venerdì 12 Settembre 2025

Dossier: da lupo a cane – parte prima

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Ho ripescato un altro vecchio numero di “Ti presento il cane cartaceo”: questo era del 2005. Ci ho trovato dentro un dossier che ritengo possa essere ancora valido e interessante, e che quindi vi ripropongo (in due parti, perché era veramente un dossierONE di 16 pagine).
Non ho modificato nulla nel testo ed ho anche mantenuto, nei limiti del possibile, l’impaginazione originaria, perché mi sembrava giusto presentarlo come documento inserito nel suo tempo: quindi è probabile che qualche passaggio suoni “datato”. Sappiate che lo è davvero, ma che la cosa è voluta.
Non sono invece datate  le evidenze scientifiche, che allo stato attuale non mi risulta abbiano subito alcuna modifica o innovazione rispetto a quelle citate nel testo.

INTRODUZIONE
di Valeria Rossi

Perché un dossier che parla di lupi, su una rivista cinofila?
Intanto perché riteniamo che ogni vero cinofilo dovrebbe essere anche un po’…”lupofilo”: il cane non sarebbe mai esistito se non ci fosse stato il lupo, quindi ci sembra doveroso un piccolo omaggio al “papà” di tutti i nostri pelosi.
Poi perché a Roma si è tenuto un interessante convegno, intitolato “Impronte nella neve” (v. parte seconda), che aveva l’obiettivo di mettere a confronto le attuali conoscenze etologiche sul lupo con la cinofilia ufficiale.
Questo incontro ha evidenzato come la stragrande maggioranza delle persone studiosi compresi – considerino le due specie come due cose completamente staccate l’una dall’altra.


Chi si occupa di lupi non si interessa minimamente al cane, e viceversa: ma il bello è che il lupo, nell’anno di grazia 2005, è stato studiato, osservato e probabilmente compreso assai più del cane.
La cosa è meno strana di quanto potrebbe sembrare a prima vista: infatti, se il lupo è identico (non morfologicamente, ma dal punto di vista etologico) in ogni parte del mondo, il cane mostra una tale variabilità comportamentale da renderne assai più difficile la comprensione e l’inquadramento entro rigidi schemi scientifici. Lo dimostra la stessa letteratura cinofila, che oggi è quasi spaccata in due: da un lato abbiamo etologi e comportamentisti che tirano in ballo il lupo ogni due righe per spiegare qualsiasi atteggiamento del cane: dall’altro abbiamo invece chi nega qualsiasi legame tra lupo e cane moderno.
Il cane non è più un lupo, è diventato tutta un’altra cosa, quindi è inutile osservare il comportamento dell’uno per capire l’altro.
C’è addirittura chi è arrivato a negare l’esistenza di una dipendenza gerarchica del cane nei confronti dell’uomo e ritiene che il cane sia una specie di…gatto, opportunista e disposto a collaborare solo per ottenere un profitto.
Capobranco? No, grazie! Se vuoi qualcosa da me, tira fuori i bocconcini!
A mio avviso, come quasi sempre accade, la verità sta nel mezzo: il cane ha una forte memoria genetica dei comportamenti lupini, ma è anche fortemente influenzato dalla selezione umana, che ha curato ed esaltato alcuni lati del suo carattere e ne ha inibito altri.
Poiché non c’è stata un’unica evoluzione, però, ma molte selezioni diverse mirate ad obiettivi diversi, non è facile tracciare un singolo percorso che porti dal lupo al cane.
Se la distanza genetica tra le due specie è sempre identica, qualsiasi razza si prenda in considerazione (esclusi ovviamente gli ibridi lupo/cane), il comportamento effettivo compie balzi chilometrici da una razza all’altra.
I cani di derivazione ibrida (cane lupo cecoslovacco, lupo italiano, cane lupo di Saarloos) sono, per ovvi motivi, i più vicini al lupo: ma il loro comportamento non si distacca più di tanto da quello delle razze nordiche o primitive.
Chi ha posseduto un siberian husky e acquista un cane lupo cecoslovacco non si accorge quasi della differenza. Se invece, come cani precedenti, aveva avuto carlini o labrador…spesso il poveretto va completamente in panico, perché non riesce più a capire il suo cane, i suoi atteggiamenti e il suo modo di comunicare.
Rovescio della medaglia: chi ha avuto un cane di derivazione ibrida o un cane primitivo, abituato com’è a vedergli ritualizzare ogni forma di conflitto, rischia grosso se si aspetta lo stesso comportamento da un terrier di tipo bull, in cui la selezione umana (mirata, purtroppo, ad ottenere cani da combattimento) ha cercato di eliminare le ritualizzazioni per ottenere che i cani lottassero seriamente, fino all’eliminazione fisica dell’avversario.
I terrier di tipo bull non sono certamente “meno cani” di un siberian husky; ma è indubbio che siano “meno lupi”, anche se geneticamente la distanza dal loro progenitore resta identica.

