di VITTORIA PEYRANI – Chiunque abbia diversi cani sa che le relazioni tra i membri di un gruppo non sono la semplice somma dei soggetti, ma una moltiplicazione esponenziale di ciascuno per ognuno degli altri e per le situazioni ed i contesti diversi.
Il lavoro da me svolto con tutti i miei cani singolarmente nella costruzione di un rapporto con Magò, perseguendo degli obiettivi via via più impegnativi in termini di familiarità richiesta, non era in realtà che un primo passo.
Apparve subito evidente che la presenza degli altri influenzava pesantemente le motivazioni ed i comportamenti di ciascuno di loro, e che questi cambiavano a seconda di quali erano i cani presenti.
Nel mio branco le posizioni sociali erano ormai ben definite, così come le alleanze, che potevano includere uno o l’altro soggetto, a seconda della finalità da perseguire, visto che ogni singolo cane aveva delle specializzazioni in determinati compiti, perfettamente riconosciute dagli altri.
Ad esempio Sharon, la maremmana, sempre in pattugliamento dei confini della proprietà, era quella che dava l’allarme in caso di pericolo, qualora, cioè, qualcosa o qualcuno fosse in avvicinamento.
La prima a scattare ed ad intervenire era Leonore, la rottweiler, sempre in prima linea per quanto riguarda l’azione di affrontare le minaccie, seguita da Spawn, il maschio maturo, che si univa a loro solo in caso di pericolo conclamato, avanzando con lentezza e determinazione. Se il maschio giovane o la bracchetta provavano a portarsi nella loro posizione, venivano ricacciati indietro con risolutezza.
Altra faccenda era invece la caccia: in questo caso a guidare la strada era Abigail, che puntava e indicava la collocazione della preda con chiarezza. Gli altri la osservavano, e sfruttavano i suoi sensi ed i suoi messaggi per seguire la pista o circondare il malcapitato animaletto.
In questa attività tutti erano ammessi senza discriminazione.
Le posizioni scelte per dormire e la vicinanza fisica di alcuni soggetti rispetto ad altri erano specchio del livello di familiarità e di accettazione dell’altro come membro effettivo del branco, oltre che delle posizioni sociali: i due rottweiler adulti, che generalmente dormivano insieme, accettavano di dividere la loro cuccia con la bracchetta, ad esempio, che conviveva con loro da più tempo, ma non con Angel, che era un acquisto più recente del gruppo, o con Sharon, che poteva sdraiarsi ai loro piedi, ma non a contatto fisico.
All’inizio Magò costituì una grande novità, per cui tutti i miei cani le stavano addosso annusandola e seguendola costantemente, ma ben presto i loro atteggiamenti andarono a sottolineare il mantenimento di uno status sociale, a cui la cagnetta doveva adeguarsi.
Nella coesistenza di molti cani è sempre presente quello che io chiamo “l’effetto domino”: qualora si verifichi un contenzioso tra due soggetti, tutti gli altri intervengono. Succede tipicamente con i cani che stanno magari insieme al parco. Succede, a maggior ragione, se c’è un branco da una parte ed un cane percepito ancora come esterno dall’altra.
Inoltre, mentre i membri del gruppo, in funzione dell’opportunità di vivere insieme, mettono in atto dei comportamenti ritualizzati di dominanza – sottomissione, grazie ai quali un vero e proprio attacco aggressivo non si verifica, non è detto che tale inibizione esista nel caso di un cane estraneo.
Magò cominciava a prendere fiducia e contemporaneamente a creare un rapporto con me, ma dovevo stare attenta a non creare situazioni che avrebbero potuto nuovamente spaventarla e farla reagire in maniera negativa rispetto al percorso di inserimento.
Così decisi di lavorare i miei cani a coppie, intercambiandoli, nell’ottica di osservare le diverse situazioni e poter intervenire con maggior prontezza ed efficacia, ed una volta consolidate le posizioni, ampliare gradualmente i gruppi di lavoro.
La cosa bella dei cani è che ti dicono immediatamente se stai lavorando bene e se le tue azioni hanno un senso per loro: al minimo errore corrisponde una tensione, un comando disatteso o la reticenza a partecipare alle iniziative.
Ascoltare i loro messaggi e saperli interpretare è fondamentale, prima di intraprendere qualunque azione.
Se, da una parte, si presentarono delle situazioni relativamente facili da gestire, come quella che vedeva Abigail ed Angel insieme a Magò, i quali, al di là di qualche ringhiatina tra loro per stabilire chi avesse la priorità a giocare con la piccina, stabilirono presto un equilibrio a tre, dall’altra ci furono rapporti ben più impegnativi da costruire.
Un altro inciso va aperto: durante tutta la fase di inserimento eliminai qualunque risorsa che potesse creare conflitti, come ad esempio palline e giochi, la mia eccessiva attenzione sulla nuova arrivata, ed, in alcuni casi, dovetti misurare con attenzione la distanza spaziale tra me e loro nelle diverse situazioni.
Pur facendo attenzione a fare in modo che Magò non stesse continuamente tra le mie gambe o che non mi saltasse addosso, in presenza di Leonore e di Spawn, restare vicina mi permetteva di esercitare una pressione su di loro e rendere più perentori i miei comandi. Nel momento in cui, ad esempio, Magò leccava con troppa insistenza il muso di Spawn, lui si fermava e mi guardava, aspettando che fossi io a richiamarla, senza prendere iniziative per suo conto.
