di COSTANZA SAVAIA – Guardiano. Difensore. Guerriero. Segugio. Riportatore. Stanatore. Cane da coccole.
Non penso di aver mai conosciuto un cane poliedrico come Attila.
Sono davvero poche le mansioni che non è in grado di svolgere (be’, diciamo che con i cani da pastore non c’entra decisamente nulla; e a questo problema avremmo presto ovviato con l’ingresso in famiglia di una pastorella per radunare i troppi pennuti – una ventina abbondante di galline allevate a terra che se la spassavano per tutti i prati e i boschi della tenuta – che senza un cane atto allo scopo stavano cominciando a sfuggirci un po’ di mano).
Sarebbe stato senz’altro molto comodo se un cane di cotanto carattere e con un talento così grande e variegato avesse dimostrato la docilità e la disponibilità a venire puntualmente incontro alle mie disposizioni che avevo riscontrato prima di allora nei cani del branco dei vicini. Ma mi accorsi ben presto che le cose non stavano esattamente così.
Attila dimostrò sin dai due mesi un predatorio eccezionale, una spiccata aggressività ed una combattività straordinaria. I giochi con sua sorella Fluke erano un continuo duello di ringhi e spintoni, giochi decisamente più rozzi rispetto alle raffinate dinamiche di rincorse, salti e abbai che prima d’allora avevo osservato nei pastori dei vicini.
Insomma, non avevo mai visto dei cani grezzi quanto Fluke e Attila.
Il guaio era che a questo carattere grossolano si accompagnava anche una certa resistenza al richiamo – leggi: la tendenza a farsi allegramente i fatti propri in qualunque circostanza. E provando a proporre loro qualche esercizio nel senso tradizionale del termine, una piccola posizione con premietto, non erano assolutamente in grado di connettere il premio all’esercizio che avevano fatto. “Uhm, sì, mi sono seduto. Adesso mi lasci andare? Oh, mi dai un bocconcino? Ma grazie, e perché mai? Che bello, mi hanno tirato fuori un bocconcino dal nulla, che buono!”
Domanda: hai un cucciolo con predatorio altissimo, aggressività fenomenale, combattività alle stelle, che non risponde al richiamo e se gli fai fare un esercizio col bocconcino non è capace a connettere il premio all’esercizio svolto. Un autentico barbaro con una zucca così dura che l’unico degno cuscino è lo spigolo di una porta (vedi foto).
Un cane che ha tutte le carte in regola per trasformarsi in un combinaguai di prima categoria. Come fare?
Premetto di non essere né un’educatrice né un’addestratrice professionista; quella che sto per raccontare è un’esperienza basata sul caso unico di Attila e della situazione in cui siamo cresciuti entrambi – io stessa ero bambina durante la sua educazione. Mi baserò su ciò che ho vissuto ed osservato, senza voler assurgere a dispensatrice di consigli o di regole, e per forza di cose non potrò fare ricorso ad un linguaggio specialistico, ma alle parole che secondo me corrispondono meglio a ciò che ho vissuto.
Innanzitutto, mi accorsi che la testardaggine di Fluke e Attila non veniva da sola. Come ho già accennato, il loro modo di relazionarsi era diverso rispetto a quello dei pastori dei vicini. Non conoscevano i riti dei lupoidi; se le controversie fra pastori venivano risolte con gestualità complesse, Fluke e Attila si sistemavano a suon di spallate.
Erano molto più materiali, in un certo senso. Ma al contempo erano anche molto più… di cuore.
Avevano meno filtri sociali e parevano legati a noi da un affetto viscerale, prima ancora che da legami gerarchici. Il loro stesso nome, più che come un’ingiunzione, sembrava suonar loro come una parola dolcissima, una parola di felicità che percepivano come il nostro modo “tutto umano” di dire la nostra amicizia.
Mi chiesi se sulla base di questo rapporto di pura amicizia non potessi trovare un modo per instaurare una collaborazione basata non sui comandi, ma sulla compenetrazione delle intenzioni.
Dovevo cercare di catturare l’attenzione di Attila e fargli capire che valeva la pena di seguirmi e di darmi retta. Gli ordini non funzionavano con lui, perché semplicemente non facevano parte del suo modo di collaborare. Mi sarei dovuta proporre come un punto di riferimento dal quale non distaccarsi mai, per amore, per fiducia; e se avessi dimostrato di essere in grado di contenere ed incanalare la sua forza ed i suoi istinti, insomma di non lasciarlo mai solo nella stessa stanza con il suo enorme carattere, lui stesso avrebbe compreso che sarebbe stato meglio per lui darmi retta. E avremmo testato insieme i nostri limiti, così entrambi avremmo potuto guadagnare fiducia in noi stessi.
Lì per lì questa impostazione potrebbe suonare come un banale “aspetta e spera”; in realtà si tratta dell’esatto contrario, perché avrebbe implicato seguire Attila ogni ora del giorno, in ogni suo movimento, dedicando tutta la mia vita quotidiana alla costruzione del legame con lui.
A partire dal suono del suo nome che era innanzitutto il nome del nostro legame e per questo avrebbe cominciato ad attirare puntualmente la sua attenzione, grazie a questa impostazione molto più che gli ordini di posizione avrebbero avuto successo le indicazioni di intenzione e movimento: “no”, “indietro” e “a cuccia” sono gli unici ordini che tutt’ora Attila obbedisce.
