di ALESSIA RONCHI e DANIELE TRAININI – Nei primi mesi del 2024, l’Italia ha assistito a una serie di tragici incidenti in cui cani hanno attaccato esseri umani, inclusi tragici episodi in cui bambini e gli stessi padroni dei cani sono stati vittime.
Uno di questi attacchi in particolare ha recentemente portato alla morte di un bambino, catalizzando un intenso dibattito pubblico sulla gestione delle razze canine considerate “pericolose”.
Questo crescente allarme sociale è stato notevolmente amplificato da un incessante battage mediatico e da interventi di figure pubbliche non specialiste nel settore cinofilo, che hanno spesso diffuso informazioni inesatte o fuorvianti.
Di conseguenza, è emersa unapreoccupazione generalizzata, spesso basata su fondamenti deboli o errati, tra la popolazione.
Questo articolo mira a fare chiarezza su questo complesso fenomeno, esaminando non solo i dati frequentemente citati ma anche l’impatto socio-culturale che ha alimentato una marea di opinioni e informazioni inaccurati.
Prestiamo particolare attenzione ai dati provenienti dagli Stati Uniti, che sono spesso citati nei dibattiti italiani per la loro ricchezza informativa.
Il nostro obiettivo è fornire un confronto dettagliato e basato su evidenze concrete per navigare tra i miti amplificati dai media e la realtà effettiva.
Data la limitatezza delle risorse informative nazionali, ci impegniamo a mantenere un approccio rigorosamente obiettivo e basato su dati verificabili. Attraverso un’analisi approfondita, aspiriamo a comprendere meglio le dinamiche dietro gli attacchi di cani in Italia e oltre, esplorando le implicazioni per le politiche di sicurezza pubblica e per la comprensione culturale del rapporto tra umani e cani.
Popolazione canina in Italia e percezioni delle razze
Secondo i dati forniti dal Ministero della Salute, in Italia sono registrati con microchip 14.388.322 cani, una cifra che non include gli animali non microchippati, suggerendo quindi che il numero effettivo sia maggiore.
Le statistiche del 2022 dell’ENCI (Ente Nazionale della Cinofilia Italiana) elencano le razze più registrate, tra cui il Setter Inglese, il Pastore Tedesco, il Chihuahua, il
Golden Retriever, e il Labrador Retriever.
Nonostante il dibattito pubblico, il Rottweiler è solo al 14° posto, mentre l’American Staffordshire Terrier non figura nemmeno tra i primi 20, con solo 2.574 registrazioni.
Implicazioni per le politiche e la necessità di educazione accurata
Queste mispercezioni alimentano una risposta politica spesso più incentrata sulla restrizione delle razze piuttosto che sull’educazione dei proprietari e sulla comprensione del comportamento canino.
Le discussioni pubbliche e le politiche dovrebbero concentrarsi meno sulle razze specifiche e più sull’importanza di un’educazione cinofila approfondita e accessibile, che possa equipaggiare i proprietari con le competenze necessarie per gestire in modo
responsabile qualsiasi cane.
Distorsioni nella letteratura medica sui morsi di cani
Il documento “Defaming Rover: Error-Based Latent Rhetoric in the Medical Literature on Dog Bites” fornisce una critica approfondita riguardo alla rappresentazione dei morsi di cani nella letteratura medica.
Esaminando 156 pubblicazioni peer-reviewed dal 1966 al 2015, l’analisi evidenzia come spesso venga esagerato il rischio associato ai morsi di cani. Questa tendenza non solo distorce la realtà dei fatti, ma influisce negativamente sulla percezione pubblica e sulle
politiche adottate.
Le pubblicazioni analizzate presentano errori fattuali, interpretazioni errate e omissioni di
informazioni cruciali che potrebbero alterare significativamente l’interpretazione degli eventi. Inoltre, l’uso di un linguaggio emotivamente carico e l’esagerazione nelle descrizioni contribuiscono a creare un’immagine dei cani, in particolare di quelli etichettati come ‘pit bull’, che non è supportata da evidenze concrete.
