venerdì 29 Marzo 2024

Zooantropologia (anzi, cinoantropologia) e pet therapy… secondo me

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Valeria Rossi
Valeria Rossi
Savonese, annata ‘53, cinofila da sempre e innamorata di tutta la natura, ha allevato per 25 anni (prima pastori tedeschi e poi siberian husky, con l'affisso "di Ferranietta") e addestrato cani, soprattutto da utilità e difesa. Si è occupata a lungo di cani con problemi comportamentali (in particolare aggressività). E' autrice di più di cento libri cinofili, ha curato la serie televisiva "I fedeli amici dell'uomo" ed è stata conduttrice del programma TV "Ti presento il cane", che ha preso il nome proprio da quella che era la sua rivista cartacea e che oggi è diventata una rivista online. Per diversi anni non ha più lavorato con i cani, mettendo a disposizione la propria esperienza solo attraverso questo sito e, occasionalmente, nel corso di stage e seminari. Ha tenuto diverse docenze in corsi ENCI ed ha collaborato alla stesura del corso per educatori cinofili del Centro Europeo di Formazione (riconosciuto ENCI-FCI), era inoltre professionista certificato FCC. A settembre 2013, non resistendo al "richiamo della foresta" (e soprattutto avendo trovato un campo in cui si lavorava in perfetta armonia con i suoi principi e metodi) era tornata ad occuparsi di addestramento presso il gruppo cinofilo Debù (www.gruppodebu.it) di Carignano (TO). Ci ha lasciato prematuramente nel maggio del 2016, ma i suoi scritti continuano a essere un punto di riferimento per molti neofiti e appassionati di cinofilia.

OLYMPUS DIGITAL CAMERAdi VALERIA ROSSI – E’ da un pezzo che volevo scrivere un mio pensiero sulla zooantropologia (anzi, sulla cinoantropologia, visto che a me interessano soprattutto i cani), premettendo che quella diffusa da Roberto Marchesini e dalla SIUA la conosco solo attraverso la lettura dell’omonimo libro.
Non ho mai frequentato corsi né seminari tenuti dal dottor Marchesini e probabilmente alcune sfumature mi saranno anche fuggite… però una cosa mi ha sempre colpito, ed è di questa che vorrei parlare.
Ci dicono che la relazione con l’animale “non deve essere vista sotto il profilo delle prestazioni, ma per i contributi al cambiamento della persona”.
Che l’animale deve essere rispettato come soggetto, come “altro da sé”, come partner di una relazione, evitando sia la strumentalizzazione che l’antropomorfizzazione.
Che i cambiamenti (miglioramenti, si spera!) alla persona non devono derivare da alcune qualità specifiche del cane, ma dalle attività di relazione che instauriamo con lui.
Tutto molto bello, tutto molto filosofico (in senso buono: nessuna sfottitura) e anche molto poetico, se vogliamo.
Però… aspettarsi che il rapporto col cane induca dei miglioramenti nella persona, non è già una visione antropocentrica del rapporto stesso?
Non è forse già una strumentalizzazione, per quanto “indorata” dallo scopo sociale?

pet6La riprova me la dà il fatto che la SIUA, come unico (o quasi) sbocco pratico di tutto quello che sono studi e filosofie zooantropologiche, veda la pet therapy: che però è, a mio avviso, una delle attività più “coercitive” (aspettate a spararmi: tra poco mi spiego meglio) e più stressanti a cui si possano sottoporre certi cani (anche se non tutti).
Con il termine “coercitivo”, ovviamente, non intendo nulla di violento o doloroso: intendo invece il senso strettamente  letterale, ovvero l’obbligo forzato di fare qualcosa che non si è scelto di fare spontaneamente.
Per questo mi viene sempre da ridere quando leggo le varie panzane sul presunto “addestramento coercitivo” che alcuni begli spiriti vorrebbero attribuire a chi pratica certe discipline cinofile (come l’UD): perché ovviamente lo è, coercitivo. Così come lo è l’educazione di base. Così come lo è il semplice fatto che il cane porti un collare, una pettorina o un guinzaglio (o conoscete per caso cani che se li infilano da soli?)

pet11Far indossare al cane strumenti che ci permettano di controllarne i movimenti è chiaramente una “coercizione”, visto che impone una direzione al  cane e che presume l’uso della forza (fisica o psicologica che sia): anche se”forza”, come ho già detto altre volte, non è sinonimo di “violenza”.
Reggere un guinzaglio significa usare la propria forza per impedire al cane di andare dove gli parrebbe e piacerebbe e costringerlo a venire dove vogliamo noi. Poche storie.
Se fossimo così sicuri che il cane scegliesse sempre e solo di camminare al nostro fianco, non ci sarebbe mai stato alcun bisogno di usare strumenti.
Viviamo tutti, d’altronde, in un mondo fatto di coercizioni: le stesse regole della vita sociale sono coercitive (o qualcuno si diverte forse a pagare le tasse, o a fermarsi davanti a un semaforo rosso quando ha fretta? O a passare otto ore seduto a un banco di scuola? E lo farebbe, se non vi fosse in qualche modo “forzato”?).
Viviamo in un mondo di obblighi e di catene: però, diciamolo, ci sono obblighi più piacevoli di altri.
Stare a scuola quando è l’ora del prof di lettere simpatico e scherzoso, per dire, è più piacevole che rimanerci all’ora dell’arpia di matematica.
Lo stesso vale per i cani.
Io so per certo che i miei cani si sono sempre divertiti come pazzi a praticare la “coercitivissima” UD: lo so perché so leggere nei loro occhi (e nella loro coda); perché so capire quando un cane fa qualcosa “giusto per farmi un favore” e quando invece gli piace davvero farla; perché nessuno mi convincerà mai che un cane che smania di entusiasmo e salta di gioia fino a rischiare di sfondarmi il tetto della macchina quando arriviamo nei pressi del campo non sia felice di entrarci.

pet7Posso dire lo stesso per i cani da pet therapy?
Molte volte, sicuramente sì.  Ma altre volte, decisamente NO.
Ne ho visti alcuni (non dico “tantissimi”, dico solo “alcuni”: ma sono già fin troppi, per i miei gusti) fare le facce più schifate del mondo quando sono costretti (eh, sì) a subire le coccole del bambino che esagera nelle effusioni, o le pacche in testa della vecchietta che, poverina, magari trova nel cane l’unico aggancio con la vita… ma il cane è costretto a restare fermo vicino alla sua sedia a rotelle, quando preferirebbe andare a correre nei prati inseguendo minilepri. E poi i cani sono empatici, lo sappiamo tutti benissimo: quindi possiamo ritenere che, quando hanno a che fare con persone inferme, ne “sentano” il dolore, la tristezza. E nessuno può sapere l’effetto che davvero gli fa.
Nelle AATT c’è uno scopo sociale elevatissimo, per carità: lo stesso che c’è nell’addestramento (spesso molto duro) dei cani guida per non vedenti. Scopi che ti fanno ritenere che il gioco valga sicuramente la candela.
Però i cani sono strumentalizzati, eccome.
E sono pure stressati, tant’è che in tutti i corsi per operatori di pet therapy si raccomanda vivamente di non utilizzare il cane per tempi troppo lunghi, di stare attentissimi ai primi segni di stress, di alternare diversi soggetti e così via.
Ma allora, di cosa stiamo parlando?
A mio avviso non c’è nessunissima differenza tra fare attività assistite con gli animali e fare UD, obedience o disc dog: stiamo sempre “usando” i cani per qualcosa che fa comodo a noi.
E stiamo “usando” il cane anche quando siamo alla ricerca della pace interiore, o di una maggiore consapevolezza del diverso da noi, o di un aumento della nostra capacità di rispettare queste diversità.
Ma se al cane non ne potesse fregar di meno, di quanto noi stiamo diventando migliori, rispettosi e consapevoli?

