“Padrone”.
Fino a qualche tempo fa, l’umano che decideva di prendersi un cane diventava il suo padrone. E bon.
D’altronde, fino a qualche tempo fa, pure le mogli sull’altare promettevano di “obbedire” al marito (e in diversi Paesi e culture l’uso è ancora quello: non per niente ha fatto notizia il fatto che Kate Middleton abbia scelto una formula alternativa che non contemplava l’obbedienza al marito principe William): quindi non c’era molto da stupirsi… però, diciamolo, “padrone” suona davvero male.
Il termine “padrone” fa pensare, dall’altra parte, a qualcosa che corrisponda al concetto di “schiavo”: e il cane dovrebbe essere tutt’altro.
Il cane è un amico, un membro della famiglia, un partner di lavoro: non una macchinetta esegui-ordini.
Quindi si è cominciato a storcere il naso sul termine “padrone” e a sostituirlo con “proprietario”: che suona un po’ meglio, anche se in realtà per qualcuno ricalca lo stesso concetto. “Tu sei mio, tu mi appartieni”, quindi sempre “io padrone, tu schiavo”, “io Tarzan, tu Jane”.
Io, sinceramente, non l’ho mai vista così: per me valeva più il concetto di appartenenza “reciproca”, un po’ come nel matrimonio, appunto. Ci si appartiene reciprocamente, e soprattutto a livello affettivo. Io sono padrona del tuo cuore, ma tu lo sei del mio.
Insomma, se “padrone” mi faceva proprio schifo, “proprietario” mi andava decisamente meglio: e quindi l’ho usato per secoli e secoli, negli articoli, nei libri, nelle conversazioni.
Dopodiché qualcuno mi ha fatto notare che, appunto, c’era anche un modo “brutto” di leggere questo termine. Che a molta gente poteva suonare uguale a “padrone”.
Uffa.
Nel mio penultimo libro ho provato a chiamare il proprietario di un cane “responsabile”.
Perché lo è, o almeno dovrebbe esserlo, dal primo all’ultimo giorno di vita insieme. Inoltre il concetto di “io sono responsabile di quello che combini” viene fin troppo spesso dimenticato (come in: “Il mio cane si è mangiato il suo gatto? Ops, sorry, ma non è colpa mia…dopotutto il cane è un predatore!”. Che è intelligente come uno stupratore che si difenda dicendo “be’, dopotutto l’uomo è cacciatore”) : quindi non mi sembrava male ricordarlo.
Il fatto è che, per iscritto, ci può anche stare: ma quando si parla con qualcuno ai giardinetti le cose cambiano.
Dire amichevolmente: “Buongiorno! Lei è la responsabile di Fuffi?”, comporta un’immediata reazione del tipo: “Sì, perché? Oddio! Cos’ha combinato?”
Quindi, ri-uffa, neanche “responsabile” è il termine più adatto.
A me piaceva molto “partner” (come in: “sono la partner a due zampe di Bill”, o “Bill è il mio partner a quattro zampe”); ma a parte il fatto che è un po’ lungo, l’unica volta che ho provato a dirlo per vedere l’effetto che faceva il mio interlocutore ha fatto una faccia stranissima.
Lì per lì ho pensato che fosse solo una questione di mancata abitudine a sentir definire così un rapporto umano-cane: dopo qualche settimana, però, sono passata per caso davanti alla vetrina di un sexy shop e mi è caduto l’occhio su un video dal titolo “Cavalli e cavallone – bellissime donne con partner a quattro zampe”.
A quel punto mi si è accesa la lampatina, sono diventata retroattivamente color porpora e sono rimasta della stessa sfumatura per tutta la giornata.
Mai più usato, da allora, il termine “partner”, se non in contesti che proprio non potessero dare adito a nessunissimo equivoco.
Restava il problema di come cavolo chiamare l’umano di un cane. Che si può anche chiamare così, ovviamente: “umano di un cane”. Ma se la cosa funziona benissimo tra cinofili, al resto del mondo non risulta di immediata comprensione.
