Ogni tanto mi prende la fregola di scrivere un racconto: di solito poi non ne trovo il tempo, ma stavolta ce l’ho fatta. La storia è ispirata alle recenti vicende di cui abbiamo parlato su questo sito, ovvero ai cuccioli dell’Est e alla loro vendita nei negozi. Lo so che i racconti non hanno alcuna utilità pratica… ma spero che mi perdoniate se ogni tanto ve ne rifilo uno!
di VALERIA ROSSI – “Ehi, ehi… che succede? Svegliati!”
Rhonda spinge, zampa, nasa finché Speck non apre gli occhi: occhi sbarrati, spaventati, ancora confusi. Ci mettono qualche attimo a riprendere lucidità, a mettere a fuoco la tana. Pareti, tappeto, mobili. C’è tutto. Tutto normale, tutto familiare.
Speck fa un verso che è una via di mezzo tra un guaito di terrore e un sospiro di sollievo. Rhonda apre la bocca e ride, con tutta la lingua penzoloni.
“Un incubo, eh? Brutto, a giudicare da come ti agitavi e guaivi. Che cos’era?”
Speck si alza e si scrolla vigorosamente: “Non lo so. Cioè, non ricordo quasi niente. Ricordo solo che c’entrava Bob. Lui… lui era diventato un mostro!”
Speck rabbrivisce ancora al pensiero, mentre Rhonda inclina la testa da una parte: con quelle orecchie che – dice la sua umana – “fanno mezzogiorno meno un quarto” (insomma, un’orecchia su e una giù), la sua espressione è ancora più perplessa di quella di un cane normorecchiuto.
“Bob? Intendi… intendi QUEL Bob?!?”
Speck si fa piccolo piccolo, annuendo.
Be’, d’accordo: è ridicolo. Ridicolissimo.
Roba da capottarsi a pancia all’aria in segno di sottomissione all’assurda comicità della sola idea.
Perché “Bob” e “mostro”, nella stessa frase, non ci possono stare. Fa troppo ridere.
Bob è un vecchio botolo, ringhiottoso e un po’ scorbutico, sì, ma solo quando ha un osso da difendere. E anche in quel caso, probabilmente, è tutta scena… anche se nessuno dei cani del quartiere ha mai provato ad andarglielo a togliere. Ma mica per paura. Macché!
Per pietà.
Bob è un randagio. Randagio da sempre, per quel che se ne sa: ma è anche una mezza tacca di cane, vecchia e spelacchiata. Sarà – se ci arriva – una decina di chili scarsi di pelle, pelo (malconcio) e ossa.
Carne, mica tanta. Il minimo indispensabile.
Anche perché lo si vede in giro solo la sera, e anche le umane che portano la pappa ai cani senza collare, a quell’ora, sono già rientrate nelle loro tane.
Cosa mangi, non si sa (a parte i vecchi ossi spolpatissimi che ogni tanto rosicchia: e che, a pensarci bene, non è neppure solo per pietà che nessuno tenta di rubargli. E’ proprio che non interessano a nessun cane degno di tale nome).
Da dove arrivi, non si sa.
Bob non dà confidenza a nessuno: si fa gli affaracci suoi. Se lo incontri durante l’ultimo giro di pipì serale ti passa accanto senza mai cercare la rissa, senza volerti dominare o che altro. Un’annusatina distratta (ammesso e non concesso che te la dia) e via per la sua strada.
Bob è un cane misteriosissimo: tutti sanno che c’è, tutti sanno chi è, ma nessuno può dire di conoscerlo davvero. Probabilmente a nessuno frega neppure nulla di conoscerlo.
Speck, però, è rimasto impressionato dal suo sogno. Quel sogno di cui ricorda solo qualche sprazzo, qualche spizzico: ma c’era Bob, di questo è assolutamente certo.
Bob con un cucciolino piccolissimo e tremante, dall’aria malaticcia, che lui spingeva senza alcuna tenerezza verso due umani.
