di MARIACHIARA COSCIA – Questa è una storia assolutamente vera, anche se l’ho trasformata in favola: purtroppo è anche una storia triste, quindi non aspettatevi il lieto fine. Chi preferisce un finale allegro può fermarsi un po’ più in basso, dove vi dirò.
C’era una volta, in un Paese sottile sottile dall’altra parte del mondo (ci rivolgiamo naturalmente ai lettori di Ti presento il Cane), una non tanto giovane ma assolutamente inesperta aspirante allevatrice di una razza a pelo lungo, una razza divenuta famosa grazie a un bellissimo film di Walt Disney.
Questa vecchia fanciulla di vedute europee aveva la stramba convinzione che i cani da expo non andassero tinti. Ragione per la quale, appena ebbe per le mani il primo cucciolo vendutole da un grande allevamento e figlio di campioni, si sentì alquanto sconcertata quando un noto giudice le consigliò di tingere quella impertinente cravatta bianca che brillava sul nero petto del suo cucciolone.
Cucciolone, va detto, proprio nel senso più letterale del termine: perché era grande, ma grande assai, forse troppo per la razza a cui apparteneva. Ma si sa che alcuni giudici a questi dettagli non badano, e magari preferiscono mettere nella testa dei più ingenui espositori il tarlo proibito di dedicarsi a opere di colorazione. Del resto bisogna ammetterlo: tingere si può, rimpicciolire è difficile.
Presa dallo sconforto, la nostra allevatrice si affidò alla grande magia della sua epoca, lo Specchio delle Brame che noi tutti conosciamo: Internet.
E senza lasciar tempo al tempo si mise a cercare e cercare.
Mister G in effetti fu generoso con lei, o forse fu lei che tanto desiderava trovare ciò che cercava che in un paio di pomeriggi passati a smanettare tirò fuori dal calderone, tra tutti i cani della rete, proprio quello che serviva a lei: bellissimo, plurititolato, campione riproduttore, nero come la notte e con una meravigliosa cravatta bianca.
Pareva proprio un super cane, il re di tutti i campioni. Certo, le similitudini con il suo cucciolone si limitavano al colore, ma che importava? Quella era la prova ufficiale che la cravatta non si poteva considerare un pregiudizio!
Naturalmente, insieme alle foto del re dei campioni, Internet forniva anche tutti i dati di contatto del suo allevatore, che per colmo di fortuna era anche una donna; cosa che indusse la nostra piccola allevatrice a mettersi subito in contatto, facendo leva sull’appartenenza di genere.
Iniziò subito una fitta corrispondenza per email tra il suo Paese sottile sottile e quell’altro di lassù, tanto più freddo e tanto più evoluto, almeno in ambito cinofilo: un Paese in cui su tutti i pedigree ci sono i risultati obbligatori dei test effettuati sui riproduttori, in cui tutte le mutilazioni estetiche sono proibitissime, perfino l’asportazione degli speroni.
Un Paese in cui nemmeno è immaginabile fare una barbarie come tingere un cane.
Quello sì che sembrava un Paese da favola, come quelli di cui parla Andersen…
La piccola allevatrice, nel profondo del cuore, aveva deciso che prima o poi avrebbe avuto lì, nel suo nascente allevamento, una figlia di quel bellissimo re di tutti i campioni, con i geni di quello stupendo allevamento importante di un Paese così civile, evoluto e attento al benessere animale. Quel Re di tutti i campioni era così bello che aveva fatto la fortuna di una handler che prima di lui nessuno conosceva. Insieme avevano vinto il best in show in una expo così importante che il premio era stato consegnato dal Re in persona (quello vero, s’intende), proprio come nelle favole. E lo stesso allevamento tanto conosciuto, in realtà, era diventato importante grazie a quel cane unico e inimitabile e alla sua regale stirpe.
La piccola allevatrice aveva tanti di quei difetti che se dovessimo elencarli tutti scriveremmo un romanzo, e in più era anche cocciuta come una capretta e quando si metteva in testa che quello voleva, quello prima o poi aveva.
