Oscar, il cane di Laura, ha vissuto fino all’invidiabile età di 18 anni con tre zampe, dopo l’amputazione di un anteriore per le conseguenze di un incidente automobilistico.
A 16, colpito da problemi neurologici alle zampe posteriori (del tutto slegati dalla sua condizione di tripede) è stato aiutato a deambulare prima con un’imbragatura di cuoio e poi con un carrellino ricavato da una carrozzina.
Cioby era un welsh corgi che viveva randagio e che a sua volta ha dovuto fare i conti prima con il lato peggiore (un’auto l’ha investito e non si è neppure fermata) e poi con quello migliore degli esseri umani (Massimo, il ragazzo che aveva assistito all’incidente, è corso in suo aiuto).
In seguito, purtroppo, ha incontrato un altro umano di serie B: e stavolta, forse, la cosa è ancora più grave, perché si trattava di un veterinario deciso a sopprimerlo.
Per fortuna i suoi “padroni adottivi”, lo stesso Massimo e sua moglie Lisa, non hanno accettato e hanno voluto sentire un secondo parere. Cioby ha vissuto a lungo e felice sul suo carrellino.
Operetta era una giovane bassetthound quando è stata colpita da ernia del disco: paralizzata agli arti posteriori, ha iniziato la sua nuova vita con l’aiuto di un carrellino.
In seguito, con l’aiuto della fisioterapia, è riuscita a recuperare quasi completamente l’uso degli arti posteriori ed ha potuto rinunciare definitivamente al carrello.
E adesso ditemi cosa pensate di queste storie: hanno tutta la vostra approvazione, e ritenete che siano indice di una nuova visione davvero “civile” del mondo animale?
Vi commuovono, ma sotto sotto pensate che forse sarebbe stato più umano aiutare a morire, e non a “sopravvivere”, queste povere bestie che comunque non potranno più godersi una vita dignitosa?
Bene, vi confesso subito una cosa: io l’ho pensata a lungo in questo secondo modo.
La prima volta che ho visto la foto di un cane (bassotto) sul carrellino mi sono balzati subito alla mente termini come “forzatura”, “accanimento terapeutico”…e soprattutto “egoismo”.
Era questa la parola che mi si affacciava più prepotentemente.
Ma poverino!
Sicuramente lui NON vorrebbe vivere una vita in cui non può più essere un “vero” cane, ma solo un surrogato tenuto lì con lo stesso spirito (per me) malsano e malato con cui altri fanno imbalsamare il loro beniamino scomparso.
Egoismo e illusione. Voglia di continuare a “possedere” qualcosa che non c’è più…o qualcosa che, se potesse parlare, sicuramente “chiederebbe” di potersene andare.
L’ho pensato per anni.
Ne sono stata profondamente ed “eticamente” convinta, finché nel giro di due mesi, due dei miei cani, praticamente uno dietro l’altro, non sono stati colpiti da paralisi.
Il primo, il pastore tedesco Ektor, aveva un’ernia del disco, non riconosciuta e non operata in tempo.
Lo portai da tre veterinari diversi, non volendomi arrendere alla prognosi infausta del primo (“resta solo l’eutanasia”) e poi del secondo (“non c’è che l’eutanasia”).
Ektor (“Ettore” per noi) aveva solo sette anni…e non posso dire che fosse “più di un cane”, perché per me questa frase non significa nulla: per me nessun cane è “solo un cane”.
Però ci sono cani più importanti e meno importanti, così come ci sono umani più importanti e meno importanti.
Non stiamo a raccontarci storie.
Quando mio padre si è ammalato di cancro, per me è stata una tragedia. Quando la stessa malattia ha colpito il mio vicino di casa (nonché amico), è stato un grosso dispiacere, ma non posso certo dire che sia stata la stessa cosa.
Ecco: Ettore – in campo canino – per me era importante come mio padre in campo umano.
Era un cane con cui avevo giocato, lavorato, discusso, diviso momenti importanti.
Era il cane che aveva letteralmente educato mio figlio, che gli aveva insegnato a camminare (finalmente) a due zampe aggrappandosi al suo collo, dopo che io avevo cominciato a perdere le speranze visto che lui, cresciuto in mezzo ai cuccioli, sembrava intenzionato a gattonare fino al servizio militare.
