di NICOLETTA CONTE – Nel primo articolo di questa rubrica abbiamo parlato un po’ di storia della disciplina, ma prima di addentrarci nel vasto mondo dell’addestramento alla cerca del tartufo, occorre sapere cosa andiamo a cercare, ovvero cos’è un Tartufo.
Cominciamo quindi con una bella carrellata di ‘secchionaggini’ scientifico/ecologiche riguardo al nostro amatissimo tartufo.
Cos’è un tartufo? Il tartufo è un fungo, in particolare quasi tutte le specie commestibili sono funghi appartenenti al genere Tuber.
Ecco il primo elemento sul quale ragionare con attenzione: il nome del genere può facilmente trarre in inganno, il tartufo non è un tubero (come le patate per intenderci), ma un fungo vero e proprio. Un caratteristica del fungo-tartufo è la sua natura di organismo ipogeo (vive nel sottosuolo) e simbionte, ossia vive in associazione con le radici delle piante superiori; tale simbiosi è detta mutualistica in quanto fornisce evidenti vantaggi ad ambedue gli organismi.
Il corpo vero e proprio di questo fungo è costituito dal micelio, un insieme di filamenti uniti tra loro detti ife; il tartufo come lo conosciamo noi, quello che mangiamo, costituisce il corpo fruttifero, il carpoforo, del fungo.
Ora che abbiamo capito cos’è un tartufo, andiamo a scoprire qual è il suo collegamento con le piante superiori e perché è importante conoscerle per andare in cerca di tartufi. Come anticipato, il tartufo è un fungo simbionte, ma come avviene questa simbiosi?
Questa unione di reciproco vantaggio nel tartufo avviene attraverso le Micorrize, al livello radicale e microscopico, un’associazione vera e propria tra le ife fungine e la radichetta della pianta in questione. Questi due elementi sono fusi insieme al livello cellulare in modo da permettere uno scambio di sostanze nutrive dal fungo alla pianta e dalla pianta al fungo.
Abbiamo detto che il tartufo raccolto è detto carpoforo, cioè corpo fruttifero, è importante sapere come sia formato poiché determinante per il riconoscimento delle varie spiecie.
Il carpoforo presenta una scorza esterna, detta peridio, di dimensioni e forma variabile, sia rugusa che liscia; e un parte interna detta gleba.
Nell’interno della gleba sono presenti delle venature di differente colorazione: quelle chiare sono sterili (ovvero non produrrano spore), mentre quelle scure sono fertili, cioè daranno origine alle spore, essenziali per la riproduzione, queste ultime sono contenute in strutture a forma di sacchetto, dette aschi.
Queste caratteristiche sono elementi diagnostici essenziali nella determinazione del tartufo ritrovato, alcuni elementi sono visibili solo al microscopio.
Ma come avviene la riproduzione del tartufo, o meglio, come si diffonde? Come nascono le tartufaie?
Il consumo del carpoforo da parte di animali selvatici permette la diffusione delle spore, infatti l’attraversamento del tratto digerente induce la germinazione. Dalla germinazione della spora si forma un’ifa che per accrescimento genera il micelio primario; dall’incontro di due miceli di questo tipo, si forma il micelio secondario in grado di stabilire la simbiosi micorrizica quando viene a contatto con i peli radicali della pianta simbionte.
Il fungo, attraverso le ife del micelio, avvolge il pelo radicale destinato all’assorbimento delle sostanze nutritive e forma con esso la famosa micorriza. Ragionando un secondo su queste ultime righe possiamo comprendere come in molte regioni la raccolta del tartufo sia vietata di notte. La maggior parte degli animali che nella loro dieta mangiano il tartufo sono crepuscolari o notturni, la presenza di cercatori li disturberebbe, e questo alla lunga potrebbe compromettere la diffusione del prezioso tubero… ops, fungo.
L’habitat del tartufo è molto vario e ogni specie predilige un tipo di habitat differente.