Un paio di volte, la staffina aveva pagato con un grosso spavento la sua eccessiva confidenza con il maschio anziano, che le aveva ringhiato a lungo mettendole la bocca sopra, dopo che lei era balzata sulla sua cuccia o aveva provato a condividere con lui un bastone. La scena mi aveva ricordato quello che spesso avevo visto fare nei documentari dai lupacchiotti, che mettono alla prova la forza e l’equilibrio del maschio adulto, facendosi spaventare ma senza riportare conseguenze fisiche dall’intervento di dominanza, come per dire “Facci vedere che sei grosso e forte, ma che non ci farai del male”.
Al contrario, con Sharon ed Angel, tenermi ad una relativa distanza significava permettere lo svolgimento del gioco senza che si creassero competizioni per la mia persona.
In presenza di altri cani, il comportamento di ferma e di controllo costante degli spostamenti di Magò da parte della mia maremmana ebbe un incremento, con il significato di impedirle di avere contatti di sua iniziativa con loro, mentre nei momenti in cui c’era Leonore, i suoi abbai incitavano quest’ultima ad intervenire sulla nuova arrivata, innescando una sequenza potenzialmente pericolosa.
Ci vollero quattro settimane per testare le varie combinazioni di cani nelle diverse situazioni, stabilizzarle e passare dai gruppi di tre a quelli di quattro elementi.
Mentre Magò imparava a rapportarsi in maniera differenziata con i vari soggetti ed a comprendere la ragnatela di regole non scritte alla base dell’equilibrio del gruppo, io avevo una visione sufficientemente chiara dei possibili rischi e del modo di gestire le diverse situazioni.
Ad esempio, avevo imparato a sfruttare Spawn e Leonore come agenti inibitori di iniziative troppo irruente da parte dei giovani, che in loro presenza moderavano l’intensità del gioco e delle corse.
Conoscere i propri cani significa saper interpretare i loro atteggiamenti ed anche prevedere le loro azioni, in modo da poter cogliere il momento giusto per proporre qualcosa di diverso e raggiungere gli obiettivi successivi.
La prima volta che, con molta naturalezza, feci uscire Magò con l’intero clan, fu nell’ambito della passeggiata del mattino: dopo un’intera notte passata in casa, i cani erano tutti intenti a sgranchirsi le zampe ed a cercare i posti per espletare le loro funzioni fisiologiche. Malgrado fossero tutti sciolti, la loro attenzione era rivolta ad esigenze diverse dal giocare tra loro, e fu così che la cucciola si unì al branco, che, grazie a tutto il lavoro che c’era stato a monte, accettò la circostanza senza problemi.
Questo passo fu molto importante per consentire alla cucciola di trovare la sua posizione in tutto l’insieme dei cani.
Gradualmente Magò iniziò a partecipare alle varie attività di gruppo, come ad esempio la potatura degli ulivi, o la raccolta della legna, che per i cani costituisce un momento di gioco e collaborazione con me. In queste occasioni, vederli sereni, chi intento a contendersi un ramo, chi a sonnecchiare al sole o chi ad annusare i profumi della natura, mi riempie di contentezza. Ho gestito le cose in maniera da facilitare la socializzazione, ho rispettato i loro tempi, ed alla fine, è prevalsa in loro la gioia di stare insieme ai loro simili.
Ad oggi mi resta l’ultimo obiettivo da raggiungere, quello di farli dormire insieme a Magò.
Non so quanto tempo ci vorrà, anche in questo caso saranno loro a dirmi quando saranno pronti: nei rapporti tra esseri viventi nulla deve essere stabilito a priori, tutto è in divenire.
Davvero una bellissima “immagina”… “Conoscere i propri cani significa saper interpretare i loro atteggiamenti ed anche prevedere le loro azioni, in modo da poter cogliere il momento giusto per proporre qualcosa di diverso e raggiungere gli obiettivi successivi.”, questa frase mi rimbomba ancora in testa per la sua bellezza e veridicità!!
Complimenti, molto interessante, piacevole e “vero”!
A me è piaciuta moltissimo l’immagine dei cani che collaborano tutti assieme per la potatura degli ulivi e la felicità delle dottoressa Vittoria… Mi è ancora nuova questa figura di collaborazione!
io ora ho il problema di inserire una boxer nel mio branco. Lei attacca una delle mie femmine “predandola” come fosse un gatto, mentre con l’altra continua a trattarla a “musate” e “fiancate” finchè nn la fa innervosire e se nn intervengo prontamente scatta la rissa…mentre i due maschi del branco se ne infischiano altamente sia della boxer che delle scaramucce che crea!
Il boxer è un cane particolare, molto fisico: difficile che venga “capito” dagli altri cani. Ci vorrà un bel po’ di lavoro per far capire agli altri che è un cane anche lei 🙂
eh già, se poi ci mettiamo anche che lei ha sempre vissuto sola e nn si sa rapportare con gli altri cani…voi mi sapete dire quale significato devo attribuire alle “musate” e “fiancate” che da?
Un solo significato: è un boxer! I boxer giocano così: tutti. Per questo, molto spesso, riescono a giocare serenamente solo con altri boxer, perché gli altri cani non li capiscono (letteralmente).
Che bello leggere queste cose al mattino, dopo una lunga passeggiata nei boschi con le due cane, grazie 🙂
Se posso, mi piacerebbe sapere che lavoro (o che tipo di stile di vita) fa Vittoria Peyrani per poter dedicare così tanto tempo ai propri cani e per poterne accudire così tanti insieme..? (è pura curiosità dettata dall’invida, dato che sarebbe un sogno per me) ..chiaramente non sei tenuta a rispondere 😉
Un saluto a tutto il branco (bellissimo) =)
Vittoria Peyrani è una psicologa umana che si è dedicata interamente alla psicologia canina. E fa l’educatrice cinofila.