mercoledì 27 Marzo 2024

Storia del cane: dalla domesticazione ai moderni standard

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Ipotesi sui progenitori del cane domestico
Il cane domestico appartiene alla famiglia dei Canidi, un gruppo di carnivori che comprende 36 specie viventi, fra cui ad esempio lupi (Canis lupus, diffusi in tutto l’emisfero boreale sia nella regione Neoartica che Paleartica), sciacalli (Canis aureus e Canis mesomelas, regione Paleartica e Paleotropicale), volpi (vari generi e specie, diffuse in tutte le regioni biogeografiche), coyote (Canis latrans, regione Neoartica), crisocioni (Chrysocyon brachyurus, regione Neotropicale) e cani-procioni (Nyctereutes procyonoides, regione Paleartica).
All’interno di questa famiglia il cane domestico è maggiormente imparentato con lupi, sciacalli e coyote, i quali condividono lo stesso numero di cromosomi, sono potenzialmente interfecondi e producono prole fertile se incrociati fra loro.
Già nel diciannovesimo secolo Darwin suggerì come i diversi membri della famiglia dei Canidi e del genere Canis, lupi, coyote e sciacalli, potessero tutti aver giocato un ruolo nell’evoluzione dei cani domestici attuali con un intreccio filogenetico complesso e difficile da ricostruire.
Negli anni ’50 il premio Nobel Konrad Lorenz ipotizzò che alcune razze discendessero principalmente dai lupi ed altre dagli sciacalli e in particolare dallo sciacallo dorato C. aureus (Lorenz 1954); successivamente ci sarebbe stato una mescolanza delle razze, per cui alcune avrebbero avuto una più alta percentuale di sangue lupino e altre una minore.
La teoria era supportata sia dall’aspetto esteriore, sia dal comportamento diverso dei cani di tipo lupus, rispetto a quelli di tipo aureus, che secondo l’autore traeva origine dal diverso tipo di organizzazione sociale dei rispettivi progenitori selvatici.
La differenza comportamentale era soprattutto riscontrabile nel rapporto di dipendenza dall’uomo del cane adulto, maggiore per i cani di tipo aureus, e nel periodo sensibile per l’attaccamento al padrone, che era molto più breve e precoce nei cani di tipo lupino.
I cani di tipo aureus non avrebbero avuto nessuna difficoltà ad identificare nel padrone il ruolo del genitore-guida per tutta la vita, mentre i cani di tipo lupino avrebbero (come succede per i lupi e i dingo addomesticati) messo in discussione la posizione gerarchica del padrone
una volta diventati adulti, per riconoscerla solo se il padrone si fosse rivelato all’altezza di un vero capobranco.