È importante sottolineare che il termine ‘pit bull’ spesso non identifica una razza specifica, ma viene usato per descrivere vari cani di aspetto simile, il che porta a una maggiore confusione e generalizzazione. Queste distorsioni narrative portano a politiche che possono essere ingiustamente punitive o discriminatorie verso certe razze, alimentando una paura eccessiva nei confronti dei cani.
La necessità di un’educazione medica e veterinaria più accurata e priva di pregiudizi è cruciale per informare correttamente il pubblico sui rischi reali, facilitando una coesistenza più sicura e armoniosa tra umani e cani.
Il ruolo della razza nei morsi di cane e la percezione dei pit bull
L’articolo “The Role of Breed in Dog Bite Risk and Prevention” esamina l’incidenza e le
conseguenze dei morsi di cane, mettendo in luce come la percezione di specifiche razze, in
particolare dei pit bull, possa deviare significativamente dalla realtà. Nonostante il pit bull non sia una razza formalmente riconosciuta, spesso viene identificato in modo errato e associato a un rischio elevato di aggressività.
Studi controllati, inclusi dati da Denver, dove i pit bull non sono permessi, indicano che altre razze come il Pastore Tedesco e il Chow Chow sono più frequentemente coinvolti in incidenti che richiedono cure mediche.
E’ anche interessante notare che ad esempio in alcune aree del Canada la maggior parte degli attacchi mortali è attribuita a cani da slitta e Husky, il che sottolinea come la prevalenza di certe razze in specifiche regioni possa influenzare le statistiche degli attacchi.
Allo stesso modo, razze comunemente considerate non aggressive come i Golden e Labrador Retriever possono diventare pericolose, a seconda di vari fattori come l’ambiente in cui vivono e le modalità di trattamento da parte dei proprietari.
Le conclusioni dell’articolo sottolineano che la predisposizione all’aggressività non può essere attribuita solamente alla razza. Infatti, variabili come il metodo di addestramento, il sesso, lo stato di sterilizzazione dell’animale, e il contesto specifico di interazione hanno un impatto significativo.
Ciò evidenzia l’importanza di considerare una combinazione di fattori nel valutare il rischio di morsi, piuttosto che focalizzarsi esclusivamente sulla razza.
Dalle percezioni mediche all’analisi dati
Passando all’analisi dei dati, ci concentreremo sui numeri provenienti dagli Stati Uniti, una delle poche nazioni con registri dettagliati sugli incidenti canini. Esamineremo se l’intensità della copertura mediatica è supportata da un aumento effettivo degli incidenti, o se, al contrario, i dati rivelano una discrepanza tra la percezione pubblica e la realtà degli attacchi.
Per valutare l’accuratezza di queste percezioni, è essenziale confrontarle con i dati oggettivi. Questo confronto ci permetterà non solo di verificare le affermazioni spesso sensazionalistiche, ma anche di comprendere meglio quali fattori potrebbero influenzare la probabilità di incidenti. Attraverso questa analisi, miriamo a discernere se le politiche correnti sono guidate da una comprensione basata sui fatti o se sono piuttosto una risposta eccessiva a una paura infondata, o quantomeno spesso amplificata oltre la sua reale portata statistica.
Nell’ambito della furiosa diatriba “Pit bull sì, Pit bull no” che si sta scatenando su internet, visto spesso riportare il seguente grafico come dimostrazione “scientifica” della pericolosità dei “Pit bull”.
Trovo necessaria una digressione, le pubblicazioni scientifiche per essere ritenute tali, devono essere soggette ad un rigoroso e ben specifico iter durante il quale l’articolo che si vorrebbe pubblicare viene vagliato da commissioni di esperti che analizzano la significatività e la riproducibilità degli esperimenti.