E allora?
Le rimanenti alternative sono una più drammatica dell’altra: personalmente, oltre ad “umana”, mi sono sempre definita “la mamma di (nome del cane di turno)”. Anche a mio figlio ho sempre detto “porta fuori tua sorella”, o “per tuo fratello è ora di cena, prendi un po’ la ciotola”… ma se in casa tutto questo è normalmente accettato, perché fa parte del nostro lessico familiare, fuori di casa mi comporta spesso occhiatacce.
Solo pochi giorni fa ho coccolato un cosetto peloso tipo terrier che vagava da solo per i giardinetti, e quando mi è scappato di dire “Ciao, amore… ma dov’è la tua mamma?” mi sono sentita rispondere: “La sua mamma sarebbe qua”.
Contemporaneamente una nuvola ha oscurato il sole.
Anzi, no.
Quando alzato gli occhi mi sono accorta che non era una nuvola: era un marcantonio alto due metri, con baffoni da tricheco e pettorali da palestrato. Naturalmente, essendo io campionessa mondiale di gaffes cinofile, ho subito corretto con: “Ah, no…sei con il tuo papà”.
Lì al marcantonio sono vibrati i baffi e quindi sono filata via a trecento all’ora senza aspettare la risposta, che dubito sarebbe stata particolarmente cortese.
Reazioni non entusiastiche a parte, “mamma” e “papà” non vanno bene, perché già c’è fin troppa gente che tratta i cani come bambini: quindi meglio non buttare benzina sul fuoco dell’antropomorfizzazione.
Allora, “capobranco”? O più brevemente, “capo”?
No, perché adesso è di moda dire che le gerarchie e i branchi umani non esistono, quindi chiamare un umano “capobranco” significa scontrarsi di petto con almeno un paio di persone che ti rinfacciano di essere obsoleta, di non capire un tubo di cani e di essere rimasta alla prestoria (il tutto, magari, mentre i rispettivi cani si sfidano a pelo dritto e zanne al vento due aiuole più in là. Ma dire che i cani sono gerarchici “tra di loro” va ancora più o meno bene: pensare a gerarchie umano-cane, no. Cioè, lo puoi dire, ma ogni volta devi litigare per du’ ore).
“Leader”, allora?
Dai, leader era proprio carino! Dava il senso del “capo” inteso come guida, come maestro, come umano da seguire e rispettare, ma senza quella connotazione da “uomo-padrone” dello “schiavo-cane”.
Peccato che a definire gli umani “leader” in TV sia arrivato il celeberrimo “sussurratore”, il messicano Cesar Millan, che in realtà più che sussurrare mena. GUAI ad usare lo stesso termine che usa lui, il diavolo della cinofilia in persona!
E così ci siamo bruciati pure il “leader”, che forse era in assoluto il termine più adatto al rapporto di un uomo con il suo cane.
Ma il cerchio, ahinoi, si va restringendo sempre più.
A questo punto cito testualmente un’amica cinofila, che mi ha scritto le seguenti parole sullo spinoso argomento: “I filosofi della cinofilia, quelli che ogni tanto hanno tempo da perdere coniando nuove terminologie (tipo “zoosociologia antropica”) avevano, tempo fa, ampiamente discusso riguardo un argomento di vitale importanza, per il benessere dei cani: come si doveva chiamare il proprietario. Dopo noiosissime dissertazioni arrivavano a definire che il nome più corretto per i proprietari era (rullo di tamburi…) “adopters”! Ovviamente il termine inglese fa molto più in”.
In realtà capisco il motivo per cui i succitati filosofi siano dovuti ricorrere all’inglese: perchè “adottante”, in italiano, è proprio penoso.
