mercoledì 1 Ottobre 2025

Il “mio” specismo cinofilo

Dello stesso autore...

Valeria Rossi
Valeria Rossi
Savonese, annata ‘53, cinofila da sempre e innamorata di tutta la natura, ha allevato per 25 anni (prima pastori tedeschi e poi siberian husky, con l'affisso "di Ferranietta") e addestrato cani, soprattutto da utilità e difesa. Si è occupata a lungo di cani con problemi comportamentali (in particolare aggressività). E' autrice di più di cento libri cinofili, ha curato la serie televisiva "I fedeli amici dell'uomo" ed è stata conduttrice del programma TV "Ti presento il cane", che ha preso il nome proprio da quella che era la sua rivista cartacea e che oggi è diventata una rivista online. Per diversi anni non ha più lavorato con i cani, mettendo a disposizione la propria esperienza solo attraverso questo sito e, occasionalmente, nel corso di stage e seminari. Ha tenuto diverse docenze in corsi ENCI ed ha collaborato alla stesura del corso per educatori cinofili del Centro Europeo di Formazione (riconosciuto ENCI-FCI), era inoltre professionista certificato FCC. A settembre 2013, non resistendo al "richiamo della foresta" (e soprattutto avendo trovato un campo in cui si lavorava in perfetta armonia con i suoi principi e metodi) era tornata ad occuparsi di addestramento presso il gruppo cinofilo Debù (www.gruppodebu.it) di Carignano (TO). Ci ha lasciato prematuramente nel maggio del 2016, ma i suoi scritti continuano a essere un punto di riferimento per molti neofiti e appassionati di cinofilia.

esseredi VALERIA ROSSI – Altro argomento “peso”, dopo quello di ieri sulla cinodelinquenza… anzi, proprio “in conseguenza” dell’articolo di ieri, perché tra i commenti in calce a questo articolo, su Facebook, mi è stato segnalato il numero zero di una nuova rivista, “Essere”, che sono andata subito a sbirciare e che mi è piaciuta molto. E’ una rivista vegan/antispecista, quindi qualcuno potrebbe pensare: “Come è possibile che ti sia piaciuta, visto che mangi carne e che hai allevato/addestri cani, entrambe attività considerate normalmente “speciste”, se non addirittura forme di sfruttamento?”
Be’, intanto mi è piaciuta perché è assolutamente NON fanatica: utilizza toni civili, esprime le sue opinioni in modo pacato, insomma utilizza quel tipo di comunicazione informativa e non aggressiva che – come ripeto da sempre – potrebbe far pervenire milioni di nuovi “adepti” alla causa vegana (forse il termine non è proprio correttissimo, visto che “adepti” fa molto  “setta”: ma intendiamolo nel suo senso etimologico, ovvero quello di “persone che hanno conseguito una nuova forma di conoscenza”).
Purtroppo è sotto gli occhi di tutti il dato di fatto (perché di questo si tratta) che la forma più comune di comunicazione vegana/antispecista sia quella aggressiva: e quella no, non mi piace. Mi piacciono invece l’apertura, il confronto, la discussione civile (per quanto io sia la prima, ogni tanto, a salire un po’ troppo sopra le righe: la redazione di Essere in questo è molto più brava di me). E siccome è questo che ho trovato nella rivista, mi è piaciuta e un po’alla volta me la  sto leggendo tutta.

essere_articoloOvviamente ho iniziato però con un articolo in particolare, dal titolo “Cinofilia, specismo e antropocentrismo”.
Vi suggerisco di leggerlo, ma intanto riassumo in brevissimo: l’autrice, Fabiana Romano, ha fatto una disamina impeccabile e molto ben documentata della storia della cinofilia dagli albori ai giorni nostri, dopodichè ha esaminato con serietà tutti i problemi relativi all’allevamento e all’educazione/addestramento. La sua personale conclusione è che vadano superati lo specismo e l’antropocentrismo, arrivando ad una comprensione reciproca e ad un reciproco rispetto che portino a scelte ECO (e non “ego”) centriche e antispeciste, nel rispetto delle biodiversità.
Ma è proprio questo rispetto che, a mio avviso, ci riporta direttamente allo specismo (inteso come “considerare l’uomo diverso dal cane ed intellettivamente superiore a lui”, e non certo come “dominatore di schiavi”): perché il cane, etologicamente parlando – e spero siamo tutti d’accordo sul fatto che non c’è modo migliore di rispettare un altro essere vivente che onorarne gli aspetti etologici – è alla continua ricerca di qualcuno che gli sia intellettivamente superiore e che possa fargli da guida.
Nell’articolo si legge che la zooantropologia cognitiva (identificata dall’autrice come la giusta strada da seguire) ha “superato il concetto di capobranco per passare a quello di genitore”: ma questo è soltanto un modo diverso (e più appetibile per chi già si sente “mammina” del proprio cane) di definire la stessa cosa, ovvero una figura di riferimento, una guida sicura, quel “faro nelle notte” di cui sempre parlo quando mi riferisco al cosiddetto “capobranco” (che in realtà, almeno tra i lupi, è proprio il genitore nella stragrande maggioranza dei casi).

