di VALERIA ROSSI – E’ proprio vero che gli articoli sono come le ciliege: uno tira l’altro.
Qualche giorno fa ho parlato delle motivazioni, ed ecco che arriva qualcuno a puntualizzare: “No, ma quella predatoria non è una motivazione: è una pulsione!”.
Posso dire “ci avrei giurato?”.
Be’, ci avrei giurato.
Così come potrei giurare che, se parlassi di “pulsione predatoria”, arriverebbe qualcuno a dire “ma va laaaa’, pulsione! Quello è un istinto!”. Oppure “ancora stiamo a parlare di pulsioni? Nahhhh! Sono motivazioni!” (ma se giurassi su questo barerei, perché è già successo).
Proviamo allora a fare un po’ di chiarezza sui termini, anche se alla fin fine, quando in cinofilia ci si butta sull’accademia, si finisce sempre a parlare un po’ di aria fritta… perché è evidente che poco cambia a seconda che siano una pulsione, una motivazione o San Gennaro a far scattare il cane dietro al gatto: il fatto più importante è che il cane parta dietro al gatto.
La chiarezza sui termini potrebbe aiutarci, però, a capire se è possibile (e magari anche “come” è possibile) intervenire per far sì che Fufi non faccia fuori il gatto della vicina.
“Potrebbe” al condizionale, però… perché in effetti tutta ‘sta chiarezza sui termini, leggendo le varie fonti, mica si trova.
Premesso che quanto scriverò qui di seguito potrebbe essere smentito da altri… io ho cercato di mettere insieme quelle che ritenevo le fonti più serie in materia di psicologia (umana: perché non so se ve l’ho già detto, ma la psicologia canina come tale non esiste. Si mutuano semplicemente gli studi umani e li si appioppano al cane come se fossimo identici, pur sapendo benissimo che identici non siamo) e penso di potervi offrire, con un buon margine di attendibilità, le seguenti definizioni (in ordine alfabetico):
BISOGNO – E’ la “mancanza di qualcosa”. Poi ci sono “categorie” diverse : se quel “qualcosa” serve alla sopravvivenza di parla di bisogno primario, se serve a migliorare il benessere di bisogno secondario e se investe la sfera dell’autostima e dell’autorealizzazione di bisogno terziario.
Osservazione del tutto personale: sono abbastanza convinta che anche nel cane esistano bisogni terziari, ma non è certamente facile tradurli in termini che noi umani possiamo comprendere/condividere. Quindi quasi sempre, in cinofilia, si parla di bisogni primari e secondari, tralasciando i terziari.
Nel 1954 Abraham Maslow pubblicò la sua celeberrima “piramide dei bisogni” (immediatamente criticata – e quando mai!) nella quale i bisogni erano strutturati secondo una sorta di “scala gerarchica” nella quale il passaggio allo stato superiore poteva avvenire solo dopo la soddisfazione dei bisogni di grado inferiore.
Per Maslow, tra l’altro, bisogni e motivazioni erano sinonimi, mentre oggi si ritiene che il bisogno non sia necessariamente seguito dalla spinta ad agire (e cioè dalla motivazione).
ISTINTO – è un comportamento ereditato e caratteristico della specie, attuato in particolari condizioni ambientali.
A me piace molto questa definizione dell’istinto, anche se è del 1890 (James): “facoltà di agire in modo da produrre certi effetti finali senza aver preveduto e senza previa educazione ad agire in quel modo”.
In pratica l’istinto ha molti punti in comune con il riflesso (v.), solo che ci rendiamo conto di provarlo e che ha una componente emotiva: uno stimolo suscita un’emozione che sostiene e guida l’azione.
Quello materno, quello esplorativo, quello di fuga ecc. sono sempre stati definiti tutti “istinti”: oggi il primo viene ancora chiamato “istinto materno”, mentre gli altri due vengono fatti rientrare tra le “motivazioni”.
Si può dominare e controllare un istinto?
In linea di massima sì (anche se può risultare molto difficile): in alcuni casi assolutamente no (proprio l’istinto materno rientra tra quelli non modificabili né dominabili).
Forse proprio solo quelli difficilmente – o per nulla – controllabili dovrebbero essere ancora definiti “istinti”, mentre gli altri possono rientrare tra pulsioni e motivazioni.
