“La luce è offuscata, mi reggo a fatica, non toccatemi.
Non capisco, cos’è questa cosa sul mio naso? Non posso aprire la bocca… non toccatemi… cos’è questa cosa intorno al collo? perché mi spingete qui? Perché? Mi piace così tanto quando mi aprite il cancello e io… io da solo… posso controllare tutto il corridoio, fare pipì, ricontrollare tutto e poi tornare al mio posto, sulla mia coperta.
Prima non potevo mai farlo, non potevo uscire… voi mi avete lasciato controllare tutto, più volte al giorno… poi mi avete fatto i grattini attraverso la griglia del mio posto… da tanti anni non venivo toccato…. Dietro la griglia mi piacciono i grattini, perché adesso sta succedendo tutto questo? Perché adesso mi date i wurstel mentre mi portate qui dentro?
Ripetete così tante volte la parola Willy: quella delle uscite, quella dei grattini, quella dei wurstel.
Non ho paura, ma non so cosa stia succedendo.
Ho sonno, sono in un posto piccolo, senza griglie e senza cielo, ma ho la mia coperta e l’odore del mio posto, l’odore di voi che mi fate i grattini, mi date i wurstel, mi aprite il cancello per controllare. Non capisco cosa stia succedendo.
Tanta luce, ma tanta tanta… l’odore dei grattini, del cibo, delle uscite… ancora tanto sonno, fatica a muovermi.
“Willy”, vieni.
Il posto piccolo si è aperto come la griglia del mio posto… e mi hanno fatto uscire, ma è tutto diverso, non siamo nel mio posto. Non capisco cosa stia succedendo. Faccio qualche passo, non capisco.
Troppa luce.
Troppo cielo.
Qualche passo faticoso mentre finalmente la bocca è libera… non toccatemi, non toccatemi…. Qualche passo faticoso e mi sdraio… inspiro… l’erba…. questa è erba!
Respiro, come non facevo da tanto… affondo il naso e la testa.
Mi ubriaco di erba.
Resto qui.”
Venti minuti. Willy è rimasto venti minuti sdraiato con la testa affondata nell’erba. Venti minuti, mentre le super volontarie del Canile mi davano i suoi documenti e mi spiegavano le ultime burocrazie.
E mentre parlavamo, si asciugavano le lacrime della commozione che ci ha rapite tutte.
Willy, dopo oltre otto anni di canile, all’età di quasi dieci anni, si è sdraiato nell’erba di casa sua (il suo “nuovo posto”, come forse penserebbe lui), respirandola tutta d’un fiato, senza staccarsi per oltre venti minuti. La preparazione e il viaggio per arrivare nella sua nuova casa non sono stati facili. Le volontarie hanno impiegato mille energie e mille accortezze. I cani sono abitudinari e Willy non è un giovanotto. Di certo è stato tutto un trauma.
Willy ora ha un nuovo posto simile al vecchio e una nuova coperta, ma si sono aggiunti un giardino tutto suo e un’area molto più grande dove per molte ore può fare tutti i suoi controlli e tutte le sue marcature.
Willy ora è il mio cane e – come faccio con tutti i miei cani – gli ho affibbiato un nomignolo e lo chiamo Alby, diminutivo di Albano. Perché abbiamo deciso che siccome è iniziata una nuova vita, ci stava anche un nuovo nome.
Sono facile alle lacrime, quindi mi crederete quando vi dico che ad ogni conquista di Alby mi ritrovo con le gote umide.
Così è stato quando è salito sulle piastrelle del portico per la prima volta o quando ha provato a fare le scale. Adesso si stende a prendere il sole sulle mattonelle del portico, anche senza di me. Si stende nei punti da dove può controllare lo spazio intorno. Resta per un po’ e poi riparte a fare la ronda, sembra un vigilante.
Alby prova una enorme simpatia per i nostri asinelli, va a controllarli e scodinzola.
Ogni tanto scava, ma è talmente potente che credo potrebbe cavare le radici di qualche albero. Quando lo chiamo mi scodinzola, anche se non sempre viene da me. Spesso ci sono delle priorità, tipo controllare un altro lato del giardino.
Però a volte è lui che viene da me, anche se non lo chiamo.
Viene da me e si mette vicino vicino perché vuole i grattini. Lo accarezzo lungo il corpo e ora gli piacciono i grattini dietro le orecchie… la cosa più magica è che all’inizio si faceva toccare solo attraverso una griglia: correva dentro al suo box e, con la porta aperta, si metteva contro la griglia. Adesso si fa accarezzare mettendosi contro di me.
Alby è un cane di grossa taglia, con pelo lungo e folto. Sembra un orso. Quando è iniziata la nostra storia, non posso negare che le ringhiate ai primi ingressi nel suo box fossero inquietanti, soprattutto per il tono profondo e perentorio.
Adesso abbiamo anche scoperto che ha una voce potente e baritonale perché si vede che ha proprio deciso che questa è casa sua e fa la guardia. Adora stare sotto al sole così come sotto la pioggia. Il suo sottopelo è sempre caldo e asciutto.
Nonostante la taglia è molto agile e sembra quasi sospeso quando trotta via… magari mentre è lì accanto, all’improvviso c’è qualcosa di più importante e, con un buffo saltello, si gira e se ne va. A volte, soprattutto la notte, lo si può trovare mentre fissa scodinzolando un punto nel buio infinito dei campi. Ovviamente noi non vediamo niente, nemmeno illuminando con una torcia, ma lui sì. E noi siamo certi che ci sia qualcosa. E quando il suo sguardo si gira su di me, felice perché sto controllando nella sua stessa direzione, in quel nocciola profondo e trasparente, vedo secoli di storia. Mi incanta.
Alby non conosce tante cose, ma non ha paura ed è curioso. Quando se ne sta immobile a sonnecchiare non si può immaginare tutta la ricchezza e il fascino di questo cane.
All’improvviso si attiva e ogni sua mossa sembra richiamare memorie ancestrali: la ronda, l’abbaio, i movimenti felpati, la scelta delle postazioni di controllo, gli sguardi, la postura di fronte ad altri animali….
Alby, ora il nostro branco è più ricco e tu stai esprimendo la tua natura più profonda. Questo è quello che conta di più.
Dimenticavo: i documenti che mi hanno dato le mitiche volontarie dicono: “pastore del caucaso”.
Bellissima testimonianza, per anni gli è stato sottratto ciò che doveva appartenergli di diritto e ora finalmente respira aria, cielo, pioggia, sole, e specialmente fa parte di un gruppo da proteggere e custodire. Meno male che i cani vivono soprattutto il presente