Nel caso specifico fu più un poi che un prima, visto che passarono diversi anni durante i quali la nostra eroina continuò inossidabile ad assillare la grande allevatrice chiedendo e supplicando, inviandole regali, stregandola a modo suo con tutte le storie belle e brutte del suo piccolo allevamento.
Va detto che la grande allevatrice a suo modo si lasciava corteggiare e non lesinava le parole, soprattutto se aveva l’occasione di criticare i colleghi di quei Paesi incivili in cui i cani vengono tinti, mutilati e certe volte (si bisbiglia) perfino scambiati tra loro, con un gioco di pedigree. Intanto il re dei campioni, non essendo immortale, invecchiava, e la piccola allevatrice si struggeva per l’ansia di procacciarsi l’ambita cucciolotta prima del fatale trapasso.
Potete dunque immaginare la sua felicità quando dal Paese di Walt Disney atterrò nel Paese delle fiabe alla Andersen una degna principessa, giovane e pronta per essere inseminata dal Re dei campioni.
I due mesi della gravidanza per la piccola allevatrice furono un momento di magica attesa, anche perché proprio allora grandi novità stavano succedendo nel suo angolo di mondo cinofilo: però questa è un’altra storia e bisognerà raccontarla un’altra volta. Prima del lieto evento già si sapevano il numero e il sesso dei futuri principini, grazie agli evoluti mezzi diagnostici di quel magico Paese, e naturalmente tutto venne divulgato attraverso il noto Specchio delle Brame.
Arriva il giorno, ed eccola lì: più scura di una notte senza luna, proprio come la piccola allevatrice l’aveva sempre sognata! Come non desiderarla?
E come chiamarla, se non Biancaneve, per mettere un po’ di bianco in tutto quel nero e fare un omaggio al freddo Paese di lassù?
Biancaneve cresceva felice in quel Paese di fiaba e a volte da lassù arrivava qualche foto, qualche parola, qualche indizio di come sarebbe diventata. La piccola allevatrice sognava e aspettava il grande momento in cui l’avrebbe finalmente conosciuta. Fu un’attesa abbastanza lunga, perché di comune accordo le due mamme umane di Biancaneve, la grande e la piccola, vollero aspettare che avesse sei mesi prima di farle fare quel viaggio così lungo, che fu poi anche difficile organizzare.
Si scartarono tutti gli accompagnatori professionali, che avrebbero allungato il percorso. Si scartò la possibilità di ricorrere a giudici o espositori, perché i contatti diretti tra i due Paesi erano molto limitati.
Alla fine la grande allevatrice intraprese personalmente una parte del viaggio con Biancaneve, che fu poi amorevolmente depositata su un aereo, diretto e senza scali, per il Paese sottile sottile.
Là, in aeroporto, la attendeva la piccola allevatrice. Un vero viaggio breeder to breeder, insomma.
La notte prima dell’arrivo la piccola allevatrice non dormì. Molti erano i dubbi e le paure. Dovete pensare che da quel giorno in cui aveva deciso di volere proprio una figlia di quel Re dei campioni un pochino era pur cresciuta.
Erano passati diversi anni.
Per esempio aveva scoperto che il suo cucciolone (ormai campione e papà) aveva ben altri difetti, altro che cravatta! E di Biancaneve sapeva già che sì, ai giudici magari sarebbe piaciuta, ma qualche difettuccio già si vedeva.
Per dirla con una parola, era leggermente ipertipica: cosa che in pista non guasta, ma non entusiasma gli allevatori seri. E poi il fatto di dover pagare non soltanto il viaggio, ma anche le ore di lavoro alla grande allevatrice, non è che le fosse piaciuto tanto.
E a dire la verità qualche uccellino era andato a dirle che quella grande allevatrice di lassù proprio una santa non era…
Però il sangue… il sangue, quello non lo voleva perdere! In più non era da lei dare retta alle maldicenze, perché si sa, a questo mondo più vali e più te ne dicono.
In aeroporto dovette ancora aspettare, perché il volo era in ritardo, e sbrigare pratiche che parevano senza fine, e pagare le gabelle, i bolli e tutto quanto. Poi, finalmente, eccola lì: nera e dolcissima e forse un po’ timida ma soprattutto terribilmente… grassa, quasi deforme!