Solo che la distanza genetica non è tutto! Il problema di molti studiosi (ma anche di etologi, addestratori e di chiunque abbia ‘ingrato compito di “capire il cane” in generale) sta proprio nel fatto che la specie cane è perfettamente inquadrabile dal punto di vista morfologico e fisiologico (un alano e un chihuahua sono “costruiti” nello stesso identico modo); ma dal punto di vista comportamentale è quasi una chimera.
Le differenze tra diverse razze sono così eclatanti – e più passa il tempo, più si accentuano col proseguire della selezione umana – che stiamo compiendo tutti un grave errore: quello di considerare cane come specie quello che in realtà è solo il “cane come razza” e nei casi estremi (come quello dei meticci) “cane come individuo”.
Sono io la prima a dichiararmi colpevole: infatti mi è capitato centinaia di volte di discutere – e a volte di litigare! – furiosamente con persone che descrivevano il cane come un qualcosa di totalmente alieno rispetto alle mie conoscenze e alle mie esperienze.
Sentivo dire (o leggevo) che “il cane” faceva così o cosà… e saltavo in aria, perché i miei cani non si comportavano affatto in quel modo e non avevano affatto quelle reazioni.
Avendo allevato e addestrato per una trentina d’anni, ovviamente, sono sempre stata convinta di essere IO quella nel giusto: caspiterina, volete che non conosca “il cane”, dopo tutto questo tempo passato con lui? Mi venite a contestare ciò che affermo su i cani dopo che per dieci anni ho trascorso almeno due-tre ore al giorno seduta in mezzo al mio branco di husky, prendendo quintali di appunti e registrando ogni virgola dei loro atteggiamenti e comportamenti?
La verità, purtroppo, è che…sì, ero (e sono) contestabilissima.
Forse lo sono un po’ meno quando si parla di siberian husky; ma questi non sono il cane. Sono “un tipo di cane”, e non è affatto scontato che ciò che vale per loro valga per tutti.
Lo stesso vale, owiamente, per i dingo di Trumler, gli Eurasier di Lorenz e in generale per tutti i “gruppi di cani” che sono stati analizzati e studiati negli ultimi decenni da ricercatori diversi, che spesso sono arrivati a conclusioni lontanissime tra loro…senza che nessuna di esse fosse necessariamente sbagliata.
Addirittura si trovano discrepanze all’interno della stessa razza: gli husky di Coppinger, cani da sleddog che facevano una vita completamente diversa dai miei cani da show, assomigliano ai miei husky come un carlino assomiglia a un alano…e la mia prima reazione, leggendolo, è stata che Coppinger non capisse un accidenti di cani. Ma in fondo lui potrebbe aver capito “quei” cani esattamente come io ho capito i miei; solo che si tratta di cani diversi come il giorno e la notte!
Che ci resta, dunque, se vogliamo parlare del cane in generale, senza impantanarci nelle clamorose differenze tra razze, tipologie e individui?
Ci resta il caro, vecchio, buon lupo: l’unico ad aver passato a tutti i cani del mondo un”‘impronta” comune che certamente, su qualche razza, è rimasta meno impressa che su altre.
Ma almeno è la stessa, uguale per tutti (a differenza della ben più incisiva “zampata” umana). Quindi è ancora al lupo che dobbiamo forzatamente tornare, quando cerchiamo di trovare il bandolo della matassa specie.
E’ vero, dal lupo al cane c’è stato un lungo percorso, e sarebbe sciocco ignorarlo: ma non si può ignorare neppure quel punto di partenza comune…forse l’unico a cui possiamo appellarci se vogliamo davvero parlare di cani e non del “nostro cane”, o della “nostra razza canina”.

di CLAUDIA CAPITANI, dottoranda (nel 2005) sul lupo presso l’Università di Sassari

Il cane domestico è stato riconosciuto come la forma domesticata del lupo (Canis 1. familiaris, Wilson & Reeder, 1993).
Diversi ricercatori hanno messo a confronto alcune caratteristiche che sono risultate differenti nel lupo e nel cane (vedi tabella a fianco).