Però, a parte il fatto che io torno ad immaginarmi ai giardinetti, mentre dico alla sciura Maria “Buongiorno, lei è l’adopter di Lilly?” (risposta quasi certa: “L‘ adoCHE?!?”)… c’è anche il fatto che si torna un po’ a “mamma e papà”. Perché anche i bambini si adottano, anzi per la gente normale si adottano SOLO loro. I cani si comprano oppure si “prendono” (al canile).
Su cento cinofili, forse dieci dicono “ho adottato Willy al rifugio”: gli altri novanta dicono “l’ho preso al rifugio”, o magari “l’ho preso da mio cugino che ha fatto una cucciolata”.
Ma mi rifiuto, giuro, di chiamare l’umano di un cane “prendente”.
Anche perché, dopotutto, una volta che hai “preso” qualcosa, cosa ne diventi?
A parte il caso in cui tu l’abbia rubata – e in quel caso lì ti chiami “ladro” – ne diventi, guarda un po’, proprietario. Quindi si torna al punto di partenza: o almeno, “io” sono sicuramente tornata al punto di partenza, e mi sono rimessa a chiamare gli umani “proprietari” del loro cane (a meno che non mi trovi tra cinofili che conosco bene, nel qual caso posso spaziare da “conduttore” – se si parla di sport – a “mamma”, quando so che non si offende nessuno). Ma su libri, articoli e affini, insomma quando mi rivolgo alla “gente” generica (o se vogliamo, “normale”…perché noi cinofili mica lo siamo tanto!) sono tornata ad usare il buon vecchio “proprietario”
Forse c’è di meglio, non lo metto in dubbio: ma io non riesco a trovarlo.
Se avete qualche idea, fatemelo sapere!
Le immagini sono tratte dalla nota campagna pubblicitaria della Cesar
A me piacerebbe che si dicesse “famiglia”. “Cercasi LA FAMIGLIA di questo bel cagnolone che si trova in via XXX, per info contattatemi!”. Dopotutto la famiglia è chi lo adotta, chi gli dà da mangiare, chi è responsabile e chi si impegna a volergli bene ogni giorno o almeno così dovrebbe essere, secondo me 🙂 Indipendentemente se la famiglia sia fatta da chi si riconosce nei termini mamma, papà, fratello, sorella o anche semplicemente di un amico, perché cos’è la famiglia se non l’amicizia più grande e forte che ci sia!? ^_^
Mi sono posta spesso questo problema di ” definizioni” (e dire che il cane è con noi da poco più di due anni fa capire l’enità dei miei problemi). Effettivamente “padrone” è brutto, “proprietario” riconduce al cane come bene mobile di cui disporre a piacimento, “zia, sorella, cugina, etc.” mi fanno sempre reagire male (e mica sarò così pelosa da sembrà un cane, no?!). Essendo dotata di creatività, e cretinità, ho quindi finito per adattarmi ad ogni situazione autodefinendomi con epiteti sempre diversi; per esempio dal vet sono “Claudia di Rumo”, al parco sono “la bipede, o l’umana”, in situazioni “ufficiali” ci sono i vari “conduttori, dententori, affidatari, etc”, con gli amici posso ammettere di essere la “coinquilina”. Più importante ancora, come se non mi facessi già abbastanza pippe mentali (altro che cinozoognosticofilia eticocopomrtamentale applicata alla morale), è per me fondamentale chiedermi come potrebbe definirmi il mio cane. Spero che la risposta sia “la mia umana”.
Io ho adottato un figlio è, vi assicuro, che molti alla parola “adozione” abbinano “cane” … Io rabbrividisco. Il cane non si adotta … Non è un figlio … Si prende, si sceglie ( sia comprandolo, sia al canile) un figlio NO. Io amo il mio cane e ne sono padrona, perché quello che pretendo da lui non
Lo esigo da mio figlio.