Biancaneve pareva uscita da un pollaio, non da un allevamento. Però era lì, proprio lì, e la gioia fu comunque immensa.
La grande allevatrice, interpellata su quel pericoloso sovrappeso che avrebbe potuto compromettere lo sviluppo del cane, rispose che lei faceva sempre così: dava ai cuccioli cibo ab libitum, tanto poi sviluppandosi si snellivano.
La motivazione non convinse la piccola allevatrice, che cercò di riportare Biancaneve al peso forma. Impresa abbastanza semplice, visto che la cagna dimostrò una spiccata tendenza a non alzare la coda in presenza di estranei, per cui fu necessario intraprendere subito un’opera di socializzazione coatta, portandola il più spesso possibile a fare passeggiate in mezzo alla gente. La verità è che, tra la forma fisica e l’atteggiamento, Biancaneve dava l’idea di non essere uscita spesso dal box. Però era solo un’idea, certo la piccola allevatrice non poteva essere sicura.
Alla prima expo successe qualcosa che la sorprese, ma in fondo nemmeno tanto: Biancaneve, erede del Re dei campioni e della super campionessa che sapete, fu ignominiosamente sconfitta da una bionda, graziosa figlia di quel cucciolone là, quello nero, troppo grande e con la cravatta.
Pazienza, sono i casi della vita, pensò la piccola allevatrice, e pur essendo orgogliosa della sua biondina si impegnò tanto nella socializzazione di Biancaneve che alla fine ce la fece.
Dopo pochi mesi Biancaneve tornò in pista: era in perfetta forma e correva con la sua coda alta e allegra.
La graziosa biondina, per un gioco di date, era in una classe differente e non vi fu competizione tra le due.
Biancaneve vinse. Vinse parecchio. Arrivò fino alla finale.
La piccola allevatrice non aveva sbagliato a pensare che i difettucci (che c’erano sempre) non avrebbero influito poi tanto sul giudizio; era contenta, ma ancora di più lo era l’altra mamma umana di Biancaneve, quella grande, che da lassù chiese ed ottenne foto e foto da pubblicare sul suo Specchio delle Brame.
La grande allevatrice aveva una passione quasi fanciullesca per ogni ritaglio di giornale, foto o pubblicità che elogiasse le virtù dei suoi cani e la piccola allevatrice, di buona voglia, cercava di accontentarla, rallegrandosi per l’interesse dimostrato da lassù.
Ora, se questa storia finisse così, sarebbe proprio una bella favola.
Da qui in poi il registro è un po’ diverso. I lettori sono avvisati.
***
Biancaneve compì il suo primo anno e venne il momento di fare i richiami per le vaccinazioni. Al suo arrivo la visita di controllo l’aveva fatta un sostituto, perché il veterinario di fiducia era in vacanza: questa volta invece venne proprio lui.
La guardò, la accarezzò, la visitò. E poi la vaccinò, ma fece anche un’altra cosa: consigliò una visita cardiologica, dicendo che sentiva un risucchio “strano” nel cuore.
La visita venne rapidamente fissata e la diagnosi lasciò tutti senza parole: Biancaneve, la cagna che poche settimane prima aveva corso nella grande pista di una finale di esposizione, era cardiopatica.
Per l’esattezza aveva una stenosi della valvola polmonare di natura congenita, cioè presente dalla nascita. Le furono prescritti farmaci. I test per le cardiopatie effettuati sui genitori sul suo regale pedigree non erano riportati, in quanto i disturbi cardiaci non si considerano un problema di salute tipico della razza in questione.
La grande allevatrice fu informata e manifestò tutto il suo sconcerto.
Si ripeterono le visite da più veterinari. Si ottenne sempre lo stesso triste risultato, che per di più nell’arco di pochi mesi si aggravò.
Intanto Biancaneve aveva perso buona parte della sua dolcezza. Era diventata molto nervosa. La piccola allevatrice, che ormai aveva abbandonato ogni velleità espositiva, dovette tosarla, perché la cagna non sopportava più le spazzolate e la mordeva.
