di GIACOMO TURRIO – “La rivoluzione è lì, esattamente dove non stai guardando”… questa è una massima che mi ripeto ogni volta che si rende necessario analizzare meglio l’altra faccia della medaglia. Immaginate quanto la percezione delle cose nel mondo possa essere cambiata in seguito alla scoperta della gravità da parte di Newton.
Certo, le mele dagli alberi saranno sicuramente cadute anche prima del noto evento, il fatto è che Newton gli ha dato un senso. Ha formulato una legge che ti dice “guarda qui” e “ti spiego perché”. Esistono mondi impossibili da vedere finché non ci cade l’occhio (ed in seguito non riusciamo a vedere altro). Se Newton fosse stato un botanico avrebbe ipotizzato che la mela cade dall’albero perché in qualche modo il seme deve raggiungere il terreno, germogliare e dare vita ad un nuovo individuo. Ma Newton era un fisico e la sua visione fu quella di un fisico. Come invece Pavlov era un fisiologo e la sua ricerca era mirata a dimostrare la capacità adattativa delle ghiandole salivari agli stimoli.
Non gli interessava mica cosa passasse in quel momento nella testa del cane.
Da cinofilo cognitivista posso affermare che l’esperienza vissuta ha determinato un apprendimento associativo, che ha quindi cambiato la rappresentazione di uno stimolo. L’ha valorizzato e lo ha reso capace di provocare stati emotivi che hanno generato delle reazioni coerenti e soggettive.
Sono messe in ballo funzioni cognitive? Sì e per sempre sì.
Tornando al discorso se sia necessario essere behaviouristi o cognitivisti, la domanda giusta è: cosa lo determina?
Chi non lavora con lo shaping?
Lo shaping è un modellamento per approssimazioni di un comportamento.
A seconda della complessità del comportamento le approssimazioni vanno premiate e rinforzate.
A un primo impatto direi: nulla di più meccanicistico. E invece no… perché l’obiettivo finale è quello di costruire un’immagine mentale nella testa del cane che via via viene elaborata, appresa e addirittura concepita. Ecco cosa c’è di cognitivo.
Nel mondo vero non ci sono schieramenti, ma variabili.
E non sono altro che diverse panoramiche da cui vedere la stessa cosa.
Piuttosto: imparare a fare e fare bene.
Io amo la mente… mi capita anche di vedere tanto amore nelle discipline cinosportive (le porto come riferimento unicamente perché direi speculari al mio concetto di “vita col cane”).
Mi stupisco sempre quando leggendo gli esperimenti condotti sul campo dai diversi ricercatori parlano di api addestrate a fare questo, pulcini addestrati a fare quest’altro (sia chiaro… i ricercatori addestrano, ma le ricerche sono sulle funzioni cognitive).
Il fatto è che semplificando i sistemi le cose funzionano.
Non per questo si esclude nulla. Le tecniche sono nate “per fare”, mentre la filosofia è fatta per concepire.
Il male non è il cognitivismo o il behaviourismo, ma la superficialità con cui si affronta la cosa.
Quasi come se il cinofilo fosse un mestiere come un altro, dove impari quanto basta per offrire un prodotto e vivi di quello.
Per carità… mentirei se non dicessi che a livello di mercato la cosa funziona più che bene. Ma io vivo e riesco a far vivere il bello del cane a chi si rivolge a me semplicemente indicando aspetti da guardare e risolvendo problematiche nel modo più pratico possibile (nel mio caso si tratta solo di problemi gestionali risolvibili semplicemente impostando meglio la cosa). E’ un altro discorso e non si può mischiare.
Concludo portando una riflessione sul potenziale d’azione e la trasmissione dell’impulso nervoso. Non sto qui a spiegare cos’è… dico semplicemente che il segnale nervoso si trasmette lungo la cellula attraverso una depolarizzazione causata da uno stimolo che deve essere di intensità sufficiente ad attivare il neurone; in un sistema semplificato si può associare al funzionamento dello sciacquone (bisogna tirare la catena sufficientemente forte da azionare il meccanismo).
In realtà stiamo parlando di un sistema di ioni e canali proteici tale da generare forti dubbi sull’esistenza di un creatore (a me ha messo tali dubbi)… sta a voi decidere se voler vedere uno sciacquone o guardare negli occhi Dio!
Probabilmente un mio limite, ma non ci ho capito niente. Né sulla differenza tra le due impostazioni, né su perché preferiere un approccio all’altro (come sembrava dal titolo).
ciao alfredo,scusa ma la mia intenzione era quella di sviluppare un analisi su che senso ha essere l’una o l’altra cosa. nessuno sarà mai in grado di dirti cosa è giusto fare o cosa è giusto essere. a mio avviso dovresti essere tu ad approfondire l’argomento e prendere una decisione su che ruolo occupare.puoi essere chiunque vuoi, basta essere consapevole del perchè lo sei e del perchè non sei “l’altro”. non può essere un discorso legato alle diverse fazioni. l’articolo afferma,per dirla in breve: prima si studia e poi si argomenta, in maniera il più possibile scientifica, quello che si è visto. solo ciò determina il modo di approcciarsi