NYT2008110415304530CHo tenuto proprio ieri una lezione sulla domesticazione del cane, spiegando che il nostro rapporto è nato perché siamo entrambi animali sociali e opportunisti: termine che NON va inteso in senso morale ma in senso etologico, ovvero quello di animali che cercano “la strada più comoda” per trovare risorse (soprattutto alimentari, ma non solo).
L’ex lupo, o pre-cane, cominciò ad avvicinarsi agli accampamenti umani perché trovava i loro rifiuti più “comodi” delle prede da cacciare (queste avevano la fastidiosa abitudine di scappare e/o combattere: i rifiuti umani no). L’uomo accettò la presenza del pre-cane, inizialmente, perché gli faceva molto comodo utilizzarlo come spazzino, e poi perché si rese conto che le sue qualità naturali gli avrebbero reso più facili e meno faticosi impegni come la caccia, la difesa del territorio e in seguito la custodia del bestiame.
Ci siamo, insomma, sempre sfruttati a vicenda (d’altronde, anche in natura, nessuno fa niente per niente. Leviamoci Walt Disney dalla testa): ma col tempo abbiamo imparato anche ad amarci reciprocamente.
Con tutte le bastarde eccezioni del caso, per carità: sappiamo bene che ci sono fin troppi umani che maltrattano i cani… ma se è per questo ci sono anche cani che mordono gli umani (e non è sempre così scontato che sia colpa di questi ultimi).

pet5Però queste sono, appunto, eccezioni: la regola è quella di un rapporto fatto sicuramente di strumentalizzazione (reciproca), ma anche di sentimenti.
Un rapporto che è sempre esistito: addirittura in misura maggiore di quella che conosciamo oggi: in alcune civiltà, per esempio, i cani sono stati considerati addirittura sacri.
Ma amore e rispetto si scovano anche nei momenti e nelle persone più impensate. Qualche giorno fa un extracomunitario, che vendeva i suoi oggetti per le strade di Carignano, ha insistito per regalarmi a tutti i costi un elefantino portafortuna: pensando che fosse solo un espediente per convincermi a comprare qualcos’altro stavo declinando cortesemente l’offerta, quando lui mi ha spiegato (in un italiano migliore di quello di molti commentatori televisi, devo dire…) che il regalo non era per me, ma per la Bisturi, che tenevo al guinzaglio.
Infatti, al suo Paese (africano, di cui non ho capito bene il nome), quello era il “giorno del cane” e c’era l’usanza di fare regali ai  quattrozampe.
A questo punto ho accettato con piacere l’elefantino, che adesso sta sulla mia scrivania (la Bisturi, una volta assodato che non si mangiava, non l’ha apprezzato più di tanto).

pet2_apertInsomma, amore, affetto e rispetto tra cane e uomo non li ha inventati nessuno: ci sono e ci sono sempre stati, forse fin dal paleolitico.
Poi bisogna vedere in che modo l’uomo è capace di esprimerli, questi sentimenti.
E’ amore convincere il cane che l’unica vita che valga la pena di essere vissuta è quella che lo vede sdraiato su un tappetino, o sul divano, o nella famigerata borsetta portachihuahua?
E’ amore convincere il cane a lasciarsi pastrugnare, manipolare e smanacciare da orde di bambini sconosciuti e vocianti?
Dipende.
Se il cane è un nonnetto di 15 anni, il tappetino può essergli gradito. Se il cane ha il carattere della Bisturi, lo smanacciamento può essere per lui il top della felicità.
Però vedo molti, troppi golden, o labrador, o beagle letteralmente “forzati” a fare i cani da pet therapy: vedo facce rassegnate (se non addirittura disgustate) sottostare a carezze e pastrugni vari che, per carità, non fanno alcun male… ma non sono neppure richiesti/scelti/voluti/graditi.

Di fronte a questi musi lunghi (nel vero senso della parola) e a certi sguardi spenti, riesco a risollevarmi il morale solo quando vedo un golden fremente di entusiasmo mentre si appresta a riportare qualcosa dal bosco, o dall’acqua.
Mi auguro sempre che sia un dummy e non un povero uccello ammazzato… ma devo confessare che preferisco veder tornare il cane con un fagiano in bocca e gli occhi lampeggianti di gioia, piuttosto che trovarmi davanti quelle facce da lampadina bruciata che hanno non tutti – lo ripeto – ma diversi cani da pet therapy. E anche quelli che io chiamo “i cani zombie”, ridotti a fare il peluche animato (neanche troppo animato) dalla sciura cognitivissima e zooantropologicissima che mi guarda schifata se invece, al mio cane, io chiedo di fare un salto con riporto (e non parliamo degli attacchi!).

pet9Che cos’è, dunque, per me la cinoantropologia?
E’ rispetto per la natura, per le origini, per la storia di entrambi: cani e umani.
E’ la consapevolezza che entrambi abbiamo scelto di convivere perché era di reciproco vantaggio, e che è giusto continuare a dare e ad avere in eguale misura.
Quindi, per me, è giustissimo – non solo giusto! – cercare in ogni modo (allevamento, educazione, addestramento) di ottenere cani che siano in grado di darmi il massimo nell’ambito in cui ho scelto di impegnarli: ma dal canto mio mi devo sforzare anche di far sì che si tratti di ambiti che rappresentino il meglio per lui.
Non mi prenderei mai un cane da caccia (visto che non amo la caccia) per fargli fare disc dog: se mi piace questa disciplina (che mi piace davvero, tra l’altro!) posso spaziare tra altre 400 e puzza razze. Non mi prenderei un border collie per fargli fare UD, non mi prenderei un terrier per fargli fare il cane da divano… e non mi prenderei un golden o un beagle per fargli fare per therapy, perché il fatto che siano “cani buoni” e scevri da aggressività è già una strumentalizzazione bella e buona. Sono buonissimi, è vero, ma sono anche nati selezionati da millenni per la caccia: cos’hanno a che fare con la pet therapy?

pet4Qualcuno, lo so già, risponderà che da un lato nessun cane è nato “per” la pet therapy, e dall’altro tutti i cani sono nati per la  pet therapy, per il solo fatto di essere cani: quindi animali sociali, animali che amano l’uomo e che godono del rapporto con lui. Sì, ma con l’uomo che fa parte del loro branco: non con perfetti sconosciuti che magari non hanno neppure idea di come si approccia un cane (e non mi dite che ci pensa l’operatore a spiegarglielo, perché questo non è sempre possibile: non tutti i pazienti sono in grado di capire).
Sia ben chiaro: io NON sono contraria alle attività assistite con gli animali.
Mi piacerebbe solo che – proprio come qualsiasi altra disciplina – esse venissero svolte rispettando sempre le esigenze del cane ed evitando di utilizzare (sì, uso proprio questo termine) i soggetti che non ci sono portati, anziché “plasmarli” ad ogni costo per ottenerne dei cani “forzatamente” buoni e sicuri al cento per cento.
Mi piacerebbe, anche, che si accettasse una buona volta un concetto che forse a qualcuno ancora sfugge: e cioè che la pet therapy è una disciplina cinofila come tutte le altre, che si può fare bene o male, rispettando il cane oppure no.
E vorrei che si ricordasse che la mancanza di rispetto non consiste soltanto nel picchiare o nell’usare metodi/strumenti violenti, che fin lì ci arriviamo tutti: invece ci sono forme di vero e proprio maltrattamento molto più subdole e infide, tanto più infide quanto più appaiono – agli occhi del profano – “dolci” e “gentili”.
Affossare o addirittura inibire le qualità naturali di un cane è una di queste forme di maltrattamento: anche se il cane può apparire allegro e scodinzolante.
Tengo a sottolineare (l’ho messo perfino nel titolo!) che questa è una mia opinione personale e che non è né un articolo “contro la pet therapy”, né tantomeno  contro la zooantropologia. A me piacerebbe solo che si guardasse anche un po’ oltre le apparenze, ed è questo l’unico vero invito che rivolgo a chi ha avuto la pazienza di leggermi fin qui.

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51 Commenti

  1. Belle parole. Grazie di aver esposto il suo pensiero, che ci permette di vedere sotto una nuova luce questo argomento e, indirettamente, farci un’opinione sulla scuola che se ne occupa. L’ho trovato davvero utile. 🙂

  2. caro Andrea, hai mai provato a chiedere al tuo cavallo se gli piace tenerti in groppa e farsi ficcare i talloni nei fianchi mentre gli strattoni la bocca? XD

    • Ma perché bisogna sempre pensare al maltrattamento? “farsi ficcare i talloni nei fianchi mentre gli strattoni la bocca” è già una cavolata di per sè: i fianchi si toccano per spingere il cavallo in avanti e le redini si tirano per fermarlo, quindi le due cose insieme non possono starci. Ma poi… hai mai montato a cavallo?
      I colpi di tallone, sul fianco di un animale di quella stazza e di quel peso, hanno lo stesso effetto che può avere che so, la pacchetta sulla spalla di un amico che ti dice “Dai, andiamo da quella parte?”. Se lo ritieni un maltrattamento, mi sa che non hai le idee molto chiare. Quanto alla bocca… a parte il fatto che oggi si monta molto anche senza morso… un filetto usato con delicatezza non fa alcun male al cavallo: gli dà delle “indicazioni”, non delle strattonate. Esattamente come il collare sul collo del cane. Che poi esista gente incapace di usare sia le redini che i guinzagli è un dato di fatto… ma non è colpa degli strumenti!

