di ELEONORA GIRONELLA – C’è una citazione di una serie di libri di G.R.R. Martin, poi divenuta una famosissima serie tv, che mi ha sempre affascinata:
“When the snows fall and the white winds blow the lone wolf dies, but the pack survives” (Quando la neve cade e i venti gelidi soffiano, il lupo solitario perisce, ma il branco sopravvive).
La neve, si sa, rende tutto magico.
Svegliarsi la mattina e trovare tutto imbiancato, i fiocchi che cadono silenziosi, il frastuono della città improvvisamente smorzato ed ovattato, ti fanno pensare che sì, i miracoli possono davvero avvenire. E per noi è stato così, ma iniziamo dal principio.
Quando hai un collie il freddo improvvisamente cessa di esistere. E non tanto perché con quel manto lanoso ti tiene caldo anche nelle giornate più gelide, quanto perché per loro il “freddo cane” è il clima ideale.
Lo spirito degli highlander scozzesi è ancora vivo in loro e, appena le temperature scendono decentemente, vedi fiorire un cane che non pensavi di avere.
Non importa quanto tu sia freddolosa, quanto giri per casa in tenute improponibili che comprendono l’intero inventario sciistico del Decathlon… Quando hai un collie e lo vedi correre con la neve fino al sedere, ti si scalda il cuore. E ti si gelano tutte le estremità, ma questa è un’altra storia.
Ace, “er flanella” per gli amici, ha visto la sua prima neve ad appena sette mesi. Se si potesse dipingere la gioia avrebbe il volto del suo muso a becco infilato nel bianco manto soffice di quella giornata di dicembre, mentre correva a vanti e dietro come un indemoniato, per poi buttarsi a terra sulla schiena rotolandosi, nella canina versione degli angeli sulla neve.

Quando hai un collie socievole praticamente con tutti, che è un santo con le femmine, che educa i cuccioli come un perfetto mammo, l’idea di allargare la famiglia ti assale praticamente subito. E inizi a fantasticare su quanto potrebbe essere bello un secondo cane di flanella nella tua vita. Inizi a progettare di andare via di casa perché, diciamocelo, non è che si può rompere dai genitori per tutta la vita. Inizi a cercare allevamenti, a pensare al nome, maschio o femmina? Ti fai una serie di idee e progetti idilliaci che speri ardentemente di tramutare il prima possibile in realtà.
Ma si sa, la vita a volte non va come te l’eri immaginata. Anzi, siamo onesti, non va mai come pianifichi, ha il suo corso da fare, e tu puoi solo adattarti e sfruttare al meglio ciò che viene.
E cosi, tre anni dopo l’arrivo di Flanella, dopo anni di pensieri e idee e fantasticherie sul futuro, arrivò il cane che mai avrei preso e mai avrei voluto. Perché va bene che è Natale, ma non facciamo gli ipocriti. Chi se lo metterebbe in casa un cane di sei anni, maschio intero, con marcata aggressività intraspecifica e educato più o meno come quello di “io e Marley”?
Ecco, nemmeno a farlo apposta, il nuovo arrivato si chiamava, appunto, Marley. Un nome, un programma. 38 kg di pastore tedesco a pelo lungo, tamarro come pochi, con un odio viscerale verso ogni suo simile, impossibile da portare a spasso (almeno per me che son alta un barattolo e una mela).
E Marley, detto “il crucco”, entrò così a far parte della nostra vita, con buonapace della serenità da figlio unico di Ace che, sono certa, più di una volta ha sperato che lo abbandonassimo in superstrada, o in qualche bosco. Insomma, da qualsiasi parte, ma non a casa con noi!
Ricordo ancora la chiamata che feci alla mia addestratrice.
Pam, vado a convivere!
Ma che bello
C’è un problema però…
Quale?
Riccardo ha un cane. Maschio.
Dai, ma Ace è bravo anche con i maschi, no?
Un cane che ucciderebbe tutti i cani, maschi e femmine senza distinzione.
….silenzio imbarazzante….
Eleonò, ma te una cosa facile mai eh?
Eh!
Venite su, vediamo che si può fare.
Caricati i cani nel furgone ci sparammo due ore di macchina per arrivare al campo. Pioveva che Dio non ne poteva buttar giù di più. Un viaggio della speranza, in tutti i sensi!
La cosa peggiore, quando facemmo scendere i cani, fu che Marley il Crucco non dava nessun segno inizialmente di voler uccidere Ace. Il nulla cosmico. Fin quando non arrivammo ad una distanza che per lui era “sei troppo vicino, microbo” e lì, il putiferio.
I cani, ovviamente, erano in sicurezza, ma le bestemmie che provenivano da Marley, con quella sua voce grossa e minacciosa da pastore tedesco, erano abbastanza eloquenti. I miei addestratori, per fortuna, non si sono mai tirati indietro, ma anche per loro avremmo al massimo ottenuto di poter passeggiare insieme accanto, forse poco di più.
Io, pur non essendo del mestiere, non sono nemmeno così babba da pensare di poter mettere insieme due cani così come nulla fosse. Mi sarei seriamente accontentata che potessero stare insieme sotto il nostro occhio vigile, e magari che potessero camminare accanto senza che il crucco provasse ad amputare una zampa al cane di flanella ogni due passi. Mi sembrava già la manna dal cielo. E così, cominciammo a lavorare, e piano piano i risultati arrivarono.

