di VALERIA ROSSI – Ricevo spesso email di questo tenore: “Ho un cane rissoso con i suoi simili: colpa mia, non l’ho fatto socializzare al momento giusto, ma adesso vorrei rimediare. Come posso fare?“. Oppure: “Il mio cane ha paura delle persone: purtroppo non ha avuto alcuna socializzazione e forse neppure un’impregnazione, non lo sappiamo di preciso perché arriva dal canile: ma adesso cosa posso fare? Il cane ha tre anni“.
Di fronte a queste accorate richieste, purtroppo, posso fare soltanto voli pindarici suggerendo possibili strade che possono portare, in realtà, a piccoli miglioramenti, ma quasi mai a risolvere il problema alla radice.
Perché, purtroppo, i “periodi sensibili” non si chiamano “sensibili” per caso. Sono proprio momenti in cui il cucciolo riceve input fondamentali per la sua vita futura, che se non arrivano in quel periodo lì non arriveranno più, o quantomeno non avranno la stessa efficacia.
Come ho già scritto molte altre volte, alla mancata socializzazione (periodo corretto: dai due a quattro mesi) si può rimediare solo parzialmente.
Al mancato imprinting (o mancata impregnazione, se preferiamo usare questo termine) NON c’è invece rimedio, punto e basta. Il mancato imprinting sull’uomo è irreversibile.
E’ un tipo di deprivazione a cui non si può trovare alcuna alternativa “postuma”, perché tutti gli animali hanno un momento preciso (e molto precoce) in cui identificano se stessi e la propria specie: per il cane questo periodo corrisponde al lasso di tempo che va dalle tre alle sette-otto settimane al massimo, ed è solo in questo periodo (non soprattutto, ma solo) che può essere convinto che noi umani siamo, se non proprio suoi conspecifici, almeno membri un po’ alternativi della sua società.
Dopo, non c’è più niente da fare: e pensandoci un attimo su, sarebbe veramente assurdo che ci fosse!
Pensiamo a cosa “serve” l’impriting in natura: serve a far capire ai cuccioli, prima di tutto, chi è la loro madre, e subito dopo chi sono gli appartenenti alla sua stessa specie, ovvero quelli a cui, una volta diventato adulto, potrà fare avances sessuali. Pensiamo a che macello verrebbe fuori se – che so – un’ochetta maschio (tanto per riferirsi agli animali su cui Konrad Lorenz scoprì e studiò il fenomeno dell’imprinting) potesse imprintarsi su diverse specie, anche a parecchi mesi dalla nascita: se vivesse in una fattoria con cani e gatti potrebbe pensare, una volta adulta, di essere un cane, corteggiando spudoratamente la cagna di casa; se gli andasse buca, magari la volta dopo ci proverebbe con la gatta; se poi vivesse nel laghetto di un centro di equitazione, magari finirebbe per provarci pure con le cavalle.
Secondo voi, così facendo, quante possibilità avrebbe di perpetuare la propria specie?
Ricordiamo che a Madre Natura solo questo interessa: la conservazione delle specie (dei singoli individui le frega decisamente meno). Ma come potrebbero conservarsi, le specie, se gli individui che le compongono facessero confusione su chi corteggiare?
Tutti ci siamo sicuramente inteneriti e/o commossi vedendo le ochette che seguivano Lorenz convinti che fosse la loro mamma: ma il problema non è tanto quello della mamma, quanto proprio quello del partner sessuale.
Tutto il mondo ha ben impressa in mente l’immagine dei pulcini convinti di seguire la “mamma”-scienziato, ma ben pochi sanno che quelle ochette e quelle taccole, una volta diventate adulte, cercavano anche di accoppiarsi con gli esseri umani, ignorando i loro simili: quindi erano destinate a non riprodursi mai.
Ora, tutto va bene finché il Konrad Lorenz di turno decreta l'”estinzione” di una famiglia di paperotti per fare una fondamentale scoperta scientifica: ma riuscite ad immaginare cosa succederebbe se tutti gli animali del mondo avessero la possibilità di imprintarsi (ovvero di ritenere conspecifici, e quindi partner sessuali) su una marea di specie diverse dalla loro?
Le estinzioni diventerebbero la regola!
Il caso del cane, lo sappiamo, è un po’ diverso: il cane, essendo un animale ad orientamento olfattivo ed essendo in grado ai annusare se stesso (mentre gli uccelli, animali ad orientamento visivo, non possono vedere se stessi), è in grado di riconoscere olfattivamente i membri della propria specie anche se è stato imprintato su una specie diversa.
