giovedì 11 Settembre 2025

Volontariato? Sì, ma…

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Dopo alcuni anni di volontariato attivo in un rifugio per cani abbandonati, frequentazioni cinofile e conoscenza dei retroscena del “pianeta randagio” mi trovo, mio malgrado, a trarre considerazioni poco piacevoli su questo settore.
Il mondo che ruota intorno a canili e rifugi si divide, grosso modo, in due grandi famiglie: la prima è formata da individui con un interesse decisamente scarso per gli animali in questione, che intraprendono questo tipo di attività attratti dal profitto.
La seconda è formata da gruppi di volontari che non beccano una lira e che sono animati da ottimi propositi… ma che, pervasi da inesperienza, commettono parecchi errori.
Vi parlerò solo di questi ultimi, essendo per fortuna estranea al mondo delle grandi convenzioni e dell’arricchimento sulla pelle di poveri animali perseguitati dalla sfortuna.
Il mondo del volontariato interessa soprattutto le associazioni animaliste e i piccoli rifugi privati.
Trattandosi di volontari, come dice la parola stessa, queste persone non hanno alcun tornaconto economico dalle attività praticate all’interno del canile rifugio.
Ma questo non significa che tutto sia lecito!
Molti potranno obiettare che scarseggiando la manodopera gratuita, “cara grazia” che quei quattro gatti vengano: quindi non è corretto “fare le pulci” al loro operato.
Decisamente non concordo con questa affermazione, perché il volontario “tuttocuore” ma assolutamente inesperto e incapace può causare al proprio canile, ai cani ospiti e all’immagine astratta del “rifugio per cani” una quantità inimmaginabile di danni e problemi.

Il dramma cresce in maniera esponenziale quando gli “incompetentoni” rivestono ruoli di rilievo e di potere all’interno delle singole attività locali.
La ragione di tutto ciò è anche di tipo socio-antropologico, perché in genere queste persone rivestono il proprio ruolo da svariati anni: e cioè dal momento in cui, trovandosi praticamente soli al cospetto dell’associazione, si assumono una carica che tutti gli altri rifiutano (date le “rogne” che porta con sé).
Dopo il momento dell'”investitura” alcuni personaggi si sentono idealmente riconfermati a vita, governano in regime dittatoriale… e non li schiodi dallo scranno del potere neanche con un’autobomba!
Così molti giovani neo-volontari vengano rapidamente messi in fuga da siffatta gestione (che spesso comprende la “gelosia” di chi vuole continuare a regnare indisturbato): tutto fila liscio finché si abbassa la testa e si dice signorsì, ma le onde si increspano nel momento in cui il neo-volontario si sente in diritto di dire la propria opinione, vuole vedere un bilancio associativo o molto più semplicemente chiede lo statuto dell’associazione.
Quest’ultima richiesta ha, in taluni casi, esiti catastrofici.
E i regnanti continuano indisturbati a “governare” trovando stratagemmi per restarsene dove stanno, spesso forti di agganci a livello nazionale.
Pur rimanendo monumenti all’incompetenza che non fanno il minimo sforzo per migliorare e imparare (e a questo punto viene anche da chiedersi quanto amino i cani) restano, governano, danneggiano e incasinano!
Tutto ciò, alla lunga, porta a sfavorire il rifugio in cui operano, o meglio a mettere in discussione il benessere degli animali che lì vivono.
Ma anche l’adottante rischia di essere (consciamente o inconsciamente) bidonato al momento dell’adozione: evento che non è certo un buon biglietto da visita per la promozione delle adozioni di randagi.
Purtroppo non sono solo i “governanti” a far danno: anche i “sudditi” spesso sanno impegnarsi nell’imitare chi, il ruolo di maestro, proprio non lo dovrebbe avere.
E’ difficile descrivere a grandi linee il volontario medio, perché esistono diverse tipologie.
Vediamone alcune:

Il pulitore
Lui pulisce e basta, non rompetegli le scatole e non chiedetegli altro. Rischio di commettere danni: basso.