… padroni e proprietari lo siamo di fatto…. sta a noi conferire un contenuto a queste parole.
condivido un piccolo aneddoto, io e Pedro frequentiamo la Scuola Italiana Cani di Salvataggio dove il binomio uomo cane è definito unità cinofila. In quel contesto posso essere chiamato Massi o Pedro ma non per confusione, ci si appella ad entrambi sempre, al connubio ed al legame tra persona e cane. L’unica accezione…. come nel ballo uno dei due conduce e se l’altro non si fida non lo seguirà mai….. credo sia giusto che i “conduttori” dei nostri cani siamo noi… 🙂
All’università, nel corso “zooantropologia – interazioni uomo animale” dove si trattano etologia, comportamentalismo, pet therapy ed altro, ci hanno consigliato “tutore”.
…sarà perché l’ho preso piccolo e da allattare con la siringa, ma io sono la “mamma” del mio gatto Zumpi e mi riesce difficile denominarmi in altro modo. Per estensione e perché l’ho comunque presa molto piccola, sono anche la mamma dell’altra gatta, Macchia.
Alla nostra veterinaria ci presento come “la famiglia Zumpi” o “Zumpi & Co.”, dato anche che lei iniziò con il chiamarmi “Signorina Zumpi”, che secondo me era meraviglioso!
^_^
Proprietario mi sa di detentore di un oggetto. Padrone troppo “severo”.
Mamma mi va benissimo, sono sincera! Tanto mica devi per forza essere una mamma umana. Anche la mamma gatta/cana si chiama mamma. Quindi se sei la mamma del tuo cane/gatto, non vuol dire per forza che devi trattarlo come un bambino!
Poi quando fai la voce imbecille “Vieni dalla mamma!” suona benissimo “Vieni dal proprietario” terribile e “Vieni dal padrone” cinquanta sfumature di grigio.
^_^
Credo di aver messo un record… utilizzando una strana legge messicana ho dato a Balrog il mio cognome. Ma nonostante questo continuo a ribadire che non e’ mio figlio
“Mamma” mi fa venire brividi di raccapriccio.
E aborro i vari pelosi, pelosetti, pelosone, angioletto e compagnia bella.
Poi non capisco “cana”… Davvero non capisco. Dire “cagna” suona insultante per la moralità del quadrupede?
Io chiamo il cane per nome ma quando mi riferisco a lei può diventare “il cane” o al limite “la bovara” 😀
Io mi definisco “padrona” o “proprietaria” senza troppi pensieri.
Considero il mio cane un compagno di vita e non una proprietà o uno schiavo ma nè io nè lei ci formalizziamo sui termini 😀
Il problema è stato quando son nati i cuccioli della mia cagna: un fottio di persone continuava a dire che ero diventata “nonna” con la mia più viva riprovazione.
In quel caso ribattevo seriosa che al limite potevo essere “allevatrice” (che “privato che fa una cucciolata” è lungo assai) ma poi ai cuccioli cinguettavo gioiosa “Piccolini!! Venite da ZIA!!”
😀
Ieri Moka e io siamo state a trovare mio padre. Lui mentre la strafogava di bocconcini e mandava allegramente a puttane tutto il lavoro sul cibo degli ultimi 14 mesi le diceva: “Amore, vieni dal nonno che ci pensa lui, tua madre ti fa morire di fame!” (Mi sa che “tua madre” ero io). Intanto che ridevo mi veniva l’orticaria…
…e canettiere…canitengolo….canuto(dotato di cane)…
“umano”, “bipede”, “mamma e papà”…come se al cane gliene fregasse qualcosa! tutta fuffa, questioni di lana caprina, voglia di apparire migliori, più sensibili, rispetto a chi dice “padrone”. Un po’ come quelli che il cieco lo chiamano non-vedente, salvo poi parcheggiare mezza macchina sul marciapiede e impedirgli di camminare. O come gli amministratori pubblici che, invece di togliere le barriere architettoniche, sproloquiano sui “diversamente abili”.
Pare che anche “cane” sia diventata una parolaccia…per cui peloso-pelosetto-quadrupede-amoredimammaepapà -e chissà cos’altro- abbondano nella bocca degli stolti (una volta abbondava solo il riso, ma si vede che anche questo è passato di moda).
