sabato 16 Marzo 2024

Un “aggeggino” chiamato clicker

Dello stesso autore...

INTRODUZIONE (di Valeria Rossi):  Sul clicker si è già detto tutto e il contrario di tutto: c’è chi lo vede come una specie di Sacro Graal cinofilo; c’è chi proprio non lo digerisce…e c’è stato anche qualche raro personaggio, come la sottoscritta, che ha cercato di mantenersi il più possibile distaccato e razionale, riconoscendo allo strumento alcuni indubbi meriti ma non cadendo nella trappola di considerarlo una panacea o – peggio ancora – l’unico strumento che si potesse usare nell’educazione del cane.
Ora, non per tirarmela (o magari un po’ sì!)…ma forse, alla fin fine, la mia posizione si è rivelata quella più corretta: tanto che oggi sono in tanti ad arrivare, pian pianino, nel mio orticello.
Molti “esaltati” del clicker si sono ridimensionati, così come molti detrattori incalliti hanno cominciato a capire che in qualche caso lo strumento (o meglio, l’”aggeggino”, come lo definisce Carlo Colafranceschi nell’articolo che segue) può essere utile.
C’è, però, chi ancora identifica nel clicker un’intera metodologia o addirittura un “modus vivendi”: il che continua ad essere sbagliato.
Il clicker “non è” il metodo gentile.
Il clicker training “non è” un metodo di educazione/addestramento, ma al massimo un metodo di lavoro applicabile in una o più fasi dell’educazione/addestramento (e c’è una bella differenza).
Il clicker “non è” lo strumento che garantisce l’assoluta assenza di punizioni (intese come sberloni) e soprattutto “non è” il “bollino blu” che identifica il bravo educatore.
E’ uno strumento, appunto: che può essere usato bene o male.
Ma se alla base di tutto non c’è il rapporto – quel benedetto “rapporto” che da sempre metto al primo posto assoluto in qualsiasi espressione della cinofilia – non si otterranno mai cani brillanti, intelligenti e felici di lavorare per compiacere il padrone, ma solo “macchinette automatiche” che magari eseguono alla perfezione l’esercizio X, ma che lo fanno per gratificare se stessi (sapendo che arriva il bocconcino) e non noi.
Certo, è più facile far lavorare il cane per se stesso: i risultati sono immediati ed eclatanti.
Ma non sono risultati “cinofili”, nel senso che intendo io.
Col clicker si lavorano anche i pesci rossi…ma questo non è un pregio, a mio avviso: è solo la dimostrazione che il condizionamento suono—>cibo induce risposte anche in animali a cui “non ne può fregar di meno” di noi, di chi siamo e di cosa facciamo.
Io sono cresciuta nella convinzione che il cane, al contrario, debba lavorare per compiacere il suo superiore gerarchico: e non perché mi piaccia “tirarmela da capobranco”, ma perché questa è la natura del cane!
Ogni impostazione di lavoro che non abbia alla base un buon rapporto gerarchico è più vicina, per me, al concetto di “cane da circo” che a quello di lavoro cinofilo, che per me deve prevedere un binomio che lavora in simbiosi, con l’unione di due intelligenze e di due spiriti, e non un cane da una parte…e dall’altra un “distributore automatico di crocchette” che si aziona mettendosi seduti o riportando un oggetto.
Tra l’altro, il ruolo di “distributore automatico” può essere più pratico e dare risultati più immediati a chi è alle prime esperienze cinofile: ma ho provato personalmente a utilizzare il clicker per insegnare un comando a un mio cane e contemporaneamente a insegnargliene un altro con metodi tradizionali (e non ditemi che non si dovrebbe fare: si può fare, eccome, se il cane ha chiaro il concetto di “lavoro”)…e devo dire che non ho trovato tutta ‘sta differenza.
A parte il (poco) tempo in più impiegato per condizionare il cane al clicker, poi i due tempi di apprendimento sono stati molto vicini l’uno all’altro.
Ma con il metodo tradizionale l’attenzione del cane era più alta; il suo sguardo era più brillante e più intenso (quello sguardo che tutti gli addestratori dovrebbero conoscere bene e che significa: “mi sto sforzando al massimo di capire cosa vuoi da me, perché voglio sentirmi dire “bravo”); la reazione di “fine esercizio”, ovvero la risposta al gioco e alle coccole finali, era quella vera e propria esplosione di gioia che voglio vedere nei miei cani, e non il semplice “ok, mi mangio ‘sto boccone e poi penso ai fatti miei” che invece ho riscontrato utilizzando il clicker.
Prima di continuare, però, passo la parola a Carlo Colafranceschi, che ha scritto per noi una relazione estremamente accurata e scientifica…non “contro il clicker” nel vero senso della parola, ma contro l’eccessiva strumentalizzazione che se ne è fatta e che se ne continua a fare.
Leggetevi quanto segue, dunque…dopodiché tornerò ad un discorso meno scientifico, ma semplicemente legato alla mia esperienza con i cani.

UN “AGGEGGINO” CHIAMATO CLICKER
di Carlo Colafranceschi

Il mio primo incontro con il l’”aggeggino” risale esattamente al Settembre 1995, quando ospite della mia amica Lynne Milne nel suo allevamento di Durban (SA), nel corso di una delle nostre interminabili discussioni cinofile, produsse l’aggeggino per dimostrarne il funzionamento.
La prima cosa che mi balzò agli occhi fu che Lynne usava l’aggeggino come premio dispensando un bocconcino subito dopo!
Completamente ignaro del movimento alle spalle dell’aggeggino chiesi: “Trovi pratico impegnare una mano per dire al cane bravo?”
La sua risposta fu: “Esattamente quello che ho pensato io!”.
Entrambi provenienti dalla scuola tradizionale inglese, entrambi divenuti istruttori dopo aver portato con successo più cani in classe “C” (equivalente di terza classe di obedience), ci trovammo concordi che un fischietto lasciava più libertà e maggior raggio di azione.
Lynne mi accennò che in realtà “l’aggeggino” non era soltanto un “aggeggino” ma il simbolo di un modo gentile di addestrare il cane.
Così mi recai in libreria per acquistare la mia copia di “DON’T SHOOT THE DOG – The new art of teaching and training” di Karen Pryor.
Non riuscii a terminare la lettura del libro, che dopo pagina 64 ripartiva da 33 fino a pagina 64 per riprendere normalmente da pagina 97; un segno del destino?
Scrissi a Karen Pryor, la quale gentilmente mi spedì una seconda copia scusandosi per l’accaduto.
Dopo avere letto attentamente il manualetto pensai: “Davvero ingegnosa l’idea di mettere tanta enfasi su un “aggeggino” per spiegare il meccanismo di rinforzo positivo attraverso l’utilizzo di un rinforzo secondario!”
Pensai che invece di tante spiegazioni sui meccanismi di apprendimento l’idea dell’ “aggeggino” fosse geniale per permettere ai neofiti di iniziare con il piede giusto; tutto quello che serviva, dopotutto, era “cliccare” quando il cane faceva la cosa giusta, eliminando il problema di doversi vergognare davanti a tanti sconosciuti con vocine e urletti imbarazzanti che spesso non sortivano alcun effetto.
Fatta eccezione per l’uso dell’ “aggeggino”, però, trovai il libro privo di qualsiasi novità, con qualche sbavatura sul concetto di rinforzo negativo e troppi riferimenti a risultati ottenuti su persone e delfini.
I concetti espressi facevano capo alle teorie elaborate da Bill Skinner alla fine degli anni trenta, che in ambito cinofilo erano ben conosciute fin dall’inizio dello stesso secolo.
Il colonnello Konrad Most nel suo libro “Training dogs”, pubblicato in lingua tedesca nel 1910 e in inglese dopo la sua morte (1954), aveva già dato prova di essere a conoscenza degli stessi principi.
Utilizzando una terminologia diversa Most descrisse i concetti di rinforzo (inducement) primario e secondario, di “fading”, extinction, shaping, chaining.
Certamente il libro risente degli anni e del fatto che Most era un militare di oltre 100 anni fa (riflessione che feci nel 1975 dopo aver letto il suo libro) ma a differenza di Skinner, che solo in punto di morte dichiarò: “The worst mistake my generation has made is to treat people as if they were rats” ( il peggiore errore commesso dalla mia generazione è stato quelli di trattare le persone come se fossero ratti), Most a pagina 37 del suo libro scriveva: ““Individual dogs differ widely both phisically and psychologically. For that reason methods of treatment must also vary, not only as between dogs of different breeds, but also between those of the same breed”  (i cani differiscono individualmente sia fisicamente sia psicologicamente. Per questa ragione i metodi che si applicano debbono anche essi variare non solo
tra razze diverse ma anche tra quelli appartenenti alla stessa razza”).
Per scrivere una cosa del genere nel 1910 Most doveva aver osservato una quantità di cani ragguardevole, a differenza di Skinner che con i suoi ratti in laboratorio pensava di aver scoperto come motivare qualsiasi organismo (uomini inclusi) prescindendo dalla specie, dagli istinti e dalla nicchia biologica di appartenenza!