Il sapientone incompetente
Starlo a sentire fa venire i brividi e può provocare nel cinofilo competente raptus omicidi.
Suddetti individui tendono ad fagocitare l’adottante facendogli “una capa tanta”… per consigliargli, quasi sempre, il cane sbagliato.
La competenza è sotto zero: per loro dire bracco è sempre uguale, che sia italiano o tedesco poco importa.
Rischio di commettere danni: altissimo, quasi certo.

L’animalista estremista
Poverino… povero cagnolino, pat-pat, no non ti spazzolo, oddio ti faccio male…
No no, non uscire dalla cuccia, se hai paura stai pure dentro.
Non ti faccio adottare, ma che, siamo matti? Poi piangi, ti disperi, non mangi più… resta qui, che almeno ti tengo sotto controllo!
Ehi, voi due, che fate? No, cattivo, lascialo! Sboom (badilata al dominante, che invece andrebbe supportato mentre andrebbe redarguito il sottomesso).
Rischio di fare danni: medio alto.

L’alimentatore coatto
“Hai fame? Mangia, mangia, ne vuoi ancora? Guarda, ti dò il risotto con i frutti di mare! Non ti piace? Lo vuoi un panettone? No? Una mortadella è meglio?”
Grazie a loro nei rifugi si ritrovano cani che paiono mongolfiere, diarree epiche… e di tanto in tanto ci scappa pure la torsione dello stomaco.
Casi estremi a parte, il rischio è alto: un cane grasso perde “appeal” e non se lo prende più nessuno… senza contare che “grasso” non è mai sinonimo di “sano”.

L’ingenuo
Oh che bello, tutti i cani sono amici…
(Due mesi dopo): Ma come? Ho messo 6 maschi in un box di 4m X 2m e un cane ha staccato la testa a un altro… è sicuramente impazzito, bisogna sopprimerlo!
Che bello, mettiamo maschi e femmine insieme così hanno di che divertirsi… tanto poi è sempre possibile sterilizzare la cagna a fine gravidanza.
Ha quattro rottweiler maschi? Perché non prende anche questo pastore tedesco maschio?
… e così via.
Rischio di fare danni: altissimo.

Quello che non viene mai, ma sa tutto
In genere ha anche semi-paura de cani, non distingue Rex da Fido ma è sempre pronto a pontificare.
Rischio di fare danni: basso (non venendo mai).
Rischio di stimolare l’altrui esaurimento nervoso: altissimo.
Quelli ok – purtroppo ne esistono in quantità esigua, anche perché spesso fuggono il più lontano possibile dalle tipologie di cui sopra, per dedicarsi ad attività più rilassanti e gradevoli – quando rimangono hanno un rapporto equilibrato e razionale con i cani, a cui sanno voler bene in modo corretto.
Sanno interagire con gli adottanti, commettono errori veniali dovuti a stress o stanchezza.
Rischio danni: basso o nullo.

I cinofili veri
Avete presente il boccino d’oro di Harry Potter?
Non so se sia più semplice acchiappare quello o imbattersi in un vero cinofilo all’interno di un canile.
Di solito i cinofili (e cioè le persone coinvolte in altre attività canine, o che addirittura hanno fatto dei cani la loro professione, come veterinari, addestratori, comportamentisti, conduttori cinofili, giudici, genetisti ecc.) fuggono rapidamente, dato che si tratta di sopravvivere in un inferno dantesco.
Il problema dei cinofili è che, conoscendo la materia e inorridendo di fronte a certi atteggiamenti, seguitano inevitabilmente a rompere le scatole alle categorie meno ferrate, che non gradiscono di certo la cosa.
Sono personaggi molto scomodi e si cerca di farli fuori il prima possibile sperando che, nel frattempo, non sprechino troppe parole a indottrinare gli altri.
La possibilità che facciano danni è molto bassa, ma sono loro che corrono l’alto rischio di essere buttati fuori a calci nel sedere.