I veterinari contattati furono cinque diversi specialisti, scelti tra i migliori del Paese sottile, e tre di loro affermarono categoricamente che l’unica possibilità per garantire a Biancaneve una vita più lunga e confortevole sarebbe stato un semplice intervento di microcardiochirurgia, che purtroppo, però, in quel Paese di laggiù non si poteva realizzare.
A dire la verità prima dissero che si doveva aspettare, poi che ancora non si poteva fare, insomma con modi molto educati (e un tantino falsi) tutti e tre i veterinari declinarono la responsabilità di un’operazione: non fu mai chiaro se lo fecero per mancanza di mezzi tecnici o per paura di un intervento che non avevano sperimentato a sufficienza.
Degli altri due veterinari, per onore di cronaca, uno si offrì di operarla aprendo il torace, con un intervento che sarebbe durato circa otto ore e mettendo in chiaro che l’anestesia avrebbe potuto esserle fatale; l’altro consigliò di lasciarla com’era.
La grande allevatrice, messa di fronte alla realtà inoppugnabile delle cose, si offrì di mandare un altro cucciolo, però l’idea fu subito scartata, prima di tutto perché la cosa prioritaria era la salute di Biancaneve, e poi perché tutte le ingenti spese di viaggio sarebbero state comunque a carico della piccola allevatrice, che non poteva permettersi di investire altri soldi… oltretutto per un sangue in cui iniziava a non credere più molto.
Chiese invece di poter mandare Biancaneve di nuovo lassù, nel Paese delle fiabe, per cercare di farla curare da quei veterinari tanto evoluti e preparati che però, inspiegabilmente, non avevano avuto sentore della malformazione cardiaca né durante le visite per le vaccinazioni e per il viaggio, né durante gli esami svolti sulla super mamma durante la gravidanza.
La piccola allevatrice a modo suo si dimostrò un po’ veggente, perché chiese anche che ai genitori e soprattutto ai fratellini (nel frattempo la cucciolata era stata ripetuta) fossero fatti i test per escludere problemi analoghi.
Dico che si dimostrò un po’ veggente perché poco tempo dopo la Fci divulgò un documento di linee guida sulle strategie internazionali di allevamento in cui consigliava proprio questo: nel caso di un cane con manifesti problemi trasmissibili, è il caso di testare i parenti stretti che vengono messi in riproduzione per escludere che anche loro possano risultare affetti (la direttiva Fci è del 2010 e potete leggerla sul sito www.fci.be, ma è disponibile solo in inglese).
Ma qui successe una cosa proprio da libro di favole: la grande allevatrice, semplicemente e magicamente, svanì nel nulla.
Smise di chiedere notizie, di rispondere alle email, di farsi trovare al telefono. C’è una scena che descrive in modo efficace questa situazione nella Cenerentola di Walt Disney, quando il ciambellano di corte, disperato per non avere potuto fermare la protagonista in fuga, si presenta di fronte al Re e gli dice solo una parola: “Dileguossi!”.
La piccola allevatrice capì di essere rimasta sola e cominciò a considerare Biancaneve come quello che realmente era: un cane malato, bisognoso di cure. Non volle darla via, anche perché viste le condizioni del suo cuore sterilizzarla sarebbe stato rischioso. La tenne in allevamento, raddoppiando le attenzioni ad ogni calore e vivendo nel terrore che qualche maschio la coprisse.
Altro che utero d’oro.
La vita di Biancaneve durò ancora alcuni anni. Lentamente ma inesorabilmente le sue condizioni si aggravarono. La grande allevatrice non si fece più sentire e non fornì nessuna informazione riguardo alle condizioni cardiache dei genitori o dei fratelli, che nel frattempo da veri principi che erano divennero padri e madri, nonché conosciuti campioni della razza.
La piccola allevatrice, dopo un paio d’anni, pensò che forse era stata troppo severa con l’allevatrice di lassù, e le telefonò, chiedendole che visto che nulla era stato fatto per Biancaneve e i danni per il piccolo allevamento erano notevoli, almeno si prendesse la briga di mandare una buona cucciola fino al Paese sottile a spese sue. La grande allevatrice disse che ci avrebbe pensato… e un’altra volta si esibì in uno dei suoi noti incantesimi di dileguamento.