Interessante questa frase: “molto di quello che oggi costituisce l’oggetto di ricerca della psicologia della motivazione, fino ai primi anni del 1900 era oggetto di studi sugli istinti“.
Da questo si può capire chiaramente quanto ci si muova sul filo del rasoio accademico, a volte trascurando clamorosamente gli effetti pratici per perdersi nei mendri lessicali.
MOTIVAZIONE – In parole più semplici possibili, è ciò che spinge a mettersi in moto per il raggiungimento di uno scopo (il termine deriva proprio dal latino motus: movimento, azione).
Alla base ci sono le stesse spinte che caratterizzano istinti e pulsioni, che però possono anche non essere seguiti dall’azione: la motivazione invece porta sempre all’azione.
PULSIONE – è un meccanismo psicologico, solitamente basato su un bisogno (v.), che causa uno stato di eccitazione interiore. Il soggetto tende allo scarico di questa tensione per ritrovare lo stato di quiete.
Mi è piaciuta questa definizione: “un ammontare di energia verso una data direzione”.
Non sempre le pulsioni hanno origine da uno stato di carenza, ma nella stragrande maggioranza dei casi sì.
Un tempo, in cinofilia, le pulsioni venivano definite “drive”: oggi il termine è quasi completamente caduto in disuso.
RIFLESSO – E’ un meccanismo innato, automatico e totalmente involontario, teso a riportare automaticamente l’organismo ad uno stato di equilibrio.
L’esempio più classico è quello dello sbattimento delle palpebre, un meccanismo di difesa dagli agenti novici esterni che mettiamo in atto senza rendercene conto. Alcuni riflessi sono controllabili, ma solo parzialmente (se decidiamo intenzionalmente di non sbattere le palpebre, per un po’ ci riusciamo… ma alla fine dobbiamo cedere per forza); altri non sono assolutamente controllabili, per esempio la sudorazione o la salivazione (Pavlov docet).
Concludendo, si può sostenere che il bisogno produce una pulsione, cioè uno stato di “tensione interna” che può evolversi in direzioni diverse: può essere controllato e sopito (almeno momentaneamente) oppure portare alla motivazione ad agire per soddisfare il bisogno, ridurre la pulsione e riportare l’organismo in equilibrio (omeostasi).
Per esempio: un cane affamato sente il bisogno di cibo; questo crea la pulsione alla fame che motiva il cane ad agire mettendosi alla ricerca di cibo (comportamento finale).
In altre parole ancora: il bisogno è uno stato fisiologico di carenza/necessità, la pulsione è il corrispettivo psicologico di questo stato (che si esprime con disagio e tensione), la motivazione è la predisposizione ad agire per soddisfare questo bisogno.
Cosa interessa, di tutto questo, a noi cinofili?
Intanto, come dicevo sopra, ci interessa sapere che cos’è controllabile e cosa no. Sarebbe stupido, oltre che profondamente ingiusto, punire un cane per qualcosa che lui non può controllare: eppure gli esempi non mancano. Cani molto nevrili, come i malinois, spesso manifestano un tremore diffuso nei posteriori quando sono eccitati (magari dall’aspettativa degli attacchi): purtroppo ho visto conduttori sgridare o addirittura picchiare il cane “perché doveva smetterla di tremare”, quando questo tremore è un riflesso, quindi assolutamente involontario: il cane non sa neppure che sta tremando, quindi qualsiasi punizione non può essere compresa e non può portare ad alcun risultato.
Altre cose che ci interessa sapere: un bisogno soddisfatto cessa di essere motivante, e un bisogno non diventa motivante finché non sono soddisfatti i bisogni di livello inferiore (vedi piramide di Maslow).
Insomma, il cibo non sarà mai troppo motivante per un cane con la pancia piena, mentre la pallina sarà ben poco motivante per un cane affamato.
Infine, ricordiamo l’importanza della progressione della soddisfazione: il bisogno di livello più basso viene attivato dalla deprivazione, ma la sua soddisfazione procura una gratificazione che attiva bisogni di livello superiore.