Speck gli gridava: “No, no! Non puoi darlo a loro! E’ ancora troppo piccolo, deve stare con la mamma: e poi non vedi che non sta bene?”. Ma per quanto forte abbaiasse, per quanto urlasse a pieni polmoni, Bob non sentiva, o forse non capiva.
A questo punto ricordi e immagini si facevano confusi: solo una cosa la ricordava ancora benissimo.
Bob, di colpo, si era voltato verso di lui ringhiando: ma non con il suo normale ringhiotto da “non toccatemi l’osso”. Quello era un urlo spaventoso, un ruggito, un boato.
E lo stesso Bob non era più un mezzo cane, ma un cane e mezzo… anzi, di più: era alto come due, cinque, dieci cani. E il suo muso, i suoi occhi stavano cambiando: stava trasformandosi, stava diventando… che cosa? COSA? Qualcosa come un orso, un drago, un… ?
Grrrr… niente. Per quanto si sforzasse, Speck non ricordava proprio più nulla.
Ma perché volersene ricordare, dopotutto?
Incubi simili è meglio dimenticarli.
Sbuff. Un’altra bella scrollatina e via, si comincia la giornata.
Al piano di sotto si sentono già gli umani che smuovono le ciotole.
Il problema è che Speck ha sei mesi. E… com’è che si dice? “La curiosità è cucciola”.
Così, la sera successiva, Speck decide di andare a scambiare due annusate con Bob. Vuole conoscerlo, vuole capire chi è. Non è assolutamente che voglia levarsi dalla mente gli strascichi di timore che il sogno gli ha lasciato: è solo incuriosito, ecco tutto.
Non sa bene dove viva, ma non importa: conosce il suo odore ed è sicurissimo di poterlo trovare.
Non è un problema neanche uscire dalla tana: c’è una porta per cani che si affaccia sul giardino, e nella rete del giardino c’è un buco. Nessuno se ne è mai accorto, anche perché è un buco piccolo: ma siccome anche lui è piccolo, ci passerà.
Trangugiata la cena in un solo GLOB (perché i pensieri son pensieri, ma la pappa è pappa), Speck non va neppure a tentare di rubare nella ciotola di Rhonda, che era già pronta a ringhiargli contro come deve fare ad ogni pasto e che invece ora lo guarda incredula mentre lui fila nella sua cuccia e comincia a rimuginare il piano di evasione per la notte.
Non poteva parlarne a Rhonda, lei avrebbe sicuramente cercato di dissuaderlo: “ma dove credi di andare, sei troppo piccolo, sei una pulce di cane, blablabla”.
Non poteva neppure chiederle di accompagnarlo, perché dal buco nella rete lei non ci passerebbe mai. E’ una cagnona, Rhonda. Grossa e pure un po’ grassa, anche se lei preferisce definirsi “robusta”.
Quindi non resta che attendere, nella cuccia, che gli umani vadano a dormire: con Rhonda non ci sarà bisogno di aspettare tanto, subito dopo mangiato lei crolla… ma gli umani stasera sembra non vogliano più finirla di abbaiare. Cosa stiano dicendo, non lo sa: afferra solo una parola su millemila.
Però quelli continuano, continuano… e allora Speck è costretto a chiedere a Rhonda: perché lei è vecchissima, ha già cinque anni (mica solo gli adolescenti umani considerano gli adulti pronti per la fossa, o quasi…) e l’umanese lo capisce perfettamente.
“Stanno parlando del negozio di animali giù all’angolo – gli spiega la cagna – Pare che quel bastardo abbia di nuovo venduto dei cuccioli malati. Uno è già morto, gli altri… chissà”.
E Rhonda, così dicendo, abbassa tristemente il muso tra le zampe anteriori.
Dopodiché dalla tristezza passa al sonno (ecco… come al solito, appena ha la pancia piena).