Questa foto, al centro di mille polemiche,è apparsa su FB tempo fa. La pubblico come esempio di testa di cazzo umana che usa violenza sul suo cane, ma fortunatamente pare che fosse una bufala.
Questa foto, al centro di mille polemiche, è apparsa su FB tempo fa. La pubblico come esempio di testa di cazzo umana che usa violenza sul suo cane, ma fortunatamente pare che fosse una bufala.

Certo, è innegabile che ci sia ancora gente che quando pensa al concetto di capobranco pensa a frasi tipo “dagli subito due calci nel culo, così capisce subito chi è il padrone!” (me lo sono sentito dire qualche mese fa, a passeggio con Samba cucciola: confesso che non sono stata politically correct nella risposta): ma credo che ingentilire i termini sia una falsa risposta al vero problema, e cioè al fatto che ci sono ancora persone abituate ad imporsi con la violenza. Persone per cui “chiedere a qualcuno di fare qualcosa” significa automaticamente “fare violenza”. E questi qua, se gli dici di comportarsi come se fossero i genitori del cane, ti risponderanno: “Ah, perfetto! allora gli dò subito due bei calci nel culo, così capisce chi è il papà!”… perché è molto probabile che facciano davvero così anche con i propri figli.
Detto questo, è un fatto inconfutabile che il cane abbia bisogno – etologicamente bisogno – di una figura di riferimento: chiamiamola come ci pare, capobranco, mamma, leader, partner non peloso (questa, scusatemi, quando l’ho sentita mi ha fatto cadere dalla sedia: specie pensando ad alcuni umani che conosco – figlio in testa – che proprio non potrebbero rientrare nella definizione, vista la copiosità di peli da cui sono ricoperti. Il figlio ce li ha ovunque meno che in testa, ma questi son dettagli), ma figura di riferimento deve essere. E per essere definita tale deve dimostrarsi davvero “superiore”, perché altrimenti il cane col cavolo che le dà retta.
Ora: siamo, noi umani, in grado di esprimere lo stesso tipo di superiorità che esprime un cane, in modo così canino da risultare attendibili? Ovviamente no.

ellisringhioNon solo perché, per farlo, dovremmo diventare molto più “fisici” di quanto non siamo e utilizzare mimiche e gestualità che farebbero inorridire qualsiasi gentilista (guardatevi un documentario con Shaun Ellis, uno che – finzione televisiva o meno – in mezzo un branco di lupi ci ha vissuto e che ha cercato proprio di raggiungere la leadership in modo “lupino”, e capirete quello che intendo dire), ma anche perché abbiamo limiti fisici/fisiologici che ci impongono di scegliere strade diverse.
L’antispecismo mi sta benissimo finché si tratta delle “basi” di questa filosofia: gli animali devono avere dei diritti, gli si deve riconoscere la capacità di sentire, provare emozioni, gioire e soffrire.
Ma al di là di questo, le differenze non soltanto esistono, ma temo restino insormontabili.
Non arrivo a parlare di quanta difficoltà incontrerei (come chiunque altro, presumo) nell’identificarmi con una zanzara e nel riconoscerle il suo diritto a succhiarmi il sangue: non entro neppure nel merito del mangiar carne o meno, argomento complessissimo che esula però dalla cinofilia: mi limito a parlare del cane, che considero a pieno titolo un membro della mia famiglia che deve avere tutti i suoi diritti (le mie ne hanno più di me: infatti al momento loro stanno svaccate sul divano e io lavoro al computer), ma che deve essere un membro “sottomesso” – in senso canino, e non umano – al resto della famiglia, perché altrimenti salterebbero tutti gli schemi e quella discriminati finiremmo per essere noi.
Ripeto e ribadisco: “sottomesso in senso canino”.
Il che non significa “povero sfigato martoriato da tutti”, ma “membro del branco che segue le direttive del capo, ben sapendo che farlo è il modo migliore per avere un branco efficace, in grado di cooperare in modo produttivo e di sopravvivere nel modo più piacevole possibile”.
Così intendono i cani (e i lupi) i concetti di “dominanza” e “sottomissione”: e così dovremmo intenderli noi (chiarire questo concetto dovrebbe assolutamente prioritario per qualsiasi cinofilo, anziché perder tempo a cercare sinonimi “gentili” e a scannarsi con chi non li utilizza).