L’antenato del cane
Sulla base di studi anatomici, fisiologici e comportamentali, la maggior parte dei biologi considerava il lupo come l’antenato più probabile dei cani domestici (e.g. Zimen 1981), ma solo nel 1997 la questione fu risolta da un gruppo di scienziati guidato da Robert Wayne presso
l’Università della California (Los Angeles), comparando i geni di cani domestici con quelli di lupi, coyote e sciacalli, con tecniche di biologia molecolare (Vila et al. 1997).
Il gruppo guidato da Wayne raccolse campioni di sangue, tessuti e peli di 140 cani di 67 diverse razze, 162 lupi provenienti da 27 diverse popolazioni dal Nord America, Asia e medio Oriente, 5 coyote, 2 sciacalli dorati, 2 sciacalli dalla gualdrappa e 8 sciacalli dell’Abissinia (Canis simensis, conosciuto anche come lupo dell’Etiopia).
Da ciascun campione fu estratto il DNA mitocondriale, che a differenza di quello cromosomiale deriva interamente dalla madre, rendendo più semplice lo studio di una linea di discendenza che passa solo di madre in figlia.
Quando nel corso delle generazioni si manifestano mutazioni a causa di errori di trascrizione o deterioramento del DNA, il DNA mitocondriale di due linee divergenti, ovvero fra le quali non vi è più scambio genico, diviene sempre più differente.
Gli antenati possono essere chiaramente identificati attraverso il DNA mitocondriale, perché le mutazioni non vengono rimescolate in nuove combinazioni dalla meiosi come avviene nei geni dei cromosomi, ma rimangono insieme come una sequenza particolare, una ‘firma’ di quella linea di discendenza.
Quando Wayne esaminò i campioni di DNA mitocondriale, trovò che lupi e coyote differivano per circa il 6%, mentre cani domestici e lupi differivano solo per l’1%, cosa che già faceva propendere per attribuire al lupo la paternità dei cani domestici.
Il gruppo di Wayne focalizzò quindi l’attenzione su una piccola porzione del DNA mitocondriale chiamata ‘regione di controllo’, che varia ampiamente fra le diverse specie di mammiferi.
Fra le 67 razze di cani trovarono 26 diverse sequenze nella regione di controllo, che risultò quindi essere altamente polimorfica.
Nessuna razza aveva una propria sequenza caratteristica, ma piuttosto le razze condividevano un comune pool di diversità genetica.
I lupi avevano 27 diverse sequenze nella regione di controllo, che non corrispondevano esattamente a quelle dei cani domestici, ma erano molto simili, differendo al massimo per 12 loci lungo la molecola di DNA e normalmente per un numero minore.
Coyote e sciacalli erano geneticamente molto diversi dai cani domestici rispetto ai lupi, infatti ciascuna sequenza di coyote o sciacallo differiva da ciascuna sequenza di cane domestico per almeno 20 loci e spesso per un numero molto maggiore.
Questo fu risolutivo nello stabilire che i cani sono lupi addomesticati.
Tramite analisi statistiche della somiglianza relativa delle sequenze, Wayne stabilì che tutte le sequenze canine appartengono a quattro gruppi distinti.
Il più abbondante, che conteneva 19 delle 26 sequenze, includeva i tre quarti dei cani moderni e risultava da una singola linea discendente lupina.
I tre gruppi minori erano probabilmente dovuti a accoppiamenti successivi fra lupi e cani domestici.
L’addomesticamento del lupo era quindi apparentemente avvenuto non così spesso e, più probabilmente, un’unica volta.

L’età del cane
Lo studio del gruppo di ricerca guidato da Wayne permise anche di stimare l’età del cane domestico dalle sequenze generate per mezzo del cosiddetto “orologio molecolare”.
Dato che le mutazioni sono casuali e avvengono con un ritmo costante nel tempo, è possibile, dal numero di mutazioni accumulate in due linee (in questo caso quella del lupo e del cane domestico), stabilire l’intervallo di tempo che è intercorso dalla loro separazione.
L’ampio numero di sequenze diverse nei cani domestici e il fatto che fra di esse non vi siano sequenze appartenenti ai lupi suggerisce che cani e lupi debbano essersi separati da lungo tempo.
La più antica testimonianza fossile di cane domestico è datata 12.000-14.000 anni, più meno quando sorse l’agricoltura.
Ma questo non è un tempo sufficiente per giustificare una tale differenza nel DNA mitocondriale di lupo e cane.
Forse, prima di allora, i cani non erano molto diversi esteriormente dai lupi, e quindi non hanno lasciato fossili riconoscibili come di ‘tipo canino’.
La divergenza genetica tra lupo e cane domestico suggerisce che le due specie si siano separate da almeno 135.000 anni.
Però bisogna tener conto del fatto che, a differenza dei lupi che si riproducono una volta l’anno, i cani domestici si riproducono due volte l’anno, oltre a cominciare la vita riproduttiva più presto.
Questo potrebbe portare a una sovrastima della distanza temporale corrispondente alla divergenza genetica. Infatti, se è vero che il tasso di mutazione casuale è costante, è pur vero che il numero di mutazioni (per esempio dovute ad errori di replica del DNA), sarà proporzionale al numero di generazioni che sono intercorse da allora, che è diverso per lupi e cani.
La nostra specie sviluppò un linguaggio e lasciò l’Africa circa 50.000 anni fa, ed è allora, molto probabilmente, che i nostri antenati cacciatori-raccoglitori “incontrarono” il cane.
Non c’è dubbio che i cani fossero già associati agli umani nel primo Neolitico, dato che sono rimaste ampie testimonianze di ciò in sculture di argilla e dipinti su roccia in Asia sud-occidentale, Iraq e Turchia. Per esempio, in una pittura su roccia del Neolitico in Iraq sono rappresentati uomini che cacciano cervi accompagnati da cani con la coda portata arrotolata sul dorso.
Il cane domestico è una specie di indiscutibile successo; ci sono attualmente circa 500 milioni di cani al mondo, che hanno occupato e sono distribuiti in tutti i continenti, perfino in Antartide, dove sono stati usati come cani da slitta.
La capacità del cane domestico di convivere con l’uomo e rendersi utile l’ha reso una delle specie di mammiferi più diffuse al mondo. Questo successo è in marcato contrasto con la situazione drammatica dei suoi parenti selvatici, molti dei quali sono minacciati di estinzione.
Questo vale specialmente per il progenitore diretto, il lupo, che è scomparso da gran parte del suo areale originario e sopravvive spesso precariamente, in condizioni di conflitto con l’uomo.