I primi ad accorgersi di quanto strampalata fosse la teoria di Skinner furono Marian Breland (successivamente Bailey) e suo marito Keller, suoi allievi, i quali dopo aver lasciato gli studi fondarono la “Animal Behavior Enterprises” la cui attività consisteva nel preparare animali di ogni specie per spot pubblicitari e per il cinema.
Keller Breland fu il primo addestratore ad usare “l’aggeggino” utilizzandolo come rinforzo secondario con cani da pecore e da caccia per quelle situazioni nelle quali l’animale nello svolgimento del suo lavoro si veniva trovare a distanza.
I risultati non ebbero l’effetto ottenuto in laboratorio con i piccioni.
I Breland (foto a dx) cercarono di proporre il loro nuovo metodo (mi riferisco al condizionamento operante così come partorito da Skinner) alla comunità cinofila americana, senza grande successo.
Keller continuò a lavorare con altre specie e nel 1950 fu assunto dalla Marineland: nel giro di poche settimane escogitò un sistema di addestramento per i delfini ancora oggi in uso!
I Breland lavorarono per molte associazioni, non ultima la Sea Life Park che all’epoca apparteneva a Karen Pryor e suo marito.
Se pensate che Karen Pryor abbia preso in mano il testimone dai Brelands state sbagliando: fu Bob Baily a mostrarle l’uso dell'”aggeggino” con i delfini di Sea life par, quando la Pryor si definiva ancora “una scrittrice”.
Il secondo addestratore che aiutò la Pryor ad usare “l’aggeggino”, questa volta con i cani, fu Gary Wilkes (foto a sin), con il quale Karen Pryor fece diversi stages (il primo dei quali avvenne nel 1992 vicino a Chigago, davanti a 250 addestratori) e dal quale imparò come lavorare i cani, visto che fino alla stesura del suo libro pubblicato nel 1984 la sua esperienza diretta (quindi non i successivi stages con Wilkes) con questa specie era ristretta ad un Weimaraner con il quale aveva frequentato – a suo dire con successo – classi di obbedienza tradizionale.
Dopo l’innegabile successo di marketing ottenuto dalla Pryor, favorito anche dall’avvento di Internet, molti hanno preso il treno “dell’aggeggino”, spesso auto-promuovendosi al rango di addestratori senza aver mai raggiunto risultati apprezzabili (ovvero ufficiali e ripetuti nel tempo) con i propri cani in qualsivoglia disciplina.

Ma torniamo un attimo alle origini dell’“aggeggino”.
Nella maggior parte dei libri in circolazione che descrivono come addestrare il cane in “aggeggino training” viene fatto il nome di Marian e Keller Breland; ma nessuno parla del loro rapporto intitolato “The Misbehavior of Organisms” (American Psychologist 1961), titolo che faceva il verso alla pubblicazione di Skinner: “Behavior of Organisms”!
Non volendo annoiare il lettore con l’intero documento citerò alcuni dei passi che ritengo più significativi, con la premessa che le loro affermazioni furono fatte in base all’esperienza maturata prima nel laboratorio di Skinner e successivamente dopo aver addestrato oltre 6000 animali appartenenti a 38 specie diverse!

1. Emboldened by this consistent reinforcement, we have ventured further and further from the security of the Skinner box. However, in this cavalier extrapolation, we have run afoul of a persistent pattern of discomforting failures.
Incoraggiati da questo consistente rinforzo, ci siamo avventurati sempre più lontani dalla sicurezza della scatola di Skinner.
Comunque, in questa estrapolazione, siamo incorsi in una trama di sconfortan-ti fallimenti.

2. These egregious failures came as a rather considerable shock to us, for there was nothing in our background in behaviorism to prepare us for such gross inabilities to predict and control the behavior of animals with which we had been working for years.
Questi egregi fallimenti ci arrivarono inaspettati: non vi era nulla nella nostra base culturale behaviorista per prepararci ad una così grossolana incapacità nel predire e controllare il comportamento degli animali con i quali avevamo lavorato per anni.

3. It seems obvious that these animals are trapped by strong instinctive behaviors, and clearly we have here a demonstration of the prepotency of such behavior patterns over those which have been conditioned. We have termed this phenomenon “instinctive drift.” The general principle seems to be that wherever an animal has strong instinctive behaviors in the area of the conditioned response, after continued running the organism will drift toward the instinctive behavior to the detriment of the conditioned behavior…”
Appare ovvio che questi animali sono intrappolati dai loro comportamenti istintivi e che abbiamo sotto i nostri occhi la dimostrazione della prepotenza di questi schemi comportamentali (istinti, ndr) su quelli che sono stati condizionati. Abbiamo dato il nome di “instinctive
drift” (drift significa andare alla deriva, to drift away allontanarsi, ndr) a questo fenomeno.
Il principio generale sembra essere che ogni qualvolta un animale ha un comportamento istintivo nell’area d’influenza della risposta condizionata, dopo un certo periodo di continuata performance l’organismo “andrà alla deriva” verso il comportamento istintivo a scapito di quello appreso.

4. After 14 years of continuous conditioning and observation of thousands of animals, it is our reluctant conclusion that the behavior of any species cannot be adequately understood, predicted, or controlled without knowledge of its instinctive patterns, evolutionary history, and ecological niche.
Dopo 14 anni di continuo condizionamento ed osservazione di migliaia di animali, è con riluttanza che dobbiamo concludere che il comportamento di qualsiasi specie non può essere adeguatamente compreso, predetto o controllato senza conoscere i suoi istinti, storia evolutiva e nicchia biologica di appartenenza.

