenza, spesso impaurito, fuori dal suo ambiente, in balia di  persone sconosciute: è evidente che quello non è lo stesso cane con cui i proprietari devono convivere ogni giorno!
Se davvero qualcuno è in grado di redigere un profilo comportamentale corretto in queste condizioni, gli faccio un monumento. Ma in tutta sincerità, lo trovo davvero difficile.

Appare evidente a chiunque, credo, che il cane andrebbe SEMPRE E SOLO valutato studiandolo in diverse situazioni, per diversi giorni, in ambienti diversi (quello familiare ed altri per lui nuovi): cosa che pochissime persone in Italia fanno (personalmente ne conosco soltanto due).
Eppure solo così ritengo che si possa fare una diagnosi seria e quindi iniziare un percorso di recupero non di “sicuro” successo (perché la garanzia assoluta non ce l’avremo mai), ma almeno con qualche speranza concreta di successo.
L’attuale approccio alla psicologia canina parte invece da un presupposto che presenta lacune di notevole entità: è un po’  (anzi, non “un po'”: è esattamente) come se io avessi bisogno dello psicologo, ma alle sedute ci mandassi mio marito.
Secondo voi potrebbe funzionare?
Certo, il cane non parla.
Non può dire come si sente e perché si comporta in un certo modo. Però farlo dire ai suoi proprietari, emotivamente coinvolti e spesso – spessissimo – causa prima del malessere dell’animale, significa cercarsi i guai col lanternino.
Un colloquio preliminare si può anche fare, questo è sicuro: ma poi bisogna permettere al cane di esprimersi personalmente, e questo NON avviene e non potrà mai avvenire in un ambulatorio.
Per questo sostengo che l’attuale approccio sia fallace e che si debba cambiare metodo, iniziando con  una osservazione di almeno una settimana, 24h/24, da parte di professionisti preparati e competenti (NON reduci dal corsetto di tre week end!) che riescano a far aprire il cane e a fargli “dire” (ovviamente a modo suo) come si sente e quali problemi ha: dopodiché si potrà valutare – anche insieme al veterinario, certamente! – una terapia comportamentale su base etologico-cinofila (perché, se fatta bene, è quasi sempre ampiamente sufficiente): e se questa non dovesse dare i frutti sperati si potrà anche prendere in considerazione quella farmacologica.
Oggi, invece, si fa esattamente il percorso inverso: ed è un percorso che ha già visto troppi fallimenti per non far sorgere serissimi dubbi.

E’ difficile, il percorso da me proposto?
Certo che lo è: prevede un approccio molto più ostico da accettare per il proprietario e prevederebbe anche la formazione di numerosi VERI specialisti nel campo della terapia comportamentale, formazione che probabilmente richiederà tempi lunghi, visto che al momento queste figure si contano sulle dita di una mano.
Ma se non si parte mai, non si arriverà da nessuna parte: e i proprietari di cani problematici continueranno a saltellare da un campo all’altro e da un ambulatorio all’altro, spendendo cifre da capogiro per non risolvere nulla. E questo SI, che danneggia – assai più gravemente di una critica – l’immagine professionale delle varie categorie!
Se poi dire tutto questo, rendendone edotto il grande pubblico, significa andare contro presunti codici dentologici che puzzano di omertà e di cieco corporativismo lontano un miglio, allora vadano a quel paese anche i codici deontologici...che io non violo neppure, non essendo iscritta ad alcuna associazione o ente: ma che coloro che invece vi sono iscritti dovrebbero chiedere di rivedere, permettendo – eccome – la pubblica denuncia di eventuali maltrattamenti fisici e/o psichici, ma anche la semplice pubblica dissociazione da metodologie ed approcci che si ritiene possano danneggiare i cani.
Perché per un vero cinofilo (nel senso letterale del termine) il benessere dei cani deve venire PRIMA di qualsiasi interesse personale e/o di categoria. E se un educatore, un istruttore, un veterinario non sono veri cinofili… allora è bene che cambino rapidamente mestiere.