Avevo due cani “così” importanti, in quel periodo: uno era Ettore e l’altra era Snowwhite, la capostipite del mio allevamento di siberian husky.
Gli altri non erano “solo cani”…ma li amavo un pochino meno. Questo è quanto.
Così, dopo il responso dei due veterinari locali, non mi arresi a portai Ektor a Milano, dal megaprofessoroneluminaregalattico che probabilmente era -a quei tempi – uno dei massimi esperti europei per quel tipo di patologia.
Quando anche lui allargò tristemente le braccia, non mi restò che chinare il capo.
Ektor non uscì vivo da quell’ambulatorio.
Okay, si dice sempre: la vita continua.
Chi alleva cani deve mettere in conto momenti come questo, non è che puoi passare tutta la vita a ripeterti “se avessi fatto”, “se fossi andata”, “se” qui e “se” là.
Così, in qualche modo, passai oltre, aiutata anche dal fatto che Snowwhite stava per avere i cuccioli, e l’impegno di una cucciolata è qualcosa che ti fa dimenticare tutto. Anche come ti chiami.
Nacquero i cuccioli, bellissimi come sempre, sanissimi e buffissimi: ma quando avevano appena una settimana, la Snow cominciò a manifestare strani tremori sul posteriore.
Terrorizzata, volai direttamente dal megaprofessoroneluminaregalattico: dritta come un fuso, senza passare per il “Via”.
Ero così convinta che anche lei avesse l’ernia del disco, che rimasi di stucco quando non se ne trovò alcuna traccia.
Intanto, giorno dopo giorno, anche Snowwhite cominciava a perdere sensibilità agli arti posteriori.
Un incubo.
Diventai io la mamma dei suoi cuccioli (biberon ogni due ore, giorno e notte), mentre lei passava da un ambulatorio all’altro, da una clinica all’altra.
Alla fine dovetti ricoverarla, perché è umanamente impossibile tirar su una cucciolata neonata, badare a un figlio duenne e portare in giro per l’Italia una cagna paralizzata.
Dopo due eterne settimane arrivò la diagnosi: mielopatia degenerativa di origine sconosciuta, forse (forse) virale.
Prognosi: sicura paresi di tutto il treno posteriore, probabile avanzamento progressivo verso la tetraparesi.
Suggerimento, ancora una volta: eutanasia.
E io, egoismo o non egoismo, stavolta gridai: NO!
Anche lei no, dannazione.
Era troppo, non era giusto, non potevo reggerlo.
Mi riportai a casa una cagna apatica, infelice, tristissima, che non capiva cosa le stava succedendo e che, ne ero certa, voleva solo morire.
E invece, chiedendole scusa per quello che le stavo facendo e dandomi mille volte della lurida egoista, presi mio marito e lo “obbligai” letteralmente a trasformare l’ex carrozzella di mio figlio in un carrellino per cane disabile.
Dopodiché, piangendo come una fontana, ci misi sopra la Snow e stetti a guardare quello che succedeva.
Ed ecco quello che successe:
a) mi fece restare lì come un’allocca che di sopra stava ancora piangendo, e di sotto sorrideva come la persona più beata del mondo;
b) cambiò radicalmente le mie stupide e antropomorfiche convinzioni sui cani disabili.
Perché la Snow impiegò circa dieci minuti a capire come si poteva gestire questa strana “appendice” che le avevamo applicato: ma all’undicesimo minuto rotellava già allegramente per il piazzale con la faccia allegrissima, si dirigeva verso la sua pallina preferita, la prendeva in bocca e me la portava.
“Ehi, sono di nuovo in piedi. Giochiamo?”
Non vado oltre, perché in questo articolo ci sono tante cose da dire, e sono tutte più importanti della mia storia.
Ma la mia storia (come quelle di Oscar, di Cioby, di Operetta e di mille altri cani che hanno vissuto la stessa esperienza) vorrebbe spiegare a tutti i lettori che prima di qualsiasi altra considerazione bisogna partire da un presupposto importante. I cani NON vivono la disabilità come gli umani. Non si fanno problemi, non si sentono umiliati, non si sentono “diversi”.
Se possono muoversi, camminare e giocare come prima, loro recuperano immediatamente la VOGLIA, e non solo la capacità, di muoversi, camminare e giocare: quello che è successo “là dietro” non gli interessa minimamente.