Risultati piccoli, precari, che si reggevano sul filo di un rasoio. Fragili. Così fragili che, effettivamente andarono in frantumi appena ci trasferimmo nella nuova casa ad Ottobre.
Un crollo improvviso, fatto di tensione, diecimila passi indietro. Avevamo pensato a tutto, compresi dei box separati perché la prudenza non è mai troppa. Potevano ignorarsi per ore intere, ma trovavano sempre un motivo per bisticciare. Alternavo momenti di euforia a momenti di disperazione. Non venivano mai davvero lasciati soli, la CIA poteva solo accompagnare i miei spionaggi dalla finestra e le webcam sparse ovunque. Li monitoravo anche nel pieno espletamento delle mie funzioni corporali! Iniziavo a mostrare i primi segni di cedimento nervoso, ogni rumore era sospetto, ogni movimento mi metteva in allarme.
Ero troppo apprensiva? Ovviamente si, ma i rischi erano concreti e avevo una dannata paura.
Passarono i mesi, passarono le feste natalizie e un mattino mi svegliai e fuori c’era la neve. Tanta neve.
Uscii in giardino con il freddo che mi pizzicava le guance. Mi sentii invasa da una strana calma e un senso di pace che non provavo da mesi interi.
Feci uscire i cani che erano a dir poco entusiasti di quel risveglio diverso dal solito. Dopo ore e ore in giardino entrai in casa per bere un bicchiere d’acqua. Mentre la versavo, con un occhio sempre vigile alla finestra per vedere cosa facessero le mie bestie di satana, mi sfuggì il bicchiere dalle mani che andò in frantumi sul pavimento. Avevo visto ciò che non avrei mai creduto possibile. Lì, davanti a me, immersi nella neve che scendeva ancora copiosa, Ace stava invitando Marley al gioco e, cosa ancora più sorprendente, lui aveva accettato.

Per la prima volta entrambi i miei cani si stavano relazionando in modo sereno, senza tensioni, senza rivalità. Mentre le lacrime mi scendevano dagli occhi senza alcuna possibilità di fermarle li guardavo giocare, rincorrersi, rotolarsi, vivere insieme, non più due unità distinte, ma un branco.
La neve era arrivata, e ci aveva portato in dono il suo miracolo.
Da quel giorno tutto è stato in discesa. Per tutti.

Abbiamo regole ferree, attenzioni a non creare disparità, accortezze per non far scaturire liti per la possessività, ma abbiamo la nostra vita insieme, finalmente serena.
Abbiamo smantellato i box, tanto non li hanno mai usati, e così in giardino ora c’è più spazio per le loro corse pazze che risuonano come la cavalcata delle valchirie ogni mattina.
Le due bestie di satana sono ormai una “coppia” a tutti gli effetti, che si prende cura l’uno dell’altro quando serve (e siamo talmente sfigati che succede molto di frequente).

È passato un anno da quel giorno in cui ho pianto per la gioia di vederli immersi nella neve.
Ancora oggi, ad un anno di distanza, la neve continua a compiere la sua magia per noi.
E “the pack survives“.