Autore

  • Valeria Rossi

    Savonese, annata ‘53, cinofila da sempre e innamorata di tutta la natura, ha allevato per 25 anni (prima pastori tedeschi e poi siberian husky, con l'affisso "di Ferranietta") e addestrato cani, soprattutto da utilità e difesa. Si è occupata a lungo di cani con problemi comportamentali (in particolare aggressività). E' autrice di più di cento libri cinofili, ha curato la serie televisiva "I fedeli amici dell'uomo" ed è stata conduttrice del programma TV "Ti presento il cane", che ha preso il nome proprio da quella che era la sua rivista cartacea e che oggi è diventata una rivista online. Per diversi anni non ha più lavorato con i cani, mettendo a disposizione la propria esperienza solo attraverso questo sito e, occasionalmente, nel corso di stage e seminari. Ha tenuto diverse docenze in corsi ENCI ed ha collaborato alla stesura del corso per educatori cinofili del Centro Europeo di Formazione (riconosciuto ENCI-FCI), era inoltre professionista certificato FCC. A settembre 2013, non resistendo al "richiamo della foresta" (e soprattutto avendo trovato un campo in cui si lavorava in perfetta armonia con i suoi principi e metodi) era tornata ad occuparsi di addestramento presso il gruppo cinofilo Debù (www.gruppodebu.it) di Carignano (TO). Ci ha lasciato prematuramente nel maggio del 2016, ma i suoi scritti continuano a essere un punto di riferimento per molti neofiti e appassionati di cinofilia.

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41 Commenti

  1. Salve redazione,
    Ho apprezzato molto il modi in cui l’articolo è stato scritto e credo che molta gente si sia indispettita perché, ahimè, noi italiani cresciamo con la cultura del “va-bene-tutto-basta-che-non-si-sappia”. Io ho 30 anni e sia a casa che nel lavoro cerco sempre di promuovere un modo di fare invece rispettoso, professionale e coerente. Ed è questo il motivo per cui detesto le associazioni, ti fanno firmare un malloppo di fogli dove ci sono scritte una marea di “fuffaggini”, versi 100€ e sei “uno dei nostri”…tanto poi, chi viene a controllare? Nessuno!
    Se Milo fosse guarito con i farmaci e tu l’avessi scritto qui su TPIC, la dottoressa non avrebbe mosso un dito e, anzi!, avrebbe gongolato sul divano di casa. Ma siccome così non è andata, scatta la denuncia (o comunque “l’avviso”). Perché in Italia puoi fare informazione ma solo se non dai noia a nessuno, altrimenti parte la querela. A mio parere la Dottoressa avrebbe fatto molto più bella figura se, garbatamente, avesse risposto qui sul forum, spiegando ciò che tutti sappiamo, e cioè che nessun medico e nessun addestratore ha la ricetta della “pillola magica che guarisce tutto” e che lei ha fatto il suo lavoro da medico, cioè prescrivere farmaci. A volte questi funzionano, a volte no. A volte basta un bravo educatore, a volte no. Ma davvero nel 2012 vogliamo continuare questa faida “medici vs. tecnici” oppure vogliamo aiutare gli “sciuri proprietari” a risolvere i problemi con i loro cani e promuovere così una SANA cultura cinofila? Io come educatrice non mi sento certo infallibile, valuto i padroni e poi il cane, poi lo guardo da solo e in seguito in compagnia di altri cani…provo una strada e se non funziona ne provo un’altra. Se faccio un errore me ne assumo responsabilità e m’informo, chiedo, valuto cos’altro posso provare. Per ora, fortunatamente, di farmaci nemmeno l’ombra. E, sinceramente, sono contenta così. La mia riprova sono i padroni che mi dicono “grazie” dopo aver riacquisto fiducia in sé stessi e nei loro cani e questa i farmaci non la danno. Scusate se è poco.

  2. salve è poco tempo che seguo questo formidabile ti presento il cane e lo trovo entusiasmante per come tratta gli argomenti e per la qualità dell informazione e anche per l ironia di alcuni articoli e la serietà di altri.
    bene in questo caso vedo nervi scoperti e gelosie profonde da parte di alcune persone solo perchè la DELIZIOSA valeria ha parlato di un argomento scottante come l assunzione di psicofarmaci al cane MA SCHERZIAMO???
    allora il diritto di critica verso qualsiasi persona che sia veterinario o un presidente del consiglio è una cosa sacrosanta non mi pare una diffamazione se qualcuno si permette di criticare l operato o chiedere come mai o perchè su una determinata terapia ,invece si diffama dicendo che quel tal professionista non sappia fare il suo mestiere oppure è un cialtrone etc..ma avere visioni diverse e criticarle o raccontarle sono ben altre cose.
    bravi ti presento il cane e tutta la sua redazione e continuate cosi *_*