Poi, un giorno di primavera, Biancaneve finalmente corse lassù, oltre il Ponte dell’Arcobaleno.
Aveva compiuto da poco quattro anni. Ormai si stancava facilmente e non sembrava che fosse precisamente uscita da una favola. Era anche molto magra.
Quando se ne andò era nella camera da letto con la piccola allevatrice che la accarezzava.
La piccola allevatrice pubblicò sullo Specchio delle Brame alcune note sferzanti contro la grande allevatrice, che per dispetto fece una cosa molto saggia e degna di tutta la sua esperienza: le tolse l’amicizia su Facebook.
Biancaneve ora sta aspettando lassù, insieme a tutti gli altri cani molto amati, l’arrivo delle sue due mamme umane.
Di conseguenza auguriamo alla grande allevatrice di avere maturato l’esperienza sufficiente per difendersi dai morsi di una piccola e determinata cagnetta, prima di attraversare il ponte dell’arcobaleno.
Nel frattempo, è probabile che quaggiù sulla terra dovrà abituarsi a ricevere anche qualche notizia non esattamente pubblicitaria sui suoi cani, perché la piccola allevatrice per vivere fa la giornalista.
E, cresciuta o no, resta sempre una capretta.
* * *
Fin qui la favola: ora però è il caso di mostrare anche la (pessima) realtà.
Qui sotto la foto e il necrologio di “Biancaneve”… il cui vero nome era Truly Yours Royal Party Goes On, mentre il nome “di famiglia” in realtà proveniva da un’altra favola, perché si chiamava Cinderella (Cenerentola). Più sotto ancora, il video che evidenzia la malformazione cardiaca che l’ha uccisa.
Le immagini sono tratte dal sito www.ludimundi.com
“Cinderella” (Truly Yours Royal Party Goes On), nata il 22.06.2009, morta il 13.11.2013, figlia di Truly Yours Regency x Lydgate’s Let’s Party.
Cinderella aveva un difetto congenito del cuore (stenosi polmonare) ed è morta pochi giorni fa, all’età di quattro anni.
Non abbiamo mai avuto la possibilità di conoscere la situazione cardiaca dei suoi genitori e dei numerosi fratelli.
Quando l’abbiamo dovuta ritirare dalle esposizioni aveva un anno (nessuno aveva notato il suo stato prima). Chiaramente non è mai entrata nei nostri piani di allevamento. Nei tre anni della sua malattia la sua allevatrice, signora Charlotte Hansen, non ha mai inviato una singola email per informarsi sul suo stato di salute, né per offrirsi di contribuire ad affrontare il problema o di rispondere in alcun modo del danno subito dal nostro allevamento.
Tutto quello che ha suggerito è stato di darci un altro cane, con le spese di viaggio a nostro carico.
Abbiamo preferito attendere che Cinderella morisse, prima di raccontare pubblicamente i fatti.
Ciao Cindy, ti voglio bene.
Ringrazio tutti quanti per l’appoggio: le persone che hanno commentato e anche tutte quelle che hanno messo il Mi Piace su FB… e naturalmente Valeria che ha accettato di dare spazio a questa storia su Tpc 🙂 è sempre confortante non sentirsi soli davanti a un lutto. Purtroppo secondo le leggi vigenti la mamma matrigna, avendo offerto la “sostituzione del prodotto”, è perfettamente in regola; e seguire o no le linee guida Fci è una scelta dei singoli Enti nazionali così come dei singoli allevatori, quindi nessuno può obbligare a fare test per una malattia che si è presentata in un soggetto con parenti stretti in riproduzione. Insomma: nessuno, se non il buon senso e la coscienza, chiaramente. Per questo l’unica cosa che posso fare è raccontare questa storia e lasciare che ognuno tragga le debite conseguenze.