Un po’ di sonno starebbe venendo anche a Speck, ma l’eccitazione per l’avventura che si è programmato lo tiene sveglio.
Gli umani emettono ancora suoni misteriosi (“Possibile che nessuno lo denunci, quel pezzo di merda?” “Gli ci vorrebbe una bella lezione, altro che denuncia!”); ma a Speck – che pure, solitamente, si impegna moltissimo per cercare di capire almeno qualche parola – stasera i suoni interessano ben poco.
Andate, su… andate a dormire, è notte, è tardi, non avete sonno, accidenti?
Cerca pure di ipnotizzarli: di fargli chiudere gli occhi con la forza della mente. Ma non succede niente.
Rhonda riesce a far fare un sacco di cose agli umani con la forza della mente (portarla fuori, mollarle un pezzetto di pollo, grattarle la pancia), ma lui ancora non è riuscito a trasmettere neppure un impulsino piccino così.
Vabbe’, sarà ancora troppo piccolo. C’è tempo. Ora l’importante è che se ne vadano a nanna.
DAL DIARIO DI SPECK
Ce ne hanno messo, di tempo… ma finalmente si sono ritirati nella loro tana e ho potuto mettere in atto il mio piano.
Non è stato proprio facilissimo arrivare fino a Bob: a un certo punto mi è venuto davvero incontro un mostro, con enormi occhi lucenti che stavano per paralizzarmi dal terrore… solo che, prima di paralizzarmi, ho messo in funzione anche le orecchie e ho sentito il rumore di una tana che cammina.
Una di quelle che gli umani chiamano “macchina” (come in “Dai, Speck, oggi andiamo a fare un bel giro in macchina”. Bello un accidenti, le prime volte vomitavo anche l’anima – che ovviamente HO, perché tutti i cani ne hanno una. Poi mi sono abituato e adesso mi piace davvero). Comunque sono saltato di lato e quella è passata oltre senza toccarmi. E chi lo sapeva che di notte le macchine aprono quei due occhioni luminosi?
Non è successo nient’altro di rilevante, a parte l’incontro con un gatto che mi soffiato addosso come un drago, ma poi è filato via a trecento all’ora, conscio della mia naturale superiorità di cane (e inconscio, invece, del fatto che non intendessi filarmelo di pezza, perché avevo altro da fare).
Naso a terra, coda alta, orecchie tese, ho continuato a seguire la traccia di Bob e sono arrivato dritto da lui.
Toh, guarda che coincidenza! Bob vive in una tana sotterranea, proprio sotto al negozio di animali di cui parlavano gli umani e cena.
Sono arrivato lì tutto baldanzoso, ma poi mi sono bloccato. La mia coda andava per conto suo, un po’ a destra e un po’ a sinistra, come quando noi cani non sappiamo bene cosa fare.
Non è che temessi proprio di trovarmi davanti il mostro del mio sogno, questo no: il vecchio Bob non può essere un mostro. Però… boh, non sapevo cosa dirgli. Come giustificare la mia presenza lì.
Stavo quasi per tornare indietro, giuro… quando il muso del vecchio Bob mi si materializzato davanti. Mi aveva sentito, aveva salito le scale.
“Bau woff – mi ha detto – Woff, woff”.
Che, nel caso qualcuno non capisse il canese, significa: “Sei arrivato, ti aspettavo”.
Mi aspettava? Ma se quasi non lo sapevo neanch’io, che sarei andato a trovarlo!
Mi sono apparsi un sacco di punti interrogativi sul muso.
Lui mi ha fatto un cenno con la testa, che in canese significa la stessa cosa che in umanese: “Seguimi”.
“Hai visto? E’ chiuso! Qualcuno c’è riuscito, alla fine… l’hanno fatto chiudere!”