Dove avvenne il primo addomesticamento del cane?
Dato che il lupo è una specie a distribuzione oloartica, rimane il problema di capire se il cane domestico si sia evoluto dai lupi indipendentemente nella regione Paleartica e Neartica, o se i cani del Vecchio Mondo abbiano colonizzato il Nuovo Mondo al seguito degli umani.
Leonard et al. (2002) ha isolato il DNA dalle ossa di 37 cani trovati in siti archeologici in Messico, Perù e Bolivia.
Tutte le ossa risalivano al periodo precedente all’arrivo di Colombo nel Nuovo Mondo.
425 paia di basi di frammenti di DNA mitocondriale sono state sequenziate da 13 reperti e le sequenze degli antichi cani latino-americani sono stati confrontate con quelle di diversi cani e lupi moderni.
Gli antichi cani latino-americani sono risultati più vicini geneticamente ai lupi eurasiatici rispetto a quelli nord-americani, suggerendo quindi che i cani del Nuovo Mondo siano discendenti dei lupi del Vecchio Mondo.
Lo stesso tipo di analisi è stata effettuata per le ossa di cani provenienti dall’Alaska, che sono anch’esse risultate più simili, nelle sequenze di DNA mitocondriale, ai lupi eurasiatici che non a quelli nordamericani.
Questi risultati indicano come sia i cani antichi che quelli moderni presenti sulla Terra discendano dai lupi del Vecchio Mondo.
Questo significa che gli umani che colonizzarono l’America 12.000-14.000 anni fa erano accompagnati da cani, dato che non vi è stato alcun processo separato di domesticazione da allora.