orchestraIl capo dirige l’orchestra, gli orchestrali eseguono in armonia, “felici di” e non “costretti a” suonare insieme.
Ma pensate che bella sinfonia verrebbe fuori se il primo violino, a un certo punto, decidesse di partire con un pezzo diverso da quello che stanno suonando tutti gli altri.
Un branco, esattamente come un’orchestra (e come una famiglia), deve muoversi in armonia: ma questo non potrà mai succedere se non c’è qualcuno che indica agli altri cosa devono fare, e che interviene anche con decisione se qualcuno degli altri non coopera.
Per questo ritengo che la cinofilia debba rimanere, almeno in parte, antropocentrica e specista: perché nel momento in cui smette di esserlo, ovvero nel momento in cui si concede al cane di suonare la canzone che decide di lui, saltano fuori problemi insormontabili.
E saltano fuori anche perché lui, specista, lo è!
Tanto per cominciare, lui segue le sue leggi e non le nostre (se non gliele spieghiamo con chiarezza): e la sua legge dice che un capo “molliccione” non può essere un capo affidabile, quindi va scalzato. Cosa che, non riuscendo a fare ritualizzando i conflitti come fanno i lupi (perché noi solitamente non capiamo i suoi tentativi di ritualizzazione), farà spesso e volentieri mordendo.
A quel punto l’umano che voleva essere tanto rispettoso partirà a trecento all’ora alla volta del comportamentalista (quando va bene), magari accettando senza fare una piega di somministrare psicofarmaci al cane (e il rispetto dov’è finito?), dal “rieducatore” (figura quasi mitologica che spazia dal macellaio che prende il cane e lo corca di botte al personaggio che cerca di riabilitare il cane entrandoci in contatto telepatico o facendolo meditare sul tappetino zen) o direttamente alla volta del veterinario-e-basta, chiedendogli di sopprimere il povero animale colpevole solo di non aver capito che poteva esprimersi “da cane” solo entro i limiti ritenuti accettabili dall’uomo.

Cervello CGME ci risiamo: c’è sempre qualcuno “superiore” a qualcun altro. Qualcuno più intelligente. Qualcuno che detta le regole e qualcuno che le deve subire (a volte tragicamente).
Ma allora, non era meglio se le regole le dettavamo subito, magari con un po’ di specismo e di antropocentrismo, senza violenza gratuita ma anche senza arrivare a conclusioni tanto tragiche?
Altre possibilità meno drammatiche, ma sempre problematiche: il cane è un carnivoro predatore. O meglio, è il diretto discendente di un carnivoro predatore, visto che lui sarebbe piuttosto un crocchettovoro opportunista:  ma pur non essendo capace, in alcuni casi, di completare la sequenza di caccia, si ricorda benissimo almeno la prima parte. Se gli parte un coniglio sotto il naso non pensa certo “cosa lo inseguo a fare, tanto stasera troverò la ciotola piena”. Lo insegue e se lo acchiappa (caso raro) lo fa fuori senza riconoscegli troppi diritti. Poi magari non è capace di mangiarlo, ma ammazzarlo lo ammazza. E se al posto del coniglio ci mettiamo il gatto della vicina, che succede? Succede che diventiamo immediatamente specisti intraspecifici. La vicina diventa “quella stronza incapace di tenere chiuso il suo gatto”, noi “quegli stronzi incapaci di gestire il loro cane”: e la conclusione può andare dalla faida tra vicini alla polpetta avvelenata.
Ma poi, perché dovremmo essere antispecisti, visto che la natura non lo è?
Perché abbiamo più cervello e più cultura, perché siamo esseri superiori?
Tracchete, ecco che casca l’asino: se ci consideriamo superiori, già diventiamo antropocentrici e specisti.
Un vero antispecismo dovrebbe consistere nel totale ed assoluto “vivi e lascia vivere”: nessuno dovrebbe chiedere a nessun altro di comportarsi in modo diverso da quello che indica la sua natura. Ma il fatto è che il cane vive con noi: il suo habitat “naturale” è diventata la cosa più innaturale che ci sia, e cioè la società umana.

ugualiIo non credo che sia possibile, in alcun modo, superare questo gap e sentirsi davvero “uguali”: credo che sia possibile avere pari diritti (sono la prima a chiedere a viva voce, un giorno sì e un giorno anche, che maltrattamenti e uccisioni canine ricevano la stessa attenzione e le stesse pene di quelli subiti dagli umani), credo che sia indispensabile far capire alla gran parte di umanità che ancora lo ignora che il cane pensa, sente, prova emozioni.
Ma questo purtroppo non basterà: perché nessuno, per esempio, negherà mai che un umano sia in grado di ragionare e di provare emozioni… però vengono maltrattati e uccisi anche gli umani. Soprattutto i più deboli, come donne e bambini.
Più dell’antispecismo, che ritengo molto utopistico e poco praticabile, credo che sarebbe utile diffondere a tappeto una cultura della non-violenza verso gli animali, della non-cattiveria stupida e gratuita, dell’educazione rispettosa, sì, ma non iper-permissiva e/o mollacciona.
E soprattutto, per carità del cielo, non antropoformizzante: rischio che anche Fabiana Romano ha messo in evidenza nel suo articolo, ma che si corre per forza quando si comincia a parlare del proprietario di un cane come di un “genitore”, del cucciolo come di un “bambino peloso” e così via.
Il “lato oscuro” di tutta la sezione zooantropologica-cognitivista-buonista-eccetera della cinofilia è proprio una deriva pericolosissima verso l’antropomorfizzazione del cane, che è la più clamorosa mancanza di rispetto che gli si possa far subire. Ed è ironico, tristemente ironico, che questa deriva venga rischiata proprio da coloro che si sono fatti portabandiera dei diritti del cane e della necessità di rispettarlo di più.