Anche questo modus operandi è soggetto di dibattiti, a volte anche molto accesi, e non voglio entrare nel merito, ma l’idea alla base è, secondo me, necessaria ai fini del metodo scientifico. Se scopro qualcosa, non dico che è così e questo diventa un dogma
di fede, faccio revisionare la mia scoperta ad altri scienziati imparziali (la famosa peer review) che andranno a caccia di eventuali errori o manomissioni.
Visto che il grafico in questione e la sua interpretazione sono stati estrapolati da un articolo non peer reviewed proviamo adesso noi a fare una sua analisi oggettiva e trarne le nostre conclusioni.
L’immagine è stata presa da questo articolo che a sua volta cita come fonte dei dati il seguente report.
Il report di dogsbite.org riassume uno studio condotto dall’associazione sulla fatalità dei
morsi occorsi negli Stati Uniti in sedici anni (tra il 2005 e il 2020).
Andiamo adesso a vedere come è stato condotto lo studio. L’associazione dogsbite.org è molto trasparente riguardo alle loro metodologie, per esempio per classificare la razza del cane aggressore si impegnano al meglio delle loro possibilità, spesso però sono costretti a fare una classificazione basata su fotografie e per quanto ci sia chi afferma il contrario, forse questo metodo non è troppo scientifico e attendibile.
Un’altra domanda che dovremmo porci riguardo allo studio è “ma cosa si intende per pit bull?”, fortunatamente anche in questo caso l’elegante trasparenza dell’associazione ci viene in aiuto e scopriamo dunque che:
The legal definition of a pit bull is a class of dogs that includes several
breeds: American pit bull terrier, American Staffordshire terrier,
Staffordshire bull terrier and any other pure bred or mixed breed dog that is a combination of these dogs. Progressive legislation also includes the American bulldog
Tradotto: La definizione legale di un pit bull è la classe dei cani che include alcune
razze: American pit bull terrier, American Staffordshire terrier, Staffordshire
bull terrier e qualsiasi cane di razza pura (sic) o incrocio che sia una combinazione dei precedenti. Legislazioni successive includono anche l’American
bulldog.
Dunque vediamo che considerano come “pit bull” cani di diverse razze, inclusi i meticci e questo potrebbe portare ad una classificazione sbilanciata.
L’ultima nota qualitativa sullo studio in questione è che le 380 fatalità imputabili ai pit bull sono occorse nell’arco di 16 anni.
Quindi abbiamo una media di 24 decessi all’anno a causa di un pit bull negli Stati Uniti (333,3 milioni di abitanti).
Sul sito https://wonder.cdc.gov/ possiamo andare a vedere tutte le statistiche sulle cause di morte negli USA: la causa “Morso o colpito da un cane” è la W54. Facendo un esperimento possiamo andare a vedere quanti decessi sono avvenuti nel 2022, ottenendo 93 casi totali.
Inserendo il codice W07, cioè “Fall involving chair” (Caduta imputabile ad una sedia) scopriamo che i decessi nello stesso periodo sono… 309!
Ovviamente ogni morte è importante, soprattutto se evitabile, ma possiamo renderci conto che l’incidenza statistica di questi numeri è irrisoria… oppure si parlerebbe molto più spesso della pericolosità delle sedie!
Abbandoniamo ora le analisi qualitative e passiamo a quelle quantitative, cercando di trarre un’interpretazione allo studio dal quale siamo partiti. Per farlo “ci fideremo” dei dati collezionati, quindi daremo per buona la classificazione di “Pit bull” e andremo a guardare solo i numeri.
Innanzitutto osserviamo che lo studio è relativo ai soli casi fatali, non a tutte le aggressioni. Dunque l’informazione che possiamo distillare non è relativa alla pericolosità, ma al potenziale offensivo.