I tratti che meglio distinguono il lupo dal cane domestico sono le caratteristiche del cranio e in particolare l’ampiezza dell’angolo orbitale, cioè l’angolo tra la linea tracciata tra gli estremi superiori e inferiori dell’orbita e la linea tracciata attraverso la parte superiore del cranio.
Nel lupo l’angolo orbitale misura 40-45°, mentre nei cani misura 53-60°: solo le razze di cane più antiche sono un po’ più vicine al lupo (Lijin, 1941).
Un’altra differenza è nella forma e nelle dimensioni della bulla timpanica: lupi e coyote hanno bulle grosse, convesse e quasi sferiche, mentre quelle dei cani sono più piccole e compresse.
L’origine del cane domestico è stata studiata a lungo.
Konrad Lorenz propose l’ipotesi che i cani domestici derivassero da un ibrido lupo x sciacallo e che la varietà delle razze fosse legata alla differente proporzione di elementi ereditati dall’una o dall’altra specie (“E l’uomo incontrò il cane”, 1955).
Tuttavia, già nel 1941, Lijin prospettava, su base genetica, la possibile origine del cane da un’unica specie, il lupo; altri autori concordavano basandosi su caratteri morfologici (Miller, 1967) e comportamentali (Scott, 1967).
Secondo Lawarence (1967) il cane è stato addomesticato probabilmente 14.000 anni fa nel vicino Oriente da una piccola sottospecie di lupo, forse l’estinto Canis lupus variabilis o il vivente Canis lupus pallipes.
Dal 8400 a. C. circa il cane domestico era già arrivato in Nord America e si era diffuso a sud almeno fino all’Idaho. Attualmente il più antico ritrovamento di un cane domestico morfologicamente distinto consiste in una mandibola proveniente da una caverna del tardo paleolitico a Oberkassal in Germania (Nobis, 1979), di circa 14.000 anni fa.
A 12.000 anni fa, invece, risalgono un gruppo di resti di cani provenienti da diversi siti in Israele e Iraq (Daycon, 1994; Clutton-Brock, 1995; Tchernov & Valla, 1997; Turnbull & Reed, 1974).

Si ritiene che inizialmente uomo e lupo fossero in competizione per le prede e che quindi le loto interazioni fossero conflittuali.
Questi scontri, forse risultati svantaggiosi per entrambe le parti, potrebbero avere sollecitato i membri delle due specie a creare un rapporto opportunistico di collaborazione.
Ci sono almeno due ipotesi plausibili sull’origine dei primi contatti ed entrambe coinvolgono i cuccioli del lupo quali protagonisti della socializzazione, proprio per la loro forte tendenza a creare legami affettivi in una certa fase della crescita.
In un’ipotesi i cuccioli potrebbero essere stati prelevati dalla tana e portati negli accampamenti dell’uomo; nell’altra sarebbero stati gli stessi giovani lupi, incapaci di costituire un nuovo branco, ad unirsi a quello degli uomini cacciatori.
In seguito l’uomo potrebbe aver riscontrato caratteristiche peculiari e utili nel nuovo tipo di società che stava sorgendo (basata sull’agricoltura e l’allevamento, quindi sedentaria), dando inizio a quel processo di selezione che ha portato all’odierna varietà di razze.