Il processo di addomesticamento
Quindi il rapporto uomo-cane è cominciato almeno 14.000 anni fa e durante questo periodo il cane si è evoluto per divenire una delle specie animali a maggiore variabilità morfologica e comportamentale.
Ad oggi esistono 300-400 specie canine che variano clamorosamente in taglia e mostrano una incredibile diversità di tessitura del pelo, colore del manto e morfologia generale.
Anche le attitudini e i moduli comportamentali presentati dai cani variano sostanzialmente da una razza all’altra, e per questo motivo i cani sono usati per eseguire una gran varietà di compiti, fra cui condurre o proteggere il bestiame, trainare le slitte, seguire una pista o riportare una specie venatoria, cercare persone disperse o vittime di disastri, trovare sostanze stupefacenti o esplosivi e assistere persone con handicap.
Molte delle differenze morfologiche e fisiologiche che esistono fra lupo e cane domestico potrebbero non essere il risultato di una selezione intenzionale da parte dell’uomo, ma sarebbero invece conseguenza della selezione dei cani basata sulla docilità.
Un esperimento effettuato con delle volpi siberiane (Vulpes vulpes) in cattività ha permesso di ricostruire quello che potrebbe essere avvenuto nel cane (Trut 1999).
L’esperimento fu cominciato negli anni Quaranta dal genetista russo Dmitri Belyaev che studiò il processo di addomesticamento delle volpi da pelliccia.
Le volpi usate all’inizio dell’esperimento erano difficili da trattare, erano timorose verso l’uomo e si comportavano con la diffidenza tipica degli animali selvatici.
I ricercatori cominciarono a selezionare le volpi per un unico carattere: la docilità verso l’uomo.
All’età di un mese veniva offerto cibo alle volpi cercando allo stesso tempo di carezzarle e manipolarle. Questo esperimento veniva effettuato con due trattamenti diversi, quando il cucciolo era da solo e quando era in compagnia di altri cuccioli, e questa routine venne ripetuta una volta al mese fino all’età di 8 mesi.
A questo punto ciascun animale veniva assegnato a una classe di docilità fra tre diverse a seconda che: (I) mordessero lo sperimentatore, (II) si lasciassero carezzare senza essere amichevoli, e (III) si mostrassero amichevoli.
Dopo appena sei generazioni in cui venivano fatte riprodurre solo volpi della classe III, una nuova classe (IE, domesticated elite) dovette essere aggiunta.
Queste volpi erano molto simili a cani, cercavano attivamente l’attenzione umana e leccavano gli sperimentatori e agitavano la coda come cani.
Dopo venti generazioni 35 % delle volpi erano classificate come IE e oggi lo sono il 70-80%.
Dato che le volpi venivano selezionate attivamente per una caratteristica comportamentale (la docilità), i ricercatori ipotizzarono che vi fossero associati cambiamenti fisiologici nel sistema ormonale e dei neurotrasmettitori; infatti il comportamento di un animale è spesso mediato da queste sostanze chimiche.
Dall’inizio dell’esperimento venne infatti misurato un calo costante nell’attività ormonale delle ghiandole adrenaliniche delle volpi. Inoltre le volpi addomesticate avevano livelli più alti di serotonina nel cervello rispetto al gruppo selvatico di controllo.
Dopo varie generazioni alcuni caratteri che prima erano rari nelle volpi cominciarono a manifestarsi più frequentemente, fra cui macchie nel mantello, orecchie pendenti, code corte o arricciate.
In seguito, misurazioni del cranio rivelarono anche che l’altezza e l’ampiezza del cranio tendevano ad essere più piccola delle volpi selvatiche di controllo e le volpi domestiche avevano anche il muso più corto e tozzo.
Al tempo stesso furono notati anche cambiamenti nello sviluppo delle volpi domestiche in confronto a quelle selvatiche.
Infatti le volpi domestiche aprivano gli occhi e reagivano agli stimoli più precocemente di quelle selvatiche: inoltre mostravano paura degli stimoli ignoti più tardi.
Questo significa che le volpi domestiche hanno un periodo (detto anche ‘finestra’) della socializzazione più lungo di quelle selvatiche.
Nei cani la finestra della socializzazione, durante la quale l’animale forma legami sociali, comincia quando il cucciolo apre gli occhi e le orecchie e può esplorare l’ambiente circostante e si chiude quando l’animale comincia ad aver paura degli stimoli sconosciuti.
Molti dei cambiamenti avvenuti nelle volpi domestiche sembravano il risultato di modificazioni del loro sviluppo precoce, come se gli adulti avessero mantenuto delle caratteristiche proprie degli stadi infantili, come le orecchie pendenti, la coda arricciata, la forma della testa e perfino l’abbaio.
Tutti tratti presenti nei cuccioli di lupo di 4 mesi, ma non negli adulti (Coppinger e Coppinger 2001).
I cani sarebbero quindi lupi ‘neotenizzati’, così come è stato ipotizzato che anche l’uomo si sia evoluto dalle scimmie per selezione di caratteri neotenici (e.g. dimensione relativa della testa rispetto al corpo, assenza di peli, dimensioni dei denti).
A diversi gradi di neotenia corrisponderebbero anche diverse morfologie e attitudini comportamentali dei cani (Coppinger e Smith 1983, Coppinger et al. 1987).
Spesso si assume che gli umani abbiamo addomesticato i lupi prelevando i cuccioli dalla tana e selezionando per la riproduzione gli esemplari più docili.
Uno scenario completamente diverso, in cui il cane potrebbe essersi evoluto dal lupo per selezione naturale, è invece descritto in dettaglio da Coppinger e Coppinger (2001) e Budiansky (2000).
La ragione di questa ipotesi alternativa è che gli uomini del Paleolitico e del Neolitico recente sarebbero stati più verosimilmente preoccupati dalla propria sopravvivenza quotidiana che non dal difficile e impegnativo compito di allevare cuccioli di lupo come animali da utilità o compagnia.
Infatti i cuccioli di lupo devono essere imprintati sugli umani a cominciare da circa 10 giorni di età per assicurarsi che non siano timorosi dell’uomo da adulti.
Un cucciolo così giovane avrebbe dovuto essere alimentato con latte in bottiglia e gli uomini preistorici probabilmente non avevano gli strumenti per farlo (ma una donna che avesse perso un neonato avrebbe potuto allattarli al seno).
Inoltre il processo di domesticazione del lupo avrebbe coinvolto un gran numero di animali (migliaia nell’esperimento con le volpi) e non risulta da alcuna testimonianza fossile che gli uomini preistorici abbiano allevato un gran numero di lupi.
Secondo questa teoria quindi il cane potrebbe essere risultato della selezione naturale.
Una nuova nicchia ecologica si sarebbe infatti aperta circa 10.000 anni fa, quando alcuni gruppi di umani cominciarono a stabilire insediamenti permanenti invece di condurre vita nomade.
Gli animali potevano vivere attorno a questi insediamenti e nutrirsi dei rifiuti degli umani. Perché un individuo potesse occupare una tale nicchia era necessario che non fosse troppo timoroso degli umani e quindi solo gli animali più ‘docili’ potevano adattarsi a questo ambiente, dando così origine a un cosiddetto ‘proto-cane’.
Ancora oggi questa situazione, in cui cani vivono vicino ai villaggi umani, senza che vi sia cura intenzionale da parte degli uomini, può essere osservata in diverse parti del mondo.
Da questo ‘proto-cane’, già docile verso l’uomo, si sarebbero evolute le razze canine per diretto intervento della selezione artificiale umana, volta a selezionare caratteri morfologici e comportamentali vantaggiosi per cacciare, condurre le greggi o proteggerle o caratteri infantili che stimolassero le cure parentali da parte dell’uomo o semplicemente (e probabilmente solo in seguito) caratteri estetici considerati strani, interessanti e unici che potevano conferire status al proprietario.
Anche l’isolamento spaziale di alcune popolazioni canine ha sicuramente contribuito alla diversificazione delle razze; infatti si trovano cani con caratteristiche esteriori diverse, ma con funzioni simili, in aree separate da barriere geografiche naturali, esattamente come avviene per la speciazione per allopatria negli organismi selvatici.