Però il cane è anche un predatore e una preda per altri predatori: quindi, al di là della pura questione sessuale, se considerasse “amici e parenti” (se non proprio conspecifici) tutti gli esseri viventi con cui viene in contatto potrebbe finire: a) per buttarsi in bocca al primo puma che passa, o per invitare un cinghiale al gioco (ricordiamo che non tutti i cani del mondo vivono in un appartamento ne centro di Milano); b) per giocare felice con la lepre incontrata nel prato, il che va benissimo nei film di Walt Disney ma va un po’ meno bene quando il cane, per sopravvivere, il leprotto Tippete se lo dovrebbe magna’.
Questo è il motivo per cui Madre Natura ha stabilito tempi e modi precisi per l’identificazione dei conspecifici (imprinting vero e proprio), degli amici/parenti/membri della stessa società (impregnazione, come nel caso del cane) e dei nemici (prede o predatori che siano). E questi tempi sono forzatamente limitati al periodo in cui l’animale è ancora cucciolo (o pulcino, o quel che sia), perché altrimenti si finirebbe nella totale confusione descritta sopra.
Inutile, quindi, sperare di farsi beffe della natura e illudersi di poter “dilazionare” questi tempi rigorosamente circoscritti a quelli che, nel cane, vengono definiti “periodi sensibili”.
Il cane non impregnato sull’uomo NON diventerà mai un vero “cane” inteso come animale familiare, docile e disposto a collaborare con gli umani: sarà invece una specie di lupacchiotto che si potrà “addomesticare”, questo sì… ma da una persona alla volta.
Potrà imparare a fidarsi e anche ad amare un umano, o due o tre umani che appartengono alla sua famiglia: ma quella famiglia non la considererà “il suo branco”.
Penserà solo che di quegli “animali misteriosi”, appartenenti ad una specie aliena, si può fidare e ci può anche fare amicizia (cosa che può succedere a qualsiasi animale che abbia modo di convivere con una specie diversa dalla sua)… ma NON generalizzerà, perché il cane è ben poco capace di generalizzare.
Quindi ogni nuovo umano che incontrerà, per lui, sarà un nuovo “animale misterioso” di cui diffidare moltissimo: poi, progressivamente, potrà decidere che anche quello non è né un predatore, né una preda… e magari si lascerà anche toccare da lui; ma all’umano successivo, saremo punto e capo. Ogni volta si dovrà ricominciare da zero.
Fin dove si può arrivare? Per quella che è la mia esperienza… fino al punto X in cui il cane (a volte dopo mesi o anni di “lavoro” da parte dei suoi umani) può accettare la vicinanza di persone che non conosce senza dare segni di panico, ma senza gradirne assolutamente gli approcci troppo confidenziali.
Il suo atteggiamento resterà comunque sempre quello di un animale diffidente e pronto alla fuga (o alla reazione aggressiva: dipende dal soggetto) qualora l’umano di turno facesse un movimento troppo brusco, o emettesse suoni preoccupanti e così via.
Dentro casa e con la sua famiglia potrà essere un cane “normale”: allegro, festoso, anche collaborativo. Fuori dalla sua “tana”, però, sarà sempre un animale semi-selvatico: ovvero un cane che, per esperienze acquisite, potrà arrivare a sopportare – ma MAI a gradire completamente – la presenza di umani estranei.
Questo per quanto riguarda il mancato imprinting: per la mancata (o carente) socializzazione, se c’è stata l’ impregnazione, il discorso è un po’ diverso e si possono fare passi avanti decisamente più significativi. Diciamo che si può ottenere che il cane sia comunque un pochino diffidente al primo impatto, ma superi molto rapidamente l’impasse e accetti la cooperazione e la socialità anche con estranei. Il lavoro (di desensibilizzazione) sarà tanto più semplice e rapido (si fa per dire… ci vogliono sempre mesi, e a volte si vivono drammatiche regressioni, fortunatamente superabili) quanto più il cane è giovane. Diciamo che entro l’anno di vita si può arrivare ad avere un cane quasi normale. Se il cane è più adulto, il problema diventa via via più serio e le esperienze vissute potranno lasciare segni indelebili, che a volte le normali “procedure” di recupero non riescono a superare del tutto.
Inutile dire che in tutti questi casi NON basterà mai “l’ammmore”, ma neppure l'”amore” normale: ci vogliono le conoscenze giuste, le informazioni giuste e possibilmente un bel po’ di esperienza. Spesso, specie con i cani che arrivano dal canile, e dei quali non si conosce il passato, è difficile anche stabilire la vera origine della timidezza, paura o fobia: i volontari di canile, per esempio, tendono sempre a pensare al maltrattamento (che davvero si può superare quasi sempre con l’amore e la pazienza) anche quando in realtà il cane è soltanto deprivato (non impregnato e/o non socializzato). Identificare l’origine della paura dell’uomo è fondamentale per capire come muoversi per tentare il recupero… o per abbandonare l’idea, se si tratta di deprivazioni irreversibili come la mancata impregnazione: in questi casi bisognerebbe far presente la reale situazione del cane all’aspirante adottante e non dargli inutili illusioni (tipo: “Vogliategli tanto bene e passerà tutto”), perché non “passa” un bel niente… e se l’adottante è stato illuso del contrario, molto spesso il cane torna in canile.