Questo potrebbe essere avvenuto più volte, in diverse parti del mondo, a partire da diverse popolazioni di lupo.
Ciò spiegherebbe ancora meglio la diversità delle razze canine (CluttonBrock, 1999).
Sebbene i reperti più antichi risalgano a circa 14.000 anni fa, bisogna tenere presente che è solo a partire da quando l’associazione tra uomo e cane è divenuta comune, e i “lupi domestici” hanno iniziato a essere diversi dai loro progenitori selvatici, che le loro ossa possono essere distinte e separate dal resto delle rimanenze di cibo presenti in un sito archeologico.
Pertanto l’evidenza archeologica non può dirci quanto tempo prima sia iniziato l’addomesticamento.
Questo tipo di indagine è stata resa possibile dall’analisi genetica, per mezzo della correlazione tra le distanze genetiche e gli intervalli temporali.
L’analisi del DNA mitocondriale di 162 lupi di 27 località del mondo e di 140 cani rappresentanti 67 razze (Vilà et al., 1997), ha confermato che il lupo, Canis lupus, è l’unico antenato del cane e che probabilmente varie popolazioni di lupo nelle diverse parti del mondo hanno dato origine a linee di cani separate.
Ma il risultato più sorprendente di questo studio è stato che le distanze genetiche sono tali da far pensare a una separazione avvenuta più di 100.000 anni fa, cioè al tempo in cui i primi resti di Homo sapiens compaiono nel record fossile.

Gli Autori ritengono che i primi cani domestici potrebbero essere stati distinti genotipicamente, ma non fenotipicamente, dal lupo.
Il cambiamento avvenuto nelle comunità umane tra 15.000 e 10.000 anni fa, dai gruppi di cacciatori nomadi ai primi accampamenti stanziali, potrebbe avere imposto nuovi regimi selettivi sul cane, che sono risultati in una marcata divergenza morfologica dal lupo in quel periodo.

Concludendo, si possono delineare alcune tappe fondamentali del rapporto storico tra cane, uomo e lupo:
1) la sovrapposizione della nicchia trofica, in un certo momento del processo evolutivo umano, ha portato a situazioni di conflitto tra uomo e lupo, ponendo a rischio la sopravvivenza delle due specie;
2) lo scontro è stato limitato dal processo di addomesticamento, in cui la specie selvatica è stata plasmata secondo le esigenze dell’uomo, e dal contemporaneo cambiamento radicale nello stile di vita dell’uomo stesso;
3) il cane domestico è divenuto un intermediario, più o meno efficace, nell’ambito della lotta, che continua ancora oggi, tra allevatori e predatore, proteggendo da un lato gli animali domestici e dall’altro il lupo stesso, scoraggiandolo dall’avvicinarsi all’uomo.

Claudia Melis si allena nel "wolf howling" con il suo cane Atoq

COSI’ HO IMPARATO AD 

ULULARE

Di CLAUDIA MELIS, etologa ricercatrice

Ieri sera siamo andati a fare il cosiddetto “wolf howling”, che letteralmente significa “ululare come un lupo”. E’ una tecnica utilizzata per valutare la presenza di lupi in un’area: si ulula contemporaneamente ad un orario prestabilito, allineati ad intervalli regolari di circa uno-tre chilometri l’uno dall’altro e in una posizione rintracciabile sulla mappa; poi si prende la direzione di provenienza (bearing) dell’eventuale ululato di risposta con una bussola.
Si traccia il bearing sulla mappa e, dall’intersezione dei diversi bearing, si identifica la zona di provenienza della risposta.
Con tecniche più raffinate, basate sulla registrazione degli ululati di risposta e la realizzazione di un fonogramma su computer, è anche possibile stabilire con maggiore accuratezza il numero di lupi e perfino la composizione del branco.
Normalmente quello che si ottiene è una stima grossolana della posizione del lupo, cosa comunque non da poco, considerando l’elusività tipica di questa specie: owiamente tutto ciò a patto che il lupo ci riconosca come conspecifici e risponda all’ululato!
Ma perché il lupo dovrebbe rispondere? Perché l’ululato è in genere usato dai lupi per segnalare la propria posizione reciproca, nel caso in cui gli elementi di un branco si siano separati per vari motivi (ad esempio per cacciare o per esplorare il territorio).
Nel caso di un lupo che si è allontanato dal branco in cui è nato per formarne un altro per proprio conto, l’ululato può essere utilizzato per segnalare la propria presenza a potenziali partner.
Nel caso di un lupo o un branco che sconfina nel territorio di un altro branco può servire invece ad evitare seri conflitti…o a provocarli.
In realtà non è così semplice capire tutti i motivi per cui i lupi ululano, ma fatto sta che un ululato ben riprodotto costituisce uno stimolo quasi irresistibile per un lupa che sia nelle vicinanze.
La distanza a cui il suono può arrivare varia a seconda del terreno, della densità della foresta, del vento e di diversi altri fattori, ma si stima essere in media di circa un chilometro per le orecchie umane. Così ci siamo incontrati, pressa l’Istituto di Ricerca dei Mammiferi dell’ Accademia di Scienze Polacca in Bialowieza, verso le 18.00.
Eravamo un gruppo di 6 persone abbastanza eterogenee: il professor Wlodek Jedrzejewski, una coppia di studenti olandesi, una signora tedesca, una ragazza polacca ed io.
L’appuntamento era stato fissato ampiamente in anticipo, dato che l’orario migliore per il wolf howling è il tardo crepuscolo e la prima parte della notte, ma per diversi di noi era la prima volta ed era necessario quindi uno speciale addestramento.
Ululare come un lupo potrebbe sembrare semplice, ma in realtà non lo è affatto e ce ne siamo resi conto rapidamente!
Così ci siamo addentrati in auto nella foresta e, quando siamo stati ben lontani da ogni altra presenza umana, è cominciato l’addestramento.
Per prima cosa abbiamo ascoltato diverse volte una cassetta con ululati di lupi locali registrati.
Non so se vi è mai capitato, ma c’è qualcosa di estremamente affascinante nello stare rinchiusi in macchina nella foresta (soprattutto in una foresta primordiale come Bialowieza) ad ascoltare ululati di lupi.