Davanti al negozio con la serranda abbassata, l’umana è raggiante, l’umano più scettico: “See… può darsi, ma intanto tra qualche giorno riapre. Vedrai. E’ la terza volta che qualcuno gli manda la Finanza e che gli sequestrano tutti i cuccioli, ma poi? Tempo un mese o due, ricomincia tutto daccapo”.
“Scommettiamo di no? – fa lei – Non so perché, ma stavolta sento che non riaprirà più. Che non venderà più quei poveri cuccioli dell’Est, che non farà più soffrire intere famiglie, con tutti quei bambini a cui il cagnolino muore tra le braccia. Guarda, me lo sento… non so perché, ma me lo sento! Voi che ne dite, cucciolotti?”
Rhonda, all’altro capo di uno dei due guinzagli, guarda l’umana con un sorrisone a 42 denti: non perché sappia qualcosa sulla possibile riapertura – o meno – del negozio di animali, ma perché sentirsi definire “cucciolotta” basta e avanza a mandarla in brodo di giuggiole.
Speck, all’altro capo dell’altro guinzaglio, scodinzola a mille all’ora e non guarda in faccia nessuno. Però ha sul muso un’espressione strana, un misto tra soddisfazione e tristezza.
Ed ha anche l’aria misteriosa di chi nasconde un segreto.
DAL DIARIO DI SPECK
(Per comodità dei lettori, i dialoghi sono tutti tradotti in umanese)
“Sapevo che saresti venuto, perché tu sei il Prescelto – mi ha detto Bob, con un’espressione seria e severa sul vecchio muso – Sei quello che mi libererà dalla Maledizione”.
Maledizione? Prescelto? Ma di che va cianciando?
Questo ha visto troppi film fantasy… ma come fa, se non ha neppure la TV? E’ un cane randagio, scommetto che non ha mai masticato un telecomando in vita sua…
“Tu mi hai sognato. Lo so”, ha aggiunto subito dopo, e qui sono rimasto di stucco.
Come cavolo faceva a… ?
“L’ho saputo dal primo momento in cui ti ho visto. Da quando eri solo un cucciolotto di due mesi. – ha proseguito lui – Tu hai il Segno”.
E allungando il muso ha toccato quella che l’umana chiama “la mia cravattina”: una macchia bianca sul mio petto nero, che ha un po’ la forma di una cravatta ma a che me sembra di più una spada, a dire il vero (e, diciamolo, una spada è molto più figa di una cravatta).
Sì, d’accordo, ma il Segno de che?
Stavo per chiederlo a Bob, ma lui mi aveva già letto la domanda negli occhi (o nella mente, non so. Come ho già detto, non sono ancora molto bravo con la telepatia: ma i cani grandi sì).
Ha capito la mia domanda e ha cominciato a raccontarmi una storia che non racconterò mai a nessun altro, perché nessuno ci crederebbe.
Sento già le risate, figuriamoci: “Ma va la’, cretino… non esiste quella roba lì! E’ solo una leggenda!”
E invece no, non è una leggenda. Ora lo so.
E’ una maledizione che colpisce i cani quando dimenticano di essere cani e cadono preda di istinti che non appartengono a noi, ma a quell’altra specie con cui viviamo.
Bob, tanti anni fa, ha ucciso un altro cane. L’ha ucciso nonostante l’altro avesse spanciato in segno di sottomissione totale.
“Ero giovane, ero stupido. – mi ha spiegato – Ma soprattutto… ero stato contagiato. Sì. Contagiato dalla crudeltà fine a se stessa, dal gusto di uccidere per uccidere. Tutte cose che i cani non dovrebbero provare mai… ma che appartengono a quegli altri”.
“Quegli altri”… l’ha detto in tono così disgustato, arricciando tutto il muso e scoprendo i denti (be’, quei pochi che gli restano, almeno), che ho fatto un salto indietro.