      P.S.: dimenticavo il “tenerti in groppa”! Sì, al cavallo piace, se hai un bel rapporto con lui. E’ felice di uscire con te in groppa (anche perché per lui il peso equivale più o meno a quello che una donna “sopporta” quando prende la borsetta: è un CAVALLO, santiddio!), tant’è che tutti i miei cavalli sono sempre stati felicissimi di mettere la sella, ed è successo più di una volta che la toccassero col muso, o che mi spingessero verso di essa, come per dirmi “dài, mi vesti e andiamo a fare un giro?”

      • Valeria, certo, se i cavalli sono tuoi e ci monta solo il padrone, è un conto, ma fatti un giro nei maneggi, almeno quelli che conosco, e cambierai idea. Ho frequentato un maneggio per tre anni.
        Ho visto cavalli annoiati, depressi, nevrotici, costretti tutti i giorni a portare in giro marmocchi rumorosi o adulti che credevano di essere John Wayne e che spronavano il cavallo con il frustino in continuazione, anche solo per fare quei duecento metri di pista che, fra l’altro, il cavallo sa a memoria e farebbe pure da solo. E i morsi, mai visti quelli snodati. Sempre e solo i classici.
        Io ho smesso di voler montare quando ho capitp che cosa facevo. Non sono d’accordo. Di certo ci sono i bravi, i rispettosi, ecc, ma sono una minoranza così esigua che non fanno numero. La realtà è altra. Almeno dalle mie parti. E comunque anche in questo caso si parla di condizionamento, solo “perggiore” nel senso che al cavallo la dipendenza dall’uomo è meno necessaria che al cane. Quindi da un certo punto di vista è peggio, non so se riesco a spiegarmi.

  3. ma guarda che l’articolista non ha mica screditato la Siua! Ha soltanto preso in esempio un concetto esposto dalla Siua e lo ha usato come preambolo per parlare di un dato argomento, spesso frainteso dai più, ed esprimere la sua opinione su quel dato concetto, non sull’operato della Siua. Leggete bene, e rileggete ancora meglio, prima di sentirvi punti sul vivo senza alcun motivo. 😉

  4. se ne capissi un pochino di più di cani sapresti che per un cane è più coercitivo essere costretto a stare in mezzo a moltissime persone che lo manipolano ogni giorno della settimana, piuttosto che rincorrere un frisbee o salire su una rampa.
    se solo penso a come farebbe sentire me, essere toccata da estranei dalla mattina alla sera, mi si rizzano tutti i capelli per il nervoso…
    ogni eccesso di qualunque tipo è SEMPRE deleterio.

  5. Mi scuso se non ho risposto in modo diretti, pensavo di averlo fatto indirettamente dicendo che considero qualunque intervento non aperto al dialogo contrario al mio modo di pensare e insegnare. Questa mia apertura è sempre stata al centro di ogni insegnamento e per questo sono stato attaccato duramente da molti ambienti della cinofilia. Penso che sia sbagliato parlare di “allievi SIUA” in senso generico, perché come in tutti gli ambiti la differenza la fa la persona. Quello che posso dire che in SIUA – per esempio i seminari che si sono fatti invitando persone che la pensavano in modo completamente differente – si pratica il pluralismo e si considera il pluralismo e la dialettica la base della crescita personale e professionale. Spesso sento parlare in modo generico di educatori SIUA e poi quando ho chiesto i nominativi quasi sempre erano persone o che non avevano fatto alcun corso con me o che s’erano diplomati ma non avevano aderito alla scuola, cioè non avevano accettato i principi che la informano. Le accuse generiche non portano da nessuna strada, lo dico con serenità, occorre sempre circostanziare quando si fa un’affermazione accusatoria, altrimenti è impossibile verificarla o chiedere spiegazioni agli interessati. Spesso si accomuna a SIUA un sottobosco di persone che non hanno nulla a che fare con la mia scuola e che non hanno l’approccio che insegniamo. Detto questo sicuramente ci saranno anche gli stupidi, gli estremisti, gli egocentrici… come peraltro ci sono ovunque. Quello che io posso fare e sto facendo in questi anni e insegnare nel modo giusto e dare per primo l’esempio. Sono certo che le cose cambieranno e sono grato a chi mi ha fatto e mi fa notare eventuali problemi o distorsioni. Le critiche aiutano e fanno crescere chi evita di andare in difensiva e le accetta come scacchi da superare.

  6. Finalmente un confronto degno di essere chiamato tale, due colossi della cinofilia che scambiano pareri con pacatezza e coerenza.

    Un sogno.

  7. Purtroppo si rimane in una zona grigia di ambiguità, tesi tra il bisogno di farsi capire e la necessità di dire cose che abbiano un qualche minimo fondamento e non solo il buonismo demagogico che piace tanto ai media. Ma questa zona grigia non è comoda per nessuno e penso si debba avere il coraggio di varcarla, anche se costa perché quando non usi la terminologia corrente passi per uno che se la tira. Come è successo a me, quando in realtà io amo più di ogni altra cosa la semplicità… e chi mi conosce e frequenta o anche solo mi ha visto una volta a un convegno lo sa. Non dico di non avere colpe al riguardo. Perché sono un pignolo, questo sì, sono un compulsivo dell’ordine e vorrei che le cose si chiamassero veramente con loro nome. Per esempio, non sopporto che si usi la parola “pedofilo” al posto di “pederasta” – visto che filos indica amore non sessuale, al contrario di erastos. Ma torniamo alla pet therapy e al suo nome per me assurdo. Non credo che gli animali facciano bene e non ritengo che le persone appena vedono un animale immediatamente si predispongano in modo da farsi del bene. Se un bambino iperattivo fa giochi eccitatori col cane o un paziente schizofrenico giochi di finzione, cose peraltro che verrebbe loro spontaneo fare, questo non produce in loro alcuna beneficialità. E non credo nemmeno che la pet therapy (anche quando fatta correttamente) sia una terapia. Si tratta di un intervento di facilitazione terapeutica, di assistenza o di sostegno, molto importante perché, se ben fatta, può far risparmiare risorse sanitarie – e oggi ce n’è bisogno – quindi una co-terapia, un intervento sinergico, un’azione di sussidiarietà. Detto questo secondo l’approccio, che ho messo a punto circa quindici anni fa, si prescrive non un animale bensì quella dimensione di relazione che è utile a quel particolare paziente rispetto a obiettivi definiti dal medico curante. Per esempio e scusami ma banalizzo agli estremi solo per farmi capire: se devo aumentare le tendenze collaborative e prosociali di un ragazzo con disturbi della condotta, prescrivo attività di relazione che hanno a che fare con la cura (epimelesi) ed evito le dimensioni di gioco eccitatorio. La dimensione ludica, viceversa, la posso utilizzare con un anziano chiuso in se stesso che voglio coinvolgere in un’attività all’esterno insieme ad altri. In pratica il beneficio nasce da quello che il paziente fa, quindi esercita, quindi fortifica. La presenza dell’animale è riconducibile al fatto che queste dimensioni di relazione sono molto più facilmente attivabili nel rapporto con un animale piuttosto che in altre situazioni. Questa è in pratica la zooantropologia assistenziale, che come puoi vedere ha poco in comune con la comune pet therapy. Presto abbandonerò del tutto il termine pet therapy – e non sarà una scelta vantaggiosa sotto tutti i profili, ma finalmente mi sentirò in coerenza con quello che penso. Grazie per avermi dato modo di spiegarmi.

    • Sempre grazie a te per il confronto, che quando è appunto “confronto” e non “scanno” a me fa sempre piacere (e mi insegna sempre qualcosa) :-).
      Non sono molto d’accordo, però, sul fatto che la ZA (posso abbreviare, vero?) non abbia molto in comune con la pet therapy. Questa, a mio avviso “dovrebbe” essere la pet therapy, e mi risulta che effettivamente lo sia in altre parti del mondo. In Italia, dove mancano regole, protocolli scientifici e quant’altro… c’è un po’ troppa improvvisazione per i miei gusti, ed effettivamente si vedono cose MOLTO diverse da quelle di cui parli tu. Ma forse è questa “pet therapy raffazzonata” a non essere pet therapy…

      • “D’altro canto, solo pochi giorni fa, lo stesso Marchesini è intervenuto su questo sito specificando (per l’ennesima volta) che LUI non è assolutamente contrario all’addestramento, quando sappiamo benissimo quali e soprattutto quanti suoi allievi facciano distinzioni talebane tra educatori e addestratori, ovviamente sputtanando regolarmente questi ultimi. Quindi, qui i casi sono due: o Marchesini non è bravo come crede ad insegnare, oppure i suoi allievi, molto più spesso di quanto forse lui stesso non creda, partono per la tangente e magari, da un concetto espresso in linea teorica/generale, arrivano a fondare religioni talebane, che purtroppo portano avanti in suo nome e con il suo marchio”

        Questo intervento della Signora Valeria riprende in modo più chiaro ed esaustivo un concetto che avevo già espresso in un commento precedente datato 5 aprile, a cui il Dottor Marchesini continua a non dare una risposta. Peccato, ci tenevo molto a capire perchè, dal momento che lui sembra molto aperto alle varie attività cinofile (compresa l’Utilità e Difesa), i suoi allievi siano tra i più settari e chiusi a confronti.