Questo elenco di tipologie potrebbe continuare all’infinito: sono solo stati tratteggiati a grandi linee “alcuni” personaggi.
Ma poiché ho scritto diffusamente la parola “danni”, ora vorrei anche approfondire.
I danni possono essere di vari tipi, interessando il cane, l’adottante, la struttura o l’immagine dell’adozione e del cane di canile; possono essere concreti o astratti; colpire la salute del cane o il benessere psichico dell’adottante.

Andando per ordine, apriamo il capitolo cuccioli.

Chiunque abbia un minimo di competenza cinofila sa quanto sia vulnerabile il cucciolo dal punto di vista psicofisico.
Se vi sono cuccioli presenti in canile sarebbe opportuno ricreare, per quanto possibile, le condizioni per un perfetto sviluppo degli stessi.
Se sono presenti la madre e i fratellini è criminale affidarli prematuramente allo scopo di “liberare” un box: un cucciolo va affidato, se proprio si è “di corsa”, a non meno di 55-60 gg., in modo da garantire una corretta socializzazione con i fratelli, di ricevere insegnamenti dalla madre e di acquisire la consapevolezza di appartenere alla specie canina.
A ciò si aggiungono le considerazioni sanitarie: i cuccioli dovrebbero stare in un box abbastanza isolato; non dovrebbero essere continuamente pasticciati da mamme e bambini urlanti (nonché possibili vettori di virus); non andrebbero accolti in canile a epidemie in corso (o finirebbero per ammalarsi e spesso soccombere); andrebbero affidati alcuni giorni dopo il primo vaccino.
Questo nel rifugio ideale.
Nel rifugio reale (non in tutti, mi auguro!)… non appena i cuccioli sono in grado di alimentarsi da sé vengono sloggiati e ammollati agli adottanti.
C’è poi chi, testimonianza di prima mano, affida cuccioli che cresceranno a dimensioni “dinosauro” a chi cerca un cane piccolissimo: l’adottante, una volta cresciuto (a dismisura) il cane, o se lo tiene in qualche modo e sparla a getto continuo del rifugio… oppure lo riporta direttamente al mittente senza tante moine.
Molto spesso poi non si perde tempo a spiegare quanto sia impegnativo gestire il cucciolo e, soprattutto, la complessità di una corretta educazione e socializzazione: lo si sbatte nelle mani del primo venuto, magari nel corso di uno di quei banchetti pietisti in piazza in cui si espongono cuccioli di 15 gg a 15 gradi sotto zero.
Se il cane cresce “schizzato”, chi se ne frega… al limite lo riportano in canile: il che, credetemi, accade abbastanza spesso.
Anche con l’adulto si commettono diverse “amenità”: femmine affidate come maschi e viceversa, cani con “problemini” (timidezza, ansia, dominanza) spacciati per cani perfetti e viceversa, comprensione delle problematiche prossima allo zero.
Se il cane ha il comportamento anomalo X, anziché cercare di capire e spiegare al proprietario perché fa così, lo si esorta a riportarlo in quattro e quattro otto: in un caso di ansia da separazione le conseguenze sono tragiche, perché la componente ansiosa cresce ulteriormente e le possibilità di “affido sicuro e razionale” scendono.

Non è impossibile, poi, incappare in gestioni sanitarie da far drizzare i capelli agli igienisti: ingresso continuo di cani con epidemie in corso, rifiuto di acquistare farmaci e effettuare profilassi (filaria) incolpando i presunti “costi”, gestione improvvisata di vaccinazioni, terapie & C.
Anche documenti e burocrazia vanno di pari passo: per esempio, rifiuto di spendere due lire per la gestione dell’immagine, ma nel contempo allegra gestione delle risorse alimentari (ciotole strapiene per cani di 5 kg, che ne avanzeranno il 95%: andrà buttato il giorno dopo), sperperi finanziari inutili (anche se spesso in buona fede), incapacità di interagire con i governi locali e via di questo passo.
Le conseguenze ricadono in primis sulla pelle dei cani ospiti: ho già detto delle carenze a livello pratico-sanitario, ma vorrei soffermarmi anche sull’impatto che questi pasticci hanno sul benessere psichico dell’animale.