Snowwhite, appena si ritrovò in piedi, cominciò perfino a cercare i suoi cuccioli, ormai quasi svezzati: glieli portai, li riconobbe immediatamente e si mise immediatamente a educarli, sgridarli, indirizzarli verso la vita che li attendeva.
La storia di Snowwhite non è a lieto fine, purtroppo: il suo “periodo a rotelle” durò meno di otto mesi. Poi la malattia, quando ormai l’avevamo dimenticata, riprese il suo corso…e questa volta fu – rapidamente – la fine.
Brutto, eh? Fu bruttissimo, giuro.
Ma non come con Ektor.
Perché questa volta avevo fatto davvero “tutto” il possibile. E perché ero riuscita a regalarle otto mesi assolutamente sereni, in cui lei si era sentita un cane assolutamente “normale”, in cui mi aveva accolto ogni mattina con il suo classico “sorriso” da cane nordico e in cui aveva sicuramente scodinzolato con la mente…anche se la sua coda, come tutta la sua parte posteriore, non aveva potuto muoversi.
Fine.
Anzi, no, non ancora: perché c’è un altro punto importante da sottolineare.
C’è da dire che non è solo il cane disabile a non sentirsi “diverso” da prima: anche gli altri cani (a differenza degli umani nella stessa situazione) accolgono il carrellino con un’indifferenza che sicuramente, nel loro caso, non è simulata né “studiata”.
Non gliene frega proprio nulla.
Il carrellino è un accessorio a cui si riserva un’annusatina incuriosita (ma quanto è limpida e ingenua quella curiosità!) e che non cambia minimamente la loro considerazione per chi lo porta. Gli animali sembrano sapere assai meglio degli uomini che le zampe (o le gambe) sono solo un mezzo di trasporto: niente a che vedere con il cervello, la personalità, il carisma della pers…pardon, del cane.
Snowwhite era la femmina alfa del mio “branco” di husky prima della malattia, e tornò ad essere la femmina alfa quando riapparve con il carrellino. Sua figlia Stormy Cloud, che aveva preso momentaneamente il comando, glielo cedette nuovamente…no, non volentieri! Questa è una storia vera, mica un film di Walt Disney.
Glielo cedette assolutamente controvoglia dopo aver provato ad avanzare verso la madre col pelo ritto, i denti in bella vista e le zampe rigide come trampoli, in un’esibizione di dominanza che non lasciava adito a dubbi: avrebbe fortemente voluto il comando e non aveva la minima intenzione di rimollarlo alla Snow.
Quando le due femmine si incontrarono, io ero lì pronta ad intervenire temendo il peggio del peggio. Ma sapete cosa accadde?
Snowwhite accettò la sfida della figlia senza dare il minimo segno di sottomissione: anzi, avanzò contro di lei con il treno anteriore più rigido del suo, le orecchie drittissime, lo sguardo fisso…e il didietro a rotelle. Ma questo non contava niente.
Le due si fronteggiarono per qualche secondo, la Snow fece un “grrrrrr” sommesso…e la Stormy capottò a gambe all’aria. Okay, okay, sei tornata e comandi di nuovo tu.
Fine. E questa volta sul serio.
Ora voglio chiedervi di pensare seriamente alle storie che vi ho raccontato: e di fare tutto il possibile per cambiare “la testa” delle persone che la pensano ancora come la pensavo io dieci anni fa.
Anni fa, su “Ti presento il cane”, abbiamo lanciato un sondaggio su questo argomento.
La domanda era: “Pensi che sia giusto tenere in vita un cane disabile (per esempio, paralizzato sul posteriore)?”
E questi sono stati i risultati:
Trovo che – anche se solo su un piccolo campione – sia stato un risultato incoraggiante.
Di scemi come me, a quanto pare, non ce sono molti… però, c’è un “però”: ed è che i lettori di “Ti presento il cane”, per la stragrande maggioranza, sono cinofili “già” preparati, acculturati e un po’ diversi dal normale “proprietario di cane”.
A me piacerebbe arrivare anche a lui: anzi, questa rivista è nata proprio per arrivare anche a lui.
Quindi, se potete…cercate di arrivare ai “padroni tipo”.