Detto in altre parole, tra tutti i cani che abbiano la capacità di uccidere i “pit bull”
spiccano, ma non mi sembra che sia una grande scoperta il fatto che siano forti, agili eabbiano un morso molto potente…
Un po’ come dire che studiando gli incidenti mortali in cui la vittima è stata investita le automobili sono risultate molto più letali delle biciclette.
Vediamo adesso se è possibile estrarre qualche informazione sull’effettiva pericolosità della
razza. Per farlo però avremo bisogno di qualche dato in più, ad esempio una stima di quanti siano i pit bull negli Stati Uniti. Fortunatamente anche questo dato ci è fornito da
worldanimalfoundation, l’associazione che ha prodotto il grafico di partenza: visto che riteniamo affidabili i dati dello studio iniziale, riterremo altrettanto validi quelli sul censimento.
Despite their reputation, pit bull accounts for 6% of all dogs in the United
States. In addition, over 18 million pit bull mixes live in the United States.
Visto che nelle metodologie di collezione, sono considerati come “pit bull” anche i mix e che si stima ci siano circa 90 milioni di cani negli Stati Uniti, possiamo dunque dire che i “pit bull” siano circa il 26% della popolazione canina statunitense (più di un cane su 4!). Questa cifra, per quanto molto alta, non riuscirebbe a togliere rilevanza statistica allo studio effettuato, ma c’è un ulteriore fattore che sarebbe da considerare: non tutti i cani hanno un potenziale offensivo tale da poter uccidere una persona, potremmo cavillare che un cane molto piccolo sarebbe in grado di ferire anche in maniera molto grave un bambino, ma c’è anche da considerare che sicuramente avrebbe più difficoltà a raggiungerlo (per esempio nel lettino) rispetto ad un cane di grossa taglia.
Purtroppo non mi è stato possibile trovare dati ufficiali su quanti siano i cani di piccola taglia negli USA rispetto a quelli più grandi.
Su internet ho trovato alcuni articoli che citano un 52% e un 48% quindi probabilmente non è assurdo stimarli attorno al 50% del totale dei cani americani.
A questo punto se escludiamo dalle nostre statistiche i cani di piccola taglia, i “pit bull” sono il 52% dei restanti cani negli Stati Uniti, il fatto che il 66% delle aggressioni fatali avvenga da cani di questa classe ha ancora una rilevanza statistica… ma molto più bassa.
Tornando al nostro paragone con i pedoni investiti, nessuno si stupirebbe se ogni anno venissero investiti molti più pedoni da una FIAT rispetto che da una Ferrari e il motivo non sarebbe da attribuire alle qualità del veicolo, ma al fatto che banalmente ne circolano molti di più sbilanciando de facto le probabilità!
Mi piacerebbe poter concludere con un’affermazione completamente assertiva sulla pericolosità o no di questi cani, ma purtroppo non avrebbe molto senso a partire da questi dati. Nonostante esista una piccola rilevanza statistica dello studio condotto rispetto alla popolazione di riferimento, questa secondo me tende ad essere ridotta, se non del tutto invalidata, dalla qualità dei dati raccolti.
Con questo non voglio assolutamente dire che dogsbite.org agisca in malafede
o in maniera erronea, anzi, come ho già detto, apprezzo tantissimo la trasparenza con la quale descrivono minuziosamente il loro operato, ma solo che bisogna prestare molta attenzione agli studi e ancora di più alle loro interpretazioni.
Volendo trarre delle conclusioni dalla nostra analisi potremmo dire che sicuramente esistono dei tipi di cani potenzialmente più pericolosi di altri: se mi saltasse addosso un bovaro del bernese (anche con le migliori intenzioni) avrebbe un impatto significativamente più importante che se mi saltasse addosso un chihuahua (anche qualora animato da peggiori intenzioni).
L’incidenza statistica delle morti a causa di attacchi da parte di cani è quindi talmente bassa da non renderlo veramente un problema preoccupante per la società, anche se come notizia si presta molto bene al sensazionalismo e alla conseguente amplificazione mediatica.