5. In spite of our early successes with the application of behavioristically oriented conditioning theory, we readily admit now that ethological facts and attitudes in recent years have done more to advance our practical control of animal behaviorthan recent reports from American “learning labs.”
A dispetto nei nostri primi successi con l’applicazione di orientamento behaviourista della teoria del condizionamento, dobbiamo ammettere che in tempi recenti, verità ed attitudini d’ispirazione etologica hanno fatto di più per fare avanzare il controllo pratico del comportamento degli animali che non i laboratori americani.

Più o meno contemporaneamente gli etologi Lorenz (1950, foto  a sin) e Tinbergen (1951,fotoa dx) avvertivano che se gli psicologi avessero voluto capire e predire il comportamento degli animali era essenziale che essi acquisissero familiarità con i comportamenti istintivi di ciascuna specie oggetto di studio!
Ora non vi pare ben strano trascurare un fatto del genere?
Non vi pare che a distanza di oltre mezzo secolo si insista ad ignorare gli istinti in una specie, il cane, che per migliaia di anni è sopravvissuto proprio grazie ai suoi istinti, modificati dalla selezione apportata dall’uomo ma pur sempre presenti?
Cercate pure in qualsiasi manuale di “aggeggino” training, nessuno vi parlerà di etogramma, di istinti, anzi è ricorrente tra i facinorosi del “metodo” la frase: “Questo cane ha troppi istinti” quando non si riesce a cavare un ragno dal buco in barba a tutti i concetti “scientifici”
e gentili proponimenti.
Troppi istinti?!?
Il cane è qui con noi dopo migliaia di anni, durante i quali è riuscito a sopravvivere proprio grazie ai suoi istinti.
Come si fa a dire una castroneria simile?
Lo stesso Skinner, rispondendo ad una domanda fatta da Daniel Lehrman su come modificare un comportamento istintivo attraverso il condizionamento operante, ammise: “Operant techniques don’t seem to work well with natural behaviors.” (Irwin Silverman, Psychology
Department, York University). “Tecniche che prevedono l’uso del condizionamento operante non sembrano funzionare bene con comportamenti naturali (istintivi ndr).
Quindi, se è vero (come è vero) che Karen Pryor ha il merito di aver reso popolare “l’aggeggino”, la teoria sulla quale si fonda il movimento “aggegginista” trova origine nel 50% delle teorie dell’apprendimento di B. Skinner, così come descritte dalla Pryor (scrittrice per sua stessa dichiarazione), senza informare sui limiti del “metodo”, ma basandosi sull’esperienza maturata da quest’ultima in un delfinario e dopo aver lavorato un singolo cane di razza Weimararner!

Questa ricostruzione, anche se fedele a quanto accaduto in passato, è certamente di parte: chi mi conosce sa benissimo che sono allergico “all’aggeggino”.
L’allergia si è sviluppata:

• man mano che ho avuto modo di vedere i risultati prodotti da questo “metodo” (indispensabili le virgolette perché ritengo che un metodo possa essere definito tale solamente se tiene in considerazione almeno il cane e il conduttore e sfrutta tutti e non solo due meccanismi di apprendimento a seconda della situazione);
• a seguito della contrapposizione con quella che io descrivo come la macelleria dell’addestramento cinofilo;
• per effetto dell’ostentazione di una presunta superiorità nei confronti di chiunque non accetti di utilizzare esclusivamente il CTI,
• per il ricorrente insistere che attraverso il rinforzo positivo si può ottenere qualsiasi risultato…..per poi incappare in un cane “con troppi istinti”!

Ho quindi pensato di cercare dei pareri più autorevoli a conferma dei miei convincimenti e degli studi di psicologia applicata al cane iniziati nei lontani anni settanta e per assicurarmi che nel frattempo la psicologia non fosse cambiata all’insaputa di tutti ad eccezione dei promotori del CT.

Iniziamo con un intervista fatta nel 2002 a Bob Baily, allievo dei Brelands con un’esperienza maturata dal 1969 addestrando migliaia di animali:

Do you consider yourself a clicker trainer? Why or why not?

(Ti consideri un clicker trainer? Perché o perché no?)
I am not a clicker trainer. I have used a clicker, and quite successfully. Keller and Marian Breland were using clickers in 1943. In the modern use of the name CLICKER TRAINER, punishment, especially positive punishment, is “disallowed.” I allow myself to use punishment if I believe it is necessary to accomplish the task and if the task merits the use of punishment. I rarely have need of punishment.
(Non sono un clicker trainer; ho usato il clicker e con successo, Keller e Marian Breland usavano il clicker nel 1943.
Nell’uso moderno del nome “CLICKER TRAINER” la punizione, specialmente quella positiva, non è consentita.
Io uso la punizione se ritengo che sia necessaria per raggiungere un traguardo se il traguardo merita l’uso della punizione.
Ho avuto raramente bisogno di usare la punizione).

What has clicker training taught you?
(Cosa ti ha insegnato il clicker training?)
Clicker training has not taught me a whole bunch, other than that people can get wrapped up in fads and catch phrases.
(Il clicker training non mi ha insegnato granchè…se non che la gente può farsi coinvolgere da mode e frasi ad effetto.)

Da un’intervista rilasciata da Marian Breland a Sophia Yin:

Since you’ve found that the secondary reinforcer such is such a powerful tool, are you clicker purists?
(Da quando ti sei accorta che il rinforzo secondario é uno strumento così efficace ti definisci una purista del clicker?)
Marian: We’re not pure clicker trainers. We use the clicker when it’s advantageous and appropriate and when it will do the most
good.
(Marian: Non siamo puristi del clicker. Usiamo il clicker quando é vantaggioso, appropriato e quando può dare il miglior risultato).

Gary Wilkes, oltre 20 anni di esperienza e qualche migliaio di cani addestrati con il clicker al suo attivo:

The real issue isn’t whether you use some form of “negatives”, the issue is whether your training techniques A) benefit your dog and B) cause no harm. (Those are the same ethics that separate a butcher from a surgeon.) Suggesting that training (mental health) should never include any form of discomfort is as impractical as requiring the same of a veterinarian.
(Il vero punto non è se usare o meno forme di addestramento “negative”. Il punto è se le tecniche che stai utilizzando sono:
a) di beneficio per il tuo cane;
a) non provocano danni, (la stessa etica che distingue un macellaio da un chirurgo).
Far pensare che l’addestramento (salute mentale) non dovrebbe mai comprendere qualsiasi forma di disagio per il cane non è realistico come pretenderlo dal veterinario!)

Ancora Wilkes:
So, it is my long-standing belief that there is a time and a place to say “NO!” Whether you use clicker training or some other method, there will come a day when you dog looks at you and says, “I don’t think I’ll do that.” While this “willful disobedience” is often denied by “experts”, it is a pretty common occurrence in the real world of dog training.
(Dunque, sono da molto tempo convinto che esista un momento ed un luogo per dire “NO!”.
Prescindendo dall’uso del clicker o altri sistemi, arriverà il giorno in cui il tuo cane ti guarderà dicendo: “Non credo che farò quello che mi stai chiedendo”.
Mentre questa caparbia (ostinata) disobbedienza è spesso negata dagli “esperti”, essa è ricorrente nel mondo reale dell’addestramento).

