martedì 18 Febbraio 2025

Genetica: l’inbreeding

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Per capire i vantaggi e i limiti della consanguineità stretta la cosa migliore è dare un’occhiata all’origine delle razze canine.
Alcune sono antichissime: addirittura 2000 anni avanti Cristo.
Nella storia di ogni razza antica ci sono riferimenti a bassorilievi, raffigurazioni, dipinti che risalgono a più di mille anni fa.
Si citano i fenici, gli egizi, il medioevo e non mancano mai ritrovamenti archeologici che testimoniano come l’esistenza di alcune razze sia vecchia quasi quanto l’uomo.
In realtà, l’attribuzione di queste prove a determinate razze è fatta con metodi che non si confanno alla definizione moderna di “razza”. Quando si definiscono i cani del passato come appartenenti a una determinata razza lo si fa solo in base alla loro somiglianza con cani tuttora esistenti. Al giorno d’oggi però, nella maggior parte dei casi, la seppur buona corrispondenza con uno standard registrato non è più un elemento sufficiente per convalidare l’appartenenza di un cane a una razza.
Oggi l’elemento determinante che stabilisce senza ombra di dubbio se un cane è di razza oppure no è il possesso del pedigree, ovvero un documento rilasciato da un ente riconosciuto che prova l’appartenenza alla razza di tutti gli antenati per un certo numero di generazioni.
La vera età delle razze definite con i criteri di oggi corrisponde quindi al momento in cui sono stati stesi gli standard e si sono aperti i libri genealogici. Indicativamente ciò è avvenuto alla tra la fine dell’ottocento e l’inizio del secolo scorso pressoché per tutte le razze (anche per le più antiche).
La storia di ogni razza, perciò, salvo poche eccezioni, si riconduce a un numero piuttosto limitato di capostipiti, valutati, misurati e approvati da esperti giudici al momento della stesura dello standard.
Nel caso di razze particolarmente diffuse nei paesi occidentali con un certo peso nell’ambito della federazione citologica internazionale, i riproduttori di partenza potevano essere un numero rilevante (che comunque va rapportato alla crescita della razza negli anni seguenti).
Il pastore maremmano abruzzese (per fare un esempio) era un cane diffuso nell’ambiente della pastorizia che aveva sviluppato una buona omogeneità grazie all’isolamento geografico e alla selezione con criteri di lavoro. Non è stato difficile radunare un numero abbastanza consistente di animali a cui assegnare il certificato d’origine.
Ma in molti altri casi la base di partenza fu di pochissimi esemplari, o addirittura una sola coppia di cani. Si pensi per esempio ai cani di origini asiatiche e africane portati dai mercanti e riconosciuti in Europa.
Ci sono linee di sangue che traggono origine da una sola coppia oggetto di scambio tra nobili e regnanti di antichi stati.
In tempi non così lontani, quando in assenza dei moderni mezzi di locomozione spostarsi da uno stato all’altro non era così semplice, recarsi in un’altra città per reperire una monta o cercare un nuovo riproduttore non era cosa da poco nemmeno per le classi più abbienti.
Figurarsi se si era disposti a cambiare continente!
In altri casi siamo di fronte a razze “inventate” di sana pianta da qualche pazzo o da qualche genio che con pazienza e spendendo molto denaro si dedicò alla fissazione dei caratteri morfologici e caratteriali che riteneva più efficaci, o più spesso a mantenere quelli posseduti dai primi riproduttori utilizzati.
E il metodo più veloce e intuitivo per fissare i caratteri posseduti da un esemplare prototipo è appunto quello di lavorare in strettissima consanguineità: padre per figlia, madre per figlio, fratello per sorella.
Ripetutamente.
In poche generazioni, qualsiasi sia la base di partenza, è già possibile ottenere un’omogeneità che può dirsi propria di una razza.
Ovviamente non si può dire che basti accoppiare un fratello e una sorella *a caso* per creare le basi di una razza.
Occorre fare una rigorosa selezione, scegliendo i riproduttori che presentano le caratteristiche desiderate e che hanno un alto grado di omogeneità tra loro. Ma i cani, si sa, specialmente se di grossa taglia, sono piuttosto prolifici. E all’interno di una cucciolata di sette/dieci cuccioli, è possibile selezionarne uno o due in possesso delle caratteristiche volute.
Lo stesso si farà con la cucciolata successiva, e lo stesso con la seguente.
Ripetendo la cosa per alcune generazioni, è possibile selezionare un certo gruppetto di cani con caratteristiche comuni.
La maggior parte delle razze sono nate in questo modo.
I testi di genetica canina del secolo scorso dedicano perciò molto spazio a giustificare questo tipo di accoppiamento, anche per rassicurare gli allevatori cresciuti in una cultura in cui l’incesto era considerato un tabù a cui si associavano le conseguenze più negative e terribili.
Al giorno d’oggi, al contrario, quando ormai la maggior parte delle razze esistenti conta centinaia di iscrizioni ogni anno e quando la necessità di creare nuove razze è sempre meno sentita, si sta facendo un po’ marcia indietro.
Per i genetisti americani in particolare, “diversità genetica” è la nuova parola d’ordine per allevamento di qualità che mette al centro della propria attenzione la salute dei cani.
La verità, come spesso accade, sta nel mezzo.
La consanguineità in realtà è solamente un’arma a doppio taglio. Non crea patologie, né trasforma meticci in cani di razza, ma si limita a fare emergere in poco tempo tutto ciò che c’è nel patrimonio genetico. Permette cioè di portare allo stato di omozigosi geni recessivi che potrebbero restare allo stato latente per generazioni e generazioni.
Al momento della creazione di una razza, l’accoppiamento in strettissima consanguineità facilita la selezione perché permette di far emergere tutte le caratteristiche che un soggetto trasmette (positive e negative) e di selezionare i cuccioli che si presentano uguali ai
genitori. Ovviamente il metodo funziona se i riproduttori di partenza sono particolarmente validi ed esenti da patologie gravi. Le caratteristiche negative vengono comunque evidenziate subito e di conseguenza bloccate sul nascere, scartando dalla riproduzione i soggetti che le presentano e valutando con attenzione i fratelli possibili portatori.
Per fare un esempio prendiamo il solito patrimonio genetico ipersemplificato composto di quattro soli geni. Ipotizziamo di accoppiare un capostipite prototipo (Ambra) con un soggetto morfologicamente molto simile (Asso) con l’obiettivo di perpetuarne la morfologia e
le doti caratteriali.
I due patrimoni genetici iniziali, potrebbero essere:


Già alla prima generazione saranno esclusi dalla riproduzione tutti quei soggetti che presentano caratteristiche diverse da quelle dei genitori. Ovvero tutti gli “aa”, indipendentemente dalle combinazioni di altri geni.
I cuccioli simili ai genitori saranno quindi i maschi Bell, Benny e Bill e le femmine Bora e Brenda.
Non sapendo il genotipo effettivo dei cuccioli, ovviamente dovremmo affidarci all’intuito.
Potremmo accoppiare Bell con la madre, e due coppie di fratelli tra loro.

Il solo soggetto da scartare sarà la femmina Cicci.
Dai due fratelli Benny e Bora, potremmo invece ottenere:

In questo caso i soggetti che presentano caratteristiche indesiderate, sono due: la femmina Emma e la femmina Era.
Ma… attenzione. Il carattere indesiderato è un carattere diverso dai precedenti, portato dal gene d.
L’accoppiamento in consanguineità ha permesso di evidenziare subito questo gene recessivo che, se fosse stato molto raro, avrebbe potuto essere portato allo stato latente per diverse generazioni.
A questo punto si possono prendere diverse decisioni:

1) eliminare dalla riproduzione anche Bill e Brenda, sicuri portatori di d;
2) tenere le linee di sangue rigorosamente separate, per non immettere il carattere d nel patrimonio genetico dei discendenti di Bell
e Benny.
3) Accoppiare Bill con Bora e Ambra, e Brenda con Bell o Benny per scoprire subito se pure Bora, Ambra, Bell e Benny sono portatori di d.

Non riporto le generazioni successive, per non annoiare troppo e perché le scelte di accoppiamento (come ho appena fatto notare) possono essere molteplici.
Invito però gli appassionati a provare per conto proprio a fare qualche simulazione.
I patrimoni genetici si ottengono in modo casuale, con un banale sistema “testa o croce”, ovviamente riferendosi sempre ai geni presenti nel patrimonio genetico dei genitori .
Si potrà notare che, selezionando i fenotipi corretti, con il passare delle generazioni, aumenteranno anche gli esemplari dal genotipo perfetto.
Ma si potrà notare allo stesso modo che gli esemplari con caratteristiche indesiderate non mancheranno.
La consanguineità è infatti un ottimo metodo per fare selezione veloce, ma non si può certo dire che crei omogeneità.
Al contrario: portando alla luce tutti i possibili geni recessivi in poco tempo, tendenzialmente porta alla luce cucciolate molto disomogenee e con molti “scarti”. Ma anche con molti soggetti di pregio, da selezionare e portare avanti.

Uno dei lati più negativi dell’inbreeding è dato dal fatto che i caratteri recessivi che necessariamente affiorano, non ci sono solamente colori sbagliati, portamento atipico della coda, o combinazioni caratteriali che si addicono a cani da compagnia anziché da caccia o viceversa. A volte affiorano malattie, malformazioni, temperamenti instabili e patologie molto rare che per la loro bassissima diffusione avrebbero pochissime probabilità di manifestarsi a seguito di accoppiamenti con cani non imparentati.
Quando viene meno l’obiettivo di creare la razza, l’accoppiamento in stretta consanguineità infatti di solito cessa di essere praticato.
Man mano che il numero dei riproduttori aumenta, è abitudine diffusa allontanarsi dall’eccessiva consanguineità andando via via a cercare accoppiamenti tra parenti sempre più lontani.
Già alla seconda generazione, per esempio, si possono accoppiare i cugini. Non importa se figli di fratello e sorella. Se la provenienza è di genitori diversi, per calcolare il grado di consanguineità bisogna comunque risalire all’antenato comune, poiché ogni generazione il patrimonio genetico in un certo senso si rinnova.
In poche generazioni abbiamo perciò la possibilità di allontanarci dalla consanguineità stretta.
Si supponga, per esempio di insistere nell’accoppiamento fratello
per sorella per diverse generazioni:

1) Asso x Ambra = Benny, Bill, Bora e Brenda
2) Benny x Bora = Dado, Dolly
3) Bill x Brenda = Eber, Elga
4) Dado x Dolly = Fester, Fiona
5) Eber x Elga = Gandal, Giada
6) Fester x Fiona = Helmut, Hina
7) Gandal x Giada = Ice, Ida


Se ora si accoppiassero  Helmut e Ida, sarebbe un accoppiamento in stretta consanguineità?
Non proprio: sono ben otto i passaggi di generazione che dividono Helmut e Ida dai progenitori comuni Asso e Ambra.
Considerando tutte le ripetizioni (16 volte Asso + 16 volte Ambra = 32), si ottiene un coefficiente di consanguineità
pari a: 0,58 x 32 = 0,125
Ovvero un coefficiente non bassissimo, ma ben minore di quello che esiste tra fratello e sorella. Questo perché le linee di sangue Bill/Brenda e Benny/Bora sono state tenute rigorosamente separate e i corredi genetici hanno preso ciascuno la propria strada.
Nella prima linea vi è una possibile presenza del gene “d” e nella seconda una possibile presenza del gene “a”.
Considerando che stiamo parlando di solo quattro coppie di geni, possiamo dire che la differenza genetica è notevole.
Col passare delle generazioni, è possibile avere coefficienti di consanguineità ancora minori, tant’è che nei pedigree dei migliori rappresentanti della maggior parte delle razze, solitamente, non troviamo parenti comuni se non in terza/quarta generazione anche quando le origini antichissime ricondurrebbero a una sola coppia.
Un altro sistema per abbandonare la consanguineità è l’introduzione di accoppiamenti con razze diverse al fine di ottenere particolari
caratteristiche migliorate (es. taglia, pelo, particolari della testa, ecc.) in soggetti da iscrivere di nuovo come capostipiti.
Queste operazioni sono avvenute agli albori del riconoscimento, ad opera dei primi allevatori e creatori delle razze interessate.
Oggi però quasi tutti i libri genealogici sono chiusi e nella maggior parte dei casi non è possibile registrare cani come capostipiti.
Questo preclude ogni rinsanguamento con razze diverse.
Ma perché tutta questa smania di fuggire dalla consanguineità, se questa nei testi del secolo scorso era univocamente considerata un metodo valido che non produce patologie, ma perpetua i pregi?
Da un lato ripeto quanto già affermato in precedenza: la consanguineità fa comodo quando si deve creare una razza dal nulla e si è disposti a una selezione drastica pur di fissare i caratteri che interessano. Una volta fissati i caratteri principali, però, l’eccessiva consanguineità inizia a dare fastidio, in quanto continua comunque a generare un alto numero di “scarti”. La consanguineità continua a permettere di affiorare a tutti i geni recessivi, anche i più rari, e si deve pensare a una realtà molto più complessa dell’esempio scolastico di quattro geni di cui sopra. In realtà i geni disposti sulle trentanove coppie di cromosomi in possesso dei cani sono centinaia e centinaia.
E’ quasi utopistico, in qualsiasi razza, pensare a un soggetto con totale omozigosi per ognuno di essi. Una volta raggiunta una buona corrispondenza allo standard morfologico e caratteriale, insistere in consanguineità significa solamente andare a ricercare tutto ciò che c’è di sbagliato, quando ormai l’obiettivo principale della selezione non è più l’eliminazione dal genotipo delle caratteristiche indesiderate,
ma la riproduzione del maggior numero possibile di soggetti fenotipicamente corretti.
La seconda ragione sta però nel fatto che le accuse del passato, che vedevano nella consanguineità l’origine di tutte le malattie, non sono completamente infondate: è possibile verificare come i cani caratterizzati da un elevato livello di consanguineità siano spesso meno longevi, meno fertili e più cagionevoli di salute, a causa di un effettivo impoverimento genetico.
I testi più moderni, corredati da molte statistiche provenienti dalle maggiori università statunitensi, vanno quindi un po’ in controtendenza rispetto a quanto affermato in passato.
Come ho già affermato in precedenza, a mio avviso la verità sta ancora una volta nel mezzo. Se da un lato qualche “doppione” nel pedigree non è affatto sinonimo di cane a rischio di patologie, dall’altro non è più il caso di insistere con accoppiamenti in consanguineità quando non esistano reali motivi per farlo. E soprattutto occorre ricordarsi che la consanguineità non è il solo fattore da considerare. Ancora oggi, sia tra i favorevoli agli accoppiamenti consanguinei che tra quelli che li rifuggono, mi capita di sentire persone che pianificano accoppiamenti a tavolino confrontando unicamente i pedigree e perdendo di vista le reali caratteristiche del cane. Se si decide di accoppiare o non accoppiare per un determinato parente, si dovrebbe comunque avere un obiettivo morfologico e/o caratteriale che si vorrebbe ritrovare nei cuccioli. Non ha senso predisporre un accoppiamento solo perché si pensa che i riproduttori abbiano il grado di parentela “giusto”.

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10 Commenti

  1. Ho trovato questo articolo molto interessante ed é spiegato molto bene. Ho una domanda sui lati negativi dell’inbreeding, la quale c’é scritto che possono affiorare malattie, malformazioni, ecc… E’ possibile che possono nascere anche sordi? Ho un pastore svizzero, sordo, e due altre sue sorelle sono nella medesima situazione… ed anche l’allevatore é sordo poiché nega il tutto… ma lasciamo perdere…comunque so per certo che i genitori sono fratello e sorella. Questo può portare a una depimentazione parziale o quasi totale della melanina? So che questo accade spesso nei manti Merle e soprattutto quella totale nei doppi Merle e i pastori svizzerei non hanno il manto merle…. O é possibile che la coppia sia geneticamente non compatibile?

  2. errata corrige
    nel primo esempio il cane Bell nato da Asso e Ambra ha un patrimonio genetico diverso da come poi riportato negli esempi successivi (DD invece di Dd)
    ho visto bene ?

    • quante chiacchiere madonna bastavano 3 righe:
      Pratica comune in zootecnia e in agricoltura, consistente in incroci ripetuti tra animali o piante appartenenti allo stesso ceppo (consanguinei), al fine di ottenere una discendenza il più possibile omogenea, e una sicura trasmissione di determinati caratteri.

  3. aiutoooooooooooooooooo mi sono distratta un attimo e la mia lizzie si e accopiata con il figlio nn so che fare o paura che nascono male
    chi puoi dirmi qualcosa su questa mi storia

  4. uhm..nessuno scrive mai che la variabilità genetica è fondamentale per il corretto sviluppo del sistema immunitario e che l’inbreeding o il line breeding riducono la difese immunitarie di una razza/specie..
    Per non parlare del fatto che i cosidetti “scarti” non sono avanzi di frutta e verdura ma esseri viventi portatori di gravi difetti genetici che a) avranno un vita infelice b) moriranno in utero facendo rischiare la madre d)potrebbero morire poco dopo…
    bah…tutto questo per fissare cosa?
    c’è un fior fiore di articoli scientifici a riguardo, da quando è stato sequenziato il genoma canino..il patrimonio genetico delle razze canine ha una diversità genetica media all’interno della razza che è 100 volte inferiore a quella fra 2 esseri umani, questo non è bene!

    • si ha ragione silvia…..infatti si rischia di far nascere cani con tre zampe due code quattro occhi e due sederi…..ma per favore !!!!!!!!!!!addiritura moriranno ……….fatti curare che ne hai bisogno………..ignoranza una brutta bestia…..((

  5. In pratica un allevatore se scegli di accoppiare in inbreeding e lo vuole fare per un certo numero di volte , è necessario che questo tramite l’esame del dna abbia il reale patrimonio genetico?
    oppure in ogni caso si basa sulla scelta delle coppie in base al suo intuito ?

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