di DAVIDE BELTRAME – Ci lamentiamo spesso di come i giornali italiani trattino con superficialità i casi di morsicature da parte dei cani, ma purtroppo anche quando non si tratta di episodi spiacevoli gli articoli non rispecchino esattamente la verità, e così capita ad esempio che uno studio scientifico – a mio avviso anche piuttosto interessante – venga presentato con conclusioni totalmente diverse da quelle realmente ottenute.
In questo caso specifico parliamo di uno studio sostenuto all’università di Yale da Laurie R. Santos (professoressa di psicologia e direttrice dal Canine Cognition Center a Yale) , Angie M. Johnston e Paul C. Holden. Pubblicato il 22 settembre, in questi giorni sono usciti articoli a riguardo su un paio di siti italiani: in particolare repubblica.it e greenme.it; Repubblica titolava come da virgolettato del nostro titolo, GreenMe invece “Il cane non obbedisce? Non crede nel comando”, insomma stesso concetto.
Probabilmente vi chiederete dove sia il problema, anzi molti penseranno che questo studio confermerebbe le teorie di alcune scuole cinofile secondo cui “se il cane non obbedisce è perchè ha di meglio da fare e va bene così”.
Beh, il problema sta nel fatto che i “comandi” e il relativo ignorarli o meno da parte dei cani non c’entrino nulla con l’oggetto dello studio e con le sue conclusioni!
Basta infatti una piccola ricerca su internet (grazie, San Google) per verificare come il titolo originale dello studio sia
Che si può tradurre con “esplorazione delle origini evolutive della sovraimitazione: un confronto tra canidi domesticati e non domesticati”.
Se però il titolo da solo potrebbe lasciare anche spazio a interpretazioni e far pensare che poi durante i vari esperimenti siano stati approfonditi anche i comandi e le reazioni dei cani, leggiamo la descrizione dello studio e il suo scopo.
Anche qui, la traduzione sommariamente è questa: “Imparando dagli altri, i bambini umani tendono a copiare fedelmente – o “sovraimitare” – le azioni del dimostratore, anche quando queste azioni sono irrilevanti per risolvere il compito assegnato. Investighiamo se i cani domestici (canis familiarsi) e i dingo (canis dingo) condividano questa tendenza alla sovraimitazione con tre esperimenti. Nel primo esperimento, i cani e i dingo hanno la possibilità di risolvere un enigma dopo aver guardato un dimostratore che ha utilizzato azioni sia rilevanti che irrilevanti”.
Ora, io non sono madrelingua inglese, il mio livello è giusto quello scolastico, eppure già da queste poche righe non vedo da nessuna parte menzionati comandi o qualcosa relativo all’obbedienza o dell’educazione/addestramento.
Del resto nell’accezione comune, un “comando” impartito al cane è il classico “seduto”, “terra”, “resta” (o similari), insomma un qualcosa che noi gli chiediamo di fare; in questo caso invece si parla solo di imitazione atta a risolvere un problema, e in particolare lo scopo dell’osservazione è capire se anche i canidi applichino la sovraimitazione.
Eppure, il primo paragrafo dell’articolo di repubblica.it recita così:
Toni simili per l’articolo di GreenMe.it, insomma in entrambi i casi – come nel titolo – si ribadisce il concetto del comando e della “valutazione” di tale comando da parte del cane (sorvoliamo sul fatto che non servisse esattamente questo studio per scoprire che il cane sia “un essere pensante”, e infatti non era certo tra i suoi scopi…).
Per andare più sul pratico e non perdermi in troppe chiacchiere nello spiegare come è stato condotto lo studio, vi metto direttamente il video riassuntivo: sono 3 minuti e vi consiglio di guardarlo perchè è interessante, anche qualora non capiate bene l’inglese le parti dimostrative sono chiarissime.
Lo stesso video è stato riportato anche su repubblica.it, dove però il titolo è stato tradotto con “Cani più intelligenti dell’uomo nel valutare i comandi”, aridaje. Potrebbe trattarsi semplicemente di una errata traduzione del termine advice del titolo originale, ma sarebbe bastato guardare il video (o leggere l’abstract dello studio) per rendersi conto che i comandi c’entravano come i cavoli a merenda, e ancor di più l’ignorarli, dato che al cane veniva semplicemente dimostrata un’azione, ma poi veniva lasciato libero di risolvere il problema autonomamente.