alteritàCerto, tutti ribadiscono ad ogni pie’ sospinto che il cane “va rispettato nella sua alterità”. Facile a dirsi, molto più difficile a farsi. L’alterità è un concetto così atruso, per l’umano medio, che quasi non riesce neppure ad afferrarlo: lo specismo intraspecifico umano (che non si manifesta soltanto nelle faide tra vicini di casa, ma che ha avuto momenti assai più pregnanti  – e probanti – nello schiavismo, e che ne ha ancora nelle discriminazioni razziali, etniche, religiose e così via) lo dimostra in modo così palese che mi sembra inutile continuare a parlarne.
Quando non capisce l’alterità, ma ci tiene proprio tanto ad essere gentile e rispettoso, l’umano non trova altra soluzione se non quella di identificare l’altro con se stesso. Il che, nel caso del cane, porta dritto dritto all’antropomorfizzazione: e quindi ai cani in borsetta o nei passeggini, a quelli stracoccolati e straviziati, a quelli iper-alimentati e così via. Tutti veri e propri maltrattamenti vissuti come se fossero privilegi, al solito, immancabile grido di “lo tratto come un figlio!”
Solo che lui non è tuo figlio. Lui è un cane.
Siamo capaci di capirlo?
Siamo capaci di vedere la differenza?
A mio avviso, e per quella che è la mia esperienza, NO. Non siamo pronti, non siamo “ancora” capaci: forse possiamo arrivarci, ma – sempre  a mio avviso – la strada dell’antispecismo non è, almeno per il momento, quella giusta. Non soltanto per via delle derive fanatiche (purtroppo innegabilmente numerosissime), ma proprio perché manca una cultura umanistica di base. Perché non siamo pronti neppure per rispettarci tra umani, e figuriamoci se ci riusciamo con specie diverse.
Per questo io non ho mai sposato e non credo che sposerò mai le teorie di quella che definisco “cinofilia new age”. Per questo preferisco parlare ancora di “capobranco”, di “leader” anziché di mamme e papà: perché – lo dico chiaramente e senza vergogna – ritengo più maltrattato il cane nel passeggino di quello che una volta nella vita si prende un calcio nel culo.
Di certo non insegno a nessuno a educare a calci nel culo: e il concetto  di “una volta nella vita” diventa “per abitudine”, considero chi ne fa uso un criminale che dovrebbe finire dritto in galera.

famiglia+unita+con+petPerò a me interessa che il cane e la sua famiglia stiano bene insieme: non filosoficamente, ma praticamente. E voglio che stiano bene tutti, cani e umani.
Perché noi umani vogliamo i risultati pratici: vogliamo che il cane sia facile da gestire, vogliamo potercelo portare ovunque, vogliamo che venga quando lo chiamiamo e che non morda nessuno (soprattutto noi) di sua iniziativa. Così saremo felici di averlo, saremo orgogliosi di lui e non penseremo mai di abbandonarlo o tantomeno sopprimerlo. Per me, che forse sono pure un po’ limitata nei miei sogni, l’ideale da raggiungere è questo: e nel mio lavoro cerco di insegnare agli umani come raggiungerlo divertendosi insieme al cane, rispettandone i tempi e le esigenze e anche la mente “diversa”. Non voglio cani trattati come figli: voglio cani rispettati come cani, il che significa anche conoscerne l’etologia, sapere cosa desidera, cosa gli piace, cosa lo diverte davvero.
Concepisco anche le punizioni? Quando è il caso, sì. Perché sono etologicamente corrette.
Io esigo (a costo di essere pure un po’ stronza e di cazziare platealmente i miei allievi a due zampe) che il cane non venga MAI neppure “gentilmente redarguito” per non aver capito una nostra indicazione.
Se non ha capito, nessuna punizione – né gentile, né violenta – potrà ottenere alcun risultato, e chi ne fa uso è un cretino.
Se però il cane mi ringhia contro, il cazziatone se lo prende, eccome.
Se disobbedisce volutamente a una mia richiesta di cui conosce perfettamente il significato, il cazziatone se lo prende. Esattamente come se lo prenderebbe dai suoi “veri” genitori, quelli a quattro zampe: perché “rispettare” significa anche “farsi capire”, e per farsi capire bisogna agire, muoversi, avere una gestualità più comprensibile possibile.
Ciò che proprio detesto è la violenza inutile, non la punizione: che poi dipende tutta dall’indole del cane, dalla sua sensibilità, anche dalla sua razza: un’occhiataccia può bastare e avanzare per un cane ipersensibile, una sberla sul culo può essere vista come un gioco da quello di tempra durissima.
Dipende, appunto: ma quando ce vo’ ce vo’, perché è etologicamente corretto che il cane capisca i concetti di “hai fatto bene”, di “hai sbagliato” e di “mi stai prendendo per il naso ed io questo non lo accetto”.
Io a volte ringhio ai miei cani: cosa che con l’erre moscia mi riesce pure maluccio… però il gesto, l’intenzione la capiscono perfettamente.
Ecco, questo è uno dei miei personali modo di essere antispecista: se serve, provo a diventare un cane (o almeno qualcosa che vagamente gli somiglia).
Di solito, però, mi limito a comportarmi come una maestra: una figura che (spero) possa essere di riferimento e di fiducia proprio perché è diversa e perché la sa un po’ più lunga del cane.
In questi casi sono sicuramente specista e pure antropocentrica: ma non ci trovo niente di sbagliato, nell’esserlo.