  8. Solo una precisazione rispetto al concetto di zooantropologia assistenziale e il suo rapporto con la pet therapy. Il termine zooantropologia nasce alla fine degli anni ’80 per definire un’area di studio, nota anche come “animal studies” insieme ad altre proposte, quali antrozoologia, critical animal studies, human-animal bond e via dicendo. La preferenza verso il termine zooantropologia venne da parte dei francesi e degli italiani, insieme a me c’erano Hubert Montagner, Giovanni Ballarini, Sabrina Tonutti, Eleonora Fiorani e altri. A partire dagli anni ’90 ho voluto trasformare – e questo è stato il lavoro che personalmente ho fatto – la zooantropologia da area tematica (per cui affrontata con taglio multidisciplinare) a disciplina e ovviamente ho dovuto confrontarmi con problemi di ordine epistemologico che qui ovviamente tralascio. Non so dire se ce l’ho fatta, in che misura, quanto ancora ci sia da fare… più la strada è lunga più mi appassiona. Tuttavia alcuni riconoscimenti sono arrivati: non solo in Italia, da cui per esempio la curatela della voce nell’indice disciplinare del Dizionario Enciclopedico della Utet, ma anche in altri paesi, per esempio in UK affidandomi la prestigiosa casa editrice Cambridge S&P la direzione della rivista Zooanthropology, in Germania la curatela della voce nel Lexikon Der Mensch-Tier-Beziehungen, più un gran numero di pubblicazioni estere accettate. Questo non per incensarmi, che sinceramente poco m’interessa ma per sottolineare che la zooantropologia italiana sta andando forte all’estero e questo ci dovrebbe rendere un po’ tutti orgogliosi, anche perché il mio lavoro – come ho sempre detto-scritto – si è nutrito della grande riflessione su questi temi che ha caratterizzato il nostro paese. Ora dal mio punto di vista le attività di zooantropologia – che non riguardano solo gli aspetti coterapeutici o assistenziali – sono applicazioni della struttura teorica della zooantropologia non il contrario. Per questo lavorare in pet therapy (un nome che utilizzo solo per comodità) con approccio zooantropologico significa fare qualcos’altro rispetto alla pet therapy che utilizza l’animale come fonte beneficiale. Devo essere sincero: non credo che gli animali facciano bene, trovo queste affermazioni prive di senso, come dire che i nonni o i bambini fanno bene, o che le fidanzate abbassano la pressione sanguigna o i mariti riducono il tasso di colesterolo. Pertanto le attività di zooantropologia applicata non aspirano a diventare una branca della pet therapy e dal mio punto di vista prima potrò abbandonare il termine pet therapy meglio starò. E sinceramente non lo faccio per affermare un nome o un metodo, ma perché credo che chi opera in zooantropologia – e qui non si tratta di SIUA o non SIUA – sta facendo un altro tipo di attività. E non c’entra nulla l’aspetto etico.

    • Roberto, ma “pet therapy” significa, letteralmente, “terapia con gli animali” (ovvero zooterapia): se usi questo termine, anche solo per comodità (così come per comodità lo utilizzo io, anche se sappiamo bene che non è del tutto corretto: ma io e te lo sappiamo, tutti i cinofili lo sanno… ma il resto del mondo fa ancora confusione e diventa difficile farsi capire senza ricorrere a questo termine), allora il concetto è proprio quello secondo cui “gli animali fanno bene”.
      Non si scappa. Anch’io credo che siano i sentimenti – e non gli animali – a “far bene”… però, quando si trattano questi argomenti, ci si deve rivolgere al grande pubblico che ben poco sa di cinofilia. E se non dici “pet therapy” non capiscono di cosa parli, mentre se dici “pet therapy” dici una cosa inesatta. E allora, che si fa?

  9. Quanto detto purtroppo è vero, ho saputo recentemente di un operatrice SIUA, che ha portato un cane, assolutamente non preparato, in classe, con stereo “a palla”, e agli EVIDENTISSIMI segnali di stress del cane ( ululava raspando la finestra) si è ancora innervosita e arrabbiata con il cane. Ora sinceramente non so se questa fosse solo una falsa SIUA, oppure un vera SIUA che non ha capito nulla, però credo che in tutti gli ambiti, in tutte i contesti e in tutte le professioni, ci sia chi fa il suo lavoro con professionalità e serietà e chi no, e questo avviene proprio perchè la pet therapy non è regolamentata: per ora in Italia chiunque può fare pet therapy, professionisti e ciarlatani =(

  10. Noto, con piacere, che questa volta è stata studiata la lezione, in quanto il termine marchesiniano, probabilmente coniato da lui, ma non utilizzato solo da lui,( in quanto io non faccio parte della SIUA, come molti altri che praticano ZD) comprende sia AAA che TAA, ma pensavo che questo fosse sottointeso, senza doverlo specificare! 😉
    Possiamo anche scrivere un trattato, e non solo dei commentini a un blog sulle differenze tra AAA e TAA e il metodo di operare delle due scuole di pensiero, o delle molteplici scuole di pensiero, che grazie a una regolamentazione assente in italia, hanno la libertà di operare liberamente, il che significa ” io ho un cane buono, che mi fa due giochetti, mi improvviso pet therapist!”. Tutto questo senza conoscere il benessere del cane ( o qualsiasi altro animale), e purtroppo spesso senza saper nulla della tipologia di “paziente” con cui si va a lavorare. Scopo principale della ZD è eliminare queste due grandi falle nel sistema! I progetti sia di AAA che di TAA vengono studiati e progettati, in team di collaboratori specializzati del settore, il che implica la presenza obbligatoria di un medico o di uno psicologo, non durano anni, ma hanno un inizio e una fine, è presente un conduttore che si occupa del benessere dell’animale, e il paziente o il gruppo, viene preparato all’incontro con l’animale stesso, da un operatore specializzato, il quale deve avere un piano B, per non far cadere l’intera seduta, nel momento in cui l’animale da il minimo segnale di stress, e che quindi viene allontanato dal conduttore. Questo è quanto in molto breve! 😉

    • Melody, il punto su cui voleva focalizzarsi l’articolo non erano le intenzioni, ma i risultati pratici. Mi dispiace continuare a tirare in ballo Roberto Marchesini, che – come sa benissimo – mi sta pure simpatico… ma purtroppo io non parlo mai per sentito dire (o se lo faccio, è perché ritengo affidabili le fonti): e purtroppo, pur sapendo benissimo quanta serietà ci sia a monte, vedo con i miei occhi che non sempre questo comporta altrettanta serietà “a valle”, ovvero negli operatori che – usciti o meno da SIUA, ma “anche” da SIUA – poi mettono in pratica quello che hanno imparato (o creduto di imparare) in modi e maniere che nulla hanno a che vedere con l’insegnamento stesso.
      D’altro canto, solo pochi giorni fa, lo stesso Marchesini è intervenuto su questo sito specificando (per l’ennesima volta) che LUI non è assolutamente contrario all’addestramento, quando sappiamo benissimo quali e soprattutto quanti suoi allievi facciano distinzioni talebane tra educatori e addestratori, ovviamente sputtanando regolarmente questi ultimi. Quindi, qui i casi sono due: o Marchesini non è bravo come crede ad insegnare, oppure i suoi allievi, molto più spesso di quanto forse lui stesso non creda, partono per la tangente e magari, da un concetto espresso in linea teorica/generale, arrivano a fondare religioni talebane, che purtroppo portano avanti in suo nome e con il suo marchio. Lo stesso vale per i pet-terapeuti che, dichiarandosi SIUA (poi io non è che sia sempre andata a controllare se lo fossero o meno: io prendo atto di quanto mi viene detto), fanno esattamente le cose che ho stigmatizzato nel mio articolo.

  11. Tutto ciò che è stato scritto sulla pet therapy in parte è vero, ma appunto per questo la ZOOANTROPOLOGIA ASSISTENZIALE ( volgarmente chiamata anche pet therapy) si pone l’obbiettivo primario che tutto ciò che la signora Valeria Rossi ha detto non avvenga! Temo, che nonostante la grande esperienza cinofila, manchi l’umiltà di conoscere prima di parlare, o meglio sparlare!;)

    • Ehm… quella “volgarmente chiamata pet therapy” si chiama, in italiano, zooterapia ed è un insieme di varie attività che vanno dalle AAA (Attività assistite con gli animali) alle TAA (terapie assistite con gli animali). “Zooantropologia assistenziale” è solo un “marchio” prettamente italiano (o, se preferisce, prettamente marchesiniano): potrà anche diventare una branca scientificamente acclarata della pet therapy, ma per il momento nonlo è. Prima di dare dell’ignorante agli altri, sarebbe quantomeno opportuno utilizzare termini corretti e scientificamente accettati a livello mondiale.