  3. Col mio corpo dei medici hanno sbagliato tre volte, non una, in tre parti diverse, errori banali che si potevano o si possono parzialmente risolvere, errori banali ma grossi danni, tutte le volte hanno fatto finta di niente, e altre visite a pagamento da altri medici mi hanno fatto incacchiare di più perché sotto sotto mi hanno fatto capire che gli errori ci sono stati ma “il codice deontologico..” o “sai, cane non mangia cane..”, e i loro referti pagati profumatamente erano diversi di quello che mi hanno detto a voce. Per anni l’ho chiamato “codice mafiologico”

  4. Certo che se una sciuramaria ha il problema del cane attaccabrighe, non è che l’ambiente della cinofilia la rassicuri poi tanto…

    • LOL :-D!!! Standing ovation, Sciura. Però, a volte, i problemi bisogna portarli alla luce: si litiga un po’, si attacca un po’ briga, ma poi – a volte, almeno se si ha l’intelligenza e l’umiltà di ammettere che il problema esiste – si comincia a cercare di risolverli.
      Il momento della “briga” è un passaggio obbligato, temo.

  5. mi sembra che quest’articolo abbia scosso nervi scoperti, personalmente non mi piace la piega che ha preso nei commenti.

  6. Addirittura alla fine è stata sporta querela?!?!?!? Per una caxxata del genere?!?
    Questo non è nemmeno corporativismo… questa è puerilità allo stato puro!
    Adesso spero non mi querelino perché ho detto “puerile”: non è una parolaccia!

  7. Vi seguo sempre, ma mi dispiace dirvi che anche per me, questa volta, non vi siete comportati molto correttamente. Non sono nè veterinario, nè un’educatrice, nè conosco personalmente i protagonisti dei fatti narrati; solo una comunissima SciuraMaria interessata di cinofilia, tra l’altro non sono nemmeno favorevole alla somministrazione di psicofarmaci.

    Innanzitutto, a mio modestissimo parere, prima di pubblicare un articolo in cui si faceva nome e cognome di un professionista sarebbe stato corretto contattarlo. Almeno per avvisarlo che gli avreste fornito lo spazio per una sua replica, in modo da dare modo anche lui di fornire la propria versione dei fatti.
    Avete molte volte omesso di pubblicare il nome di professionisti che hanno fatto cose ben peggiori, come imbottire di psicofarmaci un cane tanto da tenerlo in perenne stato di sedazione (vedi caso del border collie), o somministrare psicofarmaci ai cuccioli, o prescrivere psicofarmaci come unica terapia. Avete invece reso pubblico il nome di questa dottoressa, esponendola alla gogna mediatica, che penso invece abbia agito in buona fede.

    Inoltre trovo molto scorretto parlare di “risoluzione dei problemi” nel caso di Milo, dopo una sola settimana di allontanamento dal proprio ambiente e dal proprio branco. Avreste dovuto aspettare di pubblicare quest’articolo fino a quando Milo sarebbe stato reinserito nel suo ambiente senza problemi, non prima.
    Avete tanto (e giustamente) criticato il programma “Cambio Cane” asserendo tra l’altro che è normale, proprio nella prima settimana che un cane cambia ambiente, che lo stress influisca sul suo comportamento facendolo apparentemente diventare più docile e mansueto, magari proprio come stratagemma per farsi accettare dal nuovo branco… e adesso vi contraddicete parlando già di risultati? Qual è la verità allora?

    • Aci, ribadisco per l’ennesima volta che “gogna mediatica” non c’è mai stata né negli intenti, né – evidentemente – nei risultati, visto che moltissimi lettori hanno scritto di aver capito perfettamente quello che si voleva dire: e cioè che della dottoressa è stato fatto il nome per far notare che si trattava di professionista di grande esperienza e capacità, da me personalmente stimata, MA che nonostante questo la terapia prescritta era risultata (almeno a quanto appare fino ad oggi) superflua. Se non avessi fatto il nome si sarebbe potuto pensare ad una qualsiasi veterinaria pischella appena uscita dall’università o da un master: invece volevo che fosse chiaro che i proprietari del cane si sono rivolti a ciò che c’era “di meglio” a disposizione, nel campo del comportamentalismo.