Autore

  • Valeria Rossi

    Savonese, annata ‘53, cinofila da sempre e innamorata di tutta la natura, ha allevato per 25 anni (prima pastori tedeschi e poi siberian husky, con l'affisso "di Ferranietta") e addestrato cani, soprattutto da utilità e difesa. Si è occupata a lungo di cani con problemi comportamentali (in particolare aggressività). E' autrice di più di cento libri cinofili, ha curato la serie televisiva "I fedeli amici dell'uomo" ed è stata conduttrice del programma TV "Ti presento il cane", che ha preso il nome proprio da quella che era la sua rivista cartacea e che oggi è diventata una rivista online. Per diversi anni non ha più lavorato con i cani, mettendo a disposizione la propria esperienza solo attraverso questo sito e, occasionalmente, nel corso di stage e seminari. Ha tenuto diverse docenze in corsi ENCI ed ha collaborato alla stesura del corso per educatori cinofili del Centro Europeo di Formazione (riconosciuto ENCI-FCI), era inoltre professionista certificato FCC. A settembre 2013, non resistendo al "richiamo della foresta" (e soprattutto avendo trovato un campo in cui si lavorava in perfetta armonia con i suoi principi e metodi) era tornata ad occuparsi di addestramento presso il gruppo cinofilo Debù (www.gruppodebu.it) di Carignano (TO). Ci ha lasciato prematuramente nel maggio del 2016, ma i suoi scritti continuano a essere un punto di riferimento per molti neofiti e appassionati di cinofilia.

    Visualizza tutti gli articoli

Nella stessa categoria...

17 Commenti

  1. Mai letto un articolo così confuso e incoerente. Tante parole poi per non dire un cacchio.
    Ma l’autrice ha mai sentito parlare di specismo naturale? Ha mai letto qualcosa sui lupi?
    E poi senti questa: Siamo d’accordo che l’uomo è più forte fisicamente della donna, però non è superiore. ALLORA NON E’ Più FORTE! Ma di che stiamo parlando? Sia data una definizione di più forte.
    Mi sa che negli ultimi anni la gente ama scrivere parole e parole difficili, scopiazzate qua e là, senza però alla fine averci capito un cazzo di niente.
    E poi l’aggressività dei vegani? Ma l’autrice ha mai visto un macello?

  2. Grazie di aver espresso in un pensiero coerente i limiti della neonata zooantropologia cognitiva; per me, che da quando vivo con un cane mi sono rivolta escusivamente a un’educatrice con questa formazione (non gentilista, proprio di formazione zooantropologica), è importante essere consapevole dei limiti della filosofia quando questa viene applicata alla realtà. Devo dire però che quando viene messa in pratica, ho visto che giocoforza si attinge ad alcuni metodi dell’educazione (addestramento?) tradizionale. Non esiste di non dare mai indicazioni al cane, o di lasciargli fare ciò che vuole. Per esempio il “NO”, il richiamo, magari reinterpretato in modo più affine alla natura del cane (facendo più affidamento al linguaggio del corpo che ai comandi vocali, ma non abbandonando questi ultimi: il cane li deve conoscere), vengono insegnati eccome… se mi accorgo che nell’educazione manca qualcosa, provvedo io in maniera “tradizionale”. Se si vive in zone urbane col cane, restare zooantropologici in ogni momento della giornata è quasi impossibile. Stessa cosa, immagino, se ci si trova ad un’esposizione canina, o quando si fa sport col cane (cosa che io non rinnego per nulla, anzi) . Ci si può però ritagliare dei momenti di maggiore libertà: per esempio, mi è più facile mettere in pratica questi principi in mezzo a un bosco, che in centro città. Quello che mi piace è che, entro alcuni limiti (e questo è bene sottolinearlo), la decisione su come comportarsi viene lasciata al cane: qui parliamo specialmente di comportamenti sociali. Non parliamo di lasciarlo libero di decidere cosa fare dal momento in cui il cane si muove in un contesto prettamente umano. A me interessa che il cane acquisisca delle competenze, che in alcune situazioni sia in grado di controllarsi anche senza che gli comandi io cosa fare, per esempio nelle interazioni con i suoi simili, o nell’esplorazione, o nella gestione delle emozioni. Ma non potrà mai sapere cosa fare in tutte le evenienze di una società così complessa che talvolta sfugge di mano anche a noi.
    Mi sono resa conto però che, nonostante sia più vicino alla natura del cane, questo metodo è più limitante per noi umani, e anche più difficile da mettere in pratica. Infatti ammetto che in alcuni casi ho deliberatamente disubbidito, adottando soluzioni semplicemente più pratiche anziché più etologicamente corrette.
    Il mio timore è di fare di tutto un pasticcio, spesso valuto di volta in volta quale strada sia la migliore, stando attenta a rimanere sempre in condizioni di sicurezza. Per ora, ammetto, sto ancora sperimentando.