La mia definizione formale è “proprietario”.
Essendo allergico al papà/mamma, quella informale è “bipede”.
Io sinceramente non mi sono mai dato una definizione. Il veterinario ci conosce come Eros e Balrog (Eros sono io), al parco credo che stiano iniziando a ricordare i nostri nomi e credo di non aver mai avuto bisogno di “qualificarmi”.
la necessità stimola la creatività…
a casa: “Pedro fila dal tuo papà e lascia stare tuo fratello” (il fratello ovviamente è Andy, il gatto)
al telefono col veterinario: “ciao, sono Any del Pedro!”
sms coll’addestratore: “ciao, sono Pedro!”
entrando dal veterinario l’altro: “buongiorno, ho lasciato qui il mio gattino per un’operazione… mi chiamo Any…” “…” “l’ho lasciato alle due” “…” “è un gattino nero che parla moltissimo” “AH, MA SEI LA MAMMA DEL PICCOLO ANDYYY!!!” (sic)
Io mi definisco “canitore” di Maya XD
Io se posso evito e bon.
“Lei HA un cane?””E’ suo?””E’ NOSTRO”.
Insomma, I cani sono parte dela Nostra famiglia, è li chiamo “miei” come chiamo mia la mamma o come miei i nipoti o mio il marito.
Loro sono i nostri compagni pelosi, ne siamo legalmente proprietari ed eticamente responsabili, ma viviamo con loro, non al di sopra.
Il ruolo di “capobranco” ce lo conferiscono loro (se ce lo meritiamo e se “siamo quelli giusti”)
Se devo scegliere una parola uso Padrone perchè mi ricorda termini sacrosanti per chi ha un qualsiasi animale: padre(affettuoso severo educatore consolatore amico fedele…) e padronanza(di sè, delle proprie azioni, delle situazioni,…), ed onestamente si addice fin troppo bene alla versione “padrone-schiavo” quando in giro si vedono certi cani (quelli che davvero sono trattati come schiavi).
Proprietario è un termine troppo giuridico che mi da l’idea di ridurre il cane a un bene quantificabile.
Gli altri… beh, lasciamoli perdere che son troppo arzigogolati…e il tempo perso a spiegarli è tutto tempo tolto alla “divulgazione cinofila”.
Mamma in casa va più che bene, Zia per tutti gli altri cani!
“Mamma” è tremendo dai. “Umana” va benissimo 🙂
Del resto se Moka è il mio cane io sono la sua umana, non fa una piega.
Al corso per diventare educatori cinofili che sto frequentando, il proprietario del cane viene chiamato “pet-owner”, perchè sì, l’inglese fa figo (anche se significa comunque proprietario).
Personalmente, mi definisco “mamma” in privato e “proprietaria” in pubblico…
Ciao, io non ho cani ma gatti, mi capita raramente di dovermi definire come qualcosa. Di norma solo quando chiamo la veterinaria e mi devo presentare. Il problema è che ho uno sfigatto e i contatti con la vet sono piuttosto frequenti, ma ogni volta vado in crisi, proprio per tutti i motivi che tu hai detto.
A casa sono la “mamma” ma mai direi alla vet “sono la mamma di Peda”.
Alla fine l’unica frase che ho trovato e che almeno al telefono funziona è… “Buongiorno, sono Silvia di Peda”. e lei capisce 🙂
grazie per i tuoi post 🙂
Io ho sempre detto “sono la padrona di…” (tranne in casa, dove chiaramente sono la mamma!), in fondo in latino PATRONUS significa “protettore, difensore” e quindi etimologicamente mi sembra più che adeguato… noi siamo responsabili del nostro cane, del suo benessere psicofisico… in questo senso siamo i suoi padroni. Al limite potremmo dire “patrono” ma fa molto santità… io sono un po’tradizionalista poi.
Sempre piacevolissima da leggere! 🙂