      Per quanto riguarda “cambio cane”, resto davvero allibita dal paragone: io sono convintissima che tentare di risolvere i problemi nello stesso ambiente in cui si sono creati sia MOLTO più difficile che non “sganciare” il cane da quell’ambiente ed affidarlo alle cure di un professionista, per poi reinserirlo in casa sua dopo la soluzione dei problemi stessi. Ma il cane deve andare in mano a un professionista, appunto, e non certo finire in un’altra famiglia di incompetenti!!! E la terapia comportamentale, che deve essere seguita passo passo, 24 h su 24, senza interferenze esterne se non quelle che il professionista decide di inserire, non può certo durare una settimana, come previsto dal programma!
      Tra le altre cose, i curatori del programma stanno cercando “cani con qualche problema”, ma rifiutano i casi in cui il problema è la mordacità: quindi direi che siamo proprio su due pianeti lontanissimi, e mi stupisce davvero che si sia pensato ad un possibile abbinamento delle due cose!!!

      • Valeria perché non gli racconti la storia della sigla del programma…così “ACI” si fa un’idea di che pasta sono fatto e della differenza ABISSALE (e non c’entra con le competenze) che c’è tra me e un Cinofilosofo attento SOLO ED ESCLUSIVAMENTE al marketing.
        Poi – sempre se ne hai voglia – parliamo anche dello spot Opel e di come certe insospettabili Santità cerchino di farsi strada…
        Tristezza infinita e parallelo davvero DEPRIMENTE caro il “ACI”

    • @ACI

      Beh, per quello che scrivi si vede chiaramente che “non sei né un MVC, né un cinofilo/a”
      Non mi interessa come lavorino gli altri – anche se GUARDA CASO I MIEI PIU’ ILLUSTRI COLLEGHI LAVORANO NELLO STESSO MIO MODO – ma ritengo che “Milo”, visto che ti riferisci a lui, qui da me si senta in vacanza, più che sotto recupero comportamentale.
      Se il cane morde i proprietari, gli amici di questi e gli estranei, significa che morde in modo indiscriminato.
      Quindi che fare?
      Proporre una sessione di addestramento in un campo e rispedirlo a casa?
      Si certo…
      Prendi un disagiato, mandalo all’Università…ed otterrai un DISAGIATO LAUREATO!
      Credi veramente che i cani siano dei deficienti fino a questo punto?
      Credi veramente che i cani non contestualizzino l’oretta di lavoro al campo e che una volta usciti di lì ti facciano vedere il dito medio alzato?
      Al cane che arriva da me – qualunque – prima lo “spoglio” (altrimenti non potrei “rivestirlo”), poi gli resetto la vita, gli imposto i miei paletti – che sono quelli dell’umanità – nuovi autocontrolli, nuovi modi, nuove prossemiche, nuove motivazioni e do un valore profondo alla socioreferenza (quella che tutti conoscono per averla letta, ma che nessuno applica).
      Quando torna a casa, mi prendo il tempo necessario (giorni e giorni) per reinserirlo in modo corretto nel suo gruppo d’origine, verificando PERSONALMENTE (e non certo per telefono, fax, IPHONE o mail) la riuscita di tale processo sul medio e lungo termine.
      Nel periodo in cui il cane sta con me SI LEGA COME FOSSE UNO DEI MIEI CANI (con l’aggravanete dovuta al fatto che lavoro sulle emozioni e sulla relazione, non certo sui rinforzini deficienti o sugli esercizietti ebeti) – ed è questo il nodo peggiore da superare per il cane quando vado via.
      Tempo, amore, competenze e un passo indietro: io faccio così da sempre…e chi non è d’accordo… amen.
      Produca gli stessi risultati, li mostri e poi ne riparliamo; ma fare paralleli con un Cinofilosofo che si caga addosso davanti ad un cagnetto di 6 Kg ed oltretutto va a formare pseudoprofessionisti – mi dispiace – MA NON LO ACCETTO!