  3. Comprendere l’alterità, ovvero accettarla, ovvero lasciarla essere cio’ che e’. Non siamo pronti, e comunque facciamo una fatica enorme a non difenderci da ciò che non è “noi”. E questo è il germe di tante -forse di tutte?- le ingiustizie umane, indipendentemente dalle intenzioni ‘amorevoli’ che le animano. Non solo l’alterità dell’animale, del cane, ma anche l’alterità dell’uomo. Non solo l’alterità dell’uomo di un’etnia diversa dalla nostra, ma spesso anche quella di un nostro consanguineo. Siamo ancora indietro nel cammino dello spazio per la differenza, ma lo siamo alla radice.

  4. Scusa Veleria, ma si può leggere on line l’articolo di cui parli? Non mi funziona il link alla rivista, non riesco a trovarla…
    🙁 Comunque bell’articolo (il tuo), condivido ovviamente il ragionamento sull’antropomorfizzazione. Però volevo precisare, in quanto vegana antispecista (e brutta e cattiva 🙂 ), che il significato di antispecismo non è “siamo tutti uguali”, ma “le differenze non rendono nessuno migliore o peggiore, superiore o inferiore”, molto in sintesi ovviamente. Certo che siamo diversi dai cani, la nostra mente è molto più complessa, ma la parola “superiore” è molto pesante ed è alla base delle più grandi discriminazioni della storia. Allo stesso modo l’uomo è fisicamente più forte della donna, ma ciò non lo rende superiore, eppure è proprio questo concetto (semplificando) che ha portato al sessismo per millenni e purtroppo in molti casi ancora oggi. E potrei continuare con neri e bianchi, ebrei e tedeschi ecc.. Per l’antispecismo il discorso è trasposto sugli animali non umani, quindi il fatto che noi siamo diversi da loro non ci rende migliori o superiori e non ci dà il diritto di disporre delle loro vite come se fossero di nostra proprietà, di renderli schiavi, torturarli e massacrarli a nostro piacimento. Specismo è anche ritenere alcuni animali degni di ricevere le nostre coccole (e scandalizzarsi di fronte a persone che li mangiano) e ritenerne altri degni solo di finire nel nostro piatto. Questo giusto per chiarire un po’ il termine. E’ ovvio che come tutti i principi anche questo può essere distorto e estremizzato, ma se parliamo del principio “sano” i concetti sono questi.
    Poi sono d’accordissimo con te, questo non può deviare in “lascio il cane libero di fare quello che vuole” o nel trattare gli animali come bambini. Noi dobbiamo essere guide, leader, e genitori in senso canino, dobbiamo amarli e insegnar loro le giuste regole, rispettarli e condurli nel nostro mondo. Però questo non ci rende secondo me superiori. Possiamo avere una posizione gerarchica superiore, ma non siamo noi stessi superiori. Bisogna stare attenti perchè questa parola è purtroppo pericolosa.

  5. Articolo molto interessante!! Nel caso in questione il “baco” del sistema sta nel fatto che l’animale domestico è intrinsecamente frutto dell’antropocentrismo.
    Si chiama addirittura “canis lupus familiaris”! FA-MI-LIA-RIS!
    Più antropocentrico di così: l’uomo addirittura lo ha CREATO il cane! Ha preso un lupo e ne ha fatto altro, e non contento ha continuato a manipolare creando, per suo uso e diletto, addirittura tipi diversissimi di cane.
    Vero è che il cane in assoluta teoria può prosperare anche senza l’uomo, riavvicinandosi maggiormente al lupo, o comunque ad un selvatico. Alle volte mi da l’idea che i randagi più randagi, o cosiddetti “cani ferali” , finchè non cozzano con l’uomo, non siano poi così infelici, ma sta di fatto che non si tratta più di animali “familiaris”. Fooorse la loro prole, se presa da piccolissima, potrebbe ritornare cane familiaris, ma non lo so.
    E’ proprio il quel “familiaris” che risiede il problema: prendere una propria creazione e “lasciarla libera di decidere” mi sembra un po’ come prendere un bambino, dargli le chiavi di casa, le chiavi dell’auto e la carta di credito. Un’idea non antropocentrica, ma non particolarmente benefica per nessuno.