Lo sviluppo e la presenza del tartufo dipendono da molte variabili, come il terreno o il clima. In generale possiamo dire che la maggioranza delle specie di tartufo ama terreni ricchi di carbonato di calcio e mediamente alcalini, suoli non troppo profondi e poco sensibili alla siccità con elevata permeabilità.
Ci sono numerose specie di tartufo e ognuno ha il suo gruppo di piante simbionti.
Vediamo ora di elencare le più comuni dando qualche cenno dell’ecologia di ognuna.
Tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum pico): si ritrova da aree di pianura fino a un’altitudine di 1000 m. s.l.m. su terreni tendenzialmente argillosi .Le tipiche aree di produzione sono localizzate nei fondovalle, o presso corsi d’acqua dove il terreno è profondo e fresco, permeabile ma non soggetto a siccità. Il tartufo bianco pregiato è in simbiosi con: tiglio, nocciolo (nelle zone di pianura); roverella, cerro e carpino nero
(nelle zone collinari);salici e pioppi (nei fondovalle e lungo i fossati).
Tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum): anche questa specie di tartufo predilige terreni caratterizzati dalla presenza di rocce di tipo calcareo che forniscono al tartufo l’apporto di calcio necessario al suo sviluppo. La distribuzione delle piogge durante l’anno dovrebbe essere piuttosto regolare anche nei mesi estivi. Caratteristica di questo tartufo è la formazione attorno alle piante simbionti del “pianello” o
“bruciata”, ovvero di un’area approssimativamente circolare, attorno alla loro base, priva o quasi di vegetazione a causa di sostanze tossiche per la vegetazione, prodotte dal micelio. Le piante che normalmente sono in simbiosi col tartufo nero pregiato sono la roverella, il leccio, il cerro, il carpino nero, il nocciolo, la farnia, la rovere, i tigli.
Tartufo nero estivo, scorzone (Tuber aestivum): riesce a vivere anche in terreni molto superficiali, addirittura pietrosi. Le precipitazioni nel periodo primaverile sono molto importanti. Le piante che normalmente sono in simbiosi col tartufo nero estivo sono la farnia, la rovere, il faggio, il carpino bianco, il nocciolo, ma anche la roverella, il leccio, il carpino nero e il pino nero. Anche questo tartufo produce i caratteristici “pianelli”. (uno scorzone è visibile nella prima foto di questo articolo, ndR)
Tartufo uncinato, scorzone invernale (Tuber uncinatum): molto sensibile alla siccità estiva, trae beneficio da luoghi meno assolati dove l’umidità si conserva meglio, come versanti esposti a nord. Sono tipiche zone di produzione gli areali delle faggete o delle pinete ad alta quota fino ad oltre 1500 m s.l.m
Tartufo nero ordinario o di Bagnoli (Tuber mesentericum): è un tartufo poco pregiato dall’odore abbastanza sgradevole, salvo alcuni luogi di maturazione come l’irpinia, dove la particolare composizione del suolo permettere lo sviluppo di un odore e sapore molto gradevole, in queste zone prende il nome di tartufo di bagnoli. La più importante specie simbionte è il faggio, ma può trovarsi anche con roverella, cerro, carpino nero.
Tartufo bianchetto o marzuolo (Tuber albidum): rispetto alle altre specie, risulta più adattabile e riesce a vivere anche in ambienti difficili come le zone costiere (frequente nelle pinete litoranee in simbiosi con i pini) e gli ambienti collinari più interni. E’ più frequentemente in simbiosi con i pini ma può trovarsi anche con rovere, roverella, cerro.
Concludo qui i miei sproloqui scientifici, spero di avervi raccontato qualcosa di nuovo e vi prometto che dal prossimo articolo solo cani e… tartufi!!!
grazie per queste informazioni. Una domanda – visto anche il business che ci ruota intorno- la tartufaia si può “creare artificialmente” con l’intervento umano oppure è sempre a crescita spontanea? e poi, ci sono tecniche e attenzioni particolari, immagino, per il mantenimento in vita della tartufaia quandosi raccoglie il singolo tartufo.Ce ne parlerai nei prossimi articoli?