A quelli che magari antropomorfizzano, che si lasciano convincere dal veterinario disfattista o che semplicemente temono che l’impegno di un cane disabile sia superiore alle loro forze.
Portate loro i messaggi di Oscar, Operetta, Snowwhite e tutti gli altri.
Ma soprattutto portate il messaggio delle persone che possono fare davvero qualcosa: da chi pratica la fisioterapia (che oggi fa davvero miracoli) a chi, nei casi irrisolvibili, può darvi una mano a costruire un carrellino e a ridare a un cane una vita “vera”, e non un misero sostituto.
L’IMPORTANZA DELLA FISIOTERAPIA – Intervista a Caterina Vallani
Caterina Vallani, medico veterinario, da circa nove anni si occupa a Milano di fisioterapia e riabilitazione motoria applicata agli animali domestici.
Abbiamo parlato con lei dei problemi dei cani disabili partendo dal presupposto che prima di ricorrere al carrellino ci siano spesso altre alternative da considerare.
D: Parlare di fisioterapia sugli animali, in Italia, spesso ottiene reazioni non solo scettiche, ma addirittura sbigottite. Addirittura ochissime persone sanno della sua esistenza . Come mai?
R: In Italia la fisioterapia è ancora poco conosciuta e ancor meno diffusa. Quando ho iniziato, nove anni fa, molti colleghi erano scettici e non conoscevano l’argomento.
Inizialmente i casi ci pervenivano più per iniziativa dei proprietari che per invio da parte dei veterinari curanti; ora per fortuna la situazione sta fortunatamente cambiando, anche grazie al nostro impegno attraverso un’ opera di divulgazione presso i colleghi.
Noi”pionieri” di questa branca della medicina veterinaria abbiamo attinto a quella che è la letteratura e l’esperienza in umana, adattando le diverse terapie e le modalità d’applicazione alla realtà dell’animale.
I risultati sono molto incoraggianti e dimostrano le grandi potenzialità che ha la fisioterapia quando applicata .
Il grosso problema purtroppo in Italia è che la fisioterapia non è ancora regolamentata in alcun modo; in pratica chiunque può esercitare la fisioterapia senza essere neppure veterinario, senza avere una formazione appropriata.
Ma essendo la fisioterapia un trattamento medico, applicata a soggetti con gravi lesioni, necessita assolutamente di una formazione veterinaria.
La nostra paura è che questa grave situazione possa causare confusione nel pubblico ma soprattutto creare danni a carico di animali già sofferenti.
Quindi è auspicabile una regolamentazione e nel frattempo sarebbe opportuno rivolgersi solo a centri gestiti da veterinari.
D: La fisioterapia può fare davvero “miracoli”?
R: Certamente no. Anche se i risultati sono molto incoraggianti, ci sono purtroppo situazioni in cui la lesione non permette alcun recupero e in cui solo l’alternativa del carrellino può permettere all’animale di vivere in modo assolutamente dignitoso e felice.
Ma prima di pensare al carrellino è opportuno e corretto intraprendere la strada della riabilitazione .
Ricordiamo comunque che per ottenere buoni risultati con la fisioterapia bisogna partire sempre da una diagnosi corretta per poter intervenire precocemente e applicarla con professionalità e costanza.
D: Per quali patologie è maggiormente indicata la fisioterapia?
R: Proprio come in medicina umana, interviene nella cura di tutte le lesioni che coinvolgono la capacità di movimento nei casi di lesioni neurologiche, come ernie del disco, naturalmente dopo adeguato intervento chirurgico, emboli fibro-cartilaginei, traumi conseguenti, per esempio, ad incidenti d’auto.
Poi c’è una vastissima applicazione nelle patologie ortopediche, dagli esiti di fratture alle displasie.
Per esempio riguardo a questo ultima patologia la fisioterapia in qualche caso può aiutare da sola un cane a vivere una vita normale, anche se il più delle volte fa da supporto alla chirurgia.
In questi casi è utile sia prima che dopo l’operazione, perché una preparazione adeguata all’ intervento chirurgico aumenta di molto la capacità di ripresa e velocizza il decorso post-operatorio.
Come si è già detto l’intervento precoce è fondamentale per limitare il più possibile le conseguenze dell’immobilità, infatti basta pensare che queste intervengono già dopo 72 ore di inattività e rappresentano già un problema.