      • Signor Mangini, innanzitutto non sono certo un MCV, come avevo peraltro specificato nel mio primo post, infatti mi sono auto-definita “SciuraMaria interessata di cinofilia”.
        Mi spiace che il mio intervento l’abbia urtata. Non mi sembra in alcun punto di aver sminuito le sue capacità professionali, nè peraltro mi sembra di averle chiamate in causa. Nemmeno ho suggerito che la soluzione per la rieducazione di Milo fosse quella di portarlo in un campo di addestramento.
        Il parallelo che ho postato poco sopra, tra la trasmissione “Cambio Cane” e il vostro articolo, è dovuto, come avevo già sottolineato, al fatto che parlare di “risultati” dopo una solo settimana in cui il cane (problematico) è stato trasferito in un altro ambiente ed in un altro branco, mi sembra quanto meno utopico. Come credo lei ben saprà – essendo appunto l’esperto in questo campo- anche nella famosa succitata trasmissione televisiva, alla fine della settimana di scambio dei cani, probabilmente si assisterà ad una diminuzione delle loro problematiche ed ad un aumento della loro docilità. E questo risultato non sarà certo dovuto alla bravura di chi si ne è occupato, ma allo stress provocato nel cane dall’abbandono effettivamente subito.
        Nessuno credo avrebbe avuto modo di obiettare se l’articolo fosse uscito dopo qualche tempo dal reinserimento di Milo nella sua famiglia d’origine. Allora sì che si sarebbe potuto parlare di “pieno successo” e di “inutilità degli psicofarmaci”.

        • …ed io infatti ho scritto:-“Si vede che non lo è” 😉
          Ma siamo purtroppo ancora al punto di partenza.
          Lavorando in TV, conosco bene le differenze tra un programma televisivo ed un recupero comportamentale (differenze abissali), ed è questo tipo di accostamento che trovo deprimente; al pari dello stress a cui fai riferimento, che ti assicuro non esistere per “Milo” (e nel filmato mi sembra anche abbastanza evidente).
          Proprio come animal trainer per il cinema NON utilizzo mai (lo trovo un maltrattamento bello e buono) soggetti non preparati e idonei alla vita del set, proprio perché conosco anche fin troppo bene quel tipo di “disagio” (eufemismo) di cui altri se ne fregano tranquillamente per riempire il loro ego.
          Considerando poi chi dovrebbe condurlo, allora stendo addirittura un velo pietoso.
          E’ l’accostamento che quindi ritengo sbagliato e molto fuorviante, anche perché un conto è LAVORARE con il cane, un altro è esibire un problema in TV – e questo lo trovo ancora più squallido.

        • Rispondo per quanto mi riguarda: è dal tempo di Raul che abbiamo deciso di raccontare storie di riabilitazione passo dopo passo, perché è troppo facile mostrare i successi a cose fatte (e magari non parlare mai degli insuccessi…). Però, in questo caso, è emerso un fattore molto chiaro (almeno per chi “ne sa un po’ di cani”): e cioè che Milo non ha nessunissimo problema al mondo, escluso il fatto di non aver imparato da madre e fratelli (con cui non ha potuto passare l’infanzia) a regolare la sua aggressività e la forza del morso.
          Quando il cane viene “spogliato” (come dice Mangini) saltano fuori nel giro di pochi giorni tutte le sue problematiche: e Milo non ne ha!
          Milo ha semplicemente “imparato”, perché i suoi umani gli hanno (inconsapevolmente) “insegnato” a fare così, che mordere è il modo giusto per ottenere ciò che desidera. Quindi, una volta fattogli capire che ci sono altri modi per relazionarsi, il problema si è risolto da solo.
          In altre parole, Milo è un caso estremamente facile, che si potrebbe definire davvero “risolto in una settimana” (non per il trauma del distacco, ma perché si è trovato in un luogo dove le regole sono chiare, i ruoli sono definiti e quindi non c’è bisogno di entrare in uno stato ansioso), se non fosse per il fatto che il cane deve essere svezzato dagli psicofarmaci e che questo va fatto sotto il controllo di persone esperte, perché potrebbero intervenire fattori (simili alle crisi di astinenza umane) che potrebbero causare qualche problema.
          Non si fossero stati i farmaci di mezzo, Milo avrebbe forse potuto già rientrare in famiglia, ovviamente con un reinserimento “assistito”…ma non perché si sia risolto chissà quale problema con chissà quale bacchetta magica, bensì perché in questo cane NON C’E’ alcun problema di tipo psichiatrico. E’ per questo che mi sento di affermare fin d’ora che di psicofarmaci si sarebbe potuto benissimo fare a meno.