  12. Non so molto di pet-therapy ma generalizzandone l’applicazione qualche dubbio mi assale e non tanto e non solo per la sicurezza del “paziente umano” quanto per quella del cane.
    Se tale disciplina è affiancata, assistita e controllata da personale specializzato nel trattare con soggetti umani portatori di varie disabilità fisiche e/o caratteriali, sia da personale esperto del genere canino i benefici potrebbero manifestarsi.

    Ma a volte alcuni genitori che praticano autonomamente tale attività all’interno delle mura domestiche, sono più che altro interessati ad offrire un gioco vivente ai loro bimbi senza curarsi se questi ad es. infileranno una matita dentro le orecchie del cane…. Importante è che il bimbo si diverta, faccia esperienza, non lagni in casa, ecc.. ma se poi quel “maestro di cane” non sarà abbastanza sottomesso nel subire risulterà un soggetto diseducativo, aggressivo e da allontanare.

    Uno tra i tanti casi di cronaca avvenuti in Italia a danno di animali: dei ragazzini si trastullavano tirando sassi a dei pennuti in prossimità di un laghetto. Quando alcuni presenti fecero notare ai genitori tale comportamento, questi risposero idispettiti: “ma dovranno pur divertirsi” :-(((((((

  13. Vorrei tuttavia sottolineare che la menzione di Siua indica che la nosra scuola ha una visibilità operativa che altre scuole non hanno e questo al di là delle parole è un riconoscimento implicito innegabile di cui ringrazio – e lo farebbe chiunque mastichi un po’ di comunicazione (e non sto parlando di pubblicità o di marketing). Detto questo è evidente che più cresci più hai responsabilità che devi assumerti in modo sereno e parimenti avrai situazioni che ti espongono alla critica. Io lo sapevo e sapevo di avere due handicap con cui fare i conti. Il primo è quello di fare una proposta articolata che si presta a essere banalizzata e strumentalizzata dai furbettini e demagoghi con il risultato di farmi dire cose mai dette – evenienza avvenuta abbondantemente in questi ultimi 20 anni, per cui mi sono preso critiche per stronzate dette o praticate da altri. La seconda è di aver dato vita a una scuola che porta a confondere l’aver compiuto un percorso formativo anche con ottimi risultati (ma chiunque può diplomarsi e poi comportarsi come vuole e un diploma non lo puoi togliere) con l’appartenenza alla scuola, che invece implica la sottoscrizione di un protocollo di adesione a principi di base, perché chi si dice SIUA diventa portavoce della scuola. Per questo ringrazio – e lo dico sinceramente – Valeria Rossi e chiunque crei un contesto dove si possa puntualizzare il proprio pensiero e ci si possa spiegare. E’ ovvio che scrivere significa assumersi delle responsabilità ma perlomeno scripta manent… mi fa più paura chi sparla con il verba volant e non solo non lascia traccia ma non dà nemmeno l’opportunità di rispondere. Io ci tenevo a sottolineare il mio pensiero sui concetti di coinvolgimento motivazionale, troppo spesso banalizzato ma direi di più frainteso e strumentalizzato nel pro vs contro la performatività, Valeria mi ha dato il destro per farlo: questo conta per me.

    • Sentendo parlare così il Dottor Marchesini sono sempre più confusa sul perchè proprio gli allievi dei corsi SIUA siano tra i più categorici e chiusi al confronto tra cinoFILI che hanno come obbiettivo comune la crescita del binomio uomo-cane e l’appagamento di entrambe le sue componenti, ma decidono di perseguirlo tramite attività o idee differenti dalle loro.

  14. Sono d’accordo con quanto scritto. La cosa di cui i professionisti, che così si vogliono ritenere, del settore non considerano più importante è SAPER LEGGERE IL CANE. Se al proprio cane fa schifo la pet therapy o l’agility o qualsiasi altra cosa per la quale noi smaniamo, bene! Cercheremo di capire meglio il nostro cane e assecondare le sue attitudini e il suo piacere. Io l’ho fatto e sono sia educatrice cinofila professionista che operatrice di pet, ma non con il mio cane. Seguo le sue inclinazioni e la nostra relazione la adoro proprio per questo motivo! Per tutti gli altri: credo che il passaggio della vera ignoranza o intelligenza sia questo non a quali titoli strafighi mettono davanti alle loro scuole o ai loro nomi. Ognuno segua le sue inclinazioni ma non si permetta di alzarsi e scagliare la prima pietra perchè nessuno di noi è Dio!!!!

  15. Nemmeno io penso ci sia alcuna differenza tra le diverse attività che si possono fare insieme al cane, ovviamente UD compresa, dove la differenza sta sempre nel modo e non nell’attività in sé. In ogni campo e disciplina vi sono persone che cercano qualcosa che li accomuni al cane e pensano prima di tutto al benessere del proprio cane e persone che viceversa e a diverso titolo-modo maltrattano. Sono anch’io convinto che alcuni dei peggiori maltrattamenti passano attraverso coccole, carezze e cibo, il discorso sul benessere è ancora incentrato su un welfare che non tiene conto del piacere che deriva dall’espressione delle propensioni di specie-razza. Rispetto alla coercizione siamo in quei campi dove basta una piccola divergenza ermeneutica per scatenare polveroni inutili e dannosi per la cinofilia. Io penso che ogni situazione sociale imponga delle regole – sia cioè limitativa del totale libero movimento o scelta – e tuttavia l’animale sociale starebbe male se solo anche se pienamente titolare delle proprie scelte… per cui quando parliamo di un guinzaglio siamo in una zona grigia che francamente stento a definire propriamente coercitiva. Stessa cosa per quanto concerne il termine usare. Io non sono abituato a dire al mio partner “stasera, ti uso”, per quanto vi sia sempre un contenuto anche performativo nel rapporto con le persone. Viceversa, non ho problemi nel dire “uso il martello oppure uso l’automobile”. La differenza per me fondamentale – poi mi sbaglierò – sta nel fatto che mentre con un oggetto la prestazione non implica la relazione con un soggetto la prestazione è o dovrebbe essere il risultato della relazione. Quando mi riferisco a un soggetto preferisco parlare di coinvolgimento – e non si tratta di una questione etica (riferita ai valori) ma a una questione scientifica (fatti) – perché il soggetto ti chiede sempre di agire su una coordinata di coinvolgimento (motivazione) e nella misura in cui lo sai fare otterrai livelli differenti di prestazione, cosa che non avviene con uno strumento. Per questo io trovo che vi sia una differenza tra l’uso e il coinvolgimento. Con i soggetti la capacità del professionista sta nell’agganciare l’attività a una motivazione del cane, evitando cioè la strumentalizzazione, e qui ha ragione Valeria nel dire che spesso non si fa, col risultato che mentre alcune attività sportive tanto biasimate ingaggiano il cane su una motivazione e quindi non strumentalizzano, in pet therapy se non si aggancia si arriva a situazioni fortemente vessatorie per il cane.

    • Grazie del tuo intervento, Roberto. E grazie di aver scritto in umanese :-), anche se la “divergenza ermeneutica” ti è scappata! Ma proprio su questo argomento mi piacerebbe ribadire che sì, certo, l’interpretazione è soggettiva…ma il mio definire (per assurdo, se vogliamo) “coercitivo” il semplice uso del guinzaglio è dovuto proprio al fatto che spesso si va a condannare lo strumento X senza badare all’utilizzo che se ne fa e (soprattutto) alla competenza di chi lo utilizza: il che è fuorviante e crea, appunto, quelle divergenze etico-settarie che portano più danno che beneficio alla cinofilia. Solo ieri una mia allieva mi ha riferito, allibita, che un educatore CZ è rimasto choccato perché portava il cane da me; e quando lei ha cercato di spiegargli che è già da un po’ che viene, e che il suo cane si è sempre e solo divertito, lui l’ha bloccata dicendole che “non voleva sentire nulla, anzi non voleva neppure sentire il mio nome”.
      Ullallà! Dopo cinotroia e torturatrice e di cani, adesso pure innominabile… e il tutto, SEMPRE, da persone che non ho mai visto in faccia, che non hanno mai visto me e che non hanno mai messo piede sul mio campo. Capirai che è un filino seccante il fatto che le “divergenze ermeneutiche” portino dritte dritte all’insulto e alla diffamazione…

      • Mi scusi… però Lei sta parlando di persone che hanno libertà di pensiero e di scelta, non ho letto nel commento del professor Marchesini nessun insulto né diffamazione ma solo lo scambio di punti di vista, non credo che sia colpa sua se c’è gente che non è aperta alla diversità. Resta il fatto che le parole hanno un peso e purtroppo noi Italiani spesso non ne conosciamo a fondo il significato e le usiamo talvolta con leggerezza, per questo, a mio parere, nascono frequenti fraintendimenti.