Anche se il cane fosse ancora a completo riposo post-operatorio è possibile iniziare un lavoro riabilitativo passivo, senza sottoporre l’animale al minimo sforzo, ma utile per limitare l’ipotrofia muscolare e per mantenere un adeguato movimento articolare, garantendosi maggiori possibilità di riuscita ed un iter terapeutico più breve.
Il successo di un programma fisioterapico nasce da un vero e proprio lavoro di squadra che vede coinvolti il veterinario che esercita la fisioterapia, quello curante il proprietario ed il paziente. Devono essere tutti molto collaborativi.
D: Come affrontate i singoli casi?
R: Innanzitutto si effettua una valutazione globale del soggetto, tramite una visita fisioterapica. Questo permette di identificare un programma di lavoro personalizzato, adeguato non solo al tipo di lesione ma che tenga conto anche delle peculiarità del paziente.
Pressoché la totalità dei pazienti arriva ad un ottimo grado di collaborazione.
In certi casi, per esempio quando c’è una paralisi per una lesione midollare, l’animale può dimostrare una certa depressione, più che giustificata se si pensa che per lui l’esperienza di non potersi muovere, il non capire cosa gli è successo e perché, è un vero trauma psichico. Istintivamente per l’animale il movimento è strettamente collegato con la vita stessa: la possibilità di fuggire da un pericolo, quella di procurarsi il cibo. La sua memoria ancestrale gli dice che senza movimento non c’è vita, quindi la sua prima reazione è quella di lasciarsi letteralmente andare.
Però, non appena si rende conto che può farcela e che qualcuno gli è vicino, il suo atteggiamento cambia radicalmente. E man mano che arrivano i primi risultati si vede un vero “entusiasmo” nel cane, che si impegna al massimo nel recupero.
L’intervento fisioterapico inizia con il controllo del dolore, tramite l’applicazione strumentale- per esempio di laser, elettromagnetoterapia, ultrasuoni ecc- con manualità passive, che comprende massaggi, movimenti passivi, con esercizi attivi, per esempio su tapis roulant o in acqua, movimenti che interessino tutto l’animale, non soltanto la parte lesa.
E’ importante identificare le compensazioni e la correzione degli atteggiamenti posturali scorretti, per questo si eseguono esercizi posturali e stimolazioni propriocettive.
D: Quali terapie strumentali possono applicarsi al cane?
R: Praticamente tutte quelle che si usano sull’uomo, dal laser alla magnetoterapia, per il controllo del dolore all’elettrostimolazione muscolare e così via. Sono tutte ben tollerate dall’animale.
D: Quando si parla di fisioterapia, la prima cosa che viene in mente è quasi sempre il nuoto. E’ davvero un valido strumento di rieducazione?
R: Sì, validissimo: ma solo in certi casi e solo se applicato con le dovute attenzioni, in apposite vasche da idroterapia e non in piscine, che non sono adeguate per l’idrochinesiterapia.
E’ scorretto comunque identificare la fisioterapia “con” il nuoto, perché questo è soltanto uno dei mezzi utilizzabili: e va usato nei tempi (importantissimi) e nei modi adeguati, altrimenti può essere addirittura dannosa.
Un generico “portate il cane a nuotare” è altamente rischioso e senza senso, anche perché non tutti i cani amano l’acqua o sono pronti per beneficiare del nuoto, e costringere a nuotare un cane che ne ha paura può essere molto controproducente.
D: Un’ultima domanda assolutamente pratica: un “normale” padrone di cane, in una città a caso, come può trovare rapidamente un centro in grado di aiutarlo?
R: Come ho già detto, molti veterinari ormai conoscono l’efficacia della fisioterapia e sono in grado di indirizzare verso i centri più preparati.
Per chi non avesse questa opportunità, però, esiste un’associazione, l’ A.S.T.R.A.D. (Associazione Studio Terapie Riabilitative Animali Disabili), che può aiutare i proprietari a trovare un aiuto per il proprio cane.