Le conclusioni, che nel video sono riassunte e relative solo al primo esercizio, sono state le seguenti:
Traduco, sempre affidandomi alla vostra comprensione in caso di errori: “Abbiamo trovato evidenze contro la sovrimitazione in entrambe le specie. Contrariamente ai bambini umani (Horner & Whiten, 2005), i cani e i dingo hanno usato le azioni irrilevanti molto meno spesso man mano che si procedeva con i tentativi, il che suggerisce che entrambe le specie abbiano escluso le azioni irrilevanti mentre acquisivano esperienza con gli enigmi (come gli scimpanzè, Horner & Whiten, 2005). Gli esperimenti 2 e 3 (non mostrati nel video, ndR) hanno fornito ulteriori prove contro la sovrimitazione, dimostrando che il comportamento di entrambe le specie è caratterizzato maggiormente dall’esplorazione individuale. Appurato che entrambe le specie, soprattutto i cani, dimostrano procedimenti di apprendimento simili a quelli dell’essere umano in altri contesti, possiamo ipotizzare che la sovrimitazione sia un comportamento unico dell’apprendimento sociale umano. ”
Insomma, è uno studio che dimostra come anche di fronte alla possibilità di imitare passo passo un comportamento e ottenere un risultato certo, il cane ragioni maggiormente sul problema, non limitandosi all’imitazione, diversamente da quanto fanno i bambini che si limitano a copiare “pari-pari” la sequenza vista.
Inoltre, mentre i bambini hanno continuato a imitare le sequenze includendo i passaggi irrilevanti, e anche se messi di fronte alla “sfida” di risolvere l’enigma nel minor tempo possibile hanno continuato a ripetere la sequenza eseguita dal dimostrante, i cani procedendo coi tentativi eliminavano sempre più spesso i movimenti non necessari.
Personalmente credo che poi questo comportamento si possa valutare in diversi modi, quindi reputare che analizzi la dimostrazione e capisca cosa è inutile e cosa no, oppure che ignori completamente la dimostrazione e agisca per conto suo a prescindere, o ancora che istintivamente sia portato alla soluzione più rapida: penso anche che diversi soggetti e diverse razze abbiano dato tempi e risultati diversi (lo studio ha utilizzato circa 50 soggetti, e del resto basta vedere come gli esercizi di attivazione mentale siano risolti in modo molto diverso da cani diversi, così come alcuni cani riescono a risolvere anche rompicapo piuttosto difficili mentre altri si arrendono alla prima difficoltà), ma tutto ciò non ha nulla a che vedere con una eventuale disobbedienza del cane a un comando.
La cosa “buffa” è che poi – inevitabilmente – anche gli articoli riportino lo svolgimento dell’esperimento, perchè non è che potessero inventari lo svolgimento di sana pianta, eppure Repubblica conclude l’articolo come lo aveva iniziato, con la frase “Insomma, se il vostro fedele amico ignora deliberatamente un comando, forse non è un gesto che mette in discussione l’autorità, ma solo un diniego legato alle circostanze.”
Cosa ancor più curiosa è il fatto che, come spiega la stessa Laurie Santos, la scelta del cane come specie in cui verificare la presenza della sovrimitiazione è data dal fatto che tendono a seguire molto quello che diciamo e quello che facciamo e a imitarci in molti contesti (nel video dice letteralmente “prone to follow our clues”, ovvero “incline a seguire i nostri indizi”), in pratica quasi il contrario di quello che sosterrebbe l’articolista.
Concludo con due ultime “curiosità”:
– lo studio è stato riportato anche su alcuni siti stranieri, eppure in nessun caso il titolo era così differente dall’oggetto dello studio
– vediamo spesso fare paragoni tra “cani e bambini”, anche in modo molto stupido, tanto da far pensare alla scena del “Perchè nessuno pensa ai bambini” dei Simpson. Per una volta che uno studio metteva davvero a confronto cani e bambini, il tema è stato messo relativamente da parte e citato giusto il minimo indispensabile
Infine, è stato un po’ desolante vedere che nei commenti alla notizia e nelle condivisioni del post su Facebook, nessuno abbia fatto notare l’incongruenza tra il titolo dell’articolo e l’effettivo svolgimento dello studio. Ma siamo putroppo abituati al fatto che in molti si fermino al titolo e non leggano l’articolo (succede anche a noi), il che renderebbe ancor più importante almeno evitare l’utilizzo di titoli fuorvianti.
Il cane che non mi piace è il cane “soldatino”,quello che esegue in maniera incondizionata gli ordini del suo proprietario.Addestrare un cane significa inibire i suoi istinti a nostro vantaggio è utilità.Il cane che mi piace è il cane”natura” che segue il suo capobranco per “intima convinzione” che il comportamento da tenere sia quello più utile alla sopravvivenza del branco di cui fa parte,quindi ben vengano atteggiamenti di difesa del territorio e comportamenti predatori che si attivano senza nessun comando.
HaHa quando ho letto l’articolo ho pensato la stessa cosa.
Tornando allo studio, premesso che non l’ho letto e non ho neanche ascoltato l’audio del video mi sembra che paragonino rape e patate. Ai bambini (fra l’altro piccoli, già più grandicelli avrebbero comportamenti diversi) viene proposta una sequenza da ripetere, e così fanno. Ai cani viene proposta una sequenza con premio finale, e chiunque abbia un cane sa che questo farà DI TUTTO per raggiungere prima il premio. Infatti voi mi insegnate che anticipare i comandi è uno dei “problemi” in addestramento.
davvero molto molto interessante…
per quanto riguarda la traduzione errata mi viene da ridere.. o piangere non so!