Conclusioni
Questo articolo ha esplorato la complessa interazione tra le narrazioni mediatiche di aggressività canina e le reali statistiche degli attacchi, mettendo in luce una tendenza italiana a rispondere con proposte di leggi restrittive piuttosto che con strategie educative.
Abbiamo visto come, negli ultimi anni, un approccio emotivamente carico abbia spesso oscurato la necessità di controllo e formazione comportamentale, essenziali per una convivenza sicura e armoniosa tra cani e umani.
Il dibattito dovrebbe spostarsi dalla semplice percezione di pericolosità delle razze come i pit bull verso un focus più ampio sull’importanza dell’educazione cinofila. Incrementare la
consapevolezza su come gestire e comportarsi con i cani potrebbe aiutare i proprietari attuali e futuri a fare scelte più informate e responsabili, riducendo gli incidenti e migliorando la sicurezza pubblica.
È quindi cruciale che il dibattito pubblico evolva verso la creazione di programmi educativi
inclusivi e accessibili, che dotino i cittadini delle competenze necessarie per una gestione
responsabile dei cani. Abbandonando la reazione istintiva al panico e alla disinformazione, un approccio basato su buon senso e formazione continua può effettivamente ridurre i casi di gestione inadeguata dei cani.
Concludendo con le parole di Duffy et al. (2008), “The substantial within-breed variation
suggests that it is inappropriate to make predictions about a given dog’s propensity for aggressive behavior based solely on its breed.” (“Le sostanziali variazioni all’interno di una stessa razza suggeriscono che è inappropriato fare previsioni sulla propensione di un cane al comportamento aggressivo basandosi solamente sulla sua razza.”)
Questa riflessione ci invita a riconsiderare come valutiamo e regolamentiamo il comportamento canino, sottolineando la necessità di basare le nostre politiche su dati solidi e comprensioni approfondite, piuttosto che su reazioni emotive e stigmatizzazioni.
L’articolo afferma che il dibattito sulla gestione delle razze “pericolose” è basato su percezioni errate, ma non fornisce dati specifici o esempi concreti di tali percezioni fuorvianti.
La scarsa incidenza delle morti causate da attacchi di cani, così come citato dall’articolo, rispetto ad altre cause di morte, come le cadute dalle sedie è un po’ offensivo (PER LE VITTIME) oltre che chiaramente fuori focus: stiamo parlando della pericolosità o meno di alcune razze di cani.
L’affermazione che l’incidenza delle morti a causa di attacchi di cani è “irrilevante” è insensibile e superficiale, soprattutto se fatta dagli “addetti ai lavori”.
L’unica cosa detta sensata è che l’argomento è complesso. Aggiungo che ovviamente non si può attribuire una responsabilità al cane ma, probabilmente quella che viene chiamata predisposizione (spesso confusa con l’istinto) si applica a tutti gli animali compreso ai cani…
Scrivo tutto questo guardando il mio cattivissimo labrador che, capisco già dal suo sguardo impressionate, questa sera mi stremerà con leccate e richieste di coccole.
E comunque non ci sono dati affidabili relativi a cani uccisi da altri cani, e quali cani. I casi fatali inerenti persone possono essere pochi in rapporto, ma quanti sono i cani uccisi o gravemente feriti? Anche questo non deve accadere. Più che d’accordo sulla formazione, ma anche sulla responsabilizzazione tramite controlli e regole.
il problema è che la gente spesso compra i cani per “moda” senza conoscere le reali qualità della razza e poi non li sa gestire, comunque per tagliare la testa al toro ci vorrebbe anzitutto la museruola obbligatoria, così si limitano i danni a prescindere, cani al guinzaglio e corso da un addestratore per tutti, anche per i cani mignon e delle belle multe per chi non rispetta le leggi, ma siamo in Italia e mi sa che dovremo aspettare molte altre morti prima che si risolva qualcosa, triste ma vero