If you are trusting “all positive” training to inhibit a dog’s natural predatory behavior, you are likely to be disappointed, and your dog may be in jeopardy”.
(Se riponi la tua fiducia in un addestramento “tutto al positivo” per inibire la naturale predatorietà di un cane è probabile che tu rimanga deluso ed il tuo cane possa trovarsi in situazioni di pericolo).

The two punishers I use are a squirt of water and a soft object, thrown with the intention of hitting the dog. On first inspection, throwing something at a dog will tend to draw speculative criticism.
However, the proof is in the pudding. A throw pillow or rolled up towel used as a projectile is a safe and effective way to
apply punishment. Those who imagine that this will cause hand-shyness, fear of the owner or fear of flying objects are speaking from ineptitude or ignorance – or both.
(Le due punizioni che io uso (orrore, orrore!, ndr) sono uno spruzzo d’acqua e un oggetto morbido che tiro con l’intenzione di colpire il cane. Nell’immediato, tirare qualcosa contro il cane tende ad attirare critiche di natura speculativa.
La prova però è nei risultati. Un cuscino o asciugamani arrotolato usati come proiettili sono un modo inoffensivo ed efficace di punizione.
Quelli che immaginano che ciò possa causare paura della mano, paura dei proprietari o paura di oggetti volanti, parlano per inettitudine, ignoranza o entrambi).

Credo che tutto questo basti per sostenere la mia tesi e cioè che i nostri italici profeti “dell’aggeggino” (non tutti ma molti) hanno abbracciato questa fede divulgando concetti in modo strumentale ed esagerato, illudendo e deliberatamente sfruttando i sentimenti di quelle persone giustamente preoccupate di insegnare al proprio beniamino nel modo più giusto, più umano e più efficace.
L’aggeggino è un rinforzo secondario; lavorare con l’aggeggino significa usare un rinforzo secondario.
Non è un metodo, è un semplice strumento tra i tanti strumenti a disposizione di un addestratore o educatore che dir si voglia.
Educare un cane parte dalle esigenze del cane, non da quelle dell’uomo: almeno quando il fine è ludico-sportivo!

Fin qui abbiamo ripercorso le tappe con le quali, dalla Skinner box ai nostri giorni, l’aggeggino ha fatto breccia nel mondo della cinofilia, etichettato dai suoi promotori come sistema scientifico.
Vediamo quindi di approfondire questa presunta scientificità, esaminando gli aspetti che – a detta di chi lo pratica – rendono il “metodo” superiore a qualsiasi altro.

LA PRECISIONE ED UNICITÀ DELL’AGGEGGINO

Una delle affermazioni più ricorrenti é quella in merito alla supposta precisione ed unicità del suono, anzi dei suoni (due),
prodotti dall’aggeggino.
Ho più volte dimostrato che riesco (io come chiunque altro) a pronunciare “Si”, “Ja”, “Oui” non una ma due volte mentre ragazzi nei loro vent’anni (quindi con riflessi più pronti dei miei, che ho superato il mezzo secolo) riescono a produrre un click: ma questa potrebbe essere una particolare abilità.
Ho sempre sostenuto che un fischietto o qualsiasi altro suono opportunamente condizionato abbia gli stessi “poteri” dell’aggeggino.
La stessa Karen Pryor afferma: ” In my previous column, I explained how to use a toy clicker (or any other distinctive sound) to mark the exact moment your dog does something right.” “You can also ring a bell, blow a whistle or jingle the coins in your pocket. It is important to use an artificial sound as a marker signal; research indicates that it is much clearer to dogs than any spoken word.”
(Nella colonna precedente ho spiegato come usare il clicker (o qualsiasi altro suono distinto) per segnare il momento esatto il cane compie un azione desiderata.
Voi potete anche suonare un campanellino, usare un fischietto o far tintinnare delle monete che avete in tasca.
E’ importante l’uso di un suono artificiale per segnalare il comportamento corretto; ricerche hanno indicato che questo risulta più chiaro per il cane di qualsiasi parola).

La citazione che segue é relativa all’ipotesi portata avanti dalla Pryor che il suono prodotto dall’aggeggino arrivi alla amigdala più velocemente rispetto a suoni meno “netti”, con conseguenze benefiche sull’apprendimento:

Author’s note: In 2000 and 2001 I gave several talks in which I mentioned the topic of how the click in clicker training might be processed in the brain. Many people e-mailed me to find out more. They usually wanted to know when I was going to publish a paper on this topic, or where they could read about more about the research. Alas, there was no research specific to the clicker at that time, nor has any been done to the present date: May, 2005.
(Nota dell’autore: durante il 2000/2001 nel corso di varie manifestazioni ho più volte parlato di come il suono del clicker potrebbe essere elaborato dal cervello (l’ipotesi avanzata era quella che il suono del clicker fosse più efficace per le sue caratteristiche, ndr).
Molte persone mi hanno mandato emails per saperne di più, chiedendo quando avrei pubblicato un articolo al riguardo.
Ahimé, all’epoca non era stato fatto alcuno studio al riguardo, né ve ne sono stati ad oggi (Maggio 2005).
In realtà la ricerca scientifica (Rescorla – foto a sin – & Wagner ,1972) ha dimostrato che l’elemento sorpresa, ovvero l’abbinamento di un suono o stimolo visivo sconosciuti con uno stimolo incondizionato (cibo) determina un condizionamento più forte rispetto a quello di un suono/stimolo visivo conosciuto.
Cerchiamo quindi di fare chiarezza sulla differenza tra suoni artificiali e parole (e non tra un click e qualsiasi altro rumore come spesso avviene).
Negli Stati Uniti, a livello di club, sono stati fatti dei test informali (senza protocollo) contrapponendo la parola yes all’aggeggino: spesso i gruppi di cani lavorati con l’aggeggino hanno dato risultati più rapidi.
Vediamo di capire il perché.
Il cane apprende il significato dei suoni, possiamo insegnargli a sedersi associando a questa azione la parola “vola”, lui si siederà come gli abbiamo insegnato.
Perché allora un suono innaturale dovrebbe essere più efficace di una parola?
La risposta è ben nota da tanti anni.
Quando un suono ha assunto il significato di “non succede nulla“, si manifesta il fenomeno conosciuto con il nome “irrilevanza appresa” (learned irrilevance).
“Quando un organismo (il cane) viene esposto sia allo stimolo condizionato (sc) sia allo stimolo incondizionato (si) senza che tra i due vi sia alcuna relazione, successivamente l’associazione tra “sc” e “si” diventa più difficile” – Mackintosh (1973), Baker & Mackintosh, (1977, 1979); Matzel, Schachtman, & Miller, (1988).
Cercare di utilizzare “sc” come rinforzo, nel migliore dei casi, provoca confusione.
L’uso della parola “yes” nell’intercalare americano è molto frequente: i risultati ottenuti, a mio avviso, dimostrano la scarsa conoscenza del concetto di “irrilevanza appresa” piuttosto che la particolare efficacia dell’aggeggino o inefficacia della parola yes!
Il problema è comunque stato superato da anni (io posso testimoniare per gli ultimi 30) utilizzando una parola in lingua straniera (quindi non ricorrente nel linguaggio di tutti i giorni) per creare l’associazione con il cibo.
Provate a usare uno “oui” francese, piuttosto che uno “yes” inglese, o uno “ja” tedesco o “yep” americano…e vedrete che funzionerà come, se non meglio, dell’aggeggino, giacché il segnale che parte dal cervello arriva prima alla lingua che non al braccio!
Quanto alla precisione, sembrano esserci pareri discordanti sulla tempistica con la quale rinforzare un comportamento.
Gary Wilkes sostiene che il clicker deve arrivare entro il decimo di secondo (0.1sec) dal comportamento da rinforzare.
Considerando che il tempo di reazione di Carl Lewis alla partenza dei 100 metri piani a Roma nel 1987 è stato di 0.193 secondi, ritengo improbabile che anche il più veloce tra gli “aggegginovisti” riesca a fare meglio: anche considerando che per circa centoventi anni i tempi di reazione medi ottenuti testando studenti universitari sono stati di 0.19 sec (stimolo visivo) e 0.16 sec (stimolo sonoro) (Galton, 1899;
Fieandt et al., 1956; Welford, 1980; Brebner and Welford, 1980).
Il Bureau d’Enquêtes et d’Analyses pour la Sécurité de l’Aviation Civile richiede ai propri piloti tempi di reazione nell’ordine dei 0.2 sec.
L’autorevole Dr. Nicholas Dodman afferma: “After a correct response, reward your dog within ½ second to ensure that your dog makes the connection between his behavior and the reward;
(Dopo una risposta corretta premia il tuo cane entro ½ secondo per assicurarti che faccia la connessione tra comportamento e premio).
Della stessa idea é Ron Lawrence, il quale ritiene che il rinforzo debba arrivare entro 0.5 secondi.