  6. Sempre stupendamente equilibrata … complimenti!! Io ho un cane di tempra mooolto dura, e qualche schiaffo se l’è preso quando l’ha fatta grossa (tipo che mi ha morso o ha volutamente e sfacciatamente disobbedito)! Però non ne posso più di sentirmi dire che devo schiaffeggiarlo e punirlo PER OGNI COSA, soprattutto per quelle cose che non capisce o che non ho saputo spiegargli. Mi piace l’immagine dell’orchestra … da musicista posso dirti che il maestro è tutto quando suoni o canti con tante altre persone, e se sbaglia una virgola lui, automaticamente sbaglierà un popolo!! Per questo spesso vedo le magagne del mio cane come la diretta conseguenza di errori miei, della mia mancanza di tempo, del fatto che vivo in un posto senza cultura cinofila, ecc … però cerco di fare del mio meglio, e sono d’accordissimo con te quando dici che trattarlo come un bambino è mancargli di rispetto: quando l’ho fatto ci siamo presi le conseguenze, ma grazie al cielo c’è sempre tempo per imparare. Continua a scrivere, perché c’è tanto bisogno di equilibrio, di buon senso, di raziocinio … in giro ce n’è ben poco!!!

  7. Un’osservazione sul fatto di comportarsi più da cani e meno da mamme: con Iris ho cercato di non ripetere gli errori fatti con i recedenti cani e fare il cane funziona molto bene. Una ringhiata quando si avvicina troppo al mio cibo è molto più efficace di qualsiasi comando, così come bloccarle il muso con la mano quando esagera nel gioco e diventa prepotente la fa calmare subito e riprendiamo a giocare come niente fosse, mentre se la sgrido si spaventa o al contrario la esalta ancora di più. Eppure molte persone che mi hanno visto farlo mi considerano troppo severa.

  8. Ahaha!!! Scusa, io ti ammiro tantissimo e sto fAcendo alle persone che mi sono vicine una capoccia enorme su di te, quello che dici e i tuoi cani (per inciso, Samba ha quasi l’età del mio “pastore australiano.. Così me l’hanno dato ma non ha NULLA del aussie, a parte 4 zampe è una coda.. Diciamo che è più un bastard border..) ma la tua ringhiata con la erre la vorrei sentire!!! Comunque, anche se c’entra pochino ora ho 2 cuccioloni: il suddetto e una corsa di 6 mesi e mezzo e, se non ci stessimo un po’ impegnando è un po’ imponendo, credo che non potremmo portarli al guinzaglio e sopravvivere.. O almeno non essere esasperati. Con lui siamo stati troppo permissivi all’inizio, specie perché non voleva mai uscire al guinzaglio: si sedeva e faceva resistenza passiva (una volta mi hanno urlato che dovevo portarmi dietro l’acqua per lui, seduto all’ombra di un’auto. Peccato che l’acqua ce l’avessi e fossi riuscita solo ad attraversare la strada…) e quindi quando decideva di camminare al guinzaglio era festa, anche se tirava. Alla prima uscita da sola con entrambi mi sono resa conto della dimensione dell’errore… Ora, con calma, stiamo recuperando. Però lasciarlo fare non è una soluzione!!!

