sabato 16 Agosto 2025

Qua la zampa, è Natale: racconto N. 6 – Meno… Male che ci sei

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concorsonatale_racconto6“Simile all’originale.”
“Copia!”
Diedi un’ultima occhiata alla mia opera poi posai penna e cruciverba sul bracciolo del divano e mi stiracchiai più che potevo.
Una sensazione meravigliosa… bruscamente interrotta dal telecomando che, dopo avermi teso un agguato nascondendosi tra le pieghe del plaid, si lasciò cadere sul pavimento. Il rumore ridestò anche Amarok dal suo vigile sonno che mi guardò quasi seccato. Si alzò, stirò le zampe anteriori e poi quelle posteriori mentre già veniva verso di me. Gli sorrisi e lui fece altrettanto, appiattì le orecchie all’indietro e col muso mi  diede un colpetto.
Con le gambe ancora intorpidite, mi alzai dal divano e diedi un’occhiata dentro l’ufficio. Stava ancora lavorando. Mi avvicinai piano allo stipite della porta.
“Noi usciamo a fare una passeggiata. Vieni?”
Juriy sospirò alzando lo sguardo dal pc.
“Ho quasi finito, andate pure. Vi raggiungo tra poco.”
Annuii e mi allontanai. Amarok stava già scodinzolando verso la porta e incontrando il mio sguardo si lasciò andare in un mugugno emozionato. Misi la giacca, agganciai il guinzaglio e uscimmo.
La pioggia era cambiata in neve, ma io me ne accorsi solo a passeggiata inoltrata. Amarok mi precedeva; la coda alta e il naso piantato a terra che guidava il mio sguardo. Fu allora che, nel seguirlo, notai il bianco sottile, quasi ancora impercettibile a bordo strada. Amarok fece allora un balzo all’indietro e soppresse un ululato come a dirmi “Buongiorno principessa, finalmente te ne sei accorta!”
In lontananza intravedevo appena la casa che per anni era stata la regina degli addobbi natalizi. Saltava subito  all’occhio di tutti per le piccole luci che percorrevano l’intero perimetro della costruzione per irradiarsi poi per tutta la cancellata, ma quest’anno era buia. Mi fermai. Era il 23 Dicembre 2013 e la crisi sembrava arrivata anche nel nostro piccolo paesino.
Giunti nel parco i fiocchi si erano fatti grandi e silenziosi e cominciavano a ricoprire cespugli e panchine; Amarok sdraiato nel prato ormai bianco avvolto nel suo pelo folto e a tratti argentato non faceva una piega, mentre io avevo già cominciato a patire il freddo.
Lo guardavo rapita: gli occhi scuri, a mandorla, socchiusi per vedere il più lontano possibile indagavano il paesaggio, ma sembravano non perdermi mai di vista. Il naso portato alto vibrava nell’aria sollecitato da mille odori. Sul volto un’espressione di fiera beatitudine mostrava il suo spirito di lupo sotto l’aspetto di pacioso cagnone.
A un tratto si voltò: le orecchie si appiattirono e la coda si mosse. In fondo al vialetto Juriy procedeva sorridendo. Giunse nel prato dove stava Amarok, che puntò un legno;  nell’afferrarlo con foga gli scappò la presa e il legnò atterrò ai piedi di Juriy. Starnutì nell’intento di scrollarsi la neve dal muso, prima di lanciarsi in una corsa sfrenata dietro a quel legno lanciato a tradimento senza sapere nemmeno in che direzione correre esattamente. E allora rallentò disorientato, cercò di nuovo, si voltò e ci vide ridere. E orgoglioso come un lupo, fece semplicemente finta di aver trovato una pista imperdibile, ci porse il didietro come a volersi vendicare e si allontanò trotterellando.
Lo zampettio di un pinscher spuntato da un vialetto secondario contrastava col silenzio delle grandi zampe bianche che il nostro immenso Malamute piantava sicuro nella neve. All’altro capo del guinzaglio una signora dal passo precario e insicuro nei suoi tacchetti; sembrava scoppiare nel suo piumino nero ornato da una stretta cintura.
Li seguimmo con lo sguardo fino a che non scomparvero in fondo al vialetto.
Ma a un tratto un rumore ci attirò: ci voltammo giusto in tempo per goderci l’espressione soddisfatta di chi ha appena concluso qualcosa di grande. Posteriore basso, sguardo estremamente soddisfatto e al contempo eccitato e lingua ballonzolante ad un lato della bocca. Amarok corse più che poteva. Fece due o tre giri attorno al perimetro del prato per poi raggiungerci con una sgommata. Avevo capito. Presi i sacchettini di plastica e andai a raccogliere “l’opera”.
Sulla via di casa ci trovammo di nuovo a passare davanti a quella casa che, senza le solite lucine, mi dava un senso di infinita tristezza. Fui ridestata dai pensieri sentendo tendere il guinzaglio e di colpo mi ritrovai contro la ringhiera mentre Amarok faceva pipì.
A un tratto la casa si illuminò lasciandoci di stucco. Io e Juriy guardammo in alto sorpresi;  stavamo li, sotto la luce intermittente delle luci colorate che finalmente ornavano di nuovo quel luogo così magico. Lui mi prese la mano.
Restammo  qualche secondo in silenzio, semplicemente osservandoci l’uno con l’altra. Fu in quel momento che il nostro Malamute si mise tra noi e con dolcezza diede un colpetto col muso alle nostre mani strette insieme. I nostri cuori si sciolsero. E allora capimmo che mai ci sarebbe stato momento più completo. Mai ci sarebbe stato momento più perfetto di quello.

Francesca Adragna

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