Gli ululati sono suoni così malinconici e pieni di gioia e forza al tempo stesso…che viene voglia di unirsi al coro!
Ci siamo invece concentrati sul nostro compito, secondo le istruzioni del professore, facendo attenzione all’altezza e alla durata dei suoni, in pratica alla melodia dell’ululato e a come i vari membri del branco di lupi si univano in successione. Poi il professore si è esibito in un’imitazione impressionante e ci ha spiegato che dovevamo lanciare tre ululati secondo uno schema ben preciso: il primo cominciando molto gradatamente con  una “oooooooooooooooo” molto chiusa e profonda, poi dopo una pausa il secondo che si innalza con un picco sulla “aaaaaaaaaaaaaa” abbastanza improvviso, e dopo una pausa il terzo, più simile al primo, sempre finendo in modo graduale.
Abbiamo quindi provato a turno…con risultati piuttosto modesti, anche perché non è così semplice mettersi a ululare a gola spiegata di fronte a un gruppo di colleghi: quindi siamo stati rispediti in macchina a ripassare la lezione.
Il secondo tentativo ha dato risultati decisamente migliori: così, per prima cosa, siamo andati a circa un chilometro dalla riserva dei bisonti, una specie di zoo che ospita anche un branco di cinque lupi, per verificare l’efficacia dei nostri sforzi. L’ululato di risposta è arrivato puntuale, con nostra grande soddisfazione, dopo che il primo di noi ha provato.
Siamo così rimontati in macchina e siamo stati lasciati uno ad uno a distanza di due chilometri l’uno dall’altro nella foresta, muniti di lampada frontale, bussola, orologio e uno speciale modulo per riportare l’ora esatta dell’eventuale ululato di risposta e la direzione di provenienza, la stima del numero di lupi e così via.
L’accordo era di lanciare un primo ululato alle 21.20, poi il secondo alle 21.24 e un terzo e un quarto alle 21.40 e 21.44. Lanciare l’ululato contemporaneamente ad un orario prestabilito e seguendo un pattern comune (tre ululati con cadenza diversa) è necessario per evitare di scambiare l’eventuale ululato di risposta per quello di un compagno e viceversa: se ulula tre volte alla stessa nostra ora… molto probabilmente non è un lupo!