  9. Mi ha stupito una volta un ragazzo che mi ha chiesto vedendo i miei cani, se questi fossero i miei figli, mi ha posto la domanda “sei la loro mamma?”. Ora io non so rispondere sull’essere mamma perché non lo sono, ma non mi sento di associare l’affettività verso i miei cani e viceversa al rapporto madre e figlia, fratelli e sorelle. Allora, che ancora avevo un solo cane e tra l’altro non proprio mio ma di famiglia, tendevo a rispondere è il mio fratellino più piccolo, è il mio amico e altro. Invece, adesso che ho un cane mio e in un contesto dove vivo da sola e quindi la scelta dei pro e dei contro ricade tutto su di me, mi sono resa conto di come il rapporto con il cane, o con il mio cane non posso paragonarlo a nessun rapporto che ho con altri umani.
    Sono rimasta due giorni a pensare a quella domanda “sei la loro mamma?”, in quel momento avrei risposto no “sono il suo capobranco” o “la sua padrona”, il primo perché approfondisco ogni giorno di più il modo di interagire del cane con me che da una parte cerca delle certezze e sicurezze, ma dall’altra mi rendo conto che non è tutto gratuito quello che mi da e mi chiede. C’è da parte della Cingi l’interesse di star bene ma sono riuscita ad allontararla dal concetto che sono un dispenser di crocchette facendole conoscere altri lati della vita con me come il divertimento, l’erba bagnata, il gioco, il divertirsi con altri cani. Sono esperienze ma anche emozioni che le trasmetto e che le faccio vivere e il riscontro ce l’ho perché si ricorda le strade verso dove la porto e mi fa capire che vorrebbe dirigersi lì, ma aspetta anche con gli occhi lucidi la prossima destinazione. Mi accorgo che non sono solo un dispenser di croccantini e carezze, perché quando sono per molto tempo via e la lascio con i miei fratelli a cui è affezionata non è la stessa cosa pur facendo le stesse cose, così almeno mi riportano. Dico di essere la “sua padrona” semplicemente perché sento il senso della responsabilità: salute, cibo, uscite, comportamento…
    C’è poi il momento del lavoro (ho iniziato da sola a lavorare sulla condotta e sui comandi base -seduto, terra, resta – ma adesso sono in un campo cinofilo e sto lavorando sulla camminata al guinzaglio visto che la porto in giro con me praticamente da tutte le parti: boschi e montagna, soprattutto) e lì ti rendi conto di quanto non puoi dire che il cane sia come un figlio, un fratello, un amico, un qualcosa di meglio del ragazzo…. è qualche cosa non di più e non di meno, semplicemente diverso ed è una diversità che sintetizzo semplicemente dicendo “è il mio cane”, un concetto che per me non può essere nemmeno sintetizzato dalla parola il capobranco, mi viene fuori alle volte la parola “squadra” per la collaborazione che abbiamo, perché c’è un lavoro insieme e anche un legame, ma sempre sottolineando l’unicità del rapporto uomo/cane. (PS – Rex con mio fratello, Cingi stanca dal mare 😉 )

  10. Complimenti Valeria, un articolo molto interessante di cui sposo ogni minima parola. Raramente su questo argomento (così come su tanti altri argomenti che riguardano gli animali più o meno da vicino) riesco a trovare qualcuno che la pensi esattamente come me!

  11. Leggerò con calma poi l’articolo, per il momento…mi imposto come sfondo la foto del golden testa a testa con l’umano…..

  12. Forse il problema sta nella nostra definizione di “diverso”; per molta gente il termine “diverso” vuol dire “inferiore”, “pericoloso”, “non compatibile”…mentre, magari, è solo…diverso. Così tendiamo a far diventare il cane “uguale a noi”…lo vestiamo, lo facciamo fidanzare, gli cuciniamo i bucatini, lo apostrofiamo con “guarda che a casa le buschi”…perchè ci pesa quel “diverso”…e parlo come proprietaria di cane minuscolo, che incontra quotidianamente microcani umanizzati.

  13. “Il “lato oscuro” di tutta la sezione zooantropologica-cognitivista-buonista-eccetera della cinofilia è proprio una deriva pericolosissima verso l’antropomorfizzazione del cane, che è la più clamorosa mancanza di rispetto che gli si possa far subire. Ed è ironico, tristemente ironico, che questa deriva venga rischiata proprio da coloro che si sono fatti portabandiera dei diritti del cane e della necessità di rispettarlo di più. ”

    Supermegaquotone!
    Non ho ben capito cosa si intende per anticentrista, forse sono quelli che in vacanza parlano ai locali in italiano? Perché bisogna sempre venirsi incontro se si vogliono superare delle differenze, perlomeno nella comunicazione

  14. Ecco, bellissimo articolo, mi sa che come sempre io e te siamo sulla stessa lunghezza d’onda: Purtroppo in casa devo quasi quotidianamente battagliare con il marito che invece ritiene che il cane vada lasciato libero di fare quel che vuole, mangiare quello che vuole e quando ne ha voglia. Le regole che sto cercando di imporre alla mia cucciola lui le vede assurde e lesive della sua “dignità”. Però, mentre il cane che avevamo prima, che è volato sul Ponte dopo 16 anni, pur essendo piccoletto, non lo potevamo portare da nessuna parte con noi, perchè era cresciuto da “anarchico”, mentre questa, di stazza decisamente superiore, nonostante sia ancora cucciolona, fin da piccolissima l’ho abituata e ora me la posso pure portare al ristorante, sicura che se ne starà buona e tranquilla sotto al tavolo. Lei sa che ci sono cose che non deve permettersi, e anche se alle volte mi provoca e mi mette alla prova (è un samoiedo e quindi puoi capire che cane mi sono messa in casa), però sa perfettamente fin dove può arrivare, e da brava cagnolona furba, si ferma sempre un attimo prima dello scoppio dell’uragano.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Ultimi articoli

Scarica la nostra app!

E' gratuita e potrai rimanere facilmente aggiornato su tutti i nostri contenuti!

Scarica l'app per sistemi Android
Scarica l'app per sistemi Apple

Ti presento il cane
Condividi con un amico