Ho capito che parlava degli umani… ma i miei umani non sono così! Non sono affatto cattivi, non…
Di nuovo, lui mi ha letto nella mente (porca miseria, devo imparare anch’io): “Non la vedi la TV, Speck? – mi ha chiesto – Forse sei ancora troppo giovane per capire bene la loro lingua, ma le immagini le vedrai, no? Sai cosa sono le guerre, gli omicidi, i…”
Basta, basta: avevo capito. Avevo capito perfettamente.
“Ecco, io sono stato contagiato – ha concluso Bob – Forse non è stata nemmeno tutta colpa mia, è successo e basta. Ma quel giorno avrei potuto fermarmi, e non l’ho fatto. E’ stata una mia scelta, e mia è stata la condanna. La maledizione che ogni mattina, al primo raggio di sole, mi trasforma…”
“… in un mostro?!? – sono sbottato io – Il mostro del mio incubo… allora esiste davvero?”
Bob ha annuito lentamente, severamente.
“Esiste. Altroché, se esiste. Tu non sei riuscito a vederlo bene in faccia, nel sogno… ma l’hai incontrato più volte, nel quartiere. L’hai visto e non sei mai riuscito a scodinzolargli, perché sentivi che c’era qualcosa di sbagliato, in lui… anzi, in me. Perché quello ero io. Io, che mi trasformo ogni giorno di sole pieno”.
Cominciavo a capire. Non riuscivo ad accettare, ma cominciavo a capire.
“Mi stai dicendo che ogni mattina tu… tu diventi??? Ma allora sei un…???”
“ERO – ha concluso Bob, ergendosi in tutta la sua statura. Che è poca roba, in realtà… ma in quel momento mi è sembrato un cane grande, grandissimo – Ero, perchè adesso sei arrivato tu. Che al compimento del tuo sesto mese, sei diventato il Prescelto. E ora la tua spada mi libererà”.
Non ho fatto in tempo a dire “buff”, che lui aveva già allungato una zampa verso di me, verso la mia “cravattina”.
Zampa. Ma era davvero una zampa? Per un momento mi è sembrata quasi una mano umana… poi non ho più visto nulla, perché una luce fortissima ha invaso tutta la tana (ho pensato davvero che gli occhi delle macchine fossero luminosi? Allora non avevo idea di cosa fosse una luce veramente accecante).
Quando sono riuscito nuovamente a vedere qualcosa, quello che ho visto è stato Bob, sdraiato a terra.
Morto.
Non aveva ferite, non un solo segno: eppure sapevo che era morto. Sapevo, come se l’avessi visto con il mio naso, che aveva il cuore spaccato in due.
E’ stata la mia prima esperienza di telepatia (finalmente!) e forse avrei preferito averne una diversa, perché questa mi faceva star male.
Però… anche no. Perché adesso sapevo una cosa che non potrò mai dire a nessuno, qualcosa che sarà il mio segreto da cane grande: sapevo che la maledizione che aveva costretto Bob, per tutta la vita, a fare del male ai suoi simili – addirittura a dei cuccioli, che è il più grande delitto che un cane possa immaginare – se n’era finalmente andata. Era finita.
“Speck, ma cos’hai stamattina? Hai un’aria strana…” ha detto l’umana, appena l’ha visto. Ci ha messo un po’ a capire, anche se potrebbe sembrare strano perché dopotutto era una cosa piuttosto evidente: ma alla fine c’è arrivata.
“Oddio… ma che ti è successo? La tua cravattina! Non c’è più!”
Eh, già. Dal petto di Speck è sparita quella curiosa macchia bianca.
“Ma ti sembra possibile? Così, da un giorno all’altro? – chiede allora all’umano – Non sarà meglio portarlo dal veterinario?”
L’umano alza le spalle: “Perché, ti sembra malato? – sogghigna, mentre Speck gli zompetta addosso per dirgli che deve uscire, che è l’ora di svegliare quella dormigliona di Rhonda e di portarlo fuori – Ma dài, ha semplicemente cambiato il pelo da cucciolo in quello da adulto. Senti, toccalo!”