La cosa più noiosa è stata aspettare l’ora prestabilita per lanciare il primo ululato, soprattutto perché eravamo letteralmente tormentati da nugoli di zanzare, che nelle foreste primordiali sono particolarmente numerose e accanite.
Quando è calata la notte anche le zanzare si sono ritirate nelle loro dimore notturne e mi sono concentrata maggiormente sui rumori della foresta, specialmente sul canto degli uccelli notturni…e ovviamente su tutti i film dell’orrore che ho visto, che puntualmente mi vengono in mente nei momenti meno opportuni.
Alla fine è arrivata l’ora stabilita e ormai libera dalle ingombranti presenze degli altri umani, ho lanciato l’ululato il più lupescamente possibile.
L’esperienza  più incredibile è stata udire la risposta di un vero lupo selvatico. E’ davvero una grande emozione, immersi nel buio più completo,  scoprire che il nostro canto ha risvegliato questo istinto primordiale che ancora persiste nonostante i lupi siano diffidenti verso l’uomo, a causa delle persecuzioni a cui sono stati e sono ancora sottoposti.
Due di noi sono stati abbastanza fortunati da sentire un lupo che ululava a sua volta nelle vicinanze.
Anche se eravamo lì per imparare una tecnica e per condurre un esperimento scientifico, la cosa che rimane più nitida da questa esperienza è la romantica (anche se poco scientifica) sensazione che dopotutto potremmo comunicare… se davvero lo volessimo.

Tutte le foto di lupi, se non diversamente indicato, sono state scattate da Claudia Melis nella foresta di Bialowieza, in Polonia.

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6 Commenti

  1. …mi pare che se sono presenti (per cause accidentali) ibridi icane-lupo ingestibili in appennino e molto peggio di quando vennero liberati ibridi cinghiale-maiale o sus scrofa scrofa o sus scrofa attila negli anni ’70 e ’80…..

  2. il mio cane quando mi allontano da casa ,nonostante c’è un membro della famiglia ,ulula come un lupo .In questo caso è un lamento come a dire:il mio punto di riferimento mi ha lasciato solo,chissà se tornerà

  3. Deve essere stato bellissimo il momento nel quale hanno risposto i lupi!
    La datazione del lupo che diventa cane secondo me è influenzata dalle prove, cioè se si trovano tombe di uomo con cane datate 14.000 anni fa possiamo dire che il cane ha almeno 14 mila anni, ma secondo me si potrebbe dire che a un certo punto si è innescata una catena per cui certi lupi con determinate caratteristiche, sono ormai destinati a diventare cane, era solo questione di tempo e di adattarsi morfologicamente, visto che secondo me il primo passo lo ha fatto il lupo. Se si potesse affermare che il cane è cane da quando si è innescato questo meccanismo, si potrebbe ipotizzare che lo è da un milione di anni (mezzo milone in più, mezzo meno) , da quando cioè i lupi meno paurosi dell’uomo hanno cominciato a seguire le carovane umane, per usufruire degli scarti umani, forse in un periodo di carenza.
    E’ ovvio che se tutto è nato più o meno così, i passi iniziali della trasformazione possono essere stati lentissimi, nell’ordine di centinaia di migliaia di anni (ma fissazioni ben precise), tra i primi passi tra la differenzazione dal lupo non destinato alla simbiosi umanesca e quelli invece docili, c’è sicuramente la non paura o meno dell’umano a breve distanza.
    Sarebbe importante avere prove di ciò perché c’è una tesi secondo la quale potremmo avere delegato il naso ai cani, consentendoci così di modificarci morfologicamente ed arrivare a parlare, e, i lupicani, potrebbero anche avere avuto un ruolo determinante nella creazione di città stanziali, visto che è dimostrato che le popolazioni nomadi che hanno i cani si soffermano più a lungo perchè i cani tengono pulita l’area dai rifiuti

  4. Mi pareva di averlo letto nella “Vita segreta dei cani” di Elizabeth Marshall Thomas (l’incrocio tra sciacallo e cane). L’ho letto diverso tempo fa e forse mi ricordo male.

  5. Ma se il lupo, lo sciacallo e il cane, incrociandosi tra loro hanno prole fertile… in teoria non dovrebbero essere considerati della stessa specie? Non è la prole fertile la discriminante?

    E non ci sono diverse “razze” di lupi? Sono proprio uguali in tutto il mondo? E se no, qualcuno ha rilevato, per caso, delle differenze anche comportamentali?

    • Non ci sono casi documentati di incroci cane-sciacallo: quindi in realtà non sappiamo se l’eventuale prole sarebbe fertile.
      Le “razze” di lupi esistono, eccome: ambienti diversi e condizioni diverse li hanno differenziati nella taglia, nel colore, nella tessitura del mantello e così via… ma il loro comportamento (perlomeno per quanto riguarda i rapporti intraspecifici) sembra essere più o meno identico in tutte le parti del mondo e per tutte le “razze”.

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