La gestione di un canile-rifugio, se intesa in tutta onestà, non è una cosa semplice: una delle difficoltà più banali e frequenti è la disposizione dei cani all’interno del rifugio.
Gli ignari-ingenui credono che basti prendere alcuni animali, chiuderli in gabbia insieme e il gioco è fatto.
No, purtroppo non è così!
Occorre “miscelare” le personalità all’interno del branco-gabbia e scegliere soggetti caratterialmente compatibili tra loro.
I maschi di alcuni razze, in genere appartenenti al gruppo dei segugi e di alcune razze da ferma, accettano senza grossi problemi la compresenza di animali dello stesso sesso all’interno del box: ma questa affermazione non è confermata da altre tipologie canine.
Lo studio delle coabitazioni è fondamentale innanzi tutto per evitare risse e in secondo luogo per garantire a ciascuno una permanenza decente all’interno del box e bassi livelli di stress.
Mi hanno raccontato di un noto e prestigioso canile dove in seguito alla forzata (e improvvisata?) coabitazione di ben 6 soggetti maschi in uno spazio limitato è avvenuta una seria aggressione dopo meno di 24 ore di convivenza.
Sono incidenti che non dovrebbero accadere: ma sarebbe opportuno, qualora si verificassero, che i gestori (o meglio, “l’essere umano” in generale) si assumesse le propria responsabilità.
Invece no: la colpa ricade quasi sempre sull’aggressore. Un “brutto cane cattivo”, “un pazzo” che nella peggiore delle situazioni viene fatto sopprimere in quanto cane aggressivo e pericoloso.
Ora, mettendo al bando ogni eccesso di buonismo, credo che in ogni aggressione andrebbero ricercati i “perché”; il caso dovrebbe venire studiato criticamente e, se possibile, sottoposto al parere di un esperto.
Resta comunque certo che stipare cani su cani in spazi esigui non è quasi mai una scelta felice.
Al di là dei grossi drammi (aggressioni) bisogna anche aprire gli occhi di fronte a convivenze decisamente infelici.

Il cane che se ne sta sempre in fondo al box, perché se solo si muove gli ringhiano tutti contro; la cagna che non viene lasciata uscire dalla cuccia o bere un sorso d’acqua dal dittatore di turno (in genere un soldo di cacio) o il nonnetto con quattro cuccioloni che gli saltano sulla schiena artrosica mettendolo in fuga… beh, non mi paiono certo scene da presepe.
Anche la collocazione dei cuccioli orfani va studiata: l’incompetente medio li ingabbia con qualche cucciolone… e quasi sempre ci scappa il morso. Andrebbero messi invece con cani adulti e equilibrati in grado di far loro da educatori, e mai in mezzo ad adolescenti scalmanati che sono essi stessi in fase di crescita e apprendimento.
Alcuni dei cani presenti nei canili-rifugi, o che rischiano di entrarci, hanno problemi comportamentali di vario tipo e gravità.
Uno degli errori più frequenti è quello di ritirare cani con problemi comportamentali risolvibilissimi, concordando invece col proprietario sul fatto che ci si trovi di fronte a un soggetto da manicomio e foraggiando questa credenza.
Errore, grave errore!
Anche qui il problema andrebbe compreso e affrontato, il proprietario andrebbe assistito o indirizzato verso professionisti competenti: invece no, il cane atterra inevitabilmente in canile, dove i problemi non passano certamente da soli (anzi, peggiorano).
Il cane dominante viene spesso definito “aggressivo”, turbe caratteriali legate a una mancata socializzazione del cucciolo non vengono riconosciute come tali: il cane è fuori di testa, punto.
Lo stesso trattamento è riservato ai soggetti sofferenti di ansia da separazione… per i quali, si sa, il canile è la peggiore delle situazioni.
La lista potrebbe proseguire all’infinito, ma preferisco invece spendere due parole sui cani “timidi”.
Si tratta di una categoria molto vasta e, ahimè, numerosissima nei canili.
Le motivazioni che hanno fatto di un determinato cane un cane pauroso e timido possono essere le più svariate: si va da una socializzazione carente a veri e propri maltrattamenti fisici.
Detto questo, risulta evidente come ogni cane sia un caso a sé, da affrontarsi con trucchetti e accorgimenti su misura: ma nei canili questi casi non si affrontano!
Li si compatisce, li si considera inevitabilmente dei poveri martiri crocefissi (come minimo) dall’ex padrone, non si cerca insomma di comprenderli e aiutarli.