  8. Lisabetta scrive: “Quanti problemi in meno se fosse venuto qualche volta, almeno, a vederla nel suo ambiente, nella sua quotidianità. Capisco che la cosa non sia di facile attuazione, ma forse qualcuno potrebbe iniziare a farlo e a preparare gli addetti ai lavori.”

    Sono d’accordo, il cane andrebbe seguito in ogni contesto sociale e relazionale; è una cosa difficilissima da realizzare, molto diversa da ciò che avviene nel campo della psicologia umana dove terapeuta e paziente possono permettersi il lusso di lavorare insieme in campo neutro. Con il cane o meglio col binomio uomo-cane questo non funziona. Tuttavia per realizzare questo bisognerebbe trovare strade nuove, lavorare molto prima di tutto sulla prevenzione, creare dei team di veri esperti; è un problema di tempi, costi, risorse e preparazione davvero complesso.

    • ” il cane andrebbe seguito in ogni contesto sociale e relazionale; è una cosa difficilissima da realizzare (…) per realizzare questo bisognerebbe trovare strade nuove, lavorare molto prima di tutto sulla prevenzione, creare dei team di veri esperti; è un problema di tempi, costi, risorse e preparazione davvero complesso.

      Ma secondo me niente affatto.
      Sarà che conosco educatori che vanno loro di persona a seguire il cane nel suo ambiente quotidiano e quindi mi sembra una cosa perfettamente normale.

    • Mauro, lo so io per prima che è complesso: però è anche l’unica strada che potrebbe portare ad affrontare i problemi (soprattutto quelli di aggressività, che spesso finiscono male per cani e umani) in modo corretto e rispettoso del cane.
      Tornando all’esempio umano, anche sbattere la gente in manicomio era più comodo e facile che provare ad affrontare una terapia lasciando il malato in famiglia: però si è almeno tentato di percorrere la strada più difficile, a volte con ottimi risultati. Poi lasciamo perdere il fatto che spesso la legge Basaglia – che sulla carta era ottima – sia stata disattesa, mal interpretata o incasinata: purtroppo avere delle buone regole non significa sempre che vengano seguite (specialmente in Italia): ma intanto il passo principale lo si è fatto. E’ un inizio. E con i cani si dovrebbe ugualmente “iniziare” ad impostare le cose in modo diverso: non funzionerà subito, non funzionerà sempre…ma intanto si comincia ad andare nella direzione giusta.

  9. Il primo medico che disse che durante le visite i medici dovevano lavarsi le mani fra una paziente e l’altra, perché erano le mani dei medici i veicoli di virus e infezioni, sapete che fine fece?
    Fini i suoi giorni in manicomio, spinto dall’ ordine medico dell’ epoca, una casta troppo superiore per “abbassarsi” a doversi lavare le mani fra un paziente e l’altro !
    Bene, mi sembra che se la cosa si è attenuata in ambito umano, si sia amplificata in ambito veterinario, casta di semidei intoccabili e perfetti!
    Allora, visto che si vuole copiare a tutti i costi gli americani e querelare chiunque osi mettere in dubbio lo stato di semidei, iniziamo anche noi clienti a querelare per ogni cazzata i veterinari…scommettiamo che tornano con i piedi per terra?
    Purtroppo…a volte…il fuoco va combattuto con il fuoco !

  10. Gilas, li ho visti; da un punto di vista statistico questo non significa nulla; è molto probabile che il dosaggio fosse errato oppure possiamo anche ipotizzare che il farmaco, su quel soggetto, agisse in modo sbagliato, esattamente come avviene in campo umano, dove abbiamo una casistica estremamente ampia. Siamo in un campo davvero delicato e non possiamo permetterci, secondo me, di sentenziare per emozioni personali o singoli episodi o sentito dire. Come ho già accennato la mia casistica è estremamente scarna ma nei tre casi che ho potuto seguire dall’inizio alla fine, due trattati con fluoxetina e uno con fluvoxamina che è praticamente sovrapponibile alla fluoxetina, e che riguardavano cani aggressivi (e parlo di aggressività verso umani o animali realmente grave, reiterata e pericolosa per i contesto in cui veniva esercitata) ho potuto verificare una sensibile diminuzione dell’aggressività. E’ sottinteso che contestualmente era in atto una terapia comportamentale che stava dando i suoi frutti. E sottolineo che sono consapevole che questi tre casi statisticamente non significano nulla. Insomma, è un bel casino…