E dal punto di vista di Attila a ben vedere non si tratta di veri e propri ordini, ma appunto di indicazioni alle quali “è meglio dare retta” in virtù dell’autorevolezza della figura di riferimento, a partire dall’universale “no” che significa non fare una qualsiasi cosa che evidentemente non conviene fare.
A dare ulteriore sostegno a questa mia osservazione è il fatto che Attila consideri queste istruzioni soltanto se gliele diamo io e mia madre, mentre qualsiasi altra persona può parlargli quanto vuole, ma lui non le darà mai ascolto (incluso mio padre, al quale Attila non ha mai voluto concedere la propria fiducia). Ecco perché sono convinta che Attila non obbedisca ordini, ma segua ed adempia le intenzioni di chi considera più autorevole di se stesso, ascoltando indicazioni che lui stesso contestualizza.
La campagna mi sarebbe venuta in aiuto nell’educazione di Attila. Non avrei mai usato il guinzaglio, che da noi – gite escluse – era pressoché sconosciuto. Ci saremmo inoltrati fra gli orti di mio padre e i boschi limitrofi e lì avremmo cominciato le nostre prime interazioni.
Anche alcune mie caratteristiche mi furono di grande aiuto. Ero una bambina silenziosa, tranquilla, con un modo particolare di muovermi: tendevo a saltellare e a correre in cerchio, soffermandomi sulle piccole meraviglie della natura, osservando e annusando, senza dire una parola. Credo che il silenzio sia stato molto importante nell’educazione di Attila. Trascorrevamo ore sui prati e fra gli alberi, io tacevo e al contempo saltellavo e correvo, attirando costantemente l’attenzione di Attila: oltre ad essere la persona che lui amava, ero decisamente la cosa più interessante che ci fosse in quei luoghi comunque ricchi di stimoli. L’unica parola che a volte dicevo era: “Attila”.
E questa unica parola risuonava sul vento, sui versi degli animali, sui suoni degli insetti che frinivano fra l’erba. E Attila rimaneva come incantato da quel suono dolcissimo, e mi veniva incontro, e rimaneva a farsi accarezzare in tranquillità per periodi di tempo sempre più lunghi. Lo coccolavo con movimenti ripetitivi, roteando dolcemente le mani, con una costanza quasi ipnotica. Non lo eccitavo con vocalizzi inutili: doveva rimanere calmo. Stare con me significava tranquillizzarsi e trovare equilibrio, concentrandosi in un mondo pieno di distrazioni. Ne valeva la pena.
Quando tornavamo a casa, la sera, lo sottoponevo ad una prova di fiducia. Lo avvoltolavo completamente in un lenzuolo e doveva restare calmo. All’inizio si ribellava e strepitava, ma non era stressato: anzi, si divertiva molto, tant’è che ancora oggi, quando è molto felice, si precipita sugli angoli di un divano o di un letto, dovunque penda un brandello di tessuto sufficientemente spesso, e ci si struscia con la stessa foga con cui giocava a ribellarsi a quel lenzuolo.
Alla fine, arrotolato come un baco, si assopiva.
A quel punto lo coccolavo, carezzandogli la testolina ispida che sbucava dal fagotto, sempre in silenzio, e così gli insegnavo ad entrare in uno stato di completo riposo dopo un pomeriggio di attività fisica e di allenamento alla concentrazione.
I risultati di questa educazione all’equilibrio e alla concentrazione sono stati eccezionali: Attila ha vissuto la sua intera vita come un cane di grande equilibrio caratteriale, capace di valutare le situazioni con buon senso, mai inutilmente aggressivo, simpaticissimo con chi lo merita, antipatico con i prepotenti ma non mordace se non necessario. E non è un attaccabrighe con gli altri cani che incontra in passeggiata, neanche con i cani maschi; ma risponde se viene attaccato seriamente, e non ho mai ritenuto che questo aspetto vada corretto, significherebbe smorzare eccessivamente le sue qualità di cane caratteriale per le quali provo un profondo rispetto, inoltre sarebbe inutile perché basta richiamare la sua attenzione e portarlo via perché raffreddi i bollenti spiriti.
Ma l’educazione di Attila non si limitò a questi esercizi di concentrazione e di fiducia. Sarebbe stato troppo facile! Lo aiutarono moltissimo anche l’interazione con sua sorella Fluke, con gli altri nostri animali e… con una cagnetta diversa. Molto diversa. Una certa pastorella per pennuti.
Di lei e della scoperta (da parte di Attila e come sempre anche da parte mia) di altri linguaggi canini scriverò nel prossimo articolo.
Questi racconti sono avvincenti, spero che tu ne abbia moltissimi da pubblicare!- Dovresti farne un libro, perché scrivi
Gianese anche molto molto bene!
Ciao ottimo articolo, una bella storia 🙂
Interessantissimo! Sei riuscita, come dicono alcuni, ad entrare in Rapport con lui, a seguirlo e a farti seguire, a ricalcarlo fino al punto di essere abbastanza autorevole per poi guidarlo, ad accreditarti non come volevi all’inizio ma come hai capito bisognava fare, mostrando grande sensibilità e rispetto della natura di Attila! Sto studiando da educatore cinofilo ed il tuo racconto è stato davvero istruttivo, oltre che interessante da un punto di vista umano e animale!
Bellissimo. Aspetto gli articoli seguenti.