L’umana tocca, palpa, accarezza: è vero, il pelo di Speck è diverso, adesso.
“Hai ragione – sussurra, mentre a Speck parte la zampina posteriore e comincia a pedalare – Però non sapevo che succedesse così in fretta, né che una macchia potesse scomparire…”
DAL DIARIO DI SPECK
Ha ragione lei, ovviamente. Non è così che funziona. Ma i miei umani, per fortuna, sono ai primi due cani della loro vita e quindi non hanno dato troppo peso alla cosa.
Invece Rhonda si è preoccupata. Si è preoccupata un sacco, visto che lei sa perfettamente come e quando si cambia il pelo. Mi ha fatto un sacco di domande, ma non ha avuto nessuna risposta.
Non posso, proprio non posso dirle quello che mi è capitato: non ci crederebbe mai.
Me la sento già: “Un uomo mannaro? Ma cosa vai inventando? Non esistono gli umani mannari!”
E dopotutto è meglio che non lo sappia.
Meglio ignorare che esistano maledizioni così infamanti e terribili.
Meglio ignorare che gli umani che maltrattano gli animali, quelli che li abbandonano, o che vendono cuccioli infelici e malati, potrebbero essere stati cani come noi, vittime di un sortilegio doppiamente doloroso: perché ogni notte, quando tornano ad essere cani, ricordano quello che hanno fatto di giorno. E se ne disperano. Per questo vivono solo nell’attesa di un Prescelto che possa liberarli da quella orribile doppia vita.
Chissà… Bob non me l’ha spiegato, aveva troppo fretta: ma se lui era un uomo mannaro, allora è probabile che esista anche quell’altra versione. Quella che gli umani, a loro volta, credono una leggenda.
Chissà: forse quella, invece, è una benedizione che tocca gli umani quando vengono contagiati dalla dolcezza e dall’amore canino. Dicono che pure loro si trasformino e che possano provare la gioia, la libertà, l’infinita naturalità di diventare cani per una notte.
Pare che a loro succeda solo nelle notti di luna piena (e ti pareva che le benedizioni non dovessero durare meno delle maledizioni…): ma sempre meglio che niente, no?
Il negozio di animali non era chiuso per un’ordinanza di sequestro, come in molti avevano pensato. Era rimasto chiuso perché il titolare era morto. Morto d’infarto, nel magazzino interrato del suo negozio: lo trovarono due giorni dopo e nessuno ne pianse la mancanza.
Non aveva amici, non aveva una famiglia.
In tanti sapevano chi era, nel quartiere: ma nessuno lo conosceva veramente.
Favoloso. Mi ha colpito, è potentissimo.
che bello, ma già lo sapevo che sei capace di scrivere …………
Straordinario!!! Mitico! Ne vogliamo altri di racconti cosi! Specialmente fantastiche le traduzioni dal canese, :)!!!!!
che rabbia!!!
Complimenti, veramente molto bello!
Ovviamente scatta inevitabile l’invito a scriverne più di frequente 🙂
Bellissimo racconto, dovresti scriverne più spesso!
Bello, interessante e vero!
Signora Valeria,spero solo che li metta più spesso racconti di questo tipo,molto molto bello tra’ realta’ e fantasia.
Splendido ❤️❤️❤️ grazie
Grazie, Valeria! Bellissimo racconto, mi è piaciuto un sacco!
Proprio ieri ho saputo di altri due cuccioli da negozio morti in poco tempo. Addirittura una.famiglia ha acceso un finanziamento per curare il povero labrador in questione. Ma possibile che nonostante tutta l’informazione che si faccia la gente ci cada come allocchi ancora? Con quei soldi avrebbero potuto comprare da un allevamento serio e non avrebbero sofferto nè loro nè quel povero cucciolo
a valèè … nun se capisce molto. Dopo rileggo con calma 😛