  11. Valeria, questo è uno dei più intensi, veri, pregnanti, lucidi articoli tuoi che io abbia mai letto. Un’anaisi accurata e puntuale, che non tralascia niente, della situazione. Critiche costruttive e proposte risolutive (o che almeno sperano e vorrebbero poter tentare di).
    Come sempre non hai paura di affrontare temi scottanti e lo fai, a mio parere, in modo chiaro, passionale e corretto.
    Ti farei bere la pozione di Alice per farti diventare piccina picciò e tenerti in tasca per avere sempre a disposizione pareri, consigli, dritte, dubbi. ;D
    Ho fatto tante discussioni con l’educatore cinofilo a cui mi ero rivolta per Stella perché non capiva che lei, al campo, spesso era una cana diversa da come lo era a casa, nel suo ambiente. Da parte mia cercavo di essere obiettiva il più possibile, non ho mai fatto sconti a Stella ben consapevole dei suoi problemi e non ho fatto sconti neppure a me stessa, altrettanto consapevole…
    Quanti problemi in meno se fosse venuto qualche volta, almeno, a vederla nel suo ambiente, nella sua quotidianità. Capisco che la cosa non sia di facile attuazione, ma forse qualcuno potrebbe iniziare a farlo e a preparare gli addetti ai lavori.
    Sui codici deontologici… si potrebbe scrivere un romanzo. Io ne ho avuto a che ridire con un avvocato, niente a che vedere con roba di e sui cani… ma la situazione non cambia. Ho sempre la sensazione che i codici, al di là delle parole, servano sostanzialmente a proteggere le varie caste.

  12. Valeria Rossi scrive: “Però i cani sotto fluoxetina, spesso e volentieri, mordono quanto e più di prima.”
    Su questo punto personalmente non sono d’accordo, almeno per quanto riguarda la mia, scarsa, casistica; credo sia un argomento da approfondire con riscontri reali e non con sensazioni a pelle perchè la cosà è estremamente delicata. Mi sembra che Colangeli e Miconi abbiano spiegato in vari loro posts come funziona il binomio mente-cervello, quale sia la funzione dei mediatori chimici e come intervengano gli inibitori della ricaptazione della serotonina e direi che su questo non c’è molto da contestare.

    • Magari alcuni non mordono di piu’…. MA smettono di essere Cani. Diventano delle amebe, che non vivono ma sopravvivono. PErò almeno il proprietario è tranquillo…bella roba! Io preferisco un cane problematico ma VIVO, cosciente di Se’ e del mondo. CErto poi le persone che sanno lavorarci sono 4-5…e tutto il resto si diverte a Fare MAry Poppins…. E vogliamo parlare dei veterinari NON comportamentalisti che danno psicofarmaci ad un cane con ansia da separazione?!? Visti pure questi…

    • Mauro, purtroppo la mia casistica (che comprende anche casi riferiti da terzi, però sempre con video a supporto) mi porta invece proprio a questa conclusione. Alcuni casi sono stati riportati anche su Tpic (l’ultimo è quello di Milo, ma prima avevo pubblicato altri articoli in merito, come questo: https://www.tipresentoilcane.com/2012/05/29/le-alternative-agli-psicofarmaci-esistono-nonsoloraul/ (primo video, quello del dogo) ed altri (se cerchi “Dexter” nel motore di ricerca, troverai una serie di articoli con relativi video di un border collie quasi totalmente sedato a forza di psicofarmaci, che comunque continua a mordere se gli si va troppo vicino). Ovviamente non è che tutti i giorni possa pubblicare storie come questa, ma ti assicuro che questi casi sono la punta di un iceberg di cui non riesco neppure a capire l’effettiva portata… ma che sicuramente NON è un cubettino di ghiaccio 🙁

  13. Dizionario di Italiano
    il Sabatini Coletti Dizionario della Lingua Italiana

    Cialtrone è colui che commette atti di cialtroneria

    cialtroneria
    [cial-tro-ne-rì-a] s.f.
    • 1 Comportamento scorretto, volgare, trasandato
    • 2 Cialtronata, mascalzonata

    La persona che accusa sotto mentite spoglie o pseudonimi un professionista facendo affermazioni non corrispondenti alla realtà, secondo lei ha un comportamento scorretto?