Buonasera a tutti Vi voglio raccontare la mia storia nella speranza che potete darmi dei consigli utili perché sono davvero disperata dopo 3 anni ho deciso di fare accoppiare la mia cucciola Camilla
Lei è una meticcia Chihuahua Pincher} sono venuti fuori quattro bellissimi cuccioli tre di loro li abbiamo dato in adozione ma uno di loro purtroppo è capitato proprio male Ho trovato una famiglia a dire poco s****** che lo hanno maltrattato. 8″ giirno fa mi chiamano alle 3 di notte per dirmi che il cucciolo era ricoverato in clinica io mi precipito in clinica e lo trovo in una situazione veramente straziante 😢😢
il cucciolo Era in coma e dopo tanti esami abbiamo scoperto che aveva un trauma cranico, perché non solo loro lo hanno maltrattato al momento di portarlo in clinica dicevano di non sapere cosa fosse successo al piccolo. insomma per farvela breve il piccolo è rimasto paralizzato dalle 4 Arti. ha solo due mesi e 20 giorni.. Io sono disperata perché mi sono presa io cura di lui dato che i suoi padroni lo hanno abbandonato in clinica. E poi ci mancherebbe dopo che hanno fatto una cosa del genere non meritano neanche di campare questi esseri immondi.. Qualche consiglio su cosa devo fare con il mio cucciolo? in clinica mi hanno detto che la migliore cosa è fare. l’ Autanasia ma io mi rifiuto a fare questo.. 😢😢😭LO DICONO pensando al bene del cane perché il cucciolo non ha nessuna speranza che riprende a camminare per favore mi potete aiutare Sono disperata
salve ho un cane paraplegico ma lui nn si lasci aiutare e morde tutti cosa devo fare?
Probabilmente morde perché ha paura di essere maneggiato: consiglio di abituarlo gradualmente alla museruola (mettendoci dentro dei bocconcini) e, una volta che la porterà senza più dare segni di stress, di mettergliela per poter lavorare tranquillamente e senza rischi. Se ancora non ce l’ha, suggerirei anche di prendergli un carrellino: è di grande aiuto per i cani che hanno difficoltà di movimento e li rende meno insicuri, quindi più sereni e meno aggressivi.
La mia trovatella Malú ha avuto una diagnosi di neosporosi all’età di due mesi. Il primo veterinario ha scosso la testa,come per dire che era spacciata, il neurologo ha detto “proviamo”. Una zampa era praticamente paralizzata, l’altra stava andando. Io lo stesso giorno della diagnosi ho iniziato a guardare i carrellini, pronta ad affrontare la vita con una cagnetta disabile. Il periodo in cui viveva praticamente su tre zampe correva, giocava, mangiava… Faceva le cose normali di un cucciolo, supportata dalla mia cagnetta di cinque anni che le ha fatto da sorella maggiore.
Per puro caso la cura ha funzionato, e la ginnastica e i massaggi quotidiani le hanno fatto riprendere la funzionalità del treno posteriore quasi al 100%. Questo per me è stato un piccolo miracolo.
Mi ricordo di un tizio che pensava che i disabili fisici e mentali non avessero una vita dignitosa e convinse un sacco di famiglie a far fuori i parenti matti, paralitici o semplicemente tonti…Hitler, si chiamava , se non erro e ne fece fuori tanti davvero.Erano le prove generali di una cosa che ora viene negata….
Io sto sulla mia sedia a rotelle e sfido chiunque ad essere meglio di me, a fare quello che faccio io nelle 14 ore della mia giornata lavorativa ed in piedi. C’è sicuramente qualcuno in grado di battermi, ma non molti.
Sono riuscita ad accudire mia madre malata terminale, in tre orrendi mesi in cui a casa mia non si è visto nessuno, ne’ amici, ne’ parenti, perchè il dolore fa paura e fa il vuoto attorno. Anche di cani disabili me ne sono capitati un bel po’, anche due paralitici, una per incidente d’auto(Pietra), una per discopatia(Pomì)
Ho avuto la fortuna di non doverli mettere sul carrellino, perché ce l’hanno fatta e sono ancora qui con me, anziani, ma camminatori.
Diciamo che se le loro condizioni peggiorassero improvvisamente( Pietra ha sempre la colonna divisa in due e Pomì ha sempre l’ernia del disco), si farebbe un po’ fatica a gestire il traffico su ruote dentro casa…
dovrei approntare una pedana costosissima per farli scendere in giardino, non so se reggerei, finanziariamente, ma certo non opterei per l’abbattimento, a meno che non soffrano tanto, perchè ci si abitua anche al dolore.