Lasciare che un cane timido e pauroso resti perennemente in cuccia o in fondo al box ripetendo la litania del poverino-a non significa fare il suo bene.
E’ giusto consentire al cane di ambientarsi in un primo periodo, ma poi va opportunamente stimolato (a costo di forzarlo un po’, per le prime volte) a interagire con l’uomo e con l’ambiente: in questo modo si possono ottenere recuperi e risultati insperati.
L’obiettivo della riabilitazione comportamentale è, in primo luogo, rendere il cane più sicuro di sé e quindi più felice e meno stressato… ma in secondo luogo è anche far sì che possa essere adottabile.
Il canile non deve essere inteso come un deposito, bensì come un luogo di transito: la permanenza in canile deve essere “una parte” della vita del cane e non “la” vita del cane.
Non c’è nulla di più triste che vedere un cane crescere e morire in canile trascorrendovi tutta la vita: per quanto un rifugio possa essere accogliente non è e non sarà mai comparabile con una vera “casa” dove il cane è amato, assistito e coccolato dalla sua famiglia umana.
Affidare un soggetto timido è, per forza di cose, più complesso che dare in adozione un individuo equilibrato ed estroverso: ma di fronte alle persone giuste (messe davanti alle difficoltà iniziali) e alla possibilità di una corretta assistenza il cane deve essere affidato.
Al contrario, in un vero e proprio trionfo dell’imbecillità umana (e forse anche di una sorta di egoismo), si tende a tenersi i timidoni “sotto spirito” in un bel box umido fino a che non passano a miglior vita… e mai modo di dire fu più appropriato!
I timidoni che sono riusciti a sfuggire alle grinfie dell’associazione “conservazione timidi sotto spirito”, curati e ben seguiti, sono oggi cani normali (o quasi normali), che conducono una vita piacevole: alcuni hanno perfino imparato ad andare al ristorante!
Sì, parlo degli stessi soggetti definiti “irrecuperabili” dall’incompetentone di turno!
Termino questo sfogo (anche se potrei aggiungere molto altro) volendo sottolineare che questa è una critica-denuncia che vuole essere propositiva e costruttiva.

Per questo vorrei:
a) chiedere a ciascuno dei volontari che operano in un canile-rifugio (me compresa) di fare una sana autocritica riconoscendo i propri limiti in modo di apprendere e migliorare;
b) ringraziare comunque chi, a fronte di tanti errori in buona fede, è ugualmente impegnato in una buona causa;
c) invitare operatori del settore e cinofili “veri” a correre in soccorso per tamponare queste situazioni: oltre alla figura del veterinario sarebbe opportuno che si aggiungesse la figura del comportamentista e/o quella dell’addestratore-educatore;
d) suggerire alle stesse associazioni protezionistiche di prendere in seria considerazione l’idea di veri e propri corsi di formazione per volontari.

Quanto agli adottanti… nonostante tutto resta valida l’esortazione ad adottare i randagi, a sottrarli alle grinfie di chi li vorrebbe “sotto spirito” e a regalare loro le condizioni di vita ideali.

NOTA: di questo vecchio articolo non conosciamo l’Autore.
Forse l’assenza del nome era voluta, trattandosi di una critica alla gestione dei canili. Forse il nome ce lo siamo semplicemente perso noi. L’abbiamo pubblicato inserendolo come “Redazione”: se  l’Autore si riconoscesse e volesse firmare il pezzo, è pregato di segnalarcelo. Inseriremo subito il suo nome.

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