    Secondo la sua indubbia capacità di analisi semantica, a suo avviso chi estrapola informazioni relative ad un atto medico, riportando notizie NON VERE atte a ledere l’immagine del professionista e di tutta la categoria che rappresenta non fa una cialtronata (vedi mascalzonata)?

    Cara redazione, basta capire come si vuole collocare sul mercato editoriale la sua rivista.

    Vuole essere un organo di cultura cinofila?
    Vuole essere il giornale scandalistico della cinoflia?
    Vuole essere il rotocalco da spiaggia con veline e paparazzi?
    Vuole essere un veicolo di promozione di seminari, corsi ed eventuali scuole cinofile?

    Una volta assodato questo aspetto, ai più sarà chiaro il modo di interpretare i suoi articoli.

    Attilio Miconi

    • Non mi pare che le notizie riportate fossero “non vere”. L’unica cosa che è stata contestata è la motivazione della proprietaria: ma è vero che sono stati prescritti psicofarmaci, è vero che la proprietaria ha rifiutato la terapia, è vero che il cane sta migliorando anche senza farmaci.
      Dunque, dove starebbero le notizie non vere?
      La mia rivista è un organo di cultura cinofila e di informazione cinofila, laddove per “informazione” si intende “portare a conoscenza del pubblico ciò che avviene in ambito cinofilo”.
      Giornale scandalistico? Non direi proprio: non mi sono mai interessata di quale educatore/trice si trombi quale veterinario/a (anche se a volte farebbe informazione anche scoprire questi spetteguless, visto che spesso giustificano certe prese di posizione!).
      Rotocalco da spiaggia, non mi pare: anche perché quella di portarsi il pc in spiaggia è abitudine che proprio non condivido.
      Veicolo di promozione di seminari, corsi e scuole? Sì, questo lo è: facendo parte della cultura cinofila, tutti i corsi, seminari, stage di cui vengo a conoscenza li pubblico (ovviamente solo quelli di cui mi vengono mandati programmi, date, locandine ecc.).
      Spero che questa spiegazione la soddisfi, anche se credo fosse davvero uno dei pochi lettori ad averne bisogno.

        • Attilio, le risposte sono direttamente proporzionali alle domande. In altre parole: a domanda scema corrisponde spesso risposta cretina.

      • hahhahahhahahah

        a proposito di spettegolezzi, per chiarirle le idee, visto che ogni tanto prova a gettare questa 2 di briscola.
        Almeno nel campo sentimentale mi permetta l’arbitrio di sapere da cosa è nato il mio sentimento nei confronti della mia compagna:-):
        1) La trovo una donna affascinante, premurosa, attenta e piena di attenzioni nei confronti miei e dei miei figli (che non sono i suoi) e questo penso siano fattacci miei e non rilevanti della sua “cultura cinofila.
        2) Per quello che è invece la MIA CULTURA CINOFILA, posso dirle che sono 15 anni che penso e, realizzo la terapia comportamentale del cane attraverso un approccio multimodale, questo approccio etico mi ha portato a lavorare esclusivamente a stretto contatto con i DVMC già da allora.
        3) Proprio frequentando amicizie comuni con la mia compagna, riconoscendoci i reali valori integrativi che ci appartengono nella terapia del comportamento, abbiamo ritenuto essere un’esperienza realizzabile, oltre che apprezzabile come contributo alla medicina del comportamento, condividere le nostre esperienze lavorative.

        Buon Lavoro
        Cara Valeria Rossi

  14. “Basta un poco di zucchero e la pillola va giù…” lo diceva anche Mary Poppins.

    Si capisce il sarcasmo, vero? 😛

    Cmq scherzi a parte, sarebbe ora di avere più gente davvero preparata a riabilitare psicologicamente un cane problematico (e davvero problematico, non il cucciolo che mangia le ciabatte) e meno rifilatori di zigulì a tradimento 😉

    • Sorry, l’articolo è stato pubblicato per errore: in realtà è una bozza (uscirà lunedì).
      La domanda non l’ho capita…a meno che non pensi che io intenda creare scuole cinofile. In tal caso garantisco che è l’ultimo dei miei pensieri!

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