Ricapitolando:
a) è umanamente impossibile reagire in meno di 0.2 sec (salvo agire per riflesso);
b) si può rinforzare un comportamento senza che il nostro rinforzo si configuri come “delayed reinforcement” (rinforzo ritardato) (Bell, 1999; Grace et al., 1998) se ciò avviene entro mezzo secondo, tempo largamente sufficiente per segnare un comportamento con la voce o con un gesto senza perdere nulla in efficacia, precisione o resistenza del condizionamento.
Il grafico di Capaldi illustra con chiarezza che anche volendo riconoscere una maggiore precisione all’”aggeggino” qualche decimo di secondo di ritardo non produce granchè di cambiamento.

BRIDGING
Un altro concetto caro a chi pratica “l’aggeggino training” è quello di “bridge”, letteralmente “ponte”.
Esso consiste nell’utilizzare “l’aggeggino” (rinforzo secondario) per segnare con maggior precisione rispetto al dispensare cibo (in questo caso la maggior precisione è reale) il comportamento desiderato.
Questa tecnica, nata in laboratorio, è stata poi adottata nei delfinari ed infine sui campi di addestramento.
Purtroppo (o forse per fortuna) se i principi del condizionamento operante sono applicabili a qualsiasi specie, la loro applicazione fuori dal laboratorio varia da specie a specie e da situazione a situazione, come evidenziato da Marian Breland.
Nell’utilizzo di un rinforzo secondario intervengono due concetti: quello di condizionamento classico (CC) e quello di condizionamento
operante (CO).
Nel primo il condizionamento consiste nel modificare il significato di uno stimolo inizialmente neutro facendogli assumere la stessa valenza del rinforzo primario, ovvero una determinata attività che soddisfi una necessità biologica.
Nel clicker training questo avviene producendo il suono e seguendo con l’elargizione di cibo: questa operazione di abbinamento tra stimolo e cibo raggiunge la sua massima efficacia dopo un certo numero di ripetizioni se l’abbinamento avviene tra i 0.25sec. e 0.7 sec. (Dr. Richard Lippa Professore di Psicologia Università di Fullerton California).
Una volta che il nostro clicker (come qualsiasi rinforzo secondario) ha acquisito le stesse capacità di rinforzo del cibo siamo pronti ad usarlo per rinforzare un comportamento nei tempi descritti in precedenza.
Vorrei sottolineare la differenza tra i due concetti per evitare possibili equivoci.
Nel condizionamento classico, “l’aggeggino” precede il cibo, nel condizionamento operante “l’aggeggino” segue il comportamento.


Ora se è vero che “l’aggeggino” funge da ponte, è altrettanto vero che le sue proprietà di rinforzo rimangono tali a patto che entro 0.25/0.7 sec. sia abbinato con il cibo: se ciò non avviene, il nostro “aggeggino” perde progressivamente le sue proprietà di rinforzo.
Già Pavlov si accorse che l’associazione tra stimolo condizionato e stimolo incondizionato doveva avvenire entro un certo limite di tempo per rendere possibile il verificarsi dell’associazione stessa; inoltre si rese conto che ogni volta che lo stimolo condizionato (SC) non era seguito da quello incondizionato (SI), l’SC s’indeboliva.
Questo avveniva agli inizi del 900.


Successivamente i ricercatori Rescorla, Wagner (1972) e Fontino (1977, foto a sin)) confermarono quanto scoperto da Pavlov.A questo punto ci si potrebbe chiedere se lo stimolo condizionato (“aggeggino”) indebolito dal mancato abbinamento con lo stimolo incondizionato (cibo) non conservi comunque le sue proprietà di rinforzo condizionato (RC) o rinforzo secondario se preferite.
Questo aspetto è stato esaminato dai ricercatori Egger and Miller (1962) i quali conclusero che qualsiasi rapporto tra stimolo secondario e cibo che non fosse 1:1 produceva nel migliore dei casi un rinforzo più debole.
Spesso l’obiezione a questo discorso è che una tabella di rinforzo variabile determina un risultato più affidabile e duraturo nel tempo, dimostrando la grande confusione che regna in questo campo.
Se ad esempio si sta lavorando sull’invio in avanti, “aggeggiare” l’ingresso nel box, la fermata, il terra, il richiamo senza far seguire ognuno dei “rinforzi” dal cibo non si configura nella definizione di tabella di rinforzo variabile, ma piuttosto come progressivo indebolimento delle proprietà di rinforzo dell’”aggeggino”!
Infatti, nei delfinari, dopo il fischio che segna il comportamento, avviene una di queste due cose: o viene lanciato il pesce al delfino, oppure il delfino va a prendersi il pesce!
Nel caso vi fossero lettori che a questo punto s’interrogassero circa la validità di quanto da me asserito, ho pensato di includere un breve
estratto che porta la firma di Bob Bailey (140 specie di animali addestrate per un totale di 15.000 esamplari):
OK, what about clicking and not treating. I won’t get into the debate about clicking and not treating – my general position on using secondary reinforcers on extinction is well known (NO!). There are VERY few reasons to work bridges on extinction…
(OK, cosa dire in merito a “cliccare senza premiare”. Non voglio entrare in questo dibattito – la mia posizione generale sull’uso di rinforzi
secondari in estinzione è risaputa (NO!). Vi sono pochissime ragioni per lavorare il segnale ponte in estinzione).