Le malattie cardiache congenite purtroppo sono frequenti in talune razze, mia sorella aveva un King, mori’ a 7 anni, po fece delle ricerche e scopri’ che tantissimi morivano giovani, credo che bisognerebbe impegnarsi di piu’ nella ricerca e selezione, per evitare questi precoci e dolorosi adii.
vedi @Maurizio proprio questo è il punto: se una patologia a livello internazionale si considera comune in una razza, scattano i controlli obbligatori (almeno in certi Paesi). Ma se una patologia frequente in una certa razza non lo è, come in questo caso, i controlli in genere non si fanno. Ovviamente nel momento in cui l’allevatore si rende conto che ha in riproduzione parenti stretti di un cane che ha presentato quella malattia io credo proprio che dovrebbe farli ugualmente… almeno, IO di certo li farei. Perché è vero che c’è una “predisposizione di razza”, ma c’è pure una “predisposizione familiare”.
Sapevo che la storia non sarebbe finita bene…ma quando è comparsa la foto di un cocker americano il mio cuore ha fatto un salto…anche il mio ha 4 anni..purtroppo tanti problemi di salute e di carattere…le nostre strade si sono incrociate x caso..era una razza che non conoscevo per nulla..in verità nemmeno adesso…ma che mi ha conquistato.
Un abbraccio
Ciao @Federica, mi dispiace per i problemi del tuo cane, veramente mi dispiace tantissimo… però il cocker americano NON è una razza debole o malaticcia, tutt’altro. Purtroppo tutte le razze possono degenerare se vengono maltrattate geneticamente. Il mio primo grande amore sono stati i pechinesi: ho avuto alcuni esemplari negli anni Ottanta, ma non ho mai allevato questa razza perché troppo “difficile”… Tanto, tanto tempo dopo sono arrivati i cocker, e me ne sono innamorata anche per la forza della loro costituzione. Il VERO cocker americano è un cane sano, allegro, di buon carattere, molto intelligente; ha una vivacità che magari a qualcuno può anche non piacere, ma in assoluto NON è né debole a livello fisico né poco equilibrato a livello caratteriale. Dei miei sette fondatori posso dire che con l’unica eccezione di “Biancaneve” gli altri si sono rivelati cani sani; attualmente tutti hanno figli che sono diventati campioni della razza (qualcuno anche nipotini). Ovviamente il cucciolo con problemi può nascere ovunque, perché nessuno di noi è nel DNA dei riproduttori, però in generale ti assicuro che il cocker americano è molto più “fortunato” di tante altre razze. Se ti appassiona il cocker cerca di informarti, vai a qualche raduno del CIS (Club Italiano Spaniel), mettiti in contatto con allevatori e appassionati. Vedrai che ti si aprirà tutto un mondo 🙂
Quando ho letto………ho letto con le lacrime……………e so cosa si prova……………..ho avuto un cocker Rudi ……me l’avevano regalato dopo che Oliver il mio Beagle era mancato dopo una lunga malattia………e curato meglio di un umano!!
Rudi era avanti con l’età………….era la mia ombra , sembrava mi conoscesse da sempre………..mi seguiva dapertutto, ascoltava ed eseguiva i comandi, era giocoso per nulla invadente………….e mai nessuno era andato a fare dei corsi di addestramento, forse sono stata fortunata con il carattere………….però ………sono stata sfortunata……………..ha mangiato un boccone avvelenato………………per una settimana ha sofferto di atroci dolori……………..mi ero presa le ferie per stargli vicino, vomitava anche l’anima…………..e sono stata costretta a fare la cosa che mi porto appresso per sempre………e non ci voglio pensare……………..
Lo sapevo che non dovevo leggere…Un abbraccio ovviamente a Mariachiara anche se non ti conosco!
da sciuramaria quale sono, l’unica cosa che possa dire è: che porcata! quando leggo queste storie mi riempio sempre di un mix di rabbia e tristezza…sarà un commento scontato, ma non riesco ancora a farmi una ragione del fatto che alcune persone abbiano il cuore talmente gelido da riuscire a considerare i cani come merce e non come esseri viventi…ma forse sono io che vivo nel mondo delle favole…
Mariachiara ti mando un abbraccio e mi raccomando: sputtana sputtana e continua a sputtanare la “persona” (mi fa pure fatica definirla tale) che ha avuto un tale comportamento.