di MATTIA CERUTI – Ci sono giorni in cui mi prende una certa malinconia: penso alla situazione infelice in cui si trova una buona parte della popolazione canina mondiale, e mi sento impotente. Sì, lo so che non ci si può occupare di tutta l’umanità, né tantomeno di tutta la “caninità”, ma ammetto che per mia natura sono un tipo che pensa davvero troppo.
In questo mondo, governato più che altro dagli slogan animalisti come “animali liberi” e “allevamento selettivo = nazismo”, mi sento molto solo, e allora cerco di ragionare… e mi sento ancora più abbandonato: mi rendo infatti conto che la gente, tanto quella “comune” quanto quella effettivamente animalista, di zoologia, di ecologia e di zootecnia – le materie che mi aiutano nel ragionamento sensato sul mondo animale, selvatico e domestico – nella maggior parte dei casi non sa proprio niente.
Un po’ di tempo fa stavo spulciando in uno dei miei canali di YouTube preferiti, dedicato alla divulgazione zoologica, e così capito su un video dedicato alle specie alloctone, ovvero a quegli animali che hanno occupato ecosistemi a loro non propri, il più delle volte per colpa dell’uomo, mettendo a rischio intere porzioni di Natura.
Qualche esempio? Le nutrie, “libere e felici” per mano dell’uomo nella Pianura Padana, dopo essere state allevate come animali da pelliccia, che adesso devastano l’ecosistema che ci troviamo praticamente accanto a casa, anziché vivere sui grandi fiumi del Sud America. I pesci gambusia, introdotti dall’uomo in tutto il mondo come mangia-zanzare sempre dalle Americhe, ma ora predatori insaziabili anche di altre specie ben più preziose delle zanzare.
E tutti gli animali domestici lasciati in libertà: dal gatto al cane, al cavallo alla capra fino al maiale, la Natura ci ha messo accanto una decina scarsa di specie animali da gestire e proteggere (e non solo da sfruttare, come suggerisce il fanatismo animalista), eppure… noi non abbiamo rispettato questo patto di mutua assistenza, e abbiamo abbandonato questi animali utili, rendendoli armi ambientali fuori controllo, e costringendoci poi ad abbattimenti selettivi e a misure ben peggiori della semplice selezione artificiale.
“Eh, ma la selezione artificiale è una brutta cosa creata dall’uomo per sfruttare gli animali e guadagnare sulla loro pelle”, si sente poi dire dagli animalisti, che condannano così gli allevatori (non solo di cani). Ma come… gli animalisti dovrebbero occuparsi del bene di tutti gli animali, e dell’ambiente… no?
Teoricamente sì, peccato che a parole li vogliano proteggere tutti, ma poi all’atto pratico siano accecati dalla logica del “liberi e felici stanno tutti meglio”… teoria che, come abbiamo appena visto, è la causa delle potenziali catastrofi ecologiche generate in primis proprio dalle specie domestiche o addomesticate “tornate alla Natura”, che però a loro non può più appartenere.
Il vizio dell’uomo di addomesticare animali e poi mollarli a sé stessi, o semplicemente di permettere loro un incremento di popolazione fuori controllo, è radicato nei millenni: si pensi al dingo, il pericoloso sterminatore di marsupiali che è stato abbandonato in Australia da popoli di passaggio (probabilmente asiatici), addirittura più di 4000 anni fa, e che quindi non è semplicemente “il cane degli Aborigeni australiani”, come si è portati a credere d’istinto vedendolo vivere anche oggi nei pressi dei loro accampamenti.
E i Pariah del Vietnam, i miei amici di cui vi ho già raccontato, come se la passano? Direi che loro stanno più o meno come nel Mesolitico, spazzini opportunisti e nulla di più, prede dell’uomo quando capita, oppure vittime della dura legge della Natura: non hanno niente da togliere alla Natura, né all’uomo, fuorché qualche rifiuto organico. Non sono cani domestici abbandonati ad un destino che non è più il loro (come invece sono buona parte dei poveracci che vagano da noi): semplicemente, sono cani rimasti nella loro fase più primitiva, senza forzare i ritmi della Natura che li ha portati accanto all’uomo facendoli vivere nei villaggi. Loro sono animali in effetti “liberi”, non i nostri Fido e Lilli “lasciati liberi di esprimere sé stessi”, e dunque di produrre nuovi cuccioli ad ogni estro, e di predare anche solo per gioco, e non per stretta necessità alimentare, altre specie animali, spesso selvatiche e a rischio d’estinzione.
Questa pretesa di libertà da concedere ai nostri cani occidentali – che da secoli discendono, più o meno tutti, da razze da lavoro o d’affezione, che dovrebbero vivere nella casa dell’uomo e non certo tra campi e discariche – è frutto, soprattutto al giorno d’oggi, di un animalismo postmoderno malato, che vede nell’animale ausiliario dell’uomo un povero schiavo, stravolgendo il corso della storia umana e animale.
I nostri “cani liberi” veri e propri, sono quei disgraziati traditi dall’uomo da più di una generazione, che sono quindi divenuti ferali, tra l’altro a rischio di ibridarsi con i lupi selvatici e di creare così un’altra catastrofe zoologica (come nel caso del famoso Mirco). E purtroppo, alcuni di questi sono gli stessi cani che finiscono nei canili, e poi vengono rifilati a ignari proprietari comuni, con la scusa che “tanto con amore e pazienza torneranno domestici e festosi”… illusione contraria ad ogni legge della zoologia e dell’etologia!
Per “fortuna” non sono tutti ferali: ci sono anche i semplici “cani abbandonati”, come nel caso del mio Clint… che però ha fatto in tempo a crescere per strada, prendersi la filariosi, e perdere buona parte del buon rapporto spontaneo con l’uomo. Perché? Semplicemente perché qualche cretino irresponsabile ha lasciato al suo Bassotto tedesco (genitore di Clint, certamente “puro”) la libertà di “esprimere il proprio bisogno sessuale”! Niente selezione, ancora una volta… e ancora una volta un mare di guai, per l’ennesimo cane sfigato (ma “libero”, vuoi mettere?), per i suoi parenti canini, e pure per i suoi “parenti acquisiti” umani.
La selezione zootecnica artificiale praticata dagli allevatori professionisti, quella “cosa brutta” tanto invisa agli animalisti ortodossi così come alle nonnine sentimentali all’angolo della strada, si rivela in realtà, insieme alla sterilizzazione dei soggetti non adibiti alla riproduzione, l’antidoto non solo alla piaga del randagismo, ma anche alla devastazione di ecosistemi ad opera di animali lasciati allo sbando, che per questa loro condizione non solo hanno da “ringraziare” molti umani semplicemente ignoranti, ma anche tutti quegli umani che con tanta retorica si definiscono “amanti degli animali”… liberi a tutti i costi, anche quando si fa solo il loro – e nostro – male.
Solo controllare la diffusione e la riproduzione degli animali domestici, e selezionare i soggetti migliori per noi, ci permette di fare la vera differenza per la loro e nostra qualità di vita: parte della casa dell’uomo da migliaia di anni, aspettano solo questo, di aiuto concreto da parte nostra… non certo tante strane filosofie!