Ciò detto, per chi non fosse ancora convinto credo che l’unica cosa da aggiungere sia: “Errare Humanum Est, Sed Perseverare In Errorem Est Autem Diabolicum” (S.Agostino)
Facciamo ora alcune considerazioni: premiare il cane a distanza con un rinforzo secondario comporta lo svantaggio di non poter seguire con immediatezza il rinforzo con il cibo; ma perché ostinarsi con un rinforzo secondario, quando con le dovute premesse si può utilizzare il vecchio ma sempre attualissimo rinforzo primario “Bravooo!”?
Non è efficace?
Siete sicuri di aver creato il giusto rapporto con il vostro cane?
Siete sicuri che lui/lei non vi vedano più come distributori automatici di cibo che non compagni di gioco?
Dispensare cibo soddisfa l’istinto di sopravvivenza, ma la sopravvivenza sta anche nella coesione del branco!
Abbiamo visto che un rinforzo secondario è soggetto ad estinzione; e allora perché non sfruttare il rinforzo primario che ha il bonus aggiunto di non essere soggetto allo stesso problema?
Ricercatori ed addestratori professionisti sono costretti a ricorrere all’esclusivo uso del cibo e del rinforzo secondario legato ad esso perché spesso lavorano con specie di animali con le quali è improponibile creare un “rapporto”!
I cani che sono presi in addestramento dai professionisti hanno generalmente più di un anno e un professionista non può certo permettersi il lusso (né chi manda il cane in addestramento quello di pagarlo) di creare un rapporto, se non superficiale (il minimo indispensabile), con ogni cane che prende in addestramento.
In un centro di ricerca più ricercatori si avvicendano, da qui la necessità di usare uno strumento (rinforzo condizionato) per tutti.
L’amante dei cani, il proprietario che ama cimentarsi in obedience, agility, utilità ha un’opportunità che ricercatori e professionisti non hanno: creare un rapporto, per giunta durante il primo importantissimo anno di età.
Certo occorre lavorarci sopra; occorre gestire il cane correttamente, rispettare la sua immaturità, riconoscere l’influenza degli  ormoni nel suo comportamento, il progressivo sviluppo dei suoi istinti, la sua necessità di imparare giocando per periodi brevi, creare un corretto rapporto per dargli sicurezza.
Queste sono le cose che servono per mettere basi solide che garantiscano la più totale fiducia e devozione del cane.
Queste sono le cose che ci regaleranno un “Bravoooo” come rinforzo primario non soggetto ad estinzione che soddisfa le necessità biologiche del cane!
Il rinforzo più forte deve essere l’uomo e per esserlo non è certo sufficiente guardare quello che il cane fa e rinforzare quello che più ci aggrada.
Occorre guardare il cane dentro e fuori, capirlo, assecondandone i suoi istinti.
Non farlo costituisce, a mio avviso, la più grande crudeltà che si possa perpetrare ai suoi danni.
Il cibo è un grande aiuto, ma se usato irresponsabilmente compromette il rapporto invece di rafforzarlo; è un po’ come la differenza tra essere accuditi o essere amati ed accuditi.
Recentemente il trend CT sta subendo un certo rallentamento, vuoi per gli scarsi risultati ottenuti, vuoi perché le mode, così come arrivano, se ne vanno facendo registrare alcune clamorose defezioni.
Il nuovo carro sul quale viaggiare è quello del rapporto, con particolare riferimento all’atteggiamento dell’uomo nei confronti del cane (segnali subdoli e involontari).
Il momento è solenne: stiamo assistendo al passaggio dallo pseudoscientico al non scientifico!
Anche dagli USA arrivano alcuni segnali di adattamento.
Karen Pryor nella sua mailing list pubblica un articolo di una famosa istruttrice CT Melissa Alexander intitolato “Is the Clicker a Conditioned Reinforcer?” dal quale è ho tratto il seguente significativo paragrafo.
The clicker is commonly called a conditioned reinforcer. It is a neutral stimulus paired consistently with a primary reinforcer.
Is the association, however, strong enough that you can use the clicker without a primary reinforcer? If so, are there any negative repercussions, and how long can you use the clicker before you needed to “recharge” it?
(Il Clicker é comunemente chiamato un rinforzo condizionato. E’ uno stimolo neutro abbinato con un rinforzo primario.
L’associazione tra rinforzo primario e stimolo neutro è così forte da permettere l’uso del clicker senza rinforzo primario?
Ci sono ripercussioni negative e per quanto tempo si può usare il clicker senza doverlo “ricaricare”?)
Appare evidente che una domanda del genere può nascere solamente se non si conoscono i principi fondamentali della psicologia (Rescorla).

“Students at the University of North Texas are currently researching this topic. They’ve found, according to fellow student Kellie Snider, that “treatless clicks” resulted in frustration behaviors and other learning problems. However that research was done using dogs new to clicker training.

Helix Fairweather, a Click-L member, decided to try the experiment on her clickersavvy Havanese, BJ. Although the “power” of the clicker lasted longer than it had in the UNT experiment, she found that it extinguished fairly quickly, especially once her dog figured out the pattern of reinforcement.
When there was nothing in it for him, there was no reason to play the game”.
(Studenti della University of North Texas stanno portando avanti una ricerca al riguardo. Kellie Snider (PHD) afferma che i risultati indicano che i click senza premio provocano comportamenti di frustrazione ed altri problemi di apprendimento.
Questa ricerca è stata compiuta con cani nuovi al CT)
Helix Fairweather socia della Click-L importante istruttrice di CT) ha ripetuto l’esperimento con il suo Havanese ben abituato all’uso del clicker.
Arrivando alla conclusione che anche se l’effetto del clicker aveva avuto una durata maggiore rispetto ai risultati ottenuti alla University of North Texas, il clicker va in estinzione velocemente quando non seguito dal cibo specialmente una volta che il cane aveva capito lo schema di rinforzo. Quando non vi era nulla da ottenere non vi era motivo per stare al gioco!)

Mi si permetta di dire che un po’ troppo spesso questo “maghi del CT” arrivano a delle scoperte del genere dopo avere “insegnato” ad altri l’arte… e, come accennavo all’inizio, ostentando una certa superiorità.

Il meglio comunque deve ancora arrivare.
And that, I think, is the crux of the matter. People who use treatless clicks have simply missed the point. We don’t use the clicker in order to get by with as little additional reinforcement as possible. We use the clicker to tell our dogs, “That right there is what I want!” The power of the click, to the trainer, is as an event marker.
(E questo, penso, è il punto cruciale. Le persone che usano il clicker senza seguire con il premio non hanno capito. Noi non usiamo il clicker per cavarcela con il rinforzo minimo indispensabile.
Noi usiamo il clicker per dire ai nostri cani: “Giusto, è proprio quello che volevo da te!” La forza del click, per l’educatore, è nel segnare l’evento (il comportamento ndr)!

