di LUCIA MENICORI – L’idea me l’ha data l’articolo recentemente apparso qui su Ti presento il cane, che elenca le doti minime indispensabili per tentare la professione da “educaddestraistruttore”.
E l’allevatore, mi sono detta, possono farlo proprio tutti? Basta amare i cani?
Nell’immaginario collettivo la figura dell’allevatore oscilla tra un emulo di San Francesco che parla ai lupi, un genio della genetica che nel segreto del suo studio combina pedigree e DNA, e la versione moderna di Creso che nuota nei dollari come zio Paperone.
Eccoci dunque alla caratteristica principe, occorre essere eclettici e con una buona propensione verso materie molto diverse (qualcuno direbbe “affetti da disturbo di personalità multipla”): l’allevatore ama i suoi cani, ma ha il coraggio di prendere decisioni dolorose (separarsi dal cucciolo che adora ma non è il più indicato a diventare il prossimo stallone, decidere sull’eutanasia di uno dei suoi cani, ecc.) e crede nella saggezza di madre natura, ma non disdegna di darle una mano con la scienza e la medicina.
Si divide tra le incombenze pratiche dell’accudimento (che specie nelle razze medio grandi richiedono anche un certo “fisique du role”), incluso le poco piacevoli raccolta cacche e pulizia dei box, e le ore spese ad informarsi, a conoscere sempre meglio genetica, profilassi, medicina veterinaria, tecniche riproduttive, comportamento animale, insomma è una specie di mostruoso Giano bifronte con la pala per le deiezioni in una mano e l’enciclopedia omnia nell’altra.
L’allevatore ha anche una certa propensione al viaggio e all’esplorazione, nel senso che apprezza alzarsi alle 3 di mattina, percorrere qualche centinaio di km (o più!) per partecipare ad una mostra, raggiungere uno stallone per una monta, andare a prendere un nuovo cucciolo.
In breve, l’allevatore dopo qualche anno di pratica, può vantarsi di aver girato tutta Europa, senza aver visitato altro che fiere, esposizioni ed altri allevamenti. Un turismo mooolto sui generis, e comunque costoso.
Deve anche essere mediamente tollerante, con controllo totale sugli istinti omicidi che potrebbero presentarsi.
Allevare significa anche rapportrsi alle persone, da quelle che prenderanno i tuoi cuccioli e che adorerai perché ti terranno aggiornato e seguiranno ogni consiglio fino a quelle che, dopo aver fissato una visita in allevamento (di solito un’intera domenica pomeriggio), ti dicono “Sa tanto io il cane non lo posso prendere, ma volevo portare i bambini a vederne un po’!”.
La caratteristica però più importante è la capacità di commuoverti ad una nascita, di passare intere notti accanto ad una cucciolata, adorare quegli esserini che hai aiutato a nascere, e nello stesso tempo affrontare i dolori, le perdite, le preoccupazioni, senza perdere il senno. Perché credetemi, se allevate abastanza a lungo, arrivano anche questi.
Ora, se vi riconoscete nelle caratteristiche sopra elencate e volete affrontare l’impresa… sappiate che non vi servirà saper nuotare nell’oro come Creso.
Quello, di sicuro, ad un allevatore non è richiesto!
Condivido parola per parola quanto scritto da Lucia, nota e soprattutto bravissima allevatrice di Wolfspitz.
Ha solo dimenticato di menzionare una cosa (o forse lo ha fatto deliberatamente…?): se fai l’allevatore, anche al matrimonio di tua figlia o al battesimo del tuo nipotino, ti presenterai con i peli di cane sul vestito!
Vero Lucia? 🙂