    • beh… il morso e la frusta non sono proprio piacevoli… e dubito che se quel giorno il cavallo non ha voglia per x motivi di saltare gli ostacoli tu lo lasci libero nei prati…

  16. sono operatrice di pet therapy da tre anni, dopo aver frequentato un corso con approccio cognitivo-zooantropologico , e sono da poco diventata anche addestratore enci.
    a molti potrà sembrare una contraddizione in termini, ma a me è servito enormemente confrontarmi con entrambe le scuole di pensiero, prendendo da ciascuna quello che mi sembrava valido, scoprendo che in ciascuna delle due “fazioni” ci sono seri professionisti, imbonitori, persone oneste e gente assolutamente negata.
    non mi interessa quindi star qui a difendere un dogma, un termine, una verità piuttosto che l’ altra, argomenti triti e ritriti che si basano spesso su luoghi comuni e prese di posizioni ideologiche.
    mi interesserebbe piuttosto approfondire concetti pratici quali lo scopo e le modalita di attuazione delle attività e terapie assistite dagli animali( che sono due cose assolutamente diverse), il tipo di competenze che deve avere un operatore, il tipo di cane adatto a queste attività, la sua scelta e formazione.
    io mi occupo fondamentalmente di terapie assistite, e non do i miei cani in pasto a dieci quindici bambini/anziani/insiemi di persone con l’ unico scopo di farli accarezzare, pastrugnare, giocare con loro per lenire un generico disagio, la loro noia, depressione, voglia di coccole, come si immagina la maggior parte delle persone quando si parla di questo argomento.
    la taa (almeno come la intendo io..) lavora su patologie ben precise, su di un paziente per volta, e secondo un programma per piccoli obiettivi progressivi concertati da chi ha in cura la persona insieme a chi fornisce il servizio di pet therapy.
    si tratta cioè di lavorare su più livelli: imparare a conoscere il tipo di patologia sul quale si interviene, e in particolare come essa si manifesta in quel singolo paziente, valutare la compatibilità tra queste e l ‘indole e le competenze del cane con cui si lavora, individuare obiettivi raggiungibili e risorse disponibili, ed in base a tutto questo formulare un progetto che comunque andrà via via rivalutato ed adattato alle risposte del paziente e del cane coinvolti, tenendo come principio imprescindibile il benessere di tutti i soggetti coinvolti, umani e canini.
    durante l’ attività ci deve sempre essere un referente che si occupa del paziente, in modo che l’ operatore cinofilo sia sempre a fianco del cane per proteggerlo, incoraggiarlo e indirizzarlo, senza doversi anche occupare di gestire eventuali inottemperanze del paziente, ed una terza persona, o anche una telecamera,che serve a monitorare le reazioni di cane e persona, in modo da cogliere anche le minime sfumature di stress, o i miglioramenti, che non sempre sono facili da notare in prima persona mentre si lavora.
    si tratta di una mole di lavoro enorme e delicato, che non si può imparare solo leggendo libri e avendo avuto a che fare con un singolo cane.
    per fare esempi pratici :io ho avuto l’ occasione di affiancarmi ad una terapeuta che si occupa di autismo, il mio primo progetto ha avuto come scopo di insegnare ad un bambino apparentemente assente e chiuso nel suo mondo, che non parlava, fuggiva letteralmente dalle interazioni, con un grado di autonomia molto vicino allo zero, cose semplici come quali siano i cibi e le bevande a lui adatte, l’ uso delle stoviglie appropriate, l’ igiene personale. ho preparato percorsi interattivi che potessero destare e mantenere un minimo la sua attenzione, in cui la mia bruna (meticcio husky/caccia/diosolosacosa di otto anni, adottata da cucciolata casalinga, calma e refrattaria all’ addestramento, ma che adora stare con le persone) lo accompagnava, ed il bambino doveva scegliere quale erano le cose adatte per lui e quali per il cane. tra momenti di entusiasmo ed altri in cui il lavoro sembrava inutile, all’ ultimo incontro il bambino è riuscito a scegliere le sequenze complete ed esatte di tutti i materiali e gli oggetti che gli avevo proposto negli incontri precedenti, dimostrando che dopotutto la sola presenza del cane era riuscita a catturare la sua attenzione e a fargli recepire le informazioni, anche quando sul momento non lo aveva dato a vedere.
    da un signore colpito da ictus che rifiutava la riabilitazione ho portato invece krobi (maturo lupone “alto così”, da me adottato dopo due abbandoni quando aveva sette anni, meno portato alle smancerie ma che adora riportare, accontentare le richieste, “fare qualcosa”), e a suon di tirare palline, svitare bottiglie e versare acqua nella ciotola del cane, portarlo al parco (impiegavamo 40 minuti per fare quei 100 metri), anche lui ha esercitato i muscoli che se pur non danneggiati dalla patologia si stavano atrofizzando perchè non usati .
    con una bimba diventata zoofobica dopo una aggressione da parte di un cane ho lavorato con polpetta, cane corso rescue di otto anni, adottata da me a sei, calma, discreta, lenta nel muoversi , che nonostante l’aspetto imponente è riuscita con la sua dolcezza a far superare alla bimba le sue paure..
    questo per dire che non esiste un unico modo di fare pet therapy, non esiste una razza o un singolo cane adatto a fare ogni tipo di intervento, e che, soprattutto, da parte dell’ operatore ci vuole tanta professionalità, tanta pratica, tanta sensibilità, tanto senso di responsabilità ( e modeste aspettative di guadagno..) per fare un bel lavoro in questo campo..
    riguardo alla scelta del cane, ci sarebbe da scrivere ancora un fiume di parole..
    sicuramente (al di là della razza), sono adatti cani ADULTI, maturi, equilibrati, in buona salute,non troppo sensibili o eccitabili,ovviamente non aggressivi, ma neanche timidi, diffidenti o paurosi, con una socializzazione perfetta e per lo meno una educazione di base a prova di bomba.l’ addestramento è sicuramente utilissimo, cercando però di evitare l’ effetto robottino o il cane che non si fila nessuno tranne il conduttore.
    che siano adottati, comprati, maschi o femmine, di quale razza, è precisa responsabilità dell’ operatore valutare la loro predisposizione, curarne la formazione, garantire il loro benessere.
    quindi per me è impensabile che un cinofilo neofita esca dal corso di pet therapy e corra a cercare il cucciolo di golden da pet therapy, pensando che tutto il resto verrà da se..nove volte su dieci sia il cane che il paziente avranno delle pessime esperienze, che potrebbero sfociare in veri e propri incidenti.
    io ho cominciato con i miei cani, che avevo preso con me anni prima di intraprendere questa strada, che sono i miei compagni di vita, con i quali ho un rapporto di fiducia e collaborazione nel quotidiano, dei quali conosco limiti e punti di forza.
    l’ anno scorso, dopo venti anni di esperienza con i cani (oltre a quelli che ho posseduto e possiedo, ho una pensione per cani “monelli”, faccio educazione di base e qualche recupero comportamentale), e due anni in pet therapy, ho deciso di comprare in un buon allevamento un cucciolo da preparare.
    così è arrivata mora, rottweiler. ho scelto una razza apparentemente non adatta( che però conosco piuttosto bene), perchè dopo le mie esperienze mi sono convinta di aver bisogno di un cane con una buona tempra che le permettesse di affrontare senza traumi lo stress di lavorare con persone autistiche (che non sono esattamente degli zuccherini..), un cane che amasse il lavoro, il gioco,la collaborazione, con una buona intelligenza obbeditiva, con un temperamento nè moscio, nè troppo vivace, e anche di una certa mole e prestanza fisica. è stato un pò un investimento di denaro e tempo “a scatola chiusa”: crescendo, mora, per quanto in standard con le doti di razza che cercavo, potrebbe dimostrarsi non adatta al lavoro che avevo in serbo per lei.. per adesso, ad un anno e quattro mesi di età, sono soddisfattissima della mia scelta. ci vorrà almeno un altro anno di preparazione prima che cominci ad accompagnarmi anche solo a vedere le attività che svolgo con gli altri cani. per ora la porto a esplorare, conoscere, provare, giocare, osservo le sue reazioni, conquisto la sua stima e la sua fiducia, cerco di farne un cane sicurò di se, competente e allegro. per ora le piace praticamente tutto: accompagnarmi al parco o a far la spesa o al bar, farsi coccolare da amici grandi e piccoli, giocare con persone e cani, mordere il salamotto e anche un pò la manica, imparare comandi e giochetti, ma solo quando sarà adulta e matura (e i molossi ci mettono più tempo di altri tipi di cani), potrò affermare con sicurezza che la pet therapy fa per lei, quali sono i progetti nei quali mi affiancherà.
    e se poi salterà fuori che non è adatta, le vorrò ugualmente un mondo di bene, e faremo altro..
    questa è la mia piccola esperienza e la mia opinione sulla pet therapy.
    ho volutamente evitato di raccontare le cose brutte e sbagliate che ho visto mentre mi formavo o andando ad assistere ad attività altrui, o di criticare i metodi addestrativi di tizio e caio.
    io mi sono fatta una mia idea, cerco di svilupparla per dare contributi positivi in un campo che mi piace e reputo utile e pieno di prospettive meravigliose.