La stesura dei moderni standard
Nella storia antica le testimonianze sul cane non provengono più solo da resti fossili, ma anche da graffiti, iscrizioni e disegni.
Le civiltà greca e romana hanno lasciato testimonianze scritte sull’uso dei cani da utilità e compagnia.
Aristotele classificò i cani secondo l’area geografica di origine, mentre in epoca imperiale romana i cani venivano raggruppati a seconda delle caratteristiche attitudinali e dell’uso in pastorales (cani da pastore), villatici (cani da guardia) e venatici (da caccia).
I cani da caccia erano ulteriormente classificati in sagaces, che seguono le tracce, celeres (che inseguono la preda) e pugnaces (che attaccano la preda).
Nel corso dei secoli si sono poi succedute diverse altre classificazioni, fra cui quella di Mègnin del 1897 che è ancora in uso e prevede quattro categorie principali: lupoidi, braccoidi, molossoidi e graioidi, sulla base della forma della testa, del muso, delle orecchie e della struttura d’insieme.
La stesura degli standard di razza risale circa alla metà dell’Ottocento, quando cominciarono anche le prime esposizioni di bellezza.
Lo standard di una razza riporta le caratteristiche necessarie al cane di quella particolare razza per lo svolgimento del lavoro o della funzione (che può essere anche meramente estetica) per cui la razza è stata originariamente selezionata.
Per esempio alcune caratteristiche, come le angolazioni degli arti, favoriscono una maggiore ampiezza nel movimento, mentre garretti dritti in appiombo, combinati ad un ginocchio ben flesso, assicureranno al cane potenza e aderenza al suolo e così via.
Il Kennel Club Inglese, nato nel 1873, è generalmente riconosciuto come una delle prime organizzazioni che cominciò la registrazione dei cani di pura razza.
Il secondo registro storico è stato il Kennel Club Americano.
Francia, Italia (nel 1882) e altri paesi cominciarono anch’essi a mantenere registri aggiornati dei cani di pura razza nel Diciannovesimo secolo.