In altre parole, l’affermazione è che l’aggeggino, quando ha perso le sue proprietà di rinforzo, comunque comunica al cane la nostra soddisfazione suggerendogli di aver fatto la cosa giusta!
Pavlov, Rescorla, studenti della University of North Texas, ravvedetevi: siete voi ad essere confusi dal clicker senza premio, non i cani!
Ho scritto a Karen Pryor chiedendo quale lavoro scientifico comprova questa fantasiosa teoria, ma non ho ricevuto alcuna riposta.
Tornando al rigore scientifico alle basi del “metodo” vorrei citare una ricerca condotta con dei cavalli per appurare l’efficacia dell’”aggeggino”.
L’articolo pubblicato dalla Elsevier; Applied Animal Behaviour Science 88 (2004) 331–341 s’intitola: “The efficacy of a secondary reinforcer (clicker) during acquisition and extinction of an operant task in horses” J.L. Williams, T.H. Friend*, C.H. Nevill, G. Archer.
Department of Animal Science, Texas A&M University, 2471 TAMUS, College Station, TX 77843-2471, USA
Ricevuto 9 Aprile 2003; ricevuto e rivisto 8 Ottobre 2003; accettato 10 March 2004 340 J.L. Williams et al. / Applied Animal
Behaviour Science 88 (2004) 331–341
Finalmente un documento scientifico sull’aggeggino!
Risparmierò al lettore i dettagli, che comunque con i riferimenti forniti può tranquillamente trovare online, riportando le frasi salienti che descrivono l’esito dello studio:

“This study was performed in an applied setting and the results pertain more to the applied, rather than laboratory, setting.
The task the horses were trained to perform (touching their nose to the cone) is rarely trained in the horse industry. It was chosen because it was something the horses did not already know how to perform and it could easily be standardized.”

“….the authors conclude that operant conditioning with both secondary and primary reinforcers was not more efficacious in producing shorter training times or longer times to extinction than operant conditioning using only a primary reinforcer in the conditions of this study.”
(Questo studio é stato portato avanti in un contesto di ricerca applicata in preferenza a quella di laboratorio. L’esercizio ( toccare un cono con il naso) è raramente insegnato dell’industria dei cavalli ed è stato scelto in quanto comportamento sconosciuto ai cavalli facilmente
standardizzabile.
Gli autori concludono che il condizionamento operato con entrambi i rinforzi primari e secondari non è stato più efficace nel produrre tempi di addestramento (apprendimento ndr) più brevi o tempi di estinzione più lunghi rispetto al condizionamento operante limitato al solo uso del rinforzo primario nelle condizioni in cui è stato svolto questo studio (fuori dal laboratorio ndr)”
Lo sospettavamo da tempo!

CONCLUSIONI

CLICKA TU…CHE HO CLICKATO ANCH’IO!
di Valeria Rossi

Non c’è molto da aggiungere alla dotta disquisizione di Carlo Colafranceschi contro il clicker, o meglio contro il pericoloso business che si è sviluppato intorno all’”aggeggino”.
Nonostante questo, due parole di conclusione voglio aggiungerle, soprattutto per confessare che ho preso in mano un clicker con lo scopo principale di far tacere le “linguacce” che, ogni volta che mi azzardavo ad esprimere una qualsiasi perplessità sull”aggeggino”, mi rispondevano “ma taci, tu, che non addestri più da vent’anni, sei rimasta alla preistoria, sei tagliata fuori”.
Era inutile rispondere – come ha fatto benissimo Colafranceschi nel suo articolo – che il clicker è nato molto PRIMA che io cominciassi a lavorare con i cani e che non c’era nessuna “rivoluzione” etologica dietro a questo strumento, ma semmai una grande rivoluzione di marketing; continuavo a venire zittita in quanto “datata” e “non informata dei fatti”.
Bene: ora mi sono informata e mi sono anche messa a cliccare a destra e a manca; con risultati che a me, come dicevo all’inizio, non sono piaciuti granché…ma che, devo dirlo per correttezza, avrebbero sicuramente mandato in brodo di giuggiole tutti i miei clienti di un tempo, compresi quelli che sono scappati dal campo dopo tre o quattro lezioni. Perché col clicker si ottengono risultati anche se non si capisce un accidenti di cani, non si hanno il tempo e la pazienza per dedicarsi ai cani e non si sa distinguere un rinforzo da una scamorza.
Se avessi ancora un campo, lo ammetto senza vergogna, riempirei sicuramente i miei clienti di clicker e li farei divertire per un mesetto, facendo in modo che i loro cani salutino, facciano l’ometto, si rotolino per terra e magari aprano e chiudano le porte.
Al termine di questo mesetto, però, direi loro: “Adesso mettiamo via tutti gli aggeggini e vediamo quanti dei vostri cani riescono a lavorare anche senza”.
Dopodiché…presumo che dovrei ricominciare daccapo con tutti, imponendo loro, come facevo ai miei preistorici tempi, di costruire un binomio basato sulla fiducia, sull’amore e sul rispetto.
E una volta ottenuto questo penso che farei tirare nuovamente fuori i clicker dalle tasche, perché una cosa non l’ho detta, ma adesso la dico perché è giusto dirla: in alcuni momenti, per alcune rifiniture, per correggere alcuni errorini microscopici di cui non mi frega niente adesso che ho lavorato i cani di casa, ma che mi manderebbero in panico in gara…l’”aggeggino” è davvero utilissimo. Più dei miei consueti rinforzi e più di certi trucchetti del mestiere che ho utilizzato in passato.
Se lo guardiamo per quello che è, e cioè uno strumento, il clicker ha molti lati positivi e permette di ottenere alcuni risultati più in fretta di altri strumenti.
Se però ci fissiamo sul clicker e vogliamo usare sempre quello e solo quello a tutti i costi, allora rischiamo di impiegare quattro mesi a far fare un “seduto” a un cane…e di vantarcene pure in giro come se fosse un risultatone.
Come dicevo nell’introduzione, diversi “clickeromani fondamentalisti” stanno lentamente cambiando direzione e vengono nel mio cantuccio: ovviamente senza ammettere che avevo ragione io, per carità!
Il merito di queste “conversioni” viene sempre dato ad altre persone che hanno tenuto illuminanti stage. Un’amica mi ha detto, qualche tempo fa: “se tu ti facessi pagare per dire le stesse cose che scrivi gratis, ti considererebbero tutti un guru dell’addestramento”.
Ma io a fare il guru non ci tengo: ce ne sono già fin troppi! Io ci terrei solo a far ragionare le persone, specialmente quelle che lavorano professionalmente in questo campo, e a far capire loro che i cani non si possono studiare solo agli stage: i cani vanno vissuti.
Purtroppo siamo circondati da educatori, istruttori e compagnia cantando che si sono passati tutti gli stage, i corsi, gli aggiornamenti di questo mondo…e subito dopo, sentendosi preparatissimi, hanno aperto il loro bel campo e hanno cominciato a lavorare: ma di cani, in vita loro, ne avevano visto uno o due!
Ovvio che queste persone, non avendo un’esperienza propria, debbano far tesoro di quella altrui: ma io li inviterei ad aspettare una decina d’anni, prima di affermare con tanta sicumera che il metodo X o Y (qualsiasi esso sia) è il solo, l’unico, il migliore del mondo.
Lavorate, impegnatevi, prendete in mano duecento cani diversi, sbattete il naso contro i problemi reali…e POI tirate le vostre conclusioni. Probabilmente saranno le stesse a cui sono arrivata io e a cui sono arrivati tutti i cinofili con più di vent’anni di esperienza: e cioè che ogni cane è un caso a sé e che va affrontato col maggior bagaglio possibile di esperienze e di strumenti a disposizione.
Più ce ne sono e meglio è, perché dal “mazzo” si può tirare fuori la carta vincente: ma partendo con una carta sola…non si vince un accidenti!
Qualcuno, tempo fa, mi ha accusato di dare spazio a troppe opinioni diverse e a troppi punti di vista: fra le altre cose mi si tacciava, da non-clickerista, di aver pubblicato un articolo che invece beatificava l’“aggeggino”. Oggi mi si accuserà di aver pubblicato l’opinione diametralmente opposta…ma sapete che vi dico? Lavorate, impegnatevi, prendete in mano duecento cani diversi…e poi scoprirete che hanno un po’ di ragione tutti.
Perché ci sono cani da clicker e cani inadatti al clicker, perché ci sono cani punibili e cani solo rinforzabili, perché ci sono cani a cui – con criterio e sapendo quello che si fa e perché lo si fa – si può anche rifilare (orrore orrore) il tanto criminalizzato “sberlùn”. L’importante è conoscere tutti i punti di vista, tutti i metodi e tutte le opinioni, e POI scegliere.
Una sola cosa non accetto, e non troverà mai spazio su queste pagine: i metodi “macellai”, inutilmente violenti e crudeli.
Ma nel rispetto e nell’amore per il cane “ci stanno” molti punti di vista diversi…come diversi sono i cani stessi.
Ma per capirlo…bisogna prima conoscerli!