    • Non sono una operatrice del settore, amo i cani e ne ho avuti 3, tutti adottati, l’ultima è una setterina, non sono mai ricorsa all’aiuto di addestratori o educatori cinofili, poichè non ho mai avuto particolari problemi con i miei cani. ma conosco molte persone che lo fanno, e quindi capita di scambiarci opinioni in merito e di imparare qualcosa anche in questo modo. Detto questo devo dire che non sono del tutto d’accordo con Valentina Rossi, o meglio, trovo che non abbia spiegato in modo esaustivo la sua pseudo critica alla pet terapy. mentre la risposta di Barbara hass fidanken mi trova pienamente d’accordo su quello che dice e fa, facendo capire in modo chiaro cosa significhi fare pet terapy e di essere una professionista preparata e attenta in questo. Magari non tutti sono così anche fra gli addestratori ed educatori cinofili. Vorrei però fare una domanda a Valentina Rossi, sulla base di questo suo articolo, dove dice che alcuni cani sono costretti a fare ciò che vogliono i loro “padroni-addestratori” a discapito di ciò che vorrebbero fare loro, vorrei sapere cosa ne pensa delle mostre canine, dove credo ci sia veramente una coercizione sui cane che diventano una specie di modelli da passerella, senza contare le varie cotonature e imbellettamenti vari che in alcuni casi vengono imposti a questi poveri cani. In confronto la pet therapy credo che sia un divertimentio per loro, senza contare che ha indubbiamente un fine più valido e utile.

      • Ehm… spero che “Valentina Rossi” sia dovuto ad una smodata passione per i Moto GP: perché io mi chiamo Valeria :-). A parte questo, evidentemente non ti è stato chiaro (e forse è colpa mia) quello che intendevo dire: non ho mai pensato che la pet therapy fosse “in generale” coercitiva, ma penso che lo sia per alcuni cani scelti SOLO in base alla docilità (e talvolta inibiti nelle loro doti caratteriali, pur di renderli “atti alla bisogna”), senza preoccuparsi del fatto che a loro effettivamente piaccia fare quello che fanno.
        Lo stesso identico discorso vale per le expo: ci sono cani palesemente entusiasti di andarci, che adorano farsi toelettare e perfino cotonare (conosco barboni che saltano felici sul tavolo da toelettatura, perché per loro toelettatura=coccole, attenzioni, rapporto con gli umani), e ci sono cani che si rompono le scatole tutto il giorno e non vedono l’ora di tornare a casa. Alcuni dei miei cani (che vivevano liberi tutto il giorno e con me avevano tanto rapporto da potersene pure stufare, quindi non era certo quello a motivarli) quando prendevo l'”attrezzatura da expo” (tavolino e du’ spazzole, visto che a loro non serviva niente di più) saltavano di gioia come quando prendevo le imbragature da slitta. Altri alzavano proprio gli occhi al cielo e salivano in macchina sbuffando. Ecco, questi ultimi li ho portati il minimo indispensabile (giusto il tempo di fare un paio di risultati che ne garantissero “ufficialmente” la tipicità, perché a chi compra un cucciolo da te non puoi solo “raccontare” che i tuoi cani sono sani, tipici e di buon carattere: devi anche dimostrarlo, risultati alla mano) e poi li ho lasciati in pace. Quelli che invece amavano le expo hanno continuato a farle.
        E’ un po’ come per i concorsi di bellezza umani: se una madre costringe la figlia a parteciparvi, penso malissimo di lei. Se è la figlia che ci tiene, allora è una libera scelta che – pur non condividendola – rispetto.
        E comunque i concorsi di bellezza umani li trovo assolutamente stupidi, perché del tutto inutili: mentre le expo canine hanno un significato zootecnico che, se allevi, non puoi trascurare.
        Concludo dicendo che comunque, alla fin fine, anche i miei cani più “scazzati” in expo finivano per annoiarsi meno di me. Almeno loro facevano qualche conoscenza nuova, sul ring: mentre noi umani vediamo sempre le stesse facce.

      • Le mostre canine… a parte qualche spazzolata sul pelo prima di entrare nel ring, una sgambatina per fare pipì, i cani dormono. Eh, sì! eh, già! Per i cani succede molto meno di quanto noi umani siamo capaci di scandalizzarci.

        Trovo che la coercizione sia un concetto un po’ troppo tirato per i capelli e travisato. Nelle situazioni di vita quotidiana col proprio cane vedo dozzine di “costrizioni” al giorno più o meno passate sotto silenzio: dalla strada che decidiamo di fare durante la passeggiatina alla pappa ( marca e quantità ) che gli facciamo mangiare; dalla visita per le vaccinazioni alle volte in cui lo lasciamo solo a casa ( per lui è psicologicamente incomprensibile che per tot ore della giornata ci distacchiamo ); dall’appuntamento con la toelettatrice tre-quattro volte l’anno ( ma sono molte di più se ho uno yorkshire o uno schnauzer ) alla pipì odorosa della cagnetta in estro che non può raggiungere; dal guinzaglio stesso alla pettorina; in tutte queste e altre circostanze il cane vorrebbe qualcos’altro da quello che gli offro ma non può averle. Di questo passo si arriva all’assurdo che il cane domestico è “costretto” in quanto tale. Ma per i gentilisti basta che tiri fuori il bocconcino ed ecco che la costrizione diventa persuasione! e si mettono l’animo in pace.

  17. Perfettamente d’accordo!

    Tanto che avevo intrapreso lo stesso identico discorso domenica sera con dei miei amici e sono arrivato alle stesse conclusioni che sono espresse alla fine dell’articolo.
    Ringrazio la signora Rossi di aver dato un nome a questa mia “sete di conoscenza” cinoantropologia, mi piace un sacco!
    Complimenti per l’articolo, come al solito brillante!

  18. Bisogna dire che in SIUA la certificazione del cane è sempre molto severa (fortunatamente) e si cerca di evitare in tutti i modi di coinvolgere in pet therapy dei soggetti non adatti. A costo di rifiutare un buon numero di soggetti si approvano solo quelli che hanno davvero piacere a stare in quella relazione, senza subire e basta. E non ho mai mai mai notato il minimo tentativo di “plasmare” il cane, anzi, semmai è il contrario, si sta molto attenti a come lui vive la relazione. è per questo che ho scelto di fare il corso di pet therapy in SIUA, perché dopo un periodo di osservazione dei diversi metodi e scuole mi era sembrata davvero la più cinoantropologica, non solo a parole (non oso invece immaginare cosa accada nei corsi che promettono di formare una coppia pet partner in un weekend… ma questo è un altro discorso).

    Quindi se il cane si diverte ed è sereno non vedo perché non fargli fare pet therapy, esattamente come l’UD, il riporto in acqua, la ricerca di persone ecc. Per fortuna nessuno mi ha mai sconsigliato di fare queste attività col mio cane, perché credo che al di là di tutto l’importante sia vedere ciò che lui ci sta comunicando.

    • Completamente d’accordo, e cmq come da Sua stessa ammissione la redattrice non conosce da vicino la SIUA, non ha frequentato corsi, ma solo letto un libro. Se avesse più conoscenze sul pensiero e la visione di questa scuola forse non avrebbe scritto certe cose in questo articolo e mi esulo dal commentare il perché lo abbia fatto se non ha conoscenze… ups!. I cani NON sono DA lavoro il soggetto, che viene certificato in classi diverse a seconda della sua predisposizione, che collabora nelle Attività Assistite con gli Animali prova piacere nel contatto con le persone (socievolezza) e non è forzato ma tutelato poiché in primo luogo vige il rispetto del benessere animale, perciò ad anche un minimo segnale di stress l’operatore dovrebbe intervenire. C’è tutto un percorso dietro che molti ignorano, i cani sanno in quale situazione andranno e cosa espletare e cosa no, esattamente come se si trovassero di fronte ad un branco di cani che non conosce… sanno cosa fare e cosa è meglio evitare. La bravura sta nell’operatore, saper tutelare il cane, saperlo leggere e se necessario per il suo bene allontanarlo perché anche loro a volte non sono per la quale. Costrizione? mica viene tenuto lì in catene! e comunque sta all’operatore gestire il pre-seduta, il durante ed il dopo nonché il numero di sedute al mese.
      Che poi c’è chi fà PET THERAPY senza il minimo riguardo per la salute del cane e senza neanche sapere cosa gli stia dicendo è indiscusso, ma certo non si può screditare la SIUA così. Sono di parte? si, perché credo che il cane sia un soggetto e come tale deve essere considerato e questo la SIUA me lo ha insegnato. A prescindere da tutto, quello che proprio non riesco a digerire è parlare di cose senza essersi prima informato a dovere.