Bibliografia citata
Budiansky, S. (2000) The truth about dogs: an inquiry into the ancestry, social conventions, mental habits and moral fiber of Canis familiaris. Penguin Books, New York, NY.
Coppinger, R.P. and Smith, C.K. (1983) The domestication of evolution. Environmental Conservation 10: 283-292
Coppinger, R., Glendinning, J., Torop, E., Matthay, C., Sutherland, M. and Smith, C. (1987) Degree of behavioral neoteny differentiates
canid polymorphs. Ethology 75: 89-108.
Coppinger, R. and Coppinger, L. (2001) Dogs: a startling new understanding of canine origin, behavior and evolution.
Simon and Schuster, New York, NY. Leonard, J.A., Wayne, R.K., Wheeler, J., Valadez, R., Guillen, S. and Vila, C. (2002) Ancient DNA evidence for Old World origin of New World dogs. Science 298: 1613-1616.
Lorenz, K. (1954) Man meets dog. Houghton Mifflin Company, Boston.
Trut, L.N. (1999) Early canid domestication: the farm fox experiment. American Scientist 87: 160-169.
Vila, C., Maldonado, J.E. and Wayne, R.K. (1999) Phylogenetic relationships, evolution, and genetic diversity of the domestic dog. Journal of Heredity 90: 71-77
Vila, C., Savolainen, P., Maldonado, J.E., Amorim, I.R., Rice, J.E, Honeycutt, R.L., Crandall, K.A., Lundeberg, J. and Wayne, R.K. (1997) Multiple and ancient origins of the domestic dog. Science 276: 1687-89
Zimen, E. (1981) The wolf: a species in danger. Delacorte Press, New York.

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2 Commenti

  1. Bell’ articolo, molto interessante … mi sono docuumentata sull’ esperimento con le volpi, mi è sembrato un Po’ una barbarie, sononrinchiuse in delle gabbie l’omaggio parte del tempo! 🙁

    • Marta… l’esperimento sulle volpi aveva lo scopo di rendere più docili e “domestiche”, appunto, le volpi da pelliccia. Pensa quanto doveva importare agli sperimentatori il benessere di animali che comunque sarebbero finiti scuoiati… 🙁 🙁 🙁

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