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11 Commenti

  1. Articolo molto interessate! Secondo me il Cliker deve essere banalmente non un METODO doi addestramento/educazione ma uno dei TANTI strumrenti che un addestratrore/educatore deve possedere in modo da poter usare su ogni cane in ogni momento x ogni esercizio il metdo + adatto allo scopo x facilitare il compito al cane, banalmente.. senza muri fra le varie fazioni e i vari metodi: ogni cane e ogni compito sono diversi e x certe cose può servire un metodo o un altro (come x certe rifiniture il cliker può essere utile anche in cani dove altrimenti non è servito usarlo, è solo uno dei tanti strumenti che DEVONO essere nell’arsenale di chi insegna a insegnare al cane e di chi insegna al cane, perchè puù strumenti hpadroneggia chi insegna meglio può fare il suo lavoro adattandolo al singolo caso e alla singola situazione senza preconcetti, valutando quale strumento sia + adatto e capendo che ogni struimento ha benefici e limiti e che nessuno strumento va mitizzato ritenendolo “quello definitovo x tutti”) , sempre nel rispretto dell’animale chiaramente!

  2. Articolo completo ed esaustivo. Complimenti.
    Mi compiaccio anche e soprattutto per la descrizioni dei pregi e difetti del clicker che condivido in pieno.
    Personalmente lo uso per fissare meglio alcuni esercizi nella cerca del tartufo. Una volta appreso però continuo con il metodo classico e l’immancabile bravo. Dobbiamo diventare una simbiosi col cane, non deve essere un operaio che lavora x cibo…..

  3. I tempi di attesa fra click e premio si possono allungare con l’addestramento. Una volta che il cane ha imparato che ad ogni click corrisponde un premio il cane avra’ la certezza matematica che il premio arrivera’. Cliccare e non dare il premio e’ una cosa senza senso, ed infatti nell’articolo spiega chiaramente che estingue il comportamento. Per quanto riguarda il ‘bravo’ al posto del clicker se registrate i vostri ‘bravo’ vedrete che non ce ne sono due uguali, l’intonazione cambia, lo stato d’animo del conduttore cambia ecc. Invece posso usare il clicker anche se ho 40 gradi di febbre, il suono e’ sempre uguale.
    Per quanto riguarda il clickare a distanza, ad esempio sull’invio in avanti, dopo che ho cliccato l’esercizio e’ finito, io vado con calma a premiare il cane e non do altri comandi, non parlo, il cane pensa solo al premio in quel momento e mi aspetta. Se devo dare due comandi ad esempio invio in avanti piu’ terra non uso il clicker oppure lo uso dopo l’ultimo comando e comunque prima insegno il comando di terra e poi li concateno.
    Per certe cose non uso il clicker, ad esempio se insegno al cane il comando di stare in piedi e clicco, il cane pensa che l’esercizio e’ finito e si siede, che e’ esattamemnte l’opposto di quello che voglio io, in quel caso lavoro sull’attenzione e premio il cane avvicinandomi lentamente senza usare clicker.

    Insomma il clicker e’ utile per velocizzare alcuni comandi in gara ma io lo uso solo quando e’ necessario, non per tutto.
    Comunque non capisco tutto questo odio per il clicker.

  4. Bravo lodi e carezze sono il premio più grande che possa fare inorgoglire un cane. Il bocconcino, come viene usato in addestramento, è comprare il cane. Non ho mai saputo usare il clicker con nessuno dei miei due cani, e nemmeno il cibo. Quando chiedevo loro di fare una cosa potevano obbedire o non obbedire: ho concesso loro l’uso del libero arbitrio, accettando con naturalezza anche la disobbedienza. Ma ho sempre ricevuto complimenti per la loro educazione , la prontezza nell’apprendimento e nella risposta. Non mi è mai interessato addestrare i miei cani ma solo conviverci felicemente.

    • in certi casi a prescindere dal metodo l’ubbidienza del cane è x la sua sicurezza fisica, x questo non può essere solo una cosa xchew il cane fa se ne ha voglia o se il premio è allettante (e spesso il premio non può essere + allettante di certi stimoli estrerni, in questi casi o il cane non lo liberi se non non situazioni super-sicure oppure devi essere sicuro che almeno se richiamato prima della fase di ingaggio dello stoimolo torni a comando SEMPRE o con una % vicina al 99%…ne va della sua sicurezza e della sua vita!)…addestramento non è che voglia dire solo sport o lavoro o futili giochini (che non fanno nulla di male), è anche sicurezza x il cane..

  5. Questo articolo è molto interessante e meriterebbe una riflessione, e degli approfondimenti, di una certa ampiezza.
    Indubbiamente il clicker NON è LA PANACEA a tutti i problemi, è solo uno strumento, con dei limiti intrinseci e relativi al modo di utilizzarlo, che eventualmente, se si sceglie di utilizzarlo, va inserito in una più ampia concezione e visione della relazione tra l’uomo e il cane.
    Comunque sottolineo senza riserve che, anche se non è certo il mio ideale, preferisco sempre e comunque una cane che magari lavora per se stesso, per il bocconcino che non un cane che lavora perchè inibito e costretto ad esibire questo o quel comportamento.
    E se il clicker può essere usato da chiunque…da chi non capisce un accidenti di cani ma lo stesso vale per strumenti come lo strozzo, il collare elettrico che hanno effetti decisamente negativi.

  6. La mia rossa -per certi tipi di esercizi, vedi es tenuta e/o riporto- lavora meglio in shopping+clicker che con -ad es nuovamente- l’immagine mentale

    Proprio in queste settimane le stiamo insegnando a raccogliere degli anelli e a infilarli in un supporto e per un cane con uno ‘spirito di iniziativa’ come lei l’utilizzo dello shopping e’ fenomenale … Allo stesso modo abbinando il clicker al target , le zone in agility, perché riesce a cogliere (sapendo cosa cliccare) la posizione giusta.

    Comunque il segreto, come dicono quelli che c’hanno il manico (non come il sottoscritto), la soluzione e’ applicare il metodo giusto all’esercizio giusto con il cane giusto

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