  19. Ho sempre voluto fare pet-therapy, forse a breve inizio un corso. Sono d’accordo con l’articolo e infatti non ho idea di come scegliere il cane. Prendere un cucciolo mi sembra un azzardo perché non saprò se sarà propenso a ricevere coccole da chiunque. Facendo la volontaria al canile pensavo, conoscendo i cani, di prendere un adulto. Però è comunque un rischio perché una volta fuori dal canile spesso il comportamento del cane cambia (si adatta alla nuova vita).
    Qualche consiglio?

  20. Ben detto!!

    Faccio AAT da un po’ di anni e per scelta, dopo lunghe ricerche e studi, ho scelto di non far parte di nessuna associazione specializzata e non ho nessun “titolo” , perché nessun ente che li rilascia a mio avviso mette il giusto accenno al rispetto del cane come essere senziente, accettando tutti i binomi, anche quelli dove i cani palesemente mostrano tutti i segni di patire la situazione.

    Ciò che facciamo in realtà non è terapia nel senso corretto del termine, mancano alcuni strumenti fondamentali, primo fra tutti il feedback medico (ma questo dipende dall’ente che eroga il servizio, non certo da noi), è AAA ma va bene comunque, perchè portare un po’ di ‘libertà’ a chi vive chiuso nel suo guscio, letteralmente alcuni di loro non possono quasi muovere un muscolo, alla fine a detta del personale che ci segue ha comunque valore terapeutico.

    Una cosa devo chiarirla però l’attività come la facciamo noi non è ‘coccola il peluche’ ma qualcosa di molto dinamico, in barba alle limitazioni fisiche, e costa fatica emotiva a me, fisica e mentale ai cani e alle persone che partecipano, ma i cambiamenti e i progressi sono stati in alcuni casi impensabili a detta degli stessi operatori che li hanno seguiti in passato con altri educatori cinofili e altri cani.

    Ho tre cani che partecipano e tutti e tre quando scendono dalla macchina fanno la faccia da “yuppiiiii si gioca!!” e fino a quando saranno loro a dirmi che sto facendo la cosa giusta continuerò a proporre loro questa attività, ma non appena non si divertiranno più smetterò all’istante, con buona pace mia e di chi oggi partecipa.

    Sono tre Border Collie, una razza considerata poco adatta dagli esperti, in più due su tre sarebbero assolutamente non adatti per motivi ‘sostanziali’: uno è sordo e ipercinetico, mentre l’altra non si lascia accarezzare …. e quindi??

    Quindi osservo loro e le persone con cui interagiscono e grazie alla fiducia reciproca e al rispetto che ho di loro e delle loro esigenze, ci divertiamo e facciamo divertire, questo è tutto.

    Cominciai con il mio ‘nipotino’ Liam, appunto un Golden che sarebbe dovuto essere il più ‘adatto’, ma dopo tre volte lo lasciai in pace. Perché non accetto la coercizione in nessuna forma, neppure lieve, a meno che serva a salvare la vita, e nessuna attività, nemmeno la più nobile vale il prezzo di torturare chi amiamo.

    Grazie di cuore a Loro gli artefici di tutto:
    Lollipop, Berry e White

  21. Condivido a pieno quanto scritto, personalmente con la mia associazione facciamo sia UD, agility e pet therapy è sono pienamente d’accordo che il cane da pet è un cane da lavoro a tutti gli effetti non bisogna mai addestrare soggetti che nn reggano lo stress da lavoro, purtroppo spesso si confonde il cane sottomesso ed estremamente docile col cane da pet therapy errore gravissimo….Brava Valeria Rossi

  22. Ti leggo sempre con molta attenzione, e “spugnosa” assorbo quello che riesco. Però qui, in questo articolo, non sono del tutto d’accordo con te. O meglio, sono d’accordo perché non amo affatto le coercizioni, né sugli animali né sugli umani, ma TUTTE LE COERCIZIONI. Per cui aborro l’agility e la mobility, aborro il DAI LA ZAMPA, aborro gli istruttori di CANI DA LAVORO, aborro anche, purtroppo, il SEDUTO E IL FERMO, anche se un’educazione di base è necessaria. Aborro il CAPOBRANCO UOMO, insomma… sono anarchica fondamentalmente. E anche i miei cani sono anarchici.
    Diciamo che, tra tutte le coercizioni, pettorina e guinzaglio compresi che però sono necessari, questa della pet therapy è la più innocente, anche in considerazione del fatto che vengono utilizzati animali idonei. Il mio schnauzer non potrebbe davvero prestarsi… è già tanto che si fa dare una carezzina al giorno da me….
    Ma poi vogliamo parlare dei cani da guardia? Di quelli da pastore? Dei cavalli dei maneggi? Insomma viviamo in una società “emancipata” che utilizza tutto ciò che può, utilizzare un cane per farlo accarezzare mi sembra davvero poco invasivo per l’animale.
    Grazie comunque per tutto quello che ci racconti.

    • Tanto poco invasivo non è. I cani da assistenza devono letteralmente rinunciare a fare i cani. Quando un cane per non vedenti lavora non può nemmeno annusare il marciapiedi. Chiedere ad un cane di non usare il naso è come chiedere ad un essere umano di non usare gli occhi. Vengono scelti lab e golden non perché siano i più bravi a fare pet therapy ma perché hanno un aspetto che tranquillizza i pazienti umani. La percentuale dei cuccioli scartati è in linea con quella delle altre razze. La carriera del cane da assistenza dura poco perché è logorante e perché un cane anziano non è adatto: i cani sono anziani già a 5-7 anni, continuando però a sfoggiare un mantello in piena salute. Quando vanno in pensione questi cani vengono adottati da qualche famiglia ma nel frattempo ogni comportamento sfacciatamente canino è stato estinto.

      Nell’addestramento non insegni niente che il cane non sappia già fare. Saltare, riportare, mordere.. gli diamo solo l’opportunità di esibire questi comportamenti quando glielo chiediamo noi e che cmq farebbero per il semplice gusto di farlo.

      Dire che sei favorevole all’obbedienza di base e che i tuoi cani sono anarchici è una contraddizione. Un cane educato non può essere anarchico! Non ti piace assumere la figura del capobranco eppure è sul bisogno di sicurezza che i cani fondano ciò che noi chiamiamo fedeltà.

    • Alla signora Rossana vorrei dire: i cani anarchici se li tenga pure lei,io i miei li ho educati perché ritengo che questa società vada fin troppo allo sfascio e non educare cani e bambini al vivere civile sia una mancanza di rispetto nei confronti degli altri. Una cosa l’ha detta giusta…”utilizzare un cane per farlo accarezzare MI SEMBRA davvero poco invasivo per l’animale” ecco,appunto sembra a lei. Perché dei 4 cani che ho solo una adora essere “smanazzata” da grandi e piccini,gli altri tre si DIVERTONO come matti a fare la guardia (orrore!) e a fare gli attacchi in utilità e difesa (sacrilegio!) e il dispiacere, palese nei loro occhi, si legge solo quando è ora di smettere queste attività. mentre le carezze e le mani addosso le sopportano con educazione perché cosí ho insegnato loro,ma negli occhi si legge un chiarissimo:”accidenti a te che non mi togli dalla testa queste manacce di sconosciuti”. Io posso fare un paragone perché ho fatto provare ai miei cani entrambe queste esperienze (sport/guardia e carezze/coccole coatte) e ho osservato bene le loro reazioni,chi rifiuta a prescindere di far vivere al cane l’esperienza del lavoro o dello sport può dire altrettanto???

    • @TOMMASO adesso non esageriamo, a 5 anni un cane non è sempre anziano, forse un Leonberger si, ma un setter assolutamente no, nemmeno a 7. Concordo sul fatto (anche con deni) che, tra le attività citate, la più invasiva è il coccolamento da parte di estranei!

      • In effetti detto così può essere fuorviante. Sottintendevo il fatto che non ce ne accorgiamo, perché non ci sono segni visibili, ma il metabolismo canino comincia a cambiare a 5-7 anni. COMINCIA a invecchiare è più corretto!

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