Non solo: alcune persone si convincono anche di aver sbagliato (non sapete quante volte leggo frasi come: “Ho sbagliato tutto, non l’ho amato abbastanza, non gli ho saputo dare quello di cui aveva bisogno” eccetera eccetera) e magari si autoflagellano e decidono di “non essere all’altezza” di tenere un cane, quando la verità è che, con quel cane lì, non c’era nulla da fare, menre queste persone potrebbero essere felicissimi proprietari di un cane che non avesse quel tipo di problemi.
La verità è triste, ma purtroppo non è modificabile: ci sono casi in cui “è troppo tardi” per rimediare agli errori commessi (quasi sempre da altri). Si può arrivare “fin lì'”, ma non sperare in qualcosa che non avverrà mai: e gli aspiranti adottanti devono saperlo, per non illudersi invano ma anche per non autocondannarsi per colpe che assolutamente non hanno.
Il caso del cane pauroso/aggressivo verso i suoi simili è diverso: infatti non può quasi esistere un cane che non abbia ricevuto l’imprinting dalla madre (quello “vero”, insomma) e che non abbia avuto almeno qualche rapporto con i fratellini. Le eccezioni (cucciolo singolo, orfano, adottato e allevato dall’uomo) sono così rare che non fanno praticamente testo.
Inoltre c’è sempre da ricordare il fatto dell’orientamento olfattivo: il cane può annusare se stesso e quindi riconoscere i suoi simili dall’odore “familiare” che emanano. Se ne deduce che le deprivazioni, quasi sempre, riguardano la socializzazione e non l’imprinting: e alla mancata socializzazione cane-cane si può rimediare abbastanza facilmente con svariati metodi. Per quanto, come è noto, io abbia chiuso ogni rapporto con Claudio Mangini, ribadisco che il suo metodo “cani tutor” è uno dei più efficaci che abbia mai visto per superare questo genere di problemi: il fatto che io abbia perso la stima verso la persona non intacca minimamente il mio rispetto per il metodo.
Ma ce ne sono anche altri, tutti con buone speranze di riuscita perché – ripeto – il cane sa di essere un cane e sa cosa sono gli altri cani: quando i rapporti non funzionano c’è sempre un motivo, quasi sempre superabile con un po’ di applicazione e pazienza (e ancora una volta, seguendo i consigli giusti).
C’è un’enorme differenza tra rapporti interspecifici e rapporti intraspecifici: due cani possono imparare ad andare d’accordo anche se uno dei due non è stato socializzato correttamente.
Tra cane e uomo, purtroppo, in alcuni casi gli ostacoli sono insormontabili. Ed è bene saperlo.
Dopo la morte del mio 4° PT (il mio favoloso ed adorato Hasso per emangiosarcoma alla milza, sopravvissuto solo 3 settimane alla splenectomia) mi è stata segnalata una femmina di pt nata il 25/01/2015 a rischio di eliminazione perché improduttiva. Il 09/10 di quest’anno sono andato a prenderla presso un’allevatore amatoriale che me l’ha caricata frettolosamente in macchina dicendomi solo che era molto timida e non abituata al guinzaglio. Ora dopo 9 settimane che è con me ancora manifesta un timore che non le permette di avvicinarmisi. Ha a disposizione la casa e un piccolo praticello al quale le permetto l’accesso lasciando la porta aperta. Mangia dalla sua ciotola posta alle mie spalle ma basta un movimento o l’accenno all’alzarmi in piedi per farla fuggire nel prato.Mi è stato detto che viveva in un box in compagnia di cani adulti e che gli ululati che spesso lancia dal prato costituiscono il disperato tentativo di richiamo del suo branco.Ora se mi affaccio al piccolo prato sembra compiere cenni di invito al gioco con inchini e mugolii, ma se mi avvicino scappa. Una comportamentalista mi ha invitato a somministrarle le gocce di Back e Ansitane e di avere molta pazienza. Ho qualche possibilità di recupero?
Da bambina ho avuto la fortuna di abitare in una grande casa con il giardino, avevamo diverse gatte tra cui almeno un paio selvatiche, ho visto tante cucciolate….. non vi dico lo spasso vederli giocare tutti insieme:-) Quando riuscivo a trovare dove le micie portavano i gattini e riuscivo a toccarli e farmi vedere i micetti crescevano fidandosi dell’uomo ma se me li portava via e non riuscivo a trovarli quando la mamma li portava da noi ormai grandini erano irrimediabilmente selvatici…. A quota tredici gatti i miei genitori hanno sterilizzato le femmine 🙂 ma prendere le gatte selvatiche è stato come fare una caccia alla tigre :-).
Grazie Valeria, finalmente ho capito perchè il comportamento di Drakula che fino a 6 mesi ha avuto rapporto con la sorella e la “mano” che metteva giu il cibo, e nonostante ora abbia 5 anni sia migliorato molto nella fobia delle persone ..ma tutt’ora ci mette molto a fidarsi degli estranei anche se semplicemente li evita, diciamo che non è il barboncino festoso anche se devo dire che la mix maremmana che ama le persone lo ha aiutato tanto…ma ci metto una pietra sopra che piu di cosi non si puo!
ok, grazie mille delle informazioni.
No, non è indicativo e dipende dal cane… ma la maggior parte dei deprivati che conosco (tanti, purtroppo 🙁 ) non sono affatto aggressivi, anzi tendono a chiudersi anche di fronte ad approcci piuttosto incisivi. Forse è più facile che reagisca aggressivamente il maltrattato… ma non è sicuramente un atteggiamento indicativo.
Già, difficilissimo. Sbaglio se penso che forse il cane deprivato spesso reagisca alla paura con l’aggressività mentre quello maltrattato con l’eccessiva sottomissione? Può essere almeno in parte un atteggiamento indicativo o anche in questo caso molto dipende dal carattere del cane?
Stefania, è ben difficile capire a posteriori la causa della fobia: in pratica, puoi arrivare a una “diagnosi” solo osservando la reazione del cane ai tentativi di recupero comportamentale. Il cane maltrattato quasi immancabilmente riacquista fiducia nel giro di poche settimane, quello deprivato no 🙁
Buongiorno. Riporto parte di quanto scritto nell’articolo :
“….. Identificare l’origine della paura dell’uomo è fondamentale per capire come muoversi per tentare il recupero… o per abbandonare l’idea, se si tratta di deprivazioni irreversibili come la mancata impregnazione: in questi casi bisognerebbe far presente la reale situazione del cane all’aspirante adottante e non dargli inutili illusioni”.
Ora, da volontaria di canile, ho interesse particolare a comprendere come procedere in casi come questi. Quello che mi preme sapere è come fare per identificare l’origine della paura dell’uomo, in un cane del quale nulla si sa prima del suo ingresso in canile. Come ben si può immaginare di cani come questi nei canili ce ne sono tanti, ma mentre a volte il maltrattamento è piuttosto evidente, in altri non è affatto facile comprendere il perché del loro terrore per l’essere umano.
E poi che bella è sta foto!?
Cara Valeria leggere i tuoi articoli é come fare una chiacchierata con una amica di cui hai stima ed é fare un tuffo nella verità! Grazie…da me e dalla mia Nina
“Dentro casa e con la sua famiglia potrà essere un cane “normale”: allegro, festoso, anche collaborativo. Fuori dalla sua “tana”, però, sarà sempre un animale semi-selvatico: ovvero un cane che, per esperienze acquisite, potrà arrivare a sopportare – ma MAI a gradire completamente – la presenza di umani estranei”
Praticamente il ritratto di Afra in 3 righe… può essere una buona idea (e lo spero perché ci sto lavorando) farle considerare non dico “tana”, ma ambiente sicuro almeno i posti che frequentiamo abitualmente? I vari parchetti, gli sgambi e magari il quartiere?
L’ambiente? Sì. Gli umani che ne fanno parte? No, o meglio ni.
Se parliamo di “non passare tutto il tempo a tremare”, allora sì: se parliamo di rapportarsi con quegli umani (anche con quelli che non conosce, purché si trovino in quell’ambiente) con la stessa disinvoltura che mostra verso le persone conosciute, allora purtroppo no 🙁 .
A parte il fatto che questo articolo è praticamente cucito addosso al truzzotamarro…
Quindi, se ho ben capito, e giusto per mettermi definitivamente il cuore in pace..
Un cane che sia stato sufficientemente impregnato, anche se per un periodo della sua vita ha subito maltrattamenti può comunque ritornare ad essere un cane fiducioso nell’uomo, mentre un cane non impregnato, potrà magari arrivare a considerare quei buffi bipedi semianalfabeti il SUO branco e quindi essere un ottimo compagno , ma sarà sempre diffidente (pauroso e conseguentemente tendente all’aggressivo) con il resto del mondo?
… noi comunque siamo orgogliosamente al punto X-1…. e già ci pare un miracolo..
Vero Assia! Mi associo 🙂
Bell’articolo!! Grazie Valeria!