Questo meccanismo sta alla base delle aspettative umane nei confronti del cane: sempre semplificando molto, il fatto che il nostro cane abbia saltato un ostacolo, gratificandoci, ci porta a chiedergli di saltarne due o tre; questa seconda gratificazione ci fa pensare che possa fare un intero percorso di agility… e il fatto che l’abbia terminato in quaranta secondi attiva il bisogno di farglielo fare in trentacinque… e così via.
L’importante sarebbe rendersi conto:
b) che la progressione sistematica della nostra soddisfazione potrebbe non soltanto non coincidere, ma andare in direzione opposta rispetto a quella del cane, al quale chiediamo sempre di più mentre lui vorrebbe fare sempre meno (e ho fatto l’esempio dell’agility, ma la cosa vale ovviamente per qualsiasi attività).
La spinta che muove molti cinofili è quella ad ottenere il massimo che il cane può dare: mentre dovrebbe diventare una spinta ad ottenere il massimo che il cane vuole dare, perché le sue motivazioni coincidono con le nostre, anche se per strade diverse.
Noi saremo motivati dalla coppa, lui dalla pallina: questo va benissimo. NON va affatto bene, invece, che noi siamo motivati dalla coppa e che al cane non freghi più nulla della pallina, ma che continui a lavorare solo “per farci un favore” (o peggio ancora, perché è costretto a farlo).
In questo modo, prima o poi, i cani si “bruciano” e un lungo lavoro di preparazione finisce per esaurirsi, magari, in un anno di vittorie seguito dal nulla assoluto.
ecco, questo è uno di quegli articoli da mettere nei preferiti e da rileggere nel tempo e rifletterci sopra. Grazie
Qual’è la differenza tra un cane da pastore che si trova di fronte ad un gregge,dove gli parte il predatorio ma è collaborativo e non sconnesso ,pronto a rispondere ad un terra ,rispetto allo stesso cane che punta il gatto ed è sconnesso mentalmente
scusami Valeria ma appena vista la piramide dei bisogni mi è tornata in mente questa:
Un professore di filosofia era in piedi davanti alla sua classe, prima della lezione, ed aveva davanti a se’ alcuni oggetti. Quando la lezione cominciò, senza proferire parola, il professore prese un grosso vaso per la maionese, vuoto, e lo riempì con delle rocce di 5/6 cm di diametro. Quindi egli chiese agli studenti se il vaso fosse pieno, ed essi annuirono. Allora il professore prese una scatola di sassolini, e li versò nel vaso di maionese, scuotendolo appena. I sassolini, ovviamente, rotolarono negli spazi vuoti fra le rocce. Il professore quindi chiese ancora se il vaso ora fosse pieno, ed essi furono d’accordo. Gli studenti cominciarono a ridere, quando il professore prese una scatola di sabbia e la versò nel vaso. La sabbia riempì ogni spazio vuoto. “Ora”, disse il professore, “voglio che voi riconosciate che questa è la vostra vita. Le rocce sono le cose importanti – la famiglia, il partner, la salute, i figli – anche se ogni altra cosa dovesse mancare, e solo queste rimanere, la vostra vita sarebbe comunque piena. I sassolini sono le altre cose che contano, come il lavoro, la casa, l’auto. La sabbia rappresenta qualsiasi altra cosa, le piccole cose. Se voi riempite il vaso prima con la sabbia, non ci sarà più spazio per rocce e sassolini. Lo stesso è per la vostra vita; se voi spendete tutto il vostro tempo ed energie per le piccole cose, non avrete mai spazio per le cose veramente importanti. Stabilite le vostre priorità, il resto è solo sabbia!”. Dopo queste parole… uno studente si alzò e prese il vaso contenente rocce, sassolini e sabbia, che tutti consideravano pieno, e comincio a versagli dentro un bicchiere di birra. Ovviamente la birra si infilò nei rimanenti spazi vuoti, e riempì veramente il vaso fino all’orlo. La morale di questa storia è: Non importa quanto piena è la vostra vita, c’è sempre spazio per una BIRRA!!!
Carina!!! 🙂
Come si chiamava il professore? Era mica di torino?
è una storiella che gira su internet…
Si, l’avevo sentita o letta anch’io tempo fa, ma con una morale finale diversa, non riesco a ricordare però